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Federico Cusin (1875-1972), una vita per l'arte
Federico Cusin (1875-1972), una vita per l'arte
Federico Cusin (1875-1972), una vita per l'arte
E-book402 pagine3 ore

Federico Cusin (1875-1972), una vita per l'arte

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Federico Cusin, nato a Venezia nel 1875, fu maestro elementare, ma contemporaneamente valido artista; espose opere apprezzate, nel corso della sua carriera, alla Biennale di Venezia e alla Fondazione Bevilacqua La Masa. Era un artista eclettico, tradizionalista, colto, fantasioso e soprattutto ironico osservatore della vita nelle sue molteplici manifestazioni. Il suo nome è ancora sconosciuto nel mondo dell’arte, nonostante la sua attività di incisore, grafico e pittore che si prolungò, ininterrotta e feconda, per molti decenni. Forse la sua indole semplice e riservata, la sua ritrosia ad inserirsi nelle lotte competitive dell’ambiente veneziano lo spinsero a svolgere la sua opera rimanendo nell’ombra, fedele ad una ricerca espressiva personale.
LinguaItaliano
Data di uscita26 lug 2016
ISBN9788892613959
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    Anteprima del libro

    Federico Cusin (1875-1972), una vita per l'arte - Antonietta Casagrande

    1919.

    1. Federico Cusin (1875-1972): una vita dedicata all’arte.

    Nel contesto storico-culturale in cui emerge il gruppo dei capesarini, la figura di Federico Cusin mantiene una posizione isolata; la sua ricerca artistica assume infatti, nel corso di tutta la vita, un carattere esclusivamente individuale che lo induce a rimanere sempre fedele alle proprie scelte e distaccato dalle lotte competitive, restio a lasciarsi condizionare dalle nuove mode o dai nuovi linguaggi pittorici.

    Da autentico veneziano, amava moltissimo la sua città ed era un appassionato studioso della sua storia e delle sue tradizioni; possedeva un atteggiamento critico e uno spirito ironico nei confronti della vita e dell’umanità che osservava dal punto di vista di uno spettatore curioso e disincantato allo stesso tempo.

    Nato a Venezia l’8 dicembre del 1875, dopo aver compiuto gli studi magistrali, iniziò la carriera di insegnante elementare, prestando dapprima servizio in alcuni paesi del Veneto e del Friuli, quali Mirano, Burano, Maniago e Osoppo, Portogruaro, in seguito a Murano, alla scuola elementare Ugo Foscolo, dove rimase dal 1915 al 1935, assumendo anche incarichi direttivi; per terminare infine la sua carriera nel 1949 alla scuola elementare Manzoni di Venezia, già settantaquattrenne.

    Un suo allievo, Mario De Biasi, lo ricorda come un maestro dal temperamento sereno ed equilibrato, dedito ad un insegnamento scrupoloso e paziente, che completava con una sensibile e consapevole opera di educatore.

    Gli allievi avevano modo di apprezzare la sua grande abilità nei disegni con i quali accompagnava le lezioni, rendendole più gradevoli, interessanti ed efficaci.

    A livello personale possedeva una vasta cultura umanistica, conosceva e apprezzava le opere dei più grandi letterati e filosofi, dall’antichità all’epoca contemporanea, tanto che annotava, in un quaderno di appunti, le citazioni che sentiva maggiormente in sintonia col suo stato d’animo, in accordo con la sua visione della vita.

    La letteratura fu una fonte di ispirazione per buona parte della sua produzione artistica, almeno fino al 1945: Cusin infatti elaborò moltissimi disegni e dipinti di contenuto narrativo e di significato simbolico, a volte palese, altre più oscuro, che testimoniano la sua adesione ad un tardo simbolismo, ad un’arte fantastica.

    Contemporaneamente all’attività di insegnante, svolse infatti, con altrettanta passione, dedizione e umiltà, una fertile e ininterrotta attività artistica.

    Possedeva una preparazione scrupolosa ed accademica; tra la fine dell’Otto e l’inizio del Novecento frequentò l’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove ebbe come insegnante Ettore Tito, specializzandosi nella figura, che popola gran parte delle sue opere; in seguito frequentò corsi di ornato all’Istituto di Belle Arti di Firenze, dove si perfezionò nella decorazione ed illustrazione del libro, apprendendo l’arte della xilografia, secondo le tecniche degli antichi maestri incisori, soprattutto di Dürer.

    Fu tra i collaboratori delle raccolte di tavole di Decoratori ed Illustratori d’Italia, curate da Cesare Ratta, rinomato Direttore della Scuola di Arte Tipografica di Bologna tra gli anni Venti e Trenta, il quale vedeva, nel ritorno alla tecnica dell’incisione sul legno, l’unica via per produrre decorazioni e illustrazioni adatte al libro d’arte.

    Nell’Europa di fine secolo la produzione grafica e l’illustrazione avevano avuto una straordinaria fioritura, favorita anche dal grande incremento goduto dall’editoria d’arte; molti grafici avevano voluto offrire una prova della modernità del XX secolo, dedicandosi alla sperimentazione per verificare gli aspetti formali della loro opera e riscontrarne i risultati sulla carta.

    E’ presumibile che in seguito Federico Cusin abbia ceduto ai richiami dell’Art Nuoveau, che indirizzava l’operato dell’artista al servizio della produzione industriale, così a Firenze frequentò la scuola professionale delle arti decorative industriali e ottenne l’abilitazione all’insegnamento artistico. Per lungo tempo l’artista lavorò solo per sé, produsse xilografie e disegni, seguendo una sua ricerca espressiva personale, forse perché il suo temperamento schivo e riservato lo rendeva timoroso di presentarsi al pubblico.

    Finchè, già quarantenne, inviò timidamente una serie di disegni ad una Mostra Primaverile di Ca’ Pesaro, che venne accolta molto favorevolmente da Barbantini e gli valse il consenso dei critici e del pubblico e, conseguentemente, la notorietà.¹⁰

    Nel 1919, per la successiva Mostra dell’Opera Bevilacqua La Masa, che segnava la Rinascita di Ca’ Pesaro dopo la prima guerra mondiale, compose una xilografia che venne scelta per illustrare la copertina del catalogo; rappresentava il vecchio Ponte di Rialto del Quattrocento, desunto da documenti dell’epoca, presumibilmente dal dipinto di Carpaccio Il miracolo della reliquia della Croce. Il disegno, dallo stile asciutto e preciso, denota un evidente impianto prospettico, qualche richiamo al decorativismo, ma anche una certa dinamicità delle figure e delle gondole.

    E’ caratterizzato da due zone contrapposte, di luce ed ombra, quindi dall’assenza di penombre o mezzetinte, rivelando la rigorosità del suo impianto grafico.¹¹

    Il libretto divenne presto introvabile, anche per la famosa prefazione del critico Gino Damerini, suo estimatore, e diede inizio ad un periodo di lunga collaborazione tra i due; lo provano le amorose copertine dei saggi di critica d’ arte di Damerini Giardini sulla laguna e Amor di Venezia, che Cusin fu incaricato di illustrare.

    Nel 1919, a Ca’ Pesaro, l’artista presentò dieci disegni a penna in inchiostro di china, oltre al Vecchio Rialto, quattro disegni per il Calendario, pubblicati dall’editore Tuminelli, Il martirio di S. Sebastiano, La veglia funebre, Funerale ed infine La pergola, ceduto al dottor Barbantini, dall’acquirente originario, il conte Zorzi.

    Nello stesso anno alla Mostra del Circolo Artistico di Venezia espose due disegni: Il labirinto d’amore e L’impiccato, entrambi venduti.

    Dopo il felice esordio del 1919, l’anno successivo l’artista venne invitato a partecipare alla Biennale di Venezia.

    Nel 1920 ci furono notevoli cambiamenti nella manifestazione a livello organizzativo, dal momento che Antonio Fradeletto fu sostituito da Vittorio Pica nell’incarico di Segretario Generale della Mostra; questi era un pregevole studioso dell’Impressionismo francese e riuscì a portare a Venezia ben 28 dipinti di Cézanne, nonché alcune opere di Signac, Seurat, Redon e Bonnard, ma non dimostrò una particolare attenzione per i giovani artisti di Ca’ Pesaro.

    La Giuria di ammissione, presieduta da Giovanni Bordiga e formata da Libero Andreotti, Nino Barbantini e Traiano Chitarin, dichiarò di aver scelto opere rispecchianti le inquiete e tormentose ricerche dell’attuale generazione; ma delle 1127 opere presentate, ne furono ammesse 272.

    Quello stesso anno Felice Casorati si rifiutò di esporre le proprie opere alla Biennale, preferendo riservarle alla Mostra di Ca’ Pesaro, dove si respirava un clima di maggiore libertà.¹²

    In un articolo pubblicato in Emporium, Francesco Sapori esprime una valutazione sulla diciassettesima Biennale d’arte, giudicando positivamente le sale della pittura, per le ricche retrospettive di Umberto Moggioli, Guglielmo Ciardi e Paul Cézanne, tanto che, al confronto, l’arte plastica e il bianco e nero si rivelano povere di risultati artistici apprezzabili.

    Tuttavia, riguardo al bianco e nero, rileva " una lirica gentile nei disegni di Ciardi e una spiccata grazia lineare nei tre disegni presentati da Cusin: Il nido verde, Le pizzocchere e Le quattro età della donna."¹³

    Quest’ultimo pregevole lavoro consentì infatti all’artista di vincere il premio della Fondazione Marini – Missana, notificatogli in una lettera inviata il 31 ottobre 1920 dalla Commissione incaricata del conferimento del Premio; in questa gli esprimono le felicitazioni per la meritata distinzione e gli viene assegnato un premio di lire mille, vi si allega anche il verdetto ufficiale della stessa Commissione, che dice: …abbiamo considerato le opere di artisti giovani allo scopo di conferire il Premio Marini- Missana, da assegnare all’autore di un’opera tale da rivelare un forte ingegno e meritare incoraggiamento ed aiuto. Visto che l’importo del Premio è raddoppiato, abbiamo pensato di dividerlo, assegnandolo per metà alla scultura di Luigi Luparini La famiglia, e per metà al disegno di Federico Cusin Le quattro età. Ambedue le opere presentano, a parità di merito, i requisiti fissati dall’istitutore del Premio.¹⁴

    L’artista, quasi incredulo, ritenne doveroso ringraziare Barbantini, il quale gli inviò subito questa chiara risposta: … devo dichiararLe che il suo disegno è piaciuto alla Commissione, indipendentemente dalla stima cordiale che ho per Lei: quindi ella non è debitore del premio che a se medesimo. Me ne rallegro vivamente e mi auguro che questo le propizi tutto il bene che Lei merita.¹⁵

    Rispetto all’analogo soggetto di un disegno di Klimt, Le tre età della donna, l’opera di Cusin si distingue per la totale assenza degli aspetti grotteschi, ai fini di una rappresentazione che rivela sensibilità e grazia poetica.

    Quello stesso anno anche la Mostra di Ca’ Pesaro deluse le aspettative dei giovani, quando la Giuria, che doveva scegliere le opere ammesse, escluse Felice Casorati a causa di una ristretta interpretazione del testamento della contessa Bevilacqua, indirizzata a riservare le sale dell’Esposizione ad artisti nativi di Venezia.¹⁶

    Fu immediata la reazione di un gruppo di dissidenti che scrissero un documento, pubblicato sulla Gazzetta di Venezia ai primi di luglio, dove, in segno di protesta per l’esclusione di Casorati, ma soprattutto per la chiusura dimostrata dagli organizzatori nei confronti delle nuove tendenze, si invitavano gli artisti a boicottare la Mostra di Ca’Pesaro e ad esporre le loro opere in una mostra oppositiva, alla Galleria Geri-Boralevi, in piazza S.Marco.

    Federico Cusin fu tra i firmatari del documento, insieme a Carlo Carrà, Teodoro Wolf Ferrari, Pio Semeghini, Gino Rossi, Vittorio Zecchin, Emilio Notte e altri; in sostanza tutto il gruppo storico dei capesarini espose fuori dalla Fondazione, in una Mostra dei dissidenti, inaugurata il 15 luglio del ’20.

    Questo episodio, secondo Guido Perocco, segnò la fine dell’ energia innovativa dell’Opera Bevilacqua La Masa e il ritorno ad una tradizione artistica ormai superata.¹⁷

    Alla Galleria Geri-Boralevi, Cusin espose quattro disegni a penna: Passeggiata romantica, Lo specchio, Il riposo dei viandanti e Stavan sui tetti ad imbiondire, acquistato dal Commendator Pellegrini. Quest’ultimo si ispirava ad una curiosità veneziana: l’usanza delle giovani donne di salire sulle altane dei tetti per schiarire i capelli al sole. Tradizione che evidentemente colpì molto la fantasia dell’artista, tanto da indurlo ad annotare: Si bagnavano la testa con una spruzzata d’acqua e lavoravano le chiome con la liscia forte, unita a piante officinali, zolfo, scorze d’arancia ed altri impiastri. Per asciugarle si esponevano al sole sulle altane e vestivano di tela leggera, tenendo sulle spalle un accappatoio di seta e in testa un cerchio di paglia detto solana.

    D’altra parte nei suoi appunti riporta una nota letteraria, di stile dannunziano, di ammirazione per la bellezza delle donne veneziane: Le veneziane- scrive- possiedono una infinita bellezza, unica al mondo, imparagonabile a quella delle donne romane, un’aria slanciata; sono gigli vaganti, bellezze riservate ai soli poeti.¹⁸

    Il 1920 fu certamente un anno di notevole successo che offrì all’artista interessanti occasioni di lavoro: espose alla Mostra d’Arte Sacra a Palazzo Reale di Venezia una delle sue illustrazioni più riuscite, S. Francesco predica agli uccelli, mentre alla Mostra della Loggia Foscari vennero esposti Lo specchio e Il mattino.

    Sempre nel ’20 donò a Barbantini, come regalo di nozze, Il riposo dei viandanti, un disegno che raffigura i fedeli in sosta, prima di raggiungere la meta del loro pellegrinaggio.

    L’anno seguente, in cui non si tennero rilevanti manifestazioni a Venezia, compose un disegno a favore delle Chiese rovinate dalla guerra e la decorazione per il Diploma di Esposizione di Arte Sacra.

    L’artista lavorava spesso su commissione ecclesiastica ed elaborava soggetti religiosi, scegliendo di preferenza episodi della vita di S. Francesco.

    D’altra parte le sue convinzioni religiose personali non erano passivamente accolte, in quanto imposte dall’educazione familiare (aveva infatti uno zio canonico), bensì profondamente meditate.

    Nel suo quaderno riporta una frase del Foscolo: " Ritengo necessario avere sempre una religione.

    Ora, come farne una non è compito degli uomini, così bisogna che essi abbraccino quella che trovano, quella avuta dagli avi e che si è amalgamata con le leggi della nostra patria, perciò va rispettata come si rispettano le leggi. A nota di commento aggiunge: Ugo Foscolo aveva una religione, credeva in Dio, lo amava, lo adorava, ma voleva adorarlo a modo suo".¹⁹

    Si recò quindi a Treviso dove presentò, in una esposizione collettiva, i disegni: Villa di delizie, Buongiorno, Buonanotte, Le Vergini prudenti e La Cortigiana.

    Il 1922 fu un anno di gravi disordini sociali nelle campagne e nelle città italiane che culminarono il 28 ottobre con l’avvento del Fascismo; notevoli cambiamenti nella funzione dell’arte e nel ruolo dell’artista si sarebbero ben presto avvertiti negli anni del Regime.

    A Firenze, dall’8 aprile fino al 31 luglio del ’22, si tenne la prima Esposizione Nazionale dell’Opera e del Lavoro artistico, nel giardino del Palazzo di S. Gallo, edificio dal carattere semplice e severo, progettato per iniziativa della Società delle Belle Arti di Firenze, finanziato dalla Camera di Commercio per destinarlo alle Mostre d’arte.

    In quell’occasione esposero alla Primaverile Fiorentina, insieme a Federico Cusin, anche altri artisti veneziani, Guido Cadorin, Beppe ed Emma Ciardi, Pio Semeghini e un artista di Trento che aveva studiato a Venezia, Benvenuto Disertori.

    Il Catalogo della Mostra riporta alcune note critiche e biografiche sugli espositori, stese da vari critici.

    Nella prefazione Gino Damerini definisce Cusin una delle figure più singolari dell’Arte veneziana, che percorrendo calli e campi della sua città, cominciò a vedervi immagini d’altri tempi che la sua erudizione suscitava al suo cuore. Temperamento elegante e nobile di poeta delle stampe popolari, delle xilografie, dei rami dei secoli andati, espresse una sua maniera sicura e pastosa di disegnatore a penna, che adoperò in figurazioni vaste e complesse.

    La sua grafica risulta a volte sostanziosa, altre così delicata, in una quiete fuori dal tempo.

    All’epoca dell’Esposizione fiorentina qualcuno dei suoi disegni era già entrato nelle maggiori Gallerie pubbliche.

    Il veneziano Guido Cadorin viene ricordato da Damerini per il suo temperamento di elegante decoratore, amante delle tinte semplici, piatte, un po’ esangui, che rinviano ai preraffaelliti inglesi e ai postimpressionisti.

    Anche Pio Semeghini nel 1919 si unì al gruppo di Ca’ Pesaro; nella prefazione al Catalogo della Primaverile, Damerini lo definisce uno dei pittori più originali d’Italia e interessanti per la critica, in particolar modo per i ritratti, nei quali il disegno incisivo rende, attraverso l’emozione, la figura del modello. Ama inoltre dipingere paesaggi dal vero, all’aria aperta, seguendo le orme degli impressionisti e in seguito di Cézanne, per l’appassionata ricerca dei volumi, riuscendo a fissare, con una pittura tutta fatta di intonazioni vaporose, la forma solida delle cose, non meno che la vibrazione della luce intorno ad esse.

    Proprio per le caratteristiche dei suoi dipinti e disegni, l’arte ariosa ed aperta di Semeghini si contrappone a quella di segno chiuso, erudita e simbolica di Cusin.

    Ma è con Benvenuto Disertori, più che con gli altri artisti, che Cusin trova una maggiore affinità e instaura un sodalizio artistico che durerà a lungo negli anni, come testimoniano alcune lettere dello stesso Disertori: li accomuna la convinzione che il rigore formale e l’erudizione devono sempre accompagnare il lavoro artistico, pur rivelando una differente concezione della forma, tenacemente classica nell’artista trentino, più eclettica in Cusin.

    Disertori viene definito, nella nota critica di Carlo Tridenti, "un ironico che possiede, in realtà, una tersa e disperata classicità di segno che non si accorda col gusto decadente.

    Rivela una forte preferenza per i luoghi antichi e solitari, i borghi delle città toscane ed umbre che lo vedono interprete attento al carattere impresso dagli uomini e dal tempo, alla fuga delle case, dei campanili, degli alberi, verso le sfumate lontananze dei colli.

    Un classico dunque: la sua forma è ridotta all’elemento primo, il tratto, il contorno fissati con chiarezza, sono i mezzi espressivi più idonei a rendere l’eterna bellezza della natura."²⁰

    Alla Primaverile Fiorentina vennero acquistati quattro disegni di Cusin che, sempre nello stesso anno, espose alla Biennale di Venezia del ‘22 due disegni: Bottega di maschere e Benedizione ad Assisi.

    Nel 1922 la Rassegna Internazionale veneziana fu dominata dalla Francia con Bonnard e caratterizzata dalle novità degli espressionisti tedeschi, ma, nonostante la presenza di una piccola retrospettiva di Modigliani, l’apertura verso le avanguardie risultava, per il momento, interrotta.

    Nello stesso periodo Cusin continua la sua collaborazione con gli organizzatori della Mostra d’Arte Sacra, per la quale decora il Diploma per gli espositori.

    Nel 1923 non si tenne la Biennale, ma l’artista partecipò ugualmente ad importanti mostre collettive come la Quadriennale di Torino, dove espose La casa del morto e Il supplizio della cheba. Quest’ultimo disegno si rivela interessante per il soggetto storico che rappresenta: la pena che subivano nella Venezia del ‘500 i preti bestemmiatori, mentre sul piano artistico risulta suggestiva la veduta prospettica dall’alto del campanile di Piazza S. Marco.

    Alla Mostra di Monza dello stesso anno presentò due disegni: Fruttidoro e Madonna, decorò inoltre due interessanti pergamene per i generali Diaz e de Ravel.

    Il 1923 segnò anche il ritorno del gruppo storico di Ca’ Pesaro alla collaborazione con l’Opera Bevilacqua La Masa.

    Nella Mostra annuale della Fondazione Cusin espose: Una bottega, Donne curiose, disegno ispirato alla famosa Commedia goldoniana, acquistato per conto di Sua Maestà il Re d’Italia e Villa di delizie, acquistato dal Conte Revedin.

    Il catalogo della Biennale del ’24 si apriva con il ritratto del Duce, particolare che denotava con chiarezza il cambiamento in atto: si imponeva il ritorno all’ordine della tradizione classica.

    Nella sala Bianco e Nero del Padiglione italiano furono esposti due disegni dell’artista: Frate focu e Serenata.

    Alla mostra annuale dell’Opera Bevilacqua del ’24 espose ben 12 disegni: Stavan sui tetti ad imbiondire, Buon giorno, Buona notte, Il supplizio della cheba, acquistato dalla Compagnia Grandi Alberghi, Fruttidoro, acquistato da Levy, Le madri, venduto alla Cassa di Risparmio e Sera di festa, all’Ufficio del lavoro, Il Meriggio, Il sogno della morte apparente, Le vergini prudenti

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