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Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti
Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti
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E-book2.700 pagine45 ore

Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti

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Info su questo ebook

Il primo fondamentale testo della storia dell’arte italiana

Introduzione di Maurizio Marini
Edizione integrale

Le vite del Vasari sono la prima storia critica dell’arte italiana e rimangono ancora oggi un testo di fondamentale importanza, esemplare per l’oggettività e l’onestà dei giudizi e per la chiarezza espositiva. Pubblicate dapprima nel 1550, sono frutto di un lavoro di paziente ricerca durato almeno dieci anni. Il Vasari aveva infatti iniziato a raccogliere materiali, appunti e notizie riguardanti la vita e l’attività degli artisti italiani già nel 1540, quando aveva trent’anni. Iniziando da Cimabue, il Vasari racconta, analizza, commenta la vita e l’opera degli artisti vissuti nell’arco di tre secoli, per giungere fino ai suoi contemporanei, senza tralasciare nessuno: dai più celebri, come Raffaello e Michelangelo, a quelli che solo pochi conoscono.


Giorgio Vasari
fu uno tra i più importanti architetti e pittori del Rinascimento, oltre che scrittore. Nacque ad Arezzo nel 1511 e fu allievo di vari artisti, tra cui Andrea del Sarto. Visse e lavorò in diverse città italiane, ma soprattutto a Firenze e a Roma. Artista ufficiale di Cosimo I, ideò tra l'altro la sistemazione degli Uffizi e la ristrutturazione e la decorazione di Palazzo Vecchio. Morì a Firenze nel 1574.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854125582
Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti

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    I took a Master's level Art History class on Giorgia Vasari at FSU a few years ago and this was the translation of the book that the professor wanted us to buy for the class. And for good reason. It's probably the most complete and accurate translation of Vasari's works out there and is downright affordable in this edition (yes $44 is affordable for this. It's a nice two volume edition with a slipcover to store the books in and the books themselves have a nice sturdy binding. If you have to buy a translation of Vasari's works or just want to explore what the first art historian wrote, you can't go wrong with this edition.

Anteprima del libro

Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti - Giorgio Vasari

216

Prima edizione ebook: dicembre 2012

© 1991, 2007 Newton Compton editori s.r.l.

Roma, Casella postale 6214

ISBN 978-88-541-2558-2

www.newtoncompton.com

Edizione elettronica realizzata da Gag srl

Giorgio Vasari

Le vite dei più eccellenti

pittori, scultori e architetti

Introduzione di Maurizio Marini

Edizione integrale

Newton Compton editori

Il Vasari tra teoria e filologia delle arti

«... Il far lume fra tante tenebre alle cose de’ nostri antichi e preparare la materia e la via a chi vorrà scriverle, mi sarà sommamente grato...»

(1550).

Anche una breve introduzione alle «vite» di Giorgio Vasari¹, non può esimersi dal tracciare un sintetico profilo della sua figura di singolare umanista toscano del Cinquecento. Non si possono, cioè, ignorare il ruolo portante svolto dalle personali teorie estetiche filtrate nelle biografie dei «più eccellenti architetti pittori e scultori - da Cimabue insino a’ tempi nostri», sia quello parallelo assunto dalla sua produzione artistica strictu sensu (nonché dai suoi molteplici viaggi), e come entrambi saranno normativi per gli esiti della cultura del XVI secolo attinenti quella che, proprio dalla sua concezione e dalla terminologia adottata, sarà la «buona maniera moderna», vale a dire il «Manierismo».

Nondimeno, la stessa vocazione letteraria vasariana, legata a vicende e fatti del mondo artistico, risulterà modello e incentivo determinante per coloro che ne proseguiranno (come egli stesso si auspicava) l’opera (Giulio Mancini; Giovanni Baglione; Giovan Pietro Bellori; Giovanni Battista Passeri; etc.), riconoscendovi (più o meno esplicitamente) la premessa per la moderna indagine storico-artistica.

La formazione del giovanissimo Giorgio è affidata dal padre, Antonio, all’insegnamento di due maestri, gli eruditi di lettere e grammatica Antonio da Saccone e Giovanni Pollio Lappoli (quest’ultimo fregiato del curioso nomignolo di «Pollastra»). Tuttavia la sua vera inclinazione si rivela assai per tempo, attorno agli otto anni, conseguentemente a un soggiorno aretino (proprio in Casa Vasari) del vecchio pittore Luca Signorelli. Questi, «avendo inteso dal maestro che m’insegnava le prime lettere [narra il biografo], che io non attendeva ad altro in ischuola che a far figure... voltosi ad Antonio, mio padre, gli disse: Antonio, poiché Giorgino non traligna, fa ch’egli impari a disegnare in ogni modo».

Nel 1524, mentore il cardinale Silvio Passerini, «Giorgino» (che già in Arezzo aveva ricevuto un avvio alla pittura da Guglielmo da Marcilla) frequenta, a Firenze, l’ambiente dei Medici e ha modo di seguire le lezioni latine impartite dal poeta Piero Valeriano a Ippolito (1511-1535; futuro cardinale) e ad Alessandro (1521-1537; destinato a essere Duca), ma, soprattutto, può apprendere gli svolgimenti del disegno e della pittura da Michelangelo, nonché stringere un’amicizia (che sarà duratura) col pittore Francesco De Rossi, detto «il Salviati». I rapporti con quest’ultimo (che, più dotato, esercitò certamente una notevole influenza su di lui) rivestono importanza primaria anche per il comune denominatore estetico, focalizzato nell’ottica della «maniera» michelangiolesca.

Gl’impegni contratti da Michelangelo a Roma e le conseguenti assenze dalla Toscana, vedono il Vasari avvicinarsi dapprima alla bottega di Andrea del Sarto e, quindi, a quella di Baccio Bandinelli (di cui va ricordata anche la produzione pittorica).

La cacciata dei Medici da Firenze (1527), seguita poco dopo da una pestilenza (in cui perde il padre), obbligano Giorgio a tornare ad Arezzo, dove si lega d’amicizia al Rosso Fiorentino, transfuga dal «Sacco di Roma».

Il mondo del giovane artista è comunque sconvolto, tuttavia, nel 1529, su sollecitazione del Salviati, è di nuovo a Firenze da cui (a seguito del disastroso assedio) si allontana per recarsi prima a Pisa, quindi a Bologna e, infine, nel 1531, a Roma, col favore del cardinale Ippolito de’ Medici, che lo assume al suo servizio, nella corte del palazzo in Campomarzio.

Nella città papale che, proprio grazie ai pontificati medicei (Leone X - 1513-1521; Clemente VII - 1523-1534), ha superatoci grido» artistico e culturale di Firenze, riprende il sodalizio col Salviati. Ècon lui che Giorgio studia l’antichità classica, Michelangelo, Raffaello e Baldassarre Peruzzi, partecipando, altresì, intensamente alle vicende di questi anni (come testimonierà nei vari aneddoti biografici), densi di avvenimenti umani, spirituali ed estetici.

Nel 1532 una grave malattia lo costringe a tornare ad Arezzo, ma, una volta rimessosi (già nel corso dello stesso anno), torna a Firenze (dove, all’apparenza, si è rinsaldato il potere mediceo) per mettersi al servizio di Ottaviano de’ Medici (1482-1546), il quale l’introduce alla corte del duca Alessandro. L’assassinio d’Ippolito «per veleno», nel 1535, e quello «di coltello» dello stesso Alessandro, nel 1537, lo spingono ad abbandonare gli ambienti cortigiani (dove pure ha conosciuto Francesco Rucellai, Bindo Altoviti e Pietro Aretino, amici che lo avvantaggeranno a Venezia e a Roma), per dedicarsi in toto alle arti.

Tuttavia è con una commissione di Alessandro, l’allestimento de «gli ornamenti, apparato e Trionfo per onorare sua Maestà, e far più bella questa magnifica città», vale a dire gli addobbi effimeri per l’ingresso solenne di Carlo V in Firenze, il 29 aprile 1536, che il Vasari (cui il duca aveva affiancato Luigi Guicciardini, Giovanni Corsi, Palla Rucellai e Alessandro Corsini) aveva iniziato a esprimersi nelle forme pittoriche, ma, anche, letterarie (alludo alla relazione che il venticinquenne artista, nella stessa giornata, invia a Pietro Aretino): «non ho mancato servire di disegni et d’inventione, ancora che ogniuno di questi quattro [i suddetti Guicciardini, Corsi, Rucellai e Corsini] è dottissimo per sé», per cui l’Aretino definisce il conterraneo «historico, poeta, philosopho e pittore», contribuendo, così, a diffonderne la fama e la stima, al di là dell’encomiastica del tempo, presso vari strati della cultura italiana ed europea.

L’arresto traumatico delle imprese decorative di Casa Medici è riferito in una lettera, diretta allo zio Antonio, dallo stesso artista: «Ecco, zio Honorando, le speranze del mondo, i favori della fortuna et l’appoggio del confidare né principi, et i premii delle mie tante fatiche finite in uno spirar di fiato... Ora poi che la morte ha rotto le catene della servitù mia presa già con quella Ill[ustrissi] ma casa, risolvo di separarmi per un tempo da tutte le corti, così di principi ecclesiastici come secolari». Da ciò, come detto, il suo riconvergere su commissioni di natura diversa, come quella per il Monastero di Camaldoli, «Dove mi piacque sommamente l’alpestre ed eterna solitudine e quiete di quel luogo santo», per cui, nel corso delle estati degli anni seguenti, fino al 1540, continua a dipingere affreschi e tavole devozionali.

Nondimeno, sebbene Ottaviano de’ Medici lo avesse richiamato a Firenze, Giorgio può continuare a intraprendere viaggi di studio e di lavoro, per cui, tra febbraio e giugno del 1538, egli è a Roma, mentre, nel febbraio del ’39 è a Bologna, attivo (tra le invidie dei pittori Gerolamo Pennacchi e Biagio Pupini) per la chiesa di San Michele in Bosco. Infine, il matrimonio di una sua terza sorella e l’acquisto di una casa in Borgo San Vito, nell’autunno del 1540, lo troveranno ad Arezzo. Ulteriori spostamenti lo vedono poi percorrere gran parte dell’Italia, dal Nord al Sud, da Venezia (dove, su invito dell Aretino, giunge nell’autunno del 1541, passando per Modena, Parma, Mantova e Verona - e avvicinandosi all’arte di Correggio e Giulio Romano), a Roma, a Napoli, a Ravenna e a Rimini. La presenza a Venezia si collega alla messa in scena (poi smontata alla fine del Carnevale), entro il febbraio del ’42, nel Palazzo Corner di Cannaregio, della Talanta, dello stesso Aretino.

Un immediato riscontro dell’abilità diplomatica di Pietro e pittorica di Giorgio si ha nell’aprile successivo, quando Vasari ha modo di condurre su tavola la decorazione di un «paletto o sffìttato di legniame... con nove quadri grandi» nel suddetto palazzo acquistato nel precedente gennaio da Giovanni Corner.

Nella medesima lettera dell’8 aprile 1542, in merito al nuovo soffitto («tutto di legnami intagliati e messi d’oro riccamente»), si ricordano - «a olio... nove quadri grandi: in uno di mezzo la Carità... con li suoi putj atorno, che coronano in quatro quadri la Fede, la Speranza et la Giustizia et la Patientia, che tutte sono acompagniate da figure diverse, secondo un disegno, fattoli per ciò; et di più 4 quadri, drentovi quattro puttj nei canti». Il nucleo dei dipinti (pervenuti in seguito nella raccolta Giovannelli, a Venezia) è oggi diviso in varie collezioni, tuttavia, la loro prolungata permanenza lagunare è stata giustamente individuata tra le cause della permeazione manieristica a Venezia. In esse, infatti, al di là dei rapporti col Salviati, si possono ben scorgere talune valenze cromatico-formali, che saranno fondamentali per Pordenone e, soprattutto per il Veronese ²

Nondimeno, la tiepida accoglienza riservata dai veneziani alla sua opera induce Giorgio a rientrare a Roma, «vera scuola dell’arti nobili» rispetto a Venezia dove «non si tenea conto del disegno, né i pittori in quel luogo l’usaranno». Quando nel 1566, alcuni anni dopo la pubblicazione della prima stesura delle «vite», il biografo torna nella Serenissima, fatta eccezione per Tiziano, ribadisce la personale idiosincrasia per i pittori lagunari (da cui l’avversione per il Tintoretto), a suo dire lontani dal perseguire la perfezione secondo un apice evolutivo delle arti, il cui apogeo è rappresentato da Michelangelo (figura centrale dell’ambiente tosco-romano). Peraltro, nell’imminente seconda edizione delle «vite» 1568), tale ottica restrittiva, fiorentina, subisce un certo ampliamento, sprovincializzandosi (probabilmente in coincidenza coi criteri estetici dell’Aretino), in quanto, all’astratta idea di perfezione progressiva, subentra quella delle perfezioni relative alle personalità. Da ciò il coinvolgimmto ai vertici anche di Raffaello e Tiziano.

Dopo una sosta in Arezzo, impegnato a decorare a fresco la propria residenza (e a strutturarne i soffitti secondo lo schema, con dipinti inseriti entro cornici intagliate e dorate, desunto dall’esperienza veneziana) ³, sempre nel ’42, si porta a Roma e, salvo un breve soggiorno a Napoli tra il ’44 e il ’45 ⁴, la sua attività successiva si svolgerà tra il centro papale e Firenze.

Ècomunque noto che l’idea di stendere le biografie degli artisti è stata formulata in seno alla «koiné» romana del cardinale Alessandro Farnese, nipote del papa regnante Paolo in. Il Vasari che (per tramite del banchiere Bindo Altoviti e dell’umanista Paolo Giovio) era stato presentato al porporato fino dal 1542; nel 1546 è impegnato nella decorazione del cosiddetto «Salone dei Cento Giorni» alla Cancelleria⁵e, nel corso di una riunione conviviale in Palazzo Farnese, dove erano convenuti diversi esponenti della cultura e del patriziato, come Annibai Caro, Claudio Tolomei, il Molza, Romolo Amaseo e il già menzionato Paolo Giovio ⁶, ebbe modo d’intervenire proprio quando quest’ultimo formulò l’ipotesi d’inserire tra i suoi «Elogi» degli uomini celebri anche la memoria di artisti, a partire da Cimabue. Èlo stesso Vasari a ricordare l’accaduto in forma aneddotica precisando che il Giovio, parlando di tale argomento, sarebbe, tuttavia, incorso in alcuni errori: «scambiava i nomi, i cognomi, le patrie, l’opere, o non dicea le cose giuste come stavano appunto, ma così alla grossa». Coinvolto nella disputa, Giorgio, avrebbe affermato che la materia non poteva essere trattata approssimativamente, bensì con attenzione, mettendo «le cose a’ luoghi loro, et a dirle come stanno veramente». Da ciò la richiesta di fornire al Giovio «una ordinata notizia» della vicenda artistica ⁷.

La preparazione specifica del Vasari ha, tuttavia, origini alquanto precedenti. La stessa prima edizione (1550), nella dedica a Cosimo I de’ Medici, asserisce che il testo è frutto di una ricerca decennale. Pertanto, pur nella relativa incertezza circa l’esatto inizio della stesura in forma biografica della «notizia» vasariana, è attendibile che, all’epoca, questi possa avere ordinato appunti e notizie raccolti in varie date e li abbia mostrati al Giovio perché se ne servisse. L’umanista, peraltro, dopo avere apprezzato il lavoro, avrebbe affermato: «Giorgio mio, voglio che prendiate voi questa fatica di distendere il tutto in quel modo che ottimamente veggio sapete fare; perciocché a me non dà il cuore, non conoscendo le maniere, né sapendo molti particolari che potete sapere voi».

In concomitanza la richiesta di opere di pittura non accenna, comunque, a flessioni, donde il 15 novembre dello stesso ’46 Giorgio è a Firenze incaricato di dipingere una tavola con l’Ultima cena «alle monache del famoso monasterio delle murate... per lo refettorio; la quale [egli narra] mi fu fatta fare e pagata da papa Paulo III, che aveva monaca in detto monasterio una sua cognata stata contessa di Pitigliano»⁸. Un ulteriore incarico lo vede nell’agosto del 1547 a Rimini e, quindi, poco dopo, a Ravenna, prima di tornare per qualche tempo ad Arezzo per completare la decorazione della propria casa di Borgo San Vito⁹. Da tale contesto di commissioni pittoriche si possono desumere alcuni elementi filologici attorno alla genesi delle «vite». Mi riferisco, in particolare, a quanto noto a proposito dei rapporti intercorsi con l’abate del Monastero Olivetano di Santa Maria della Scolca, «fuor di Rimini», Don Gianmatteo Faetani, il quale si offre di fare copiare il manoscritto biografico, quasi finito, da uno dei suoi monaci, nel mentre Giorgio è impegnato a dipingere in loco (10 agosto 1547) «una Tavola... con due quadri, che la mettano in mezzo, drentovi la Storia quando i Magi vengono d’Oriente» ¹⁰, nonché un ciclo (perduto) di affreschi.

Va, altresì, ricordato che Giorgio aveva inviato parte del testo delle «vite» al Giovio e ad Annibaie Caro. Quest’ultimo, non solo avrebbe dovuto leggerla, ma, anche, provvedere a appianarne lo stile scrittorio, troppo vicino a quello parlato. Peraltro, proprio tale carattere antiletterario, risulta, per la sensibilità del Caro, determinante ai fini dell’incisività della narrazione che, soprattutto nel rapporto di dipendenza dalla lingua parlata correntemente, trova un innegabile tratto stilistico con conseguente grande efficacia espressiva. A tal fine il Caro invita Giorgio a rifuggire dalle tentazioni intrinseche all’eleganza formale che egli sovente introduce nel testo, dal quale, quindi, «se ne lievino certi trasportamenti di parole, et certi verbi posti nel fine tal volta per eleganza, che in questa lingua a me generano fastidio. In una opera simile, vorrei la scrittura a punto come il parlare, cioè c’havesse più tosto del proprio, che del metaforico o del pellegrino, et del corrente più che de l’affettato. Et questo è così veramente, se non in certi pochissimi lochi, i quali rileggendo avvertirete, et ammenderete facilmente».

Affiorano, quindi, criticamente gli aspetti salienti del Vasari, «Virtuoso, Pittore, Istorico e Poeta». Quegli aspetti, cioè, che gli permettono di narrare a similitudine del dipingere. Una dicotomia in cui le valenze del pittore esprimono anche quelle dello scrittore e viceversa, come sottolinea il Giovio: «Non con men desiderio aspetto el famoso capo del vostro libro, nel qual se bene pingiete con la penna et la tinta, che l’honorate teste de vostri immortali Toscanj, leccati dal vostro nobile pennello et profumati colorj». Il Vasari scopre, pertanto, nella letteratura un evidenziatore pittorico di cui non esita a fare uso per proporre giudizi ed exemplia quale valido supporto critico e didattico. Vengono così (in un quadro d’insieme delle «vite» e della biografia vasariane), ribadite «la continua ricerca... di un rapporto di buon vicinato e, quando possibile, di alleanza coi propri colleghi, il costante appello alla solidarietà e conseguente condanna delle invidie (col corrispettivo di simpatia per gli artisti socievoli e diffidenza per quelli solitari e malinconici) e, soprattutto, il mai smentito appoggio, nei fatti e negli scritti, ai propri amici e creati, allievi, garzoni di bottega, artisti più giovani» ¹¹. La giustificazione di tale ottica è reperibile nel «Proemio della seconda parte delle Vite», in cui il pittore-istorico asserisce «la historia essere veramente lo specchio della vita umana», donde egli in sede narrativa non si limita ai «casi occorsi a un principe od a una repubblica, ma per avvertire i giudizii, i consigli, i partiti et i maneggi degli uomini, cagione poi delle felici et infelici azzioni. Il che è proprio l’anima della istoria; e quello che invero insegna a vivere e fa gli uomini prudenti, e. che appresso al piacere che si trae del vedere le cose passate come presenti, è il vero fine di quella. Per la qual cosa avendo io preso a scriver la istoria de’ nobilissimi artefici, per giovar all’arti quanto patiscono le forze mie, et appresso per onorarle, ho tenuto quanto io poteva, ad imitazione di così valenti uomini, il medesimo modo; e mi sono ingegnato non solo di dire quel che hanno fatto, ma di scegliere ancora discorrendo il meglio da 7 buono, e l’ottimo da 7 migliore, e notare un poco diligentemente i modi, le arie, le maniere, i tratti e le fantasie de’ pittori e degli scultori; investigando, quanto più diligentemente ho saputo, di far conoscere a quegli che questo per se stessi non sanno fare, le cause e le radici delle maniere e del miglioramento e peggioramento delle arti, accaduto in diversi tempi et in diverse persone»¹².

La concezione delle arti in Vasari è, pertanto, leggibile in chiave determinista, per cui, nonostante la Provvidenza e la Natura Divina siano all’origine del Bene, l’uomo-artista percorre itinerari segnati dal Fato in relazione all’incognita volontà celeste. La sua capacità di volgere a proprio favore disegni maligni e ingannevoli, comunque accettando la volontà di Dio, costituisce il tema ottimistico che fa da base alle «vite»; quella vasariana è tuttavia un’arte organica che, in quanto tale, nasce, si evolve e muore, sebbene con diversi cicli e ritorni storici.

Sullo scorcio del 1549, nel mentre le «vite» sono in composizione presso lo stampatore ducale Lorenzo Torrentino, Giorgio contrae matrimonio con Nicolosa Bacci, figlia di Francesco, della nobiltà d’Arezzo. Nel marzo 1550 inizia, pertanto, il cammino teorico (e filologico) delle «vite». La prima edizione, realizzata, come detto, con slancio emotivo e letterario, va considerata come apporto fondamentale e sincero per la conoscenza delle personalità (soprattutto contemporanee) che coinvolge e dei relativi valori critici. In essa la «perfezione» (che sovrintende al cammino evolutivo delle arti, da «Cimabue a Michelangelo») è un exemplum ascendente inequivocabile, per contro, la seconda edizione (cosiddetta «Giuntina», del 1568), ribadisce, ma, per lo più, livella certe disparità di valutazione, nondimeno, l’impegno filologico, col conseguente emendamento degli errori, costituisce (coi reinterventi letterari) un connotato di distinzione pur nell’univocità teorica, per cui il percorso vasariano delle arti si articola inequivocabilmente in tre età: «antica, vecchia e moderna».

MAURIZIO MARINI

¹ Arezzo, 151 1-1574. Per recenti trascrizioni di documenti epistolari e notizie filologiche, cfr. Giorgio Vasari (cat. mostra Arezzo, con aggiunte e revisioni a cura di C. Davis e M. Daly Davis), Firenze, 1981 (passim).

² Cfr. R. Pallucchini e AA.VV., Da Tiziano a El Greco - Per la storia del Manierismo a Venezia, 1540-1590, Milano (Venezia), 1981, pp. 86-87, nn. 8, 9 (v. anche, pp. 81-85, nn. 6, 7); L. Corti, Vasari / catalogo completo, Firenze, 1989, pp. 42-43, n. 24.

³ Giorgio Vasari (cat. mostra Arezzo), cit., pp. 21-34 (passim), figg. 38, 39.

⁴ E ivi convocato dal Padre Generale degli Olivetani, Gianmatteo d’Aversa, per cui esegue, tra il 7 novembre del 1544 e il febbraio del ’45, la Presentazione di Gesù al Tempio, già sull’altare maggiore della chiesa di Montoliveto in Napoli e, oggi, nella medesima città, presso la Pinacoteca di Capodimonte (cfr. L. Corti, cit., Firenze, 1989, pp. 51-54, n. 32).

⁵ Il ciclo affrescato nel Palazzo della Cancelleria Apostolica in Roma, è dedicato a imprese di papa Paolo III ed è commissione (1546) del nipote, cardinale Alessandro Farnese. Lo schema narrativo-iconologico si deve all’umanista Paolo Giovio, mentre la denominazione con cui è noto dipende dai tempi corti concessi per la realizzazione al Vasari e ai suoi aiuti (cfr. L. Corti, cit., Firenze, 1989, pp. 65-66, n. 46).

⁶ Paolo Giovio (Como, 1483 - Firenze, 1552), letterato e poligrafo, nel 1528 è nominato vescovo di Nocera dei Pagani (v. anche nota 5).

⁷ Cfr. L. Grassi, Teorici e storia della critica d’arte, i, Roma, 1970, pp. 203-204.

⁸ II dipinto (oggi smembrato) è in attesa di restauro presso il Cenacolo di Fuligno, in Firenze (cfr. L. Corti, cit., Firenze, 1989, p. 68, n. 48).

⁹ V. nota 3; v. anche Giorgio Vasari (cat. mostra Arezzo), cit., fìgg. 5-70; L. Corti, cit., Firenze, 1989, pp. 44-45, n. 26.

¹⁰ Oggi nella chiesa di San Fortunato, sempre a Rimini (cfr. L. Corti, cit., 1989, p. 70, n. 50).

¹¹ Cfr. G. Previtali, «Presentazione» di G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti architetti, pittoriet scultori italiani da Cimabue insino a’ tempi nostri - nell’edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino, Firenze 1550 (a cura di L. Bellosi e A. Rossi), Torino, 1986, p. XIII.

¹² Cit., v. nota 11, Torino, 1986, pp. 207-208.

Prospetto biografico

1511. Il 30 luglio, in Arezzo, da Antonio Vasari e Maddalena Tacci, nasce Giorgio, futuro biografo. 1524. Dopo un breve tirocinio aretino nella bottega del francese Guillaume de Marcillat (pittore, cui si debbono i cartoni delle vetrate del Duomo d’Arezzo), si reca a Firenze col cardinale di Cortona Silvio Passerini. Nel centro ducale frequenta, oltre Michelangelo, Andrea del Sarto e incontra, quale condiscepolo, Francesco de’ Rossi (in seguito soprannominato il «Salviati»), minore di lui di un anno, al quale si legherà di duratura amicizia. Ha modo, inoltre, d’essere introdotto presso la bottega di Baccio Bandinelli. 1527. Torna ad Arezzo a causa della cacciata dei Medici da Firenze. 1528. In Arezzo, transfuga dal cosiddetto «Sacco di Roma» (dell’anno precedente), incontra il Rosso Fiorentino il quale era stato per breve tempo ospite a Sansepolcro e a Città di Castello. Su disegno del Rosso conduce una perduta Resurrezione per Lorenzo Ga murrini. 1529. E di nuovo a Firenze, dove, assieme al Salviati, è attivo nella bottega di Raffaellino da Brescia. Nondimeno s’interessa all’arte orafa, che apprende da Vittore Ghiberti, ma che abbandona per dedicarsi definitivamente alla pittura. Nel mese di ottobre è presente, a Pisa. 1530. E a Modena e Bologna, invitato a partecipare alla realizzazione dell’arco di trionfo effimero eretto per celebrare l’incoronazione di Carlo V. Successivamente, rientrato in Arezzo, continua la sua attività pittorica. 1531. Sullo scorcio dell’anno è chiamato a Roma, al servizio del cardinale Ippolito de’ Medici. In questa città ritrova il Salviati col quale si dedica assiduamente allo studio, sia dell’antico che di Michelangelo e Raffaello, reputati testi fondamentali per la messa a punto della «Maniera moderna» italiana. Egli stesso afferma come le indagini di questo periodo costituiscano per lui il «vero e principal maestro». Inoltre, per il duca Ottaviano de’ Medici, lavora in qualità di pittore e architetto. 1532. In novembre è ancora a Firenze. In questa città (eccetto un intervallo nel 1536) sarà impegnato fino al 1536. Per il cardinale Ippolito conduce, su tavola, il Cristo portato al sepolcro, oggi in Arezzo, Casa Vasari, in cui si riscontrano forti valenze tra Rosso, Pontormo e Andrea del Sarto (questa è la sua opera più antica di accertate provenienza e attribuzione). 1534. E a Città di Castello, dove, con la collaborazione di Cristoforo Gherardi, detto il «Doceno» (il quale, fino alla morte nel 1536, sarà suo valido collaboratore in numerose imprese, tra Bologna, Roma e Napoli), esegue il ciclo decorativo di Palazzo Vitelli. A quest’anno deve risalire anche il Ritratto del Duca Alessandro de’ Medici, Firenze, Uffìzi (depositi). 1536. Prende parte alla realizzazione degli apparati effìmeri che celebrano l’ingresso trionfale a Firenze di Carlo V e di sua figlia Margarita, che va in sposa al duca Alessandro. E accolto nella Compagnia di San Luca (degli artisti). 1537. Il canonico aretino Giovanni Pollio Lappoli, detto il «Pollastra» (che già lo aveva introdotto alle lettere in età precoce), lo invita nel Monastero di Camaldoli per realizzarvi tavole devozionali e affreschi (questi sono oggi perduti). Alla fine dell’anno si reca a Firenze e, quindi, dopo una sosta ad Arezzo, è ancora a Roma. 1538. Esegue (dopo il suddetto soggiorno romano) una Natività per la Chiesa dei Ss. Donato e Ilariano del Monastero di Camaldoli, caratterizzata da forti valenze luministiche: «una notte alluminata dallo splendore di Cristo». 1539. E convocato a Bologna, dove, per il refettorio di San Michele in Bosco, riceve l’incarico della relativa decorazione con tavole e affreschi. 1540. Con la partecipazione del Gherardi prosegue e conclude il ciclo bolognese, prima di recarsi, quindi, a Camaldoli a completare il lavoro avviato nel 1537. Qui esegue una grande pala con la Deposizione dalla Croce e I Ss. Donato e Ilariano, Benedetto e Romualdo (nonché la relativa predella), Monastero di Camaldoli, Chiesa dei Ss. Donato e Ilariano. Su commissione del banchiere Bindo Altoviti dipinge (per la chiesa dei Ss. Apostoli, in Firenze), l’Allegoria dell’Immacolata Concezione, uno dei suoi temi più noti e di cui sussistono cinque redazioni relativamente autografe. 1541. E a Modena, Parma, Mantova e, nel dicembre, a Venezia dove, l’anno precedente, è stato anche il Salviati. Dalla città lagunare ripartirà il successivo mese di agosto. 1542. Prepara l’apparato scenico della commedia la Talanta, di Pietro Aretino (col quale era stato precedentemente in rapporti epistolari e che, ora, l’appoggia). Dopo le feste di Carnevale le scene della Talanta sono smembrate, tuttavia l’artista riceve la commissione di un soffitto per lo stesso palazzo di Giovanni Corner, espletandola tra aprile e agosto. E in questo periodo che il linguaggio vasariano, sollecitato dagli esempi della Maniera moderna, approda a una sorta d’ideale astrazione, che sarà canonica per gli sviluppi acronici della pittura, nell’ottica della Riforma Cattolica. Nei due anni seguenti, trascorsi tra Firenze e Roma, il futuro biografo ha modo di frequentare intensamente la bottega di Michelangelo il quale, peraltro, lo invita a interessarsi anche allo studio dell’architettura. 1544. Sempre in rapporto con Michelangelo (che gliene fornisce il disegno) esegue una Venere per il banchiere Bindo Altoviti. Dopo una presenza a Lucca, si porta a Napoli dove si trattiene anche l’anno successivo. 1545. A Napoli è impegnato in varie imprese pittoriche, tra cui la decorazione del refettorio del Convento di Monte Oliveto, nonché, per l’altare maggiore della chiesa, la pala raffigurante la Presentazione della Vergine al Tempio (oggi nella Pinacoteca di Capodimonte, Napoli). 1546. Tornato a Roma riceve dal cardinale Alessandro Farnese la commissione degli affreschi per un salone del Palazzo della Cancelleria dedicati alle «Imprese di papa Paolo ili». Il canovaccio tematico è fornito dall’umanista Paolo Giovio. L’impresa è condotta con estrema celerità e con l’aiuto di numerosi collaboratori, da cui la denominazione (allusiva al tempo d’esecuzione) di Salone dei cento giorni con cui è nota. Nell’ambiente farnesiano e su idea dello stesso Giovio inizia la stesura delle «vite» (v. «Introduzione»). Allo scadere dell’anno è a Firenze, dove conduce, su tavola, uri Ultima cena per il refettorio del Convento delle Murate (in deposito, in attesa di restauro, presso il Cenacolo di Fuligno in Firenze). 1547. Viaggia per lavoro a Rimini e Ravenna (v. «Introduzione») eseguendo alcune pale d’altare. Successivamente si trova in Arezzo, impegnato nella decorazione della propria residenza. 1548. Nella stagione estiva decora il soffitto e, quindi, le pareti della «Sala» della suddetta Casa Vasari in Arezzo. In seguito è presente a Urbino. 1549. Dopo un nuovo soggiorno a Bologna, torna ad Arezzo e qui esegue la monumentale tavola (CIII 289 X 745, oggi in Arezzo, Museo Statale d’Arte Medioevale e Moderna) raffigurante le Nozze di Ester e Assuero , destinata al refettorio della Badia delle Ss. Flora e Lucilla (commissionata il 14 luglio dell’anno precedente). Sposa Nicolosa Bacci, nobile aretina. 1550. A Firenze, per i tipi dello stampatore ducale Torrentino, appare la prima edizione de Le Vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani da Cimahue insino a’ tempi nostri. Il nuovo pontefice, Giulio ih, lo convoca a Roma perché, assieme alTAmmarinati, si occupi della cappella del cardinale Antonio del Monte in San Pietro in Montorio. Fino al ’53 è nella città papale legato in sodalizio a Michelangelo. 1553. Ancora a Roma è impiegato da Giulio in alla stesura dei cartoni per gli affreschi mitologici della Loggia della Vigna detta «Giulia». Per la villa di Bindo Altoviti esegue gli affreschi di due logge e quelli di una sala; altri ne conduce per decorare il palazzo sul Tevere (distrutto), già di fronte a Castel Sant’Angelo. 1554. Non avendo ottenuto ulteriori commissioni vaticane il pittore-biografo si porta ad Arezzo. Qui progetta il coro del Duomo, nonché, spostatosi a Firenze e a Cortona, per quest’ultimo centro avvia la costruzione della chiesa di Santa Maria Nuova. S’impegna perché venga revocato il bando nei confronti del pittore Cristoforo Gherardi, di cui si avvale per svolgere efficacemente i lavori richiestigli a Firenze (facciata di Palazzo Sforza Almeni in via de’ Servi) e a Cortona (affreschi per gl’interni della Compagnia di Gesù). In dicembre, dopo avere ricusato l’invito a trasferirsi in Francia, si porta, con tutta la famiglia, stabilmente a Firenze dove è stato assoldato dal duca Cosimo i de’ Medici. La nuova posizione in seno ai vertici del potere politico-culturale di Toscana gli vale un ruolo di autentico «arbiter» delle arti. 1555. Per il duca Cosimo deve intraprendere la ristrutturazione e decorazione di Palazzo Vecchio, che viene trasformato in residenza patrizia. L’impresa avrà uno sviluppo pluriennale e vedrà, al solito, la collaborazione di Cristoforo Gherardi (scomparso, tuttavia, nel 1556), di Marco da Faenza (specialista nelle «grottesche»), di Jan van Straten (detto «Giovanni Stradano»), di Jacopo Zucchi, del bolognese Prospero Fontana, di Giovanni Battista Naldini e di Francesco Morandini (detto «il Poppi»). Supervisore al programma iconologico è il letterato fiorentino Vincenzo Borghini, cui Giorgio si lega di sincera amicizia. 1556. Nel piano nobile di Palazzo Vecchio avvia la decorazione del «Quartiere di Leone x», in cui, con intonazione storico-celebrativa, sono esaltate le glorie di Casa Medici. Ancora la grandezza ducale è il tema centrale del «Quartiere degli elementi», in cui, con la collaborazione del Doceno, vengono eseguite la Sala degli Elementi e quelle di Opi, Cerere, Giove, Ercole, nonché il Terrazzo di Giunone. 1559. Risultano completati gli affreschi della Sala degli Elementi. 1560. E per qualche tempo a Roma, quindi, di nuovo a Firenze, dove gli viene affidata la fabbrica del Palazzo degli Uffìzi la cui conclusione ha luogo solo nel 1580, dopo la sua morte, a opera di Bernardo Buontalenti e Adolfo Santi da Parigi. 1561. Cosimo gli fa dono della casa fiorentina (in Borgo Santa Croce) dove abita dal 1557. Poco dopo (pressoché in concomitanza con gli affreschi della Stanza di Eleonora in Palazzo Vecchio, dove è affiancato dallo Stradano), egli ne avvia la decorazione. 1562. Risultano completati gli affreschi del «Quartiere di Leone X», nel mentre presenta al duca Cosimo il modello del Palazzo dei Cavalieri di Santo Stefano a Pisa. 1563. Con la collaborazione dello Stradano esegue la pala d’altare per la Pieve d’Arezzo, mentre inizia gli affreschi della volta del Salone dei Cinquecento (o Sala Grande ) in Palazzo Vecchio (stimata la sua impresa di maggiore livello qualitativo), alla cui definizione letteraria partecipano il suddetto Borghini e Giovanni Battista Adriani. E di quest’anno la sua attiva promozione dell’«Accademia delle Arti del disegno». 1565. Risultano completati gli affreschi della Sala dei Cinquecento. Si occupa degli apparati effìmeri da realizzare in occasione delle nozze di Francesco I, figlio di Cosimo, con Giovanna d’Austria. Nello stesso anno gli viene affidato il progetto del congiungimento (sopra Ponte Vecchio) degli Uffizi con Palazzo Pitti, attraverso quello che sarà denominato «Corridoio Vasariano». 1566. Approfittando della conclusione dei lavori del Salone dei Cinquecento si pone in viaggio attraverso l’Italia al fine di rinvenire nuovo materiale documentario per la seconda edizione delle «vite» che aveva in preparazione. In tale circostanza risulta avere visitato l’Umbria, le Marche, l’Emilia, il Veneto, la Lombardia. A Perugia, per l’Abate di San Pietro, Jacopo Dei, accetta di dipingere tre tavole per il refettorio del convento, oggi nella Cappella del Sacramento della stessa chiesa: Il profeta Eliseo, Il Miracolo della mensa di San Benedetto, Le nozze di Cana. 1567. Conduce l’ Adorazione dei Magi per il neo pontefice Pio V, che la destina all’altare della chiesa di Santa Croce, Cappella del SS. Sacramento, della cittadina natia di Boscomarengo (Alessandria). Esegue, inoltre, l’Assunzione della Vergine per la Badia Fiorentina, corredata dalle relative predelle, affiancata dalle raffigurazioni laterali coi Ss. Benedetto, Nicola, Agostino e Lorenzo, a loro volta sormontate da tondi con le Ss. Giustina e Scolastica. Risulta conclusa, a Pisa, la costruzione (su suo progetto) del palazzo per i Cavalieri di Santo Stefano. Per questi elabora la contigua chiesa (conclusa, poi, nel 1569) dedicata al santo eponimo. 1568. E edita a Firenze, per i tipi di Ciunti, la nuova serie delle Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori; contemporaneamente è eletto gonfaloniere della città d’Arezzo e inizia a dipingere le vaste pareti del Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio, dedicati ai fasti della gloria di Firenze, fino alla Presa di Siena. Ancora una volta è affiancato dallo Stradano, dal Naldini e dallo Zucchi. 1569. Su commissione di papa Pio V esegue (assieme al Poppi) alcune tavole per la chiesa di Santa Croce a Boscomarengo (Alessandria, v. 1567). 1570. Dipinge il Perseo e Andromeda per lo «Studiolo di Francesco I». Il 15 settembre, a seguito di un incarico di papa Pio V da espletare in Vaticano (v. 1571), parte per Roma assieme allo Zucchi. 1571. In Vaticano, in soli otto mesi (con l’aiuto di Jacopo Zucchi), conduce le cappelle di San Michele, di San Pietro Martire e di Santo Stefano e avvia la decorazione della Sala Regia. Alla scomparsa di Pio V torna a Firenze. 1572. Si conclude (dopo un decennio)* la decorazione del Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio, «scoperta» quasi all’inizio dell’anno. Riceve, quindi, l’incarico di affrescare un Giudizio finale sulla cupola brunelleschiana di Santa Maria del Fiore. Lavoro avviato nel mese di giugno, ma abbandonato a novembre, quando deve raggiungere Roma, ivi convocato dal nuovo pontefice, Gregorio XIII, che gli conferma l’incarico di decorare (con l’aiuto del bolognese Lorenzo Sabatini, di Jacopo Coppi e del fiammingo-bolognese Denis Calvaert) la Sala Regia in Vaticano. 1573. Nel contesto dell’esecuzione degli affreschi vaticani vengono elaborati anche i progetti per quelli della cupola fiorentina. Ancora a tale periodo risale l’idea di affrescare la Cappella Paolina, pure in Vaticano, poi rimasta irrealizzata. Nel mese di aprile torna a Firenze, dove assiste all’inaugurazione dello Studiolo di Francesco I , di cui aveva fornito i disegni relativi alla partitura decorativa. Hanno l’avvio i lavori di costruzione delle Logge aretine, condotte su suoi progetti. 1574. Il 27 giugno muore a Firenze, lasciando non finita l’impresa della cupola di Santa Maria del Fiore che sarà conclusa, nel 1579 (con parziali reinvenzioni), da Federico Zuccari.

M.M.

Consuntivo bibliografico

La bibliografìa sull’opera e, in particolare, sulle «vite» di Giorgio Vasari, risulta, in gran parte, coincidente con quella della «storia dell’arte» relativa al Cinquecento, fino al Manierismo.

Tuttavia, per ciò che concerne le «vite», oltre alla prima edizione (cosiddetta «Torrentino», Firenze, 1550; due volumi in IV, per un totale di 992 pagine) e alla seconda (cosiddetta «Giunti», Firenze, 1568; tre volumi in IV più grande, per un totale di 1012 pagine), sussistono le seguenti edizioni successive (postume): Bologna, 1647, a cura di C. Manolessi; Roma, 1759-60, a cura di monsignor Bottari; Livorno, 1767-Firenze, 1772, a cura del cav. De Giudici, T. Gentili, I. Hugford e monsignor Bottari; Siena, 1799, a cura di P. Della Valle; Milano, 1807-11, a cura di V. Pagave; Firenze, 1822 (con le lettere del Vasari); Firenze, 1832-38; Firenze, 1846-70, a cura di V. Marchese, C. Pini, C. e G. Milanesi; Firenze, 1878- 81, a cura di G. Milanesi (con le lettere e i Ragionamenti), Münich, 1911 (I vol.), a cura di K. Frey; Firenze, 1927-32, a cura di A. Ciaranfì; Milano, 1942-50, a cura di L. e C.L. Ragghianti; Milano, 1962 sgg., a cura di AA.VV.; Firenze, 1966 sgg., testo critico affrontato delle due edizioni, vol. I e II. a cura di P. Barocchi; Milano, 1971, a cura di C.L. Ragghiantr, Torino, 1986, a cura di L. Bellosi e A. Rossi.

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Le illustrazioni del testo fanno riferimento all’edizione giuntina (1568). L’assenza delle effigi di alcuni artisti risale all’edizione originale.

LE VITE DE’ PIÙ ECCELLENTI PITTORI,

SCULTORI, E ARCHITETTORI

Il frontespizio del II volume dell’edizione giuntina del 1568.

ALLO ILLUSTRISSIMO

ET ECCELLENTISSIMO SIGNOR

COSIMO MEDICI

DUCA DI FIORENZA E SIENA

SIGNOR SUO OSSERVANDISSIMO

Ecco dopo diciassette anni ch’io presentai quasi abbozzate a Vostra Eccellenza Illustrissima le vite de’ più celebri pittori, scultori et architetti, che elle Vi tornano innanzi, non pure del tutto finite, ma tanto da quello che ell’erano immutate, et in guisa più adorne e ricche d’infinite opere, delle quali insino allora io non aveva potuto avere altra cognizione, che per mio aiuto non si può in loro, quanto a me, alcuna cosa desiderare. Ecco, dico, che di nuovo Vi si presentano, Illustrissimo e veramente Eccellentissimo signor Duca, con l’aggiunta d’altri nobili e molti famosi artefici, che da quel tempo insino a oggi sono dalle miserie di questa passati a miglior vita, e d’altri che ancorché fra noi vivano, hanno in queste professioni sì fattamente operato, che degnissimi sono d’eterna memoria.

E di vero è a molti stato di non piccola ventura, che io sia per la benignità di Colui a cui vivono tutte le cose, tanto vivuto, che io abbia questo libro quasi tutto fatto di nuovo: perciò che, come ne ho molte cose levate, che senza mia saputa et in mia assenza vi erano, non so come, state poste, et altre rimutate, così ve ne ho molte utili e necessarie, che mancavono, aggiunte. E se le effigie e’ ritratti che ho posti di tanti valenti uomini in questa opera, dei quali una gran parte si sono avuti con l’aiuto e per mezzo di Vostra Eccellenzia, non sono alcuna volta ben simili al vero, e non tutti hanno quella proprietà e simiglianza che suol dare loro la vivezza de’ colori, non è però che il disegno et i lineamenti non sieno stati tolti dal vero, e non siano e proprii e naturali: senzaché essendomene una gran parte stati mandati dagli amici che ho in diversi luoghi, non sono tutti stati disegnati da buona mano.

Non mi è anco stato in ciò di piccolo incommodo la lontananza di chi ha queste teste intagliate, però che se fussino stati gli intagliatori appresso di me, si sarebbe per avventura intorno a ciò potuto molto più diligenza, che non si è fatto, usare. Ma, comunche sia, abbiano i virtuosi e gli artefici nostri, a comodo e benefizio de’ quali mi sono messo a tanta fatica, di quanto ci averanno di buono, d’utile e di giovevole, obbligo di tutto a Vostra Eccellenza Illustrissima; poiché, in stando io al servigio di Lei, ho avuto con lo ozio che Le è piaciuto di darmi, e col maneggio di molte, anzi infinite, Sue cose, comodità di mettere insieme e dare al mondo tutto quello che al perfetto compimento di questa opera parea si richiedesse; e non sarebbe quasi impietà nonché ingratitudine che io ad altri dedicassi queste vite, o che gli artefici da altri che da Voi riconoscessino qualunque cosa in esse averanno di giovamento o piacere! Quando non pure col vostro aiuto e favore uscirono da prima et ora di nuovo in luce, ma siete Voi, ad imitazione degli avoli Vostri, solo padre, signore et unico protettore di esse nostre arti.

Onde è bene degna e ragionevole cosa, che da quelle sieno fatte in Vostro servigio et a Vostra eterna e perpetua memoria tante pitture e statue nobilissime, e tanti maravigliosi edifizii di tutte le maniere. Ma se tutti Vi siamo, che siamo infinitamente per queste e altre cagioni, obbligatissimi, quanto più Vi debbo io, che ho da Voi sempre avuto (così al desìo e buon volere avesse risposto l’ingegno e la mano) tante onorate occasioni di mostrare il mio poco sapere: che, qualunque egli sia, a grandissimo pezzo non agguaglia nel suo grado la grandezza deir animo Vostro, e la veramente reale magnificenza. Ma che fo io! è pur meglio che così me ne stia, che io mi metta a tentare quello, che a qualunche e più alto e nobile ingegno, nonché al mio piccolissimo, sarebbe del tutto impossibile. Accetti dunque Vostra Eccellenza Illustrissima questo mio, anzi pur Suo, libro delle vite degli artefici del disegno, et a somiglianza del grande Iddio più all’animo mio et alle buone intenzioni che all’opera riguardando, da me prenda ben volentieri, non quello che io vorrei e doverrei, ma quello che io posso.

Di Fiorenza, alli 9 di gennaio 1568.

Di Vostra Eccellenzia Illustrissima

obligatissimo servitore

GIORGIO VASARI

ALLO ILLUSTRISSIMO ED ECCELLENTISSIMO SIGNORE

IL SIGNOR COSIMO DE’ MEDICI DUCA DI FIORENZA

SIGNORE MIO OSSERVANDISSIMO

Poi che la Eccellenzia Vostra, seguendo in ciò l’orme degli Illustrissimi Suoi progenitori e da la naturale magnanimità Sua incitata e spinta, non cessa di favorire e d’esaltare ogni sorte di virtù, dovunque ella si truovi,

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