Come l'alabastro
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Info su questo ebook
C’è sempre una stagione della vita durante la quale si può verificare una crisi, non solo di tipo personale, ma anche epocale, come quelle che colpiscono il mondo.
Dal momento di difficoltà può originare una svolta, quella che innesca il nostro cambiamento, spronandoci a riemergere dall’abisso, per poi ripartire.
Attorno ad alcuni personaggi aleggiano delle “presenze”, quasi fantasmi di luce, che indicano la strada giusta da seguire.
In alcuni casi, invece, il protagonista resta schiacciato dagli eventi, senza riuscire, suo malgrado, ad uscire dal tunnel. Non mancano storie che trattano della violenza sulle donne, oggi sempre più frequente proprio tra le pareti domestiche, con esiti spesso drammatici.
Sono racconti ispirati ai grandi temi legati al rispetto per la vita e all’accettazione della morte, entrambi anelli di un percorso circolare, a cui tutto ritorna.
Siamo fatti di fango, ma anche di cielo ed è quest’ultimo ad attrarci, “segnandoci” fin dal primo vagito, orientandoci poi verso una meta, un “oltre” che possa placare la nostra sete di bellezza e di eterno.
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Anteprima del libro
Come l'alabastro - Consuelo Cordara
Gattuso.
DUE PAROLE SUL TITOLO…
Alabastro: roccia sedimentaria che, in natura, può avere differenti sfumature, dal bianco – avorio, al giallo – bruno.
Si dice che quello bianco rifletta la luce lunare, illuminando la notte. Per queste sue caratteristiche, un po’ magiche, venne utilizzato da alcune culture orientali, come quelle egizia e cretese, per onorare i propri defunti.
Gli artisti artigiani
creavano urne, vasi funerari e sarcofagi, grazie a questo minerale dall’aspetto cereo, che ricorda il marmo, in realtà molto più tenero e delicato da lavorare.
Si tramanda che l’alabastro abbia la facoltà di fare chiarezza, aprendo la mente e potenziando la capacità di espressione di chi l’indossa.
Secondo gli antichi aiuterebbe anche a creare confini
, più netti, tra il sé ed il mondo esterno. Chi ne ammira la trasparenza e la bellezza, ne nota anche le venature leggermente opacizzanti: non solo chiaro, non solo scuro…
Come nella vita.
L’autrice
AUTUNNO
AUTUNNO IN GIALLO
All’inizio della stagione autunnale Torino presenta un proprio fascino, un po’ magico.
Il fiume che l’attraversa lentamente e le colline che vi si rispecchiano, insieme ai riflessi bruno aranciati delle ultime foglie, le donano un aspetto degno di una tavolozza impressionista.
Durante questa stagione, dalla temperatura ancora mite e ricca di colori, Livia passeggiava lungo il Po, sentendo la brezza accarezzarle il viso e osservando la natura attorno a sé. Camminare a passo veloce la calmava e la faceva sentire in forma, così, anche quel pomeriggio, raggiunse il ponte Regina Margherita per poi completare il percorso ad anello, passando all’altra sponda.
A un certo punto decise di sedersi su una panchina, per riprendere fiato e godersi il paesaggio: il sole stava calando e i gabbiani sembravano salutarlo, con il loro stridere, scendendo a sfiorare l’acqua, per poi levarsi nuovamente in alto, verso il cielo tinto di rosa.
Fu allora che lo sguardo di Livia venne attratto da due figure indefinite, sospese nell’ovattata atmosfera autunnale, così straordinariamente suggestiva.
Si trattava di una giovane coppia: lui, alto e bruno, con il bavero dell’impermeabile rialzato a coprirgli buona parte del viso; lei, di media statura, i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle, il corpo avvolto da una morbida giacca bluette.
Erano immobili, l’uno di fronte all’altra e si sarebbero dette due statue, se la giovane non avesse notato, tra loro, dei movimenti impercettibili. L’uomo, appoggiato alla staccionata in legno, teneva tra le sue le mani della compagna, ma quest’ultima pareva volersi sottrarre a quella stretta, fissando con malinconia lo scorrere del fiume, così da evitare lo sguardo di lui.
L’alternarsi delle loro voci, a tratti soffocate, in altri momenti alterate, arrivò alle orecchie di Livia, che non comprese, da subito, le parole, se non in modo frammentario. La colpì, tuttavia, il tono della conversazione, piuttosto concitato; proprio per questo motivo si concentrò maggiormente, cercando di cogliere i motivi dell’evidente disaccordo.
«Thea, non sai quello che dici! Io quella donna non la conosco, non l’ho mai vista. Ti sei creata un film nella tua testa e a quello non vuoi rinunciare… sei fatta così!» incalzò il giovane, nel maldestro tentativo di spiegare le sue ragioni.
La voce gli tremava, anche se cercava di mostrarsi sicuro di sé, nonostante continuasse a tormentare il bavero dell’impermeabile.
«Senti Carlo, diciamoci la verità! Da quando ho perso il bambino – qui la donna si bloccò per un attimo – tu hai cercato di consolarti con le altre, non hai pensato minimamente al mio dolore, contavano solo il tuo smarrimento e la difficoltà di stare accanto a una compagna triste e depressa… Sei un egoista e basta!» attaccò Thea con rabbia, liberando le mani dalla stretta di lui.
Tra i due cadde un silenzio gelido e pesante, come l’acqua del fiume, quasi a dividerli sempre di più. La giovane donna fissò nuovamente il lento scorrere del Po, distogliendo gli occhi da Carlo che le stava di fronte e cercava il modo di tirarla a sé.
Sentendosi ignorato, l’uomo riprese in tono di sfida: «Non hai le prove di quello che dici e sai bene che la morte di nostro figlio ha segnato anche me. Non sei l’unica a star male, tesoro caro, ricordalo!» Tacque per un istante… pareva turbato e commosso. Inaspettatamente la cinse in un abbraccio goffo e tentò di strapparle un bacio sulla bocca, ma Thea lo allontanò, bruscamente e con irritazione, facendolo barcollare.
«Cosa fai, vuoi spingermi nel fiume, ora? Sei ridicola, ridicola…» esclamò lui, umiliato dal rifiuto.
Thea, tornando a guardarlo negli occhi: «Ma cosa credi?» gli disse. «Ti ho visto, sai, l’altra sera, proprio qui, sul Lungo Po, abbracciato a Gabriella… Sì, l’ho riconosciuta: la mia migliore
amica, fin dai tempi delle elementari… vatti a fidare!» e le si ruppe la voce, cercando di soffocare il pianto che le saliva in gola.
Carlo borbottò qualche parola a bassa voce, tanto che Livia non capì nulla della risposta.
Smarrito, deluso e incapace di dare una svolta positiva alla discussione, l’uomo ricominciò a tormentare il bavero e a fissare le sue scarpe infangate, cercando parole che, evidentemente, non trovava. Balbettò solamente: «Ti sei messa a pedinarmi? Siamo arrivati a tanto?»
Si stava facendo buio e l’aria umida che saliva dal fiume pareva penetrare nelle ossa.
L’uomo strinse la cintura dell’impermeabile, come a volersi proteggere dal freddo, ma fu proprio in quel momento che Thea fece per andarsene, incamminandosi verso la passerella.
Aveva fatto solo pochi passi quando Carlo la raggiunse, serrandole i polsi con una certa violenza. Livia se ne accorse perché la donna si divincolava, scivolando, gradatamente, oltre la staccionata di legno. La voce esasperata di Carlo tradiva una collera, fino ad allora contenuta e repressa: ormai parlava con tono concitato, incurante dei rari passanti che, frettolosi, tornavano a casa.
«Fermati, Thea, e ascoltami! Posso spiegarti tutto… Gabriella voleva solo essermi vicina, con amicizia, dimostrandomi la sua solidarietà in un momento così triste e delicato. L’abbraccio era fraterno, credimi… nulla più!»
La compagna non gli rispose e cercò inutilmente di liberarsi dalla stretta di lui: i polsi le dolevano, la testa le scoppiava, voleva solo fuggire lontano.
Eppure si erano amati perdutamente, ne era consapevole e proprio questo la faceva soffrire: l’aver mal riposto un sentimento così importante, immolandosi a un uomo che l’aveva tradita in un periodo di estrema fragilità, quello che segue sempre a un grave lutto.
Il loro bambino: quante volte ne avevano parlato, immaginandone le fattezze e fantasticando sul nome che gli avrebbero dato! Thea non gli perdonava la superficialità, l’egoismo, la mancanza di sensibilità nei suoi confronti, l’incapacità di consolarsi a vicenda per la perdita di quel figlio che avevano tanto desiderato e cercato insieme. Le lacrime le rigavano il volto mentre, incespicando, cercò di crearsi una via di fuga, ma era buio e le foglie umide avevano formato un tappeto scivoloso sotto i suoi piedi.
«Finiscila! Ti stai comportando come un’attrice del cinema muto» riprese l’uomo, ormai totalmente fuori di sé, «non sopporto quando sei così teatrale, quando fai la