Roma Arena Saga. La spada del gladiatore
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Simon Scarrow
Simon Scarrow teaches at City College in Norwich, England. He has in the past run a Roman history program, taking parties of students to a number of ruins and museums across Britain. He lives in Norfolk, England, and writes novels featuring Macro and Cato. His books include Under the Eagle and The Eagle's Conquest.
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Anteprima del libro
Roma Arena Saga. La spada del gladiatore - Simon Scarrow
482
Titolo originale: First Sword
Copyright © 2013 Simon Scarrow and T.J. Andrews
First published as an Ebook by Headline Publishing Group in 2013.
The right of Simon Scarrow to be identified as the Author of the Work has been asserted by him in accordance with the Copyright, Designs and Patents Act of 1988.
Traduzione dall'inglese di Roberto Lanzi
Prima edizione ebook: settembre 2013
© 2013 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-6090-3
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Corpotre, Roma
Simon Scarrow
Roma Arena Saga
La spada del gladiatore
ominoNewton Compton editori
Elenco dei personaggi
Manio Ovidio Aculeo – nuovo doctor assunto nella scuola gladiatoria assieme a Macrone.
Batone – un tempo capo di una tribù ribelle in Tracia, rinchiuso nel ludus dopo essere stato fatto prigioniero in seguito a una rivolta contro l’imperatore Claudio.
Gaio Salonio Corvo – precedente lanista imperiale, assassinato dopo aver tentato di lucrare sui gladiatori all’insaputa dell’imperatore.
Duras – guardia del corpo di Batone.
Quinto Tullio Macer – comandante delle guardie del ludus.
Lucio Cornelio Macrone – optio della Seconda legione, assunto temporaneamente come lanista del ludus di Capua.
Servio Ulpio Murena – braccio destro del segretario imperiale.
Marco Antonio Pallade – segretario imperiale e fidato consigliere dell’imperatore Claudio.
Marco Valerio Pavone – primus palus della scuola di Capua, titolo concesso al gladiatore che si fosse distinto per numero di vittorie tra i vari ranghi dei gladiatori imperiali; figlio di Tito, legato ribelle condannato a morte nell’arena.
Il ludus imperiale di Capua
ludusCapitolo uno
Capua, inizio del 42 d.C.
Il giovane gladiatore fu risvegliato bruscamente nel mezzo della notte da una pedata alle costole.
«Svegliati, inutile pezzo di merda!».
Sbattendo rapidamente le palpebre, MarcoValerio Pavone si mosse, rovesciandosi sulla schiena. Strizzò gli occhi nell’oscurità e mise a fuoco una guardia armata che gli torreggiava davanti; una seconda guardia attendeva sulla soglia dell’angusto cubicolo. Il giovane si portò una mano sulla costola dolorante e scosse la testa per scacciare il sonno.
«Che succede?», chiese con voce gracchiante.
«Murena vuole parlarti», gli ringhiò contro la guardia più vicina a lui.
Al sentir nominare Servio Ulpio Murena, il braccio destro del segretario imperiale, Pavone rabbrividì: Murena era uno dei tanti liberti esecutori del lavoro sporco per l’imperatore e Pavone aveva avuto la sfortuna di incrociarne il cammino ripetutamente, negli ultimi tempi.
«Quella serpe di un greco», mormorò a denti stretti. «Che vuole da me adesso?»
«E che cazzo ne posso sapere io?», gli ringhiò di rimando la guardia, afferrandolo per un braccio e strattonandolo in piedi. «Adesso muoviti! A Murena non piace aspettare!».
Pavone era troppo barcollante e confuso per protestare. Le guardie lo spinsero fuori del dormitorio, trascinandolo poi oltre il cancello del ludus. Si incamminarono lungo il sentiero che scendeva verso Capua, spazzato da una brezza vivace. Su un colle distante sfarfallava uno sciame di minuscole luci. Pavone distinse il contorno scuro di una villa appollaiata sulla china del colle. Le guardie lo diressero verso la costruzione. Il giovane gladiatore avanzava con andatura goffa, tremando per il freddo, i muscoli delle gambe dolenti per il peso delle catene alle caviglie e ai polsi. Un dolore pulsante gli bruciava una ferita suturata alla spalla sinistra. Se l’era procurata nell’ultimo combattimento nell’arena di Paestum contro un secutor forsennato, Decimo Cominio Denter. Le guardie lo scortavano, prudenti, ai fianchi. Dalle uniformi che indossavano – toghe di semplice tessuto bianco sulle tuniche – Pavone capì che si trattava di pretoriani.
«E quindi tu saresti il famoso Marco Valerio Pavone, eh?», lo sbeffeggiò quello sulla sinistra. «Campione dell’arena. Arduo a credersi che un coglioncello ricco come te...».
«Probabilmente hai ragione tu», rispose secco Pavone. «Probabilmente i miei natali sono troppo alti per poter essere un gladiatore campione. Ma voi due sembrate quasi spaventati da me, tenete tutti e due la mano stretta sulla spada anche se sono disarmato e in catene...».
La guardia lo fissò in cagnesco. «Vuoi fare il duro, per caso? Attento!», gli ringhiò contro. «Stronzi gladiatori, sempre pronti a mettersi in mostra. Aspetta a parlare, amico. Prima o poi finirai fatto a pezzi nell’arena e buttato in una buca piena di altri gladiatori sbruffoni come te. Poi voglio vedere se sei capace a fare lo sbruffone».
Pavone era troppo scoraggiato per rispondere. Nelle fessure tra una lastra di pietra e l’altra della pavimentazione stradale, minuscole gemme di quarzo riflettevano la pallida luce lunare. Nell’avvicinarsi alla villa, Pavone sentì crescergli dentro un senso di inquietudine. Da quando era stato trasferito da Paestum nel ludus imperiale di Capua, circa una settimana prima, il giovane gladiatore non aveva mai smesso di chiedersi cosa avessero in mente per lui il segretario imperiale, Marco Antonio Pallade, e il suo braccio destro. Da recluta l’avevano fatto combattere con una serie di temibili avversari, ma con gran disappunto di Murena e di Pallade, Pavone era sempre uscito trionfante dall’arena, e le sue vittorie l’avevano trasformato in un eroe agli occhi del popolo. Nonostante questi successi, però, un pensiero cupo lo attanagliava. Non avrebbe mai più apprezzato la libertà. Era figlio di un legato ritenuto traditore di Roma e motivo di imbarazzo per il nuovo imperatore. E prima o poi Claudio se ne sarebbe definitivamente sbarazzato.
Pavone temette che quel momento fosse alla fine arrivato.
Il trio raggiunse la villa mentre iniziava ad albeggiare e il sole all’orizzonte rischiarava lentamente il cielo notturno. L’imponente struttura dell’edificio era interamente cinta da uliveti. Davanti all’entrata una serie di eleganti bighe con cavalli; un gruppo di schiavi, borbottando, scaricava pesanti bagagli dai pianali, trasferendoli poi all’interno della villa. La facciata della proprietà era fiancheggiata da porticati che salivano a gradoni fino a un balcone ornamentale due piani più in alto dove i ricchi ospiti, suppose Pavone, potevano godere di una piacevole brezzolina nelle calde sere estive. Il cancello della villa era presidiato da due guardie pretoriane. Una delle due bloccò immediatamente il cammino a Pavone e alla sua scorta mentre il compagno gli si parò davanti.
«Parola d’ordine?», chiese.
«Fenicottero», rispose una delle guardie di scorta.
«Motivo della visita?»
«Il braccio destro del segretario imperiale ha mandato a chiamare quest’uomo», rispose l’altro, indicando Pavone.
Il pretoriano indietreggiò di un passo e fece segno a Pavone e alla scorta di entrare.
Pavone varcò la soglia della villa nervoso. Era nato nella classe elitaria dei senatori di Roma e cresciuto in mezzo a schiavi e ricchezze. I ricordi delle estati trascorse da bambino nella villa di famiglia ad Anzio gli affluirono in testa con l’irruenza di un’onda gonfia mentre le guardie lo scortavano, a passo sostenuto, lungo il corridoio d’accesso. Attraversarono frettolosamente un vestibolo sfarzosamente decorato che dava accesso a un ulteriore ampio corridoio centrale con ricchi affreschi alle pareti e un mosaico sul pavimento, scintillante sotto la luce tremula di una serie di torce. Dal pavimento riscaldato a ipocausto salivano ondate di calore, un piacevole sollievo per i piedi congelati del giovane gladiatore.
Raggiunto il fondo del corridoio, le guardie fecero strada a Pavone in un grande studio. Sulla parete di sinistra, una gran quantità di rotoli e pergamene papiracei disposti ordinatamente su uno scaffale a nido d’api; al centro della stanza, un grande tavolo di legno di quercia, alle cui spalle si apriva un’alta finestra affacciata su un vasto vigneto. Sul tavolo una gran quantità di papiri e tavolette cerate. Dietro il tavolo sedeva un uomo con indosso una tunica di lana di raffinata fattura. L’assistente del segretario imperiale: leggeva, profondamente concentrato, una pergamena e sulle prime sembrò non accorgersi dell’arrivo del prigioniero e della sua scorta. Alla fine sollevò gli occhi sul giovane gladiatore e fece un ghigno.
«Ah! Marco Valerio Pavone, il trucidatore di Britomaris e distruttore di Denter», commentò Murena, mettendo giù su un lato il rotolo di papiro e incrociando le dita nodose. «E dimmi, ti stai godendo la nuova posizione