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Una coppia quasi perfetta
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E-book313 pagine4 ore

Una coppia quasi perfetta

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Info su questo ebook

Un grande thriller

«Incredibile. Un romanzo dal ritmo perfetto.»
New York Times

La vita di Ellie Larrabee è praticamente perfetta. Ha un ottimo lavoro, vive in un appartamento favoloso ed è fidanzata con l’uomo dei suoi sogni. Apparentemente Ellie e Rob Beauman sono una coppia fantastica: sono belli, hanno successo nella vita e si amano così tanto da fare invidia. Vedendoli, sembra facile immaginare che il loro futuro sarà radioso. Ma durante quello che dovrebbe essere il giorno più bello della loro vita, poco dopo aver pronunciato il fatidico “sì”, un segreto sconvolgente minaccia di distruggere la felicità di Ellie. L’uomo che ha sposato da poche ore e che ama con tutto il cuore nasconde, in realtà, un oscuro passato. E più cose scopre, più Ellie viene trascinata in un vortice di tradimenti e orrore da cui sembra impossibile fuggire… 

Se scoprissi che la persona che ami è un assassino, continueresti ad amarla lo stesso?

Tra i migliori libri per Elle Magazine e il Publishers Weekly

«Un esordio ad alta tensione.»
Entertainment Weekly

«I molti fili della trama sono ben intrecciati, tanto che il lettore non si aspetta di precipitare verso un finale inaspettato.»
Booklist

«Una meravigliosa sorpresa. La scrittura è strepitosa, le intuizioni taglienti. Questo romanzo ha vinto tutto.»
Diane Keaton

«Una trama affascinante e un finale scioccante.»
Publishers Weekly
Nina Sadowsky
Ha scritto numerose sceneggiature e prodotto film come Prima o poi mi sposo, con Jennifer Lopez e Matthew McConaughey, Lost Souls - La profezia con Winona Ryder, e molti altri. Insegna produzione e tecniche di sceneggiatura presso la Scuola di Arti Cinematografiche di Los Angeles. Una coppia quasi perfetta è il suo romanzo d’esordio, che sarà tradotto in cinque Paesi ed è stato opzionato per diventare un film.
LinguaItaliano
Data di uscita8 feb 2017
ISBN9788822705501
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    Anteprima del libro

    Una coppia quasi perfetta - Nina Sadowsky

    Ora

    Odore di sale e il lieve sentore dolce e nauseabondo di alcol, zucchero e frutta abbandonati al sole. Sole arancione, cieli azzurri, sabbia fine come cipria, onde cobalto che lambiscono la spiaggia come in un sogno.

    La stanza in questione è al terzo piano dell’albergo, l’ultimo. L’edificio è lungo e stretto, un crinale frastagliato sull’immacolata costa, con le camere sfalsate per garantire una vista ottimale.

    Le stanze sono ampie e profonde. Affacciano tutte su un terrazzino o su una veranda privati. Le porte scorrevoli a vetri sono dotate di tapparelle, nel caso in cui, nei pomeriggi pigri, sorga il disperato bisogno di un pisolino. O di accoppiarsi.

    Sulla spiaggia paradisiaca, un interessante assortimento di rappresentanti dell’umana specie: bianchi, abbronzati, bruniti, scottati, coriacei, croccanti; magri, grassi, paffuti, muscolosi, formosi, allampanati; intenti a leggere, dormire, sbavare, stare a mollo, nuotare, andare in barca a vela. E ancora a baciarsi, russare, bere, flirtare.

    Il personale dell’albergo passa a consegnare menu, a portare cocktail, asciugamani e creme abbronzanti, a piantare ombrelloni ricoperti di paglia, ad aprire sdraio aggiuntive. Se siete ospiti di questo hotel, potete ritenervi fortunati.

    Proprio davanti alla camera in questione, alcuni giovani aitanti giocano a calcio sul bagnasciuga. Gridano, ridono, grugniscono, ed è l’aria mite e carezzevole a trasportarne i suoni.

    Sul terrazzo della suddetta camera, una donna guarda i ragazzi che si passano la palla.

    La donna, bionda e aggraziata, è affacciata al parapetto, con un piede dentro e un piede fuori dalla stanza. Un’ombra taglia in due il suo bel viso lasciando gli occhi avvolti nell’oscurità.

    Si sporge per vedere meglio la partita. Il volto è pallido, fatta eccezione per due aloni rossi sugli zigomi. All’improvviso, trattiene il fiato con la bocca sensuale, mentre uno dei giovani si tuffa in parata, descrivendo un arco in aria con il corpo teso e atterrando di fianco sulla sabbia. All’impatto con il suolo grugnisce e si lamenta platealmente, poi balza in piedi con una risata.

    La bionda si allontana dal balcone.

    In camera, alle sue spalle, sul letto bianco e morbido, c’è un uomo sdraiato. Un braccio ubriaco posato sulla fronte, un groviglio di lenzuola fresche sul torso nudo, è perfettamente immobile.

    Sembra in salute. Chiunque avrebbe questa impressione, sulle prime. Le gambe sono forti e brunite dal sole, più pallide le cosce. Un uomo che vive all’aria aperta, in pantaloncini, uno che usa il proprio corpo. Ha le spalle larghe, le braccia possenti. Le mani sono rivolte verso l’alto, aperte, rilassate.

    Cosa rappresentano l’uno per l’altra? Proviamo a indovinare.

    Una scappatella vacanziera nel più puro anonimato, un brivido? Possibile. Però non sembrano un granché come coppia.

    Sposini, finalmente soli dopo i bagordi del matrimonio? Oppure, più interessante, fra le lacrime e i rimorsi di un litigio, i primi amari ramoscelli della vita coniugale su cui verrà innalzata la pira funeraria del loro amore? Non mi tacciate di cinismo. Il lucido pragmatismo, in realtà, è molto romantico.

    Oppure potrebbero essere amici da una vita, e al resto potrebbe averci pensato il mojito... per poi incappare nell’imbarazzo e nel pentimento? Amanti adulteri, inebriati da un cocktail a base di senso di colpa e fame di adrenalina? Un tizio e una prostituta, compravendita di sesso, il corpo accuratamente separato dalla testa e dal cuore?

    Guardiamo più da vicino.

    La bionda sulle prime rivela ben poco. Il volto grazioso è composto, il corpo magnifico è a proprio agio. C’è quel rossore, in alto sulle gote. Potrebbe essere l’effetto del sole. Oppure la febbre? Prestate attenzione, guarda ovunque meno che l’uomo nel letto.

    Due bicchieri di vino sul cassettone. Uno pieno, uno vuoto. Una bottiglia sdraiata sul pavimento. Una canna si consuma sul comodino, lasciando un piccolo marchio di bruciato sul legno, proprio accanto alla targa con su scritto Vietato fumare. Avranno fatto una festa, o qualcosa del genere. Forse è ancora in corso.

    La bionda si avvicina allo spinello fumante e si ferma a pensare. Dopodiché, va in bagno, lo getta nel water e tira lo sciacquone. Torna al comodino e sfrega il pollice sul segno lasciato dalla brace.

    Raccoglie la bottiglia di vino dal pavimento e la svuota nel lavandino, poi la sciacqua bene. Sciacqua anche i bicchieri.

    Si avvicina all’uomo nel letto. È giunta l’ora di controllare, per lo meno. Non può rimandare oltre. Lo guarda in faccia.

    Una massa di capelli schiariti dal sole gli ricade sulla fronte. È pacifico. La bionda si arrischia a sbirciare in basso, verso l’addome.

    È sangue quello? Sì, è sangue. Nessun altro segno di violenza. Solo un garofano scarlatto in boccio, appiccicoso, fra le lenzuola aggrovigliate. E il coltello che l’ha fatto fiorire.

    Be’, questo cambia tutto.

    Incidente? Disavventura? Attacco o difesa? Cos’è successo in quella stanza? Le domande superano le risposte.

    È stata lei?

    È delicata, ma il suo corpo giovane e forte emana sicurezza. È atletica, si sente bene nei propri panni. Ma è pur sempre grande la metà dell’uomo.

    Neppure una goccia di sangue macchia il bikini verde acido o il pareo di tela bianca che le svolazza intorno come ali d’angelo. Questo depone a suo favore.

    E allora cosa ci fa lì? Cosa prova davanti a quell’uomo morto?

    Tira un lembo della stoffa candida che le copre la testa, la avvolge intorno alla mano e inizia a pulire. Il telefono, la scrivania, il lavandino, la doccia e il ripiano del bagno, il libretto con i servizi per i clienti. I bicchieri, la bottiglia, la testiera del letto e gli specchi. Accuratamente. Con metodo. Persino il manico del coltello piantato nella pancia dell’uomo, stando attenta ad aggirare la pozza di sangue. Meticolosamente.

    Non esprime rabbia o paura. Nessuna sofferenza, né perdita.

    Rassegnazione, forse? Calcolo? Shock?

    Tutti e tre insieme?

    Un brivido di repulsione le attraversa il corpo come una scossa elettrica quando nota un lungo capello biondo sul cuscino, uno dei suoi, accanto alla faccia dell’uomo che si sta ingrigendo. Lo prende. Va sul balcone e lo fa volare via nel vento.

    Un paio di delfini giocosi fanno capolino all’orizzonte. Il loro spirito libero e la loro esuberante bellezza suonano come un rimprovero. Lei non è libera. Una smorfia le deforma il viso. Quando si volta per tornare dentro, risuonano le grida sguaiate dei ragazzi in spiaggia, come se volessero schernirla.

    Con cura, distende un telo da mare sull’unica poltrona della stanza, che è grossa e tozza, comoda, di cotone blu. Si siede, piega le ginocchia al petto e le cinge con le braccia.

    Dalla finestra, si intravede un quadrato di cielo, mare e sabbia color perla. Chiude gli occhi. L’oceano è spettacolare, turchese vivido. La donna sa che anche i pesci e le piante sotto la superficie hanno colori meravigliosi. Non ha mai fatto immersioni, né nuotato; non lo sa per esperienza personale, bensì grazie al corso intensivo che ha fatto su internet prima di partire.

    Se aprisse gli occhi, almeno potrebbe riempirli con tutta quella bellezza. Peccato che dovrebbe sorvolare sul morto con il coltello piantato nella pancia, e sulla pozza di sangue che si sta allargando.

    Adesso deve aspettare. Deve rimanere ferma, calma e concentrata. Ogni cellula del suo corpo le grida di scappare. Ma lei aspetterà.

    Prima

    I lunghi capelli biondi erano attorcigliati in un elegante chignon. Ellie sedeva immobile, stoica, una ragazza beneducata poco abituata a lamentarsi, sdegnosa e allo stesso tempo elettrizzata all’idea di vestire i panni di una principessa per un giorno. Il parrucchiere, Franco, intanto faceva magie. E parlava senza sosta. «Sono persone squisite. Sono stati miei clienti per anni. Dopo il matrimonio, tu e Rob dovete venire sulla loro barca con me. Uno yacht, anzi. Superchic».

    Ellie mugugnò, rimanendo sul vago. Ammirò la propria immagine allo specchio. Il trucco era impeccabile. Il corpetto dell’abito da sposa a sbuffo, di pizzo intessuto di perline, lasciava nude le spalle d’avorio. Era stupenda, ma leggermente infreddolita. Una bionda alla Hitchcock, come si diceva un tempo.

    Signora Beauman, pensò, senza dirlo. Un sorriso le illuminò il volto, all’improvviso le venne caldo, e diventò ancora più bella. Franco lo notò e smise di blaterare. «Finalmente, tesoro! Ero un po’ preoccupato. Cos’era quella faccia triste nel giorno del tuo matrimonio?».

    La porta si spalancò e fecero irruzione le damigelle, Tara e Collette, spumeggianti d’energia, con una bottiglia di champagne e i bicchieri in mano. «Ci siamo! Ellie! Sei fantastica!», esclamò Tara.

    La sposa guardò le sue amiche, eleganti apparizioni vestite di seta color lavanda. «Anche voi», disse. «Siete bellissime».

    «Ho sbirciato», esordì Collette. «La sala si sta riempiendo. Questo matrimonio è l’evento dell’anno».

    «Sei nervosa?», chiese Tara.

    «Perché dovrebbe essere nervosa?», si intromise Franco. «Sono fatti l’uno per l’altra».

    «Non sono nervosa», rispose Ellie. «Ma la frase fatti l’uno per l’altra mi sembra un orribile luogo comune. Sono sicura che dovremo affrontare un bel po’ di merda anche noi, come tutte le coppie di questo mondo».

    «Dài!», esclamò Collette con una risata gorgogliante. «Almeno fino a stasera, conserva un briciolo di romanticismo, va bene?».

    «Collette ha ragione», confermò Tara. «Metti da parte il cinismo. Solo fino al termine del ricevimento, ok? E adesso bevi un po’ di champagne».

    «Va bene, va bene», rise Ellie. «Un brindisi a mio marito, principe azzurro, Superman e cavaliere oscuro, tutti insieme. Crediamo nelle favole».

    «Avete mai notato che non ci sono antefatti sul principe azzurro?», domandò Tara riempiendo quattro bicchieri.

    «Invece, Superman e Batman hanno un passato tragico. Non c’è da stupirsi se hanno un rapporto conflittuale con la figura paterna», commentò Collette.

    Ellie rise di nuovo. «E poi accusate me di non essere romantica?».

    Brindarono, bevvero e ripresero a chiacchierare. Ellie posò il bicchiere per permettere a Franco di apportare i tocchi finali all’acconciatura.

    Piccoli dubbi viscidi guizzavano come pesci dentro di lei.

    Non sarebbe dovuta essere raggiante, colma di idealismo romantico? Oppure gli spasmi nervosi del dubbio rappresentavano la norma, per lei? L’estrema dedizione che il matrimonio richiedeva, persino in quei tempi di divorzi facili; il senso di irrevocabilità. Per di più, non si conoscevano da tanto tempo, lei e Rob, e visti i suoi trascorsi…

    In quell’istante, suo padre bussò alla porta e disse che il momento era arrivato. Ellie si guardò per l’ultima volta allo specchio, a lungo, e lasciò che Tara e Collette le sistemassero la gonna. Sua madre le tolse un filo invisibile dalla spalla e si tamponò gli occhi. Era l’ora di entrare in scena. Ellie mise da parte le ansie e si stampò un sorriso radioso sulla faccia.

    Più avanti, la sposa avrebbe ricordato il momento in cui era stata sul punto di inciampare, quando era entrata nella sala, perché il tacco si era impigliato nel vestito, e il modo in cui il padre l’aveva sorretta e le aveva dato una strizzatina al braccio per rassicurarla. E ancora, lo sguardo caldo e innamorato di Rob quando le aveva infilato l’anello al dito, e l’attimo in cui si erano voltati e avevano visto le facce felici e ridenti degli amici e dei famigliari, dopo che il giudice li aveva dichiarati marito e moglie; l’andatura trionfante con cui aveva ripercorso il corridoio in senso opposto, a braccetto con il suo uomo.

    Si era aspettata che la serata volasse. L’avevano avvertita tutti: quando ti sposi succede sempre così.

    Era totalmente impreparata a quella frase, una singola frase che l’aveva catapultata in un mondo surreale, offuscando gli eventi successivi e rendendo del tutto irrilevante la sua vita come l’aveva vissuta fino a quel momento.

    Erano soli. Loro due. Sposo e sposa, appena dichiarati marito e moglie. La wedding planner aveva concesso loro un quarto d’ora, assicurando che dopo la cerimonia ne avrebbero avuto bisogno, prima che i doveri verso gli invitati li dirottassero in direzioni opposte. Sarebbe dovuto essere un momento di baci e dolci carezze, dita intrecciate e frasi sussurrate. Una festicciola privata, solo per loro due, il fulcro di quell’evento sontuoso.

    L’affermazione di Rob fu repentina, a dir poco bizzarra e, se corrispondeva alla realtà, terrificante. Parole folli, uscite come se niente fosse dalle sue labbra tanto care e familiari. Il modo in cui le afferrò le braccia per costringerla a guardarlo negli occhi. L’intensità della sua voce. La mascella serrata.

    Poi, prima che lei avesse il tempo di metabolizzare o di chiarire se si trattasse di uno scherzo di cattivo gusto (perché avrebbe dovuto giocare su un argomento del genere? Perché?), arrivò il momento di dare il via ai festeggiamenti. Gli invitati erano in attesa; sentirono il rullo del tamburo, il segnale che aspettavano.

    Tara e Collette spalancarono la porta. Rob prese la mano di Ellie e le posò un bacio lieve sulle labbra. Sollevò le loro braccia giunte, trionfante, e varcò la soglia del salone con la sua sposa.

    Fecero il loro ingresso in grande stile. «Per la primissima volta, il signore e la signora Beauman!».

    «Di cosa stavi parlando?», domandò Ellie a Rob sottovoce, con impazienza, mentre tutti brindavano. «Non capisco. Non può essere…».

    Rob si portò due dita alle labbra per imporre silenzio. Baciò il polpastrello e lo accostò alla fronte di Ellie. «Dopo», esclamò. Sorrise, e lei ricambiò, esitante. A quel punto, furono risucchiati dalla folla.

    La festa era cominciata.

    Ellie strinse mani, dispensò baci, fu più espansiva del dovuto anche quando, per quanto si sforzasse, non riuscì a ricordare il nome del collega di Rob che aveva incontrato per lo meno quattro o cinque volte. Accettò gli auguri e i complimenti. Il flash del fotografo scattò. Il cibo fu servito.

    Ellie volò da una parte all’altra della sala, sospinta dall’amore, dalla felicità, dal senso del dovere, dalla tradizione, dall’amicizia, dallo champagne e dai baci. Scacciò la sensazione di disgusto e di confusione generata dalle parole di Rob. Non poteva essere vero.

    Avevano organizzato insieme quel matrimonio, lei e Rob, senza litigare neanche una volta. Non litigavano mai, davvero, lo conosceva bene, era il suo migliore amico, lo amava e lui amava lei.

    Fecero il primo ballo insieme. Alla fine, si baciarono. Ellie fu trascinata via da sua cugina, Andrea, e scolò altro champagne. Buttò giù uno shot di tequila in onore dei vecchi tempi.

    Più tardi, mentre parlava con quella noiosa della zia Sonia (o piuttosto la ascoltava, un ruolo che la lasciava libera di perdersi nei propri pensieri), nella sua testa risuonò una frase: È troppo perfetto per essere vero. Lo dicevano tutti. Quando parlavano di Rob, dicevano tutti così. E se avessero avuto ragione? Ma lei lo amava. Era ridicola. Rob stava scherzando. Si era rivelata una sposa parecchio nervosa! Quando Ellie scorse con la coda dell’occhio la sua amica Marcy Clark, si scusò con la zia.

    «Perdonami, devo ringraziare…».

    La zia Sonia la congedò con un cenno ed Ellie raggiunse la ragazza. «Grazie di essere venuta, significa molto per me».

    Si abbracciarono, un netto contrasto fra l’abito da principessa di Ellie, candido come neve, e il tubino nero di Marcy, da giovane vedova chic. Il velo della sposa cadde e coprì i loro volti giovani. Come un bozzolo.

    «Spero che capirai se a un certo punto mi viene voglia di andare via e mi dileguo», disse Marcy.

    «Certo, tesoro». In quel momento, a Ellie erano venute le lacrime agli occhi. «Sono sicura che Ethan è qui con noi, con il cuore».

    Anche gli occhi di Marcy si erano riempiti di pianto. Con un sorriso, asciugò le lacrime di Ellie, e poi le proprie. «È così. E adesso devi essere felice, cara. È il giorno del tuo matrimonio».

    Arrivò la wedding planner, era il momento di tagliare la torta. Un rituale immancabile per un migliaio di fotografie. Rob ed Ellie si imboccarono a vicenda, con parsimonia. Un breve bacio zuccherato. La torta fu portata via.

    Sua madre le tirò qualche frecciata, ovviamente. Ellie non rimase sorpresa, ma ne fu ferita. Per fortuna, presto sarebbe stata da sola con Rob. Aveva bisogno di una boccata d’aria, bramava una rassicurazione da parte del marito. Andò a cercarlo nel giardino sul retro dell’albergo. E, al suo posto, trovò il proprio mondo. Distrutto.

    Ora

    La bionda, sì, la bionda è Ellie, ed è ancora dove l’abbiamo lasciata, rannicchiata sulla grossa poltrona morbida, con le ginocchia strette al petto. La luce ha un’inclinazione diversa, una sfumatura più scura; l’oceano pare agitato. Ellie fa un sospiro profondo. Si stira e si alza. Con occhi fissi, si guarda intorno a lungo. Alla fine, si sofferma sull’uomo morto nel letto. Non si tratta di suo marito, Rob. Questo è chiaro.

    Con passi leggeri, va in bagno. Apre un beauty-case a fiori. Fruga, scartando il latte solare, il burro cacao e il dentifricio, ed estrae la cipria. Solleva il coperchio. Lo richiude. Apre un secondo scomparto. Il contenitore del piumino. Da sotto, Ellie estrae una lametta.

    Torna dall’uomo sul letto. Si sporge per osservare la macchia di sangue coagulato sulla sua pancia. Ha aspettato anche troppo. Raddrizza le spalle. Si fa forza. Poi, con maestria, rimuove il labbro inferiore dell’uomo. Esce pochissimo sangue, come aveva previsto, ecco perché ha aspettato.

    Ellie ripone con cura il labbro tagliato in una manciata di fazzoletti di carta, la chiude e la avvolge in un pezzo di pellicola che estrae dalla borsa da mare di rafia a righe colorate. Tira fuori anche una busta imbottita. Infila il labbro all’interno e rimette il pacchetto nella borsa. Sta tremando. Si sente svenire.

    Barcolla, posa la borsa da mare, poggia una mano sulla parete per sostenersi. Rimane ferma un attimo. Respira a fondo. Guarda la borsa. È fatta. Non si torna indietro. Guarda la sua mano, piatta contro la parete. La ritrae come se il muro all’improvviso bruciasse.

    Prende l’asciugamano dalla poltrona e lo sfrega sul punto in cui ha posato il palmo. Poi, pulisce di nuovo tutta la stanza. Oltre alla volontà di essere accurata, c’è la paura di compiere il passo successivo.

    Prende la borsa e controlla che tutto sia al sicuro, butta dentro anche il beauty-case e spinge giù la busta, verso il fondo. In cima, ficca l’asciugamano. Si copre nuovamente i capelli con il foulard bianco. Ne usa un lembo per dare l’ultima lucidata alla maniglia. Esce dalla stanza e lancia una rapida occhiata da entrambi i lati per assicurarsi che la via sia libera. Attacca il cartoncino con su scritto Ne pas déranger al pomello esterno. Pulisce anche quello. Si avvia nel corridoio, verso l’ascensore. Non si guarda mai indietro.

    L’atrio del Grande Sucre Hotel è ampio, illuminato e arioso. Oltre il pesante portone che affaccia sul vialetto, si staglia il paesaggio nitido fatto di sabbia, mare e scogliere in lontananza. La hall è stata progettata per mozzare il fiato, e non delude di certo. La volta al centro del soffitto, sormontata dal lucernario, inonda di luce scintillante il pezzo forte, uno stagno roccioso completo di cascata e famigliola di tartarughe pigre.

    Alla reception si è formata una fila di viaggiatori esausti. Il portiere è indaffarato con una famiglia che sta organizzando un’immersione. Mostra sulla cartina il punto esatto della spiaggia che vanta il tratto migliore di barriera corallina e i pesci più colorati. I fattorini sono impegnati, com’è giusto, con i bagagli. Frotte di bambini eccitati gridano e corrono qua e là, euforici per il sole, il mare e la sensazione di un’avventura imminente.

    Ellie attraversa la sala con passo sicuro, una donna bellissima e determinata, ed esce nella luce pomeridiana strizzando le palpebre. Nessuno le presta attenzione. Scorge una decappottabile con il motore acceso, le chiavi ancora inserite, e prima che il parcheggiatore abbia il tempo di notare la sua presenza, è già saltata al volante e partita. Solo una volta raggiunta la litoranea, si distende.

    Rilassa le spalle. Iniziano a cadere le lacrime. Non c’è tempo di piangere. Si asciuga le guance con foga. Si distrae e imbocca la curva a una velocità troppo alta, senza vedere il camion aperto e cigolante che ha davanti, pieno zeppo di banane verdi. Un espositore cade dal cassone e finisce sulla strada, proprio davanti alla sua auto. Ellie sterza bruscamente per evitarlo e colpisce la scogliera dal lato del conducente, con un orribile, assordante stridore di metallo. Schiaccia il freno. La macchina si mette di traverso. Riesce a riportarla sulla corsia giusta, poi, finalmente, inchioda e si ferma.

    Respira a fatica, si guarda intorno con occhi frenetici, ma realizza che il pericolo è passato. Ha evitato le banane, il camion è scomparso, la strada è vuota. Sprofonda la testa nelle mani e si accascia sul volante. Ironia della sorte. Dopo essersi spinta fin là e aver fatto tanto, poteva essere morta. Così, in un attimo.

    Prima

    Aria. , pensò, ho bisogno d’aria. E di un attimo di pausa dalla follia del matrimonio, lontano dai brindisi, dalle lacrime, dai baci tirati, dalla musica e da sua madre, sì, soprattutto da sua madre.

    Dov’era Rob? Ellie passò in rassegna la pista da ballo. Neanche l’ombra. Dovevano parlare, questo era chiaro. Stava scherzando per forza. Era stato un modo ironico e lievemente perverso di dire «siamo sposati, e adesso devi stare con me, nel bene e nel male», no? Una parata di ricordi, di strane telefonate e di appuntamenti mancati, per cui incolpava sempre il lavoro, iniziò a marciare nella testa di Ellie.

    Decisa a distrarsi dai pensieri inquietanti, si fece strada fra gli invitati, guardandosi intorno senza sosta, tra chi le faceva gli auguri e chi le rivolgeva baci e complimenti. Scommetto che

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