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La lettrice. Il libro dei segreti
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La lettrice. Il libro dei segreti
E-book511 pagine6 ore

La lettrice. Il libro dei segreti

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Info su questo ebook

L'amore per i libri è una straordinaria avventura

Bestseller del New York Times

Sfuggiti per un soffio alle grinfie della Guardia, Sefia e Arciere si sono rimessi in marcia, sfruttando la protezione della foresta per curare le ferite e pianificare la prossima mossa. Arciere è perseguitato da ricordi dolorosi, frutto di un trauma del passato che si ripresenta ogni volta che chiude gli occhi. Quando vengono circondati da un gruppo di marchiatori, Arciere trova finalmente il modo di sconfiggere i suoi incubi: combattere gli aggressori e liberare i ragazzi che tengono prigionieri. Con Sefia accanto, comincia così la sua missione, attraverso il regno di Deliene. Ma più battaglie si trovano ad affrontare e più Arciere desidera combattere ancora, fino a che la sua sete di violenza non rischia di trasformarlo da ragazzo timido a spietato guerriero con un destino di sangue. Non appena Sefia comincia a collegare il destino di Arciere al passato misterioso di suo padre, la minaccia di una nuova guerra tra regni inizia a farsi pressante e i due ragazzi dovranno trovare un modo per evitarla a tutti i costi, se non vogliono che il futuro dell’intero mondo precipiti in un abisso di morte e distruzione.

In un mondo parallelo dove leggere sarà illegale, l'unica arma è un libro

«Ancora più pieno di magia e intrighi del primo episodio, lascerà i lettori sbalorditi, eccitati e in attesa di altre dosi.»
Kirkus Reviews

«I fan andranno pazzi per questo secondo episodio.»
Booklist

«Arricchito da richiami strategici al precedente volume, le svolte della trama e i colpi di scena saranno un costante shock: qui le coincidenze non esistono.»
School Library Journal
Traci Chee
È autrice di narrativa young adult. Ha studiato letteratura e scrittura creativa all’Università della California di Santa Cruz e ha conseguito un Master of Arts alla San Francisco State University. Traci è cresciuta in una piccola città con più mucche che esseri umani, e ora si sente a casa in montagna, in mezzo alla natura e alle sue meraviglie. Vive in California con il suo cane. La lettrice, il suo romanzo d’esordio, ha avuto un successo tale da spingerla a scriverne il seguito: La lettrice. Il libro dei segreti.
LinguaItaliano
Data di uscita12 dic 2017
ISBN9788822718396
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    Anteprima del libro

    La lettrice. Il libro dei segreti - Traci Chee

    tavola

    La Ciurma della Corrente di Fede

    La Guerra Rossa

    Sogni

    Capitolo 1. Quarzo e occhio di tigre

    Un’interpretazione errata

    Capitolo 2. Fuggitivi

    Capitolo 3. Il richiamo del fulmine

    Capitolo 4. I ragazzi con le cicatrici

    Capitolo 5. Cacciatori e prede

    Capitolo 6. Ciò per cui ti ricordiamo

    Capitolo 7. In ogni dove è luce

    Scappa o muori

    Capitolo 8. O amore o pentimento

    Capitolo 9. Cosa avete fatto

    La maledizione Corabelli

    Capitolo 10. Hai un segreto?

    Resoconto del Domatore di Leoni

    Capitolo 11. Eseguire gli ordini o amare

    Capitolo 12. È guerra al Mangiasassi

    Capitolo 13. Sono i morti che risorgono

    Capitolo 14. Campana

    Resoconto della seconda bambina

    Capitolo 15. Rabbiosi e codardi

    Capitolo 16. I custodi del segreto

    Famiglia

    Capitolo 17. Tu, se ci fossi stata anche tu

    Capitolo 18. Tutto il mare si restringe

    Capitolo 19. Oscuri segni

    Capitolo 20. Ai Sanguinari

    Il Re Suicida

    Capitolo 21. Correre nelle Pianure Bianche

    Capitolo 22. Con guanti d’inchiostro

    Capitolo 23. Andrà tutto bene

    Il guardiano del faro

    Capitolo 24. Dopo?

    Sguardo fisso all’orizzonte

    Capitolo 25. E prima che avvenga l’inevitabile

    Il grido del guardiano. La canzone preferita di Jules

    Capitolo 26. Bugia per omissione

    Capitolo 27. Fratelli

    Capitolo 28. Amore e morte

    Capitolo 29. Nato per questo

    Capitolo 30. L’omicidio è un lento passo a due

    Capitolo 31. Come tutti gli innamorati

    Capitolo 32. Non vedeva altro che morti

    L’ultimo scriba

    Capitolo 33. Come veleno in bocca

    Il furto

    Capitolo 34. Al punto di partenza

    Capitolo 35. Il capitano della Bellezza Nera

    Resoconto di un marchiatore

    Capitolo 36. Nel covo del nemico

    Capitolo 37. Lontano da casa

    Capitolo 38. La figlia dei traditori

    Capitolo 39. Ragioni per restare

    Capitolo 40. La casa sulla collina, sopra il mare

    Capitolo 41. Uno dei lupi

    Capitolo 42. Lunga vita al re

    Capitolo 43. I tanti o i pochi

    La Lettrice

    Capitolo 44. Ciò che è scritto accade

    Capitolo 45. Sempre

    Capitolo 46. Giuramenti e profezia

    Capitolo 47. Il ragazzo delle leggende

    Ringraziamenti

    narrativa_fmt.png

    1813

    Della stessa autrice:

    La lettrice


    Questa è un’opera di finzione. I nomi, i personaggi, i luoghi,

    le organizzazioni, gli eventi e gli avvenimenti sono frutto

    dell’immaginazione dell’autrice o sono usati in modo fittizio

    Titolo originale: The Speaker. Book Two of Sea of Ink and Gold

    Copyright © 2017 by Traci Chee

    Published in agreement with the author, c/o BAROR

    INTERNATIONAL, INC., Armonk, New York, U.S.A.

    Map and interior illustrations copyright © 2016

    by Ian Schoenherr

    Traduzione dall’inglese di Beatrice Messineo

    Prima edizione ebook: febbraio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1839-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Caratteri Speciali, Roma

    Traci Chee

    La lettrice

    Il libro dei segreti

    Newton Compton editori

    OMINO.jpg

    A Charles, Zach e Paul,

    portati via troppo presto

    mappa.jpgprimapergamenaprimapergamenaprimapergamenaprimapergamena

    Sogni

    capitoloalbero.jpg

    Arciere stava di nuovo sognando, e nei suoi sogni non aveva nome. Non ricordava come l’avesse perduto, ma quegli uomini adesso lo chiamavano ragazzino o leccapiedi – o non lo chiamavano affatto.

    Era in piedi in un’arena circolare delimitata da pietre grandi e pallide come teschi, mentre gli uomini e le donne intorno al ring lo schernivano, i volti deformati dalla luce delle torce. Non appena si mosse, il pietrisco appuntito gli affondò nelle piante dei piedi nudi.

    «È questo il tuo nuovo candidato, Hatchet?», sghignazzò un uomo dagli occhi neri e infossati e la carnagione giallognola.

    «L’ho preso a Jocoxa un paio di mesi fa», rispose Hatchet. «È da un po’ che lo alleno».

    Hatchet era un uomo tarchiato, con la pelle bruciata dal sole e il brutto vizio di mangiucchiarsi le croste delle ferite mezzo rimarginate.

    Il ragazzo senza nome si toccò il collo, sfiorando con le dita la cicatrice che aveva sulla gola.

    Hatchet lo aveva marchiato.

    Il tizio con la pelle giallognola sorrise, scoprendo piccoli denti aguzzi da furetto. «Argo ne ha già buttati giù quattro, di mocciosi malnutriti come questo».

    Voltandosi, il ragazzo senza nome vide Argo in piedi all’altro lato del ring, sul braccio destro quattro bruciature in rilievo brillavano sotto la luce tremolante. Un sottile velo di barba corpiva uno strano ghigno.

    La folla iniziò a fischiare e applaudire. Il segnale d’inizio, forse.

    Argo avanzò a passo svelto verso il ragazzo senza nome che provò a spostarsi di lato. Ma inciampò.

    «Sta’ attento!», urlò Hatchet.

    Quando Argo lo assalì il ragazzo senza nome si voltò frastornato in cerca degli occhi acquosi di Hatchet.

    I pugni gli arrivavano da ogni lato, gli piovevano sul viso, sulla testa e sul petto. Non riusciva a respirare né a vedere. I colpi scendevano sempre più forti e veloci, come chicchi di grandine.

    Il ragazzo senza nome si piegò a metà e prese una ginocchiata in faccia. Si ritrovò a terra.

    Da lontano, sentì Hatchet che gridava: «Alzati in piedi! Rialzati, brutto…».

    Ma lui non si rialzò.

    Argo lo voltò a pancia in su, gli immobilizzò il torace e sollevò il pugno, pronto a colpirlo.

    In quel preciso istante, il ragazzo senza nome capì che era la fine. Stava per morire.

    Avrebbe smesso di respirare. Di esistere. Di soffrire. Sarebbe stato facile.

    Ma lui non voleva morire.

    E quando si rese conto di questo – che voleva vivere, per quanto fosse difficile e doloroso – qualcosa si sprigionò dentro di lui, qualcosa di nascosto, orribile e potente al tempo stesso.

    Argo rallentò.

    Ogni cosa rallentò.

    Come se i secondi si dilatassero fino a diventare minuti, e i minuti ore, il ragazzo senza nome rivide l’inizio del combattimento e tutti i colpi subiti fino a quel momento, in ogni singolo dettaglio, chiari e nitidi di fronte a lui. Poteva vedere le ferite di Argo, le ossa che si erano rimarginate al di là della pelle. Riusciva a percepire i punti deboli di ogni articolazione, come boccioli di dolore pronti a fiorire.

    Argo scagliò il pugno ma colpì solo il terreno, il suo avversario riuscì a evitarlo, gli immobilizzò le gambe con le sue e rotolò di lato, capovolgendo la situazione.

    «Bravo, ragazzo! Reagisci!», urlò Hatchet.

    A quel punto avrebbe potuto colpirlo. Ma il ragazzo senza nome balzò in piedi e cominciò a guardarsi intorno.

    Poteva vedere tutto. Sapeva quali erano le torce più facili da prendere e quanto tempo avrebbe impiegato a raggiungerle. Sapeva quali delle rocce che delimitavano il cerchio potevano tramutarsi in armi perfette. Contò pistole e coltelli nascosti tra la folla, individuò i punti in cui la terra era scivolosa e correre sarebbe stato difficile. Poteva vedere tutto quanto.

    Quando Argo si rialzò, il ragazzo senza nome lo colpì in faccia. La carne molliccia si piegò sotto le sue nocche. Continuò a colpirlo ancora e ancora, forte e veloce, lì dove gli avrebbe fatto più male. Dove avrebbe causato più danni.

    Era semplice.

    Naturale.

    Come respirare.

    Le rotule di Argo si frantumarono. I legamenti si spezzarono. Il ragazzo senza nome lo colpì alla clavicola. Riuscì quasi a sentire i frammenti di ossa perforare la pelle.

    Argo piangeva. Stava cercando di strisciare verso il bordo dell’arena, ma braccia e gambe non funzionavano più. Era coperto di terra.

    La folla bramava sangue.

    Il ragazzo senza nome si inginocchiò e raccolse una pietra appuntita.

    Era quasi fatta, ormai. Vedeva la fine davvero vicina.

    Gli occhi di Argo erano spalancati per la paura. Con le gengive coperte di sangue lo supplicava di risparmiarlo.

    Ma il ragazzo senza nome non ascoltava.

    Vivere significava uccidere. Adesso lo capiva e sapeva cosa doveva fare.

    Prese la pietra e la affondò con forza sul viso di Argo. Ne sentì l’impatto, le ossa, la carne e la barba che si deformavano all’improvviso. Niente più suppliche ora.

    Sollevò di nuovo la pietra.

    Capitolo 1

    fiore_fmt.png

    Quarzo e occhio di tigre

    Sefia abbassò lo sguardo verso Arciere, sdraiato in una nicchia tra le rocce insieme al resto della loro roba. Il ragazzo si agitò di colpo, scoprendosi il petto, poi si calmò di nuovo. La luna si era alzata in cielo da due ore appena, ma Arciere si era già addormentato e svegliato molte volte, affondava di continuo sotto la superficie dei sogni finché non riusciva a riaffacciarsi alla soglia della veglia cosciente, con il respiro affannato.

    Anche in quel momento, non sembrava che stesse davvero riposando: aveva le sopracciglia arcuate, le dita contratte, le labbra tese in un ghigno o in un grido silenzioso. Sefia avrebbe voluto andare da lui, accarezzargli la fronte e distendergli i pugni serrati, ma da quando erano fuggiti Arciere si comportava in maniera diversa, distante. L’incontro con la Guardia lo aveva cambiato. Come aveva cambiato il loro modo di stare insieme.

    Aveva cambiato tutto.

    Accovacciata su un masso di granito, Sefia si rannicchiò sotto la coperta. Avrebbe di gran lunga preferito la sua amaca a quella nicchia tra i massi, ma l’amaca era rimasta sul pavimento dell’ufficio di Tanin, insieme alla maggior parte delle sue provviste e a Nin, la zia che aveva giurato di salvare. La zia che aveva deluso. Un corpo gracile sotto il cappotto di pelle d’orso.

    Sefia rabbrividì ricordando quanto era successo dopo: lo scintillio della lama, la pelle di Tanin che si lacerava. Era la seconda persona che aveva ucciso.

    La Guardia gliel’avrebbe fatta pagare cara, se l’avesse trovata. Adesso i Direttori assassinati dalla sua famiglia erano due.

    Socchiuse gli occhi e fissò la foresta, lo faceva di continuo. Risvegliava il senso speciale che aveva ereditato da sua madre – e da suo padre – e ridestava la magia.

    Era sempre lì, sempre in movimento, come un oceano tempestoso sotto una coltre di ghiaccio. Perché il mondo era molto più di quello che si poteva vedere, sentire o toccare. Per chi possedeva il dono, il mondo diventava illuminato – ogni oggetto scorreva all’interno del flusso della propria storia, ogni momento diveniva accessibile, se solo sapevi dove cercare.

    Sbatté le palpebre e la sua Visione prese vita: vorticose correnti dorate e milioni di minuscole particelle luminose che accompagnavano il soffio del vento, il lieve sollevarsi degli alberi, il sospiro di materiale in putrefazione che dolcemente si consegnava al terreno. Nella vallata di sotto, a tre chilometri dal loro accampamento, la remota città alpina di Cascarra si estendeva lungo le rive del fiume Olivine. Da lì, Sefia vedeva i lampioni che come perline dorate illuminavano le strade e i depositi di legname, mentre i barconi tiravano leggermente gli ormeggi e spirali di fumo uscivano dai tetti appuntiti. Nulla disturbava la quiete.

    Sbatté di nuovo le palpebre e la sua Visione – che la Guardia chiamava Vista – svanì. Lei e Arciere erano al sicuro, per il momento. Non li avevano ancora raggiunti.

    Ma prima o poi li avrebbero presi. Proprio come avevano preso i suoi genitori.

    Lon e Mareah.

    Quando pensò a loro, il suo cuore si accartocciò come una foglia sotto la morsa del gelo. A volte stentava a credere che facessero parte di una società segreta di assassini e rapitori – proprio loro, le persone che l’avevano cresciuta, protetta e amata. Ma poi le tornava in mente il modo in cui sua madre faceva roteare i coltelli prima di tagliare le verdure. E come aveva ucciso un coyote che era riuscito a raggiungere i loro polli: con un unico colpo magistrale. E le tornava in mente anche suo padre alla finestra con il cannocchiale, intento a studiare l’oceano. Solo che ora Sefia sapeva la verità: cercava qualche traccia della Guardia, l’organizzazione che dava loro la caccia.

    Le avevano nascosto così tante cose – chi erano e tutto ciò che avevano fatto – e a causa dei loro segreti era stata costretta a scappare, mentre invece avrebbe potuto combattere. Era stata costretta a nascondersi, mentre avrebbe potuto essere libera. Nin era morta perché Sefia non era stata pronta. Per quanto amasse i suoi genitori, non sarebbe mai riuscita a perdonarli per questo.

    Né a perdonare se stessa.

    E ora doveva di nuovo scappare.

    Cinque giorni prima, lei e Arciere erano riusciti a seminare i segugi della Guardia via mare, facendo rotta verso nord e navigando lungo le coste rocciose di Deliene. Ma quando si erano accorti che una nave era sulle loro tracce e si avvicinava rapidamente, avevano rischiato il tutto per tutto, spingendo la loro imbarcazione alla massima velocità nel tentativo di toccare terra e seminare gli inseguitori.

    Si erano avventurati per il Crinale, un’alta catena montuosa che portava nella Zona Centrale, proprio nel cuore del reame. In mezzo alle vette, avevano seguito la strada per Cascarra nella speranza di trovare una barca che dal fiume li avrebbe riportati in mare.

    Dopo, avrebbero continuato a scappare. Il più a lungo possibile. Braccati, sempre, per il resto delle loro vite.

    Sefia rivolse la sua attenzione all’oggetto foderato in pelle che teneva in grembo. I libri erano rarissimi a Kelanna, la Guardia li aveva requisiti e tutti gli altri alla fine li avevano dimenticati, ormai non sapevano più leggere e scrivere. Ma quello non era un semplice libro. Era il Libro: infinito e pregno di magia, il registro di tutto ciò che era e che sarebbe stato, la testimonianza di ogni era storica messa nera su bianco.

    Come aveva fatto ogni sera da quando aveva ripreso la sua infinita fuga, Sefia sfilò con cura il rivestimento in pelle.

    Se solo avesse avuto il coraggio di guardare avrebbe potuto scoprire chi erano stati davvero i suoi genitori e perché avevano fatto quello che avevano fatto…

    Arciere si dimenò nel sonno, scoprendo le orribili bruciature che aveva sul collo. Dei ramoscelli secchi si spezzarono sotto il suo peso, riecheggiando come colpi di pistola nella foresta addormentata.

    Sefia controllò un’ultima volta i dintorni, ma il sottobosco era immobile.

    Con un sospiro, appoggiò di nuovo la schiena al masso. La copertina del Libro era rovinata e macchiata, con conchiglie e spirali sbiadite là dove un tempo c’erano state pietre preziose e decorazioni. Le uniche tracce di metallo che ancora rimanevano erano la fibbia e gli angoli dorati.

    Spinta dalla forza dell’abitudine, Sefia tracciò con un dito il simbolo al centro della copertina.

    capitolosimbolo

    Due linee curve per i suoi genitori. Una per Nin. Quella dritta per se stessa. E il cerchio per ciò che doveva fare: scoprire a cosa serviva il Libro. Salvare Nin. E, se possibile, punire i responsabili.

    Ma non trovava ancora la forza di aprire il Libro. Ancora non riusciva ad affrontare la verità. Stava per rimettere a posto la custodia di pelle, quando in lontananza si levò il rumore di un ramoscello spezzato.

    Con i nervi tesi, sbatté le palpebre e la Vista si riempì di correnti dorate. A est notò alcuni uomini che scendevano dalla montagna. Illuminati a intermittenza dai raggi della luna fra gli alberi, sembravano pesci in un laghetto buio che affioravano un secondo in superficie per poi immergersi di nuovo nell’oscurità.

    Segugi.

    Probabilmente l’ultima volta che Sefia si era guardata intorno loro si trovavano dall’altro versante della montagna. Ma ora si stavano avvicinando.

    Più in là, Arciere continuava ad agitarsi e finì per colpire lo zaino. La borraccia andò a sbattere contro il fodero della spada, tintinnando.

    I segugi si fermarono di colpo voltandosi verso Sefia. Nel Mondo Illuminato i loro occhi scintillarono, schizzando di qua e di là nelle orbite mentre scrutavano l’oscurità.

    Poi ripresero ad avanzare.

    Affinati da anni e anni di fuga, i sensi di Sefia si misero subito all’erta. Rimise velocemente a posto il Libro e balzò a terra tra i massi.

    Arciere si agitò di nuovo, allungando le braccia sul terreno. Faceva troppo rumore. Sefia lo circondò con le braccia, bloccandogli gli arti. Sotto di loro, gli aghi di pino caduti scoppiettavano come fiamme.

    Arciere spalancò di colpo gli occhi, grandi e dorati. Il panico gli inondò il volto. Sefia gli sentiva il cuore martellare nel petto, lo vedeva aprire e chiudere la bocca nella disperata ricerca di aria. Poi prese a dimenarsi, come un coniglio in trappola. E non riuscì più a tenerlo fermo.

    «Arciere», bisbigliò.

    Ma lui la spinse con forza contro le rocce. Il dolore le invase tutto il corpo.

    «Arciere», supplicava, con voce disperata. «Va tutto bene. Sono io. Sefia. Arciere».

    Il ragazzo si fermò all’istante. Aveva il respiro affannato, troppo rumoroso.

    Finalmente si lasciò abbracciare. Sefia lo strinse, sentiva ancora il cuore del ragazzo battere forte e insistentemente contro la sua pelle. Erano così vicini che il respiro affannato di Arciere le carezzava la guancia. Si morse un labbro. Erano passati cinque giorni da quando l’aveva baciata. Cinque giorni e ancora sentiva la forma delle labbra premute sulle sue. Voleva lo facesse di nuovo.

    Sentendo un rumore di passi nella loro direzione, Arciere sollevò di scatto lo sguardo. Sefia conosceva bene quei suoni: erano gli stessi che avevano fatto un tempo lei e Nin, a caccia. Erano i passi di un uomo che segue una pista, i silenzi di chi è pronto a captare anche il minimo rumore. Erano a una trentina di metri di distanza? Quindici? Indicando la foresta, mimò con le labbra: Segugi.

    Arciere annuì, sbattendo gli occhi rapidamente. Silenzioso come un fiocco di neve, tirò fuori dalla tasca un pezzetto di quarzo e lo strofinò con il pollice, proprio come gli aveva insegnato Sefia più di un mese prima: serviva a calmare il panico, a ricordargli che era al sicuro.

    Ma loro non erano al sicuro.

    Da una fessura tra le rocce, Sefia osservò quelle ombre che si aggiravano tra gli alberi. I segugi li avevano circondati ormai. Con i fucili illuminati dalle stelle e gli occhi offuscati dalle ombre, setacciavano la terra in cerca di impronte.

    Ci troveranno. Chiunque avesse una minima abilità nel seguire una pista, avrebbe subito riconosciuto i segni del loro piccolo accampamento. Non restava che spostarsi. E alla svelta.

    Richiamando di nuovo la Vista, iniziò a muovere le dita. Nel Mondo Illuminato i fasci di luce si tesero e scattarono come le corde di un violino, increspando i filamenti dorati. Dieci metri più in là, sul pendio rivolto a Cascarra, un ramoscello secco si spezzò.

    I segugi si chinarono. Imbracciarono i fucili. Erano così silenziosi… e veloci.

    Lo fece di nuovo, ancora più lontano stavolta.

    Con un cenno, il capo ordinò al resto della squadra di seguirlo verso la valle del fiume. Così camminarono di soppiatto nella direzione dei ramoscelli spezzati, verso la città, sempre più lontano da Sefia e Arciere.

    Man mano che il battito tornava regolare, Sefia si rese conto di essere ancora stretta ad Arciere, che nel frattempo aveva smesso di strofinare il dito sul cristallo e, immobile come una pietra, la guardava con occhi stanchi e assonnati. «Ti ho fatto male?», bisbigliò lui.

    Il timbro della sua voce continuava a sorprenderla persino dopo cinque giorni, con quelle sue tonalità di fuoco e buio, come la pietra occhio di tigre.

    «No». Sefia si mise in ginocchio, provando a ignorare il dolore tra le scapole. Dovevano spostarsi in fretta, prima che i segugi si rendessero conto che non erano a Cascarra. Afferrò la sua coperta.

    «Mi sono svegliato senza capire dove fossi… Visto che non riuscivo a muovermi, ho pensato… Mi dispiace, io…». Arciere si tirò su, e per un attimo Sefia pensò che stesse per completare la frase, e invece chiuse la bocca e si toccò la cicatrice intorno al collo – la bruciatura che i marchiatori facevano a tutti i ragazzi, per contrassegnarli come possibili candidati. Per anni la Guardia aveva cercato il ragazzo che avrebbe dovuto condurli alla vittoria nella guerra più sanguinaria che Kelanna avesse mai visto. Un assassino. Un capitano. Un comandante.

    Arciere era stato uno dei candidati, e questo gli aveva tolto ogni cosa – il nome, la voce, la memoria – lasciando solo l’ombra di una persona.

    Dopo il loro incontro con la Guardia ogni ricordo era tornato a galla. Ma Arciere non le aveva ancora mai svelato il suo vero nome e, in momenti come quello, Sefia aveva l’impressione di conoscerlo ancora meno di prima.

    Esattamente come i miei genitori, pensò con una punta di amarezza.

    «Ci hanno quasi presi», disse Arciere rimettendosi in tasca il pezzo di quarzo.

    «Mi dispiace. Non sapevo fossero così vicini».

    «Ma avresti potuto saperlo». Fece scivolare lo sguardo sul Libro. «Potresti sapere sempre dove si trovano. E noi potremmo anticipare ogni loro mossa».

    Sefia s’irrigidì. Arciere aveva ragione, ovviamente: il Libro conteneva passato, presente e futuro. Ogni singolo movimento della Guardia si trovava da qualche parte lì dentro, seppellito nei registri della storia. Con quello, lei e Arciere avrebbero potuto eludere la Guardia con estrema facilità. Se fossero stati abbastanza furbi, sarebbero potuti sfuggire alle grinfie del nemico per sempre. E magari essere liberi.

    Ma Sefia aveva paura. Paura di quello che avrebbe potuto trovare in quelle pagine. Paura di quello che avrebbero potuto svelarle sulla sua famiglia… e su tutte le orribili azioni che forse avevano commesso.

    Ma se serviva a tenere Arciere al sicuro dalla Guardia… Arciere, che aveva combattuto, che aveva passato notti insonni e si era privato del cibo per lei. Arciere, che aveva riacquistato la memoria e sembrava persino più afflitto di prima.

    Incrociò il suo sguardo, fermo e solenne. «Va bene».

    Si mise in una pozza di luce lunare, si appoggiò il Libro sulle ginocchia e tolse la fodera in pelle. Abbassandosi fino a sfiorare il simbolopallido.png con le labbra, mormorò: «Mostrami cosa sta facendo la Guardia in questo momento».

    Con un respiro profondo, sganciò la fibbia. I fogli scorsero sotto le sue dita e si placarono come due pianure striate di inchiostro.

    Sefia percepiva la presenza di Arciere lì con lei. In attesa.

    «La camera era un disastro», lesse Sefia con un filo di voce, come se la Guardia potesse sentirla. Rabbrividendo perlustrò i dintorni con lo sguardo, ma i segugi erano scomparsi ormai da tempo. Erano al sicuro. Per ora.

    Così tornò al Libro. «Tomi aperti e diversi fogli erano disordinatamente accatastati sul copriletto, formando montagne di libri e fiumi di pergamene…». Fece scorrere lo sguardo più giù. «Oh no. No».

    Si era sbagliata.

    Non erano mai stati al sicuro. Potevano fuggire lontano, potevano nascondersi, ma non sarebbero mai stati liberi

    primapergamenaprimapergamenaprimapergamenaprimapergamenaprimapergamenaprimapergamenaprimapergamena

    Capitolo 2

    fiore_fmt.png

    Fuggitivi

    Sefia fissava le pagine, sgomenta. Credeva davvero di aver ucciso Tanin – lo sguardo sorpreso, il sangue che scorreva. Credeva davvero di aver vendicato la sua famiglia.

    Ma si era sbagliata. Si era sbagliata su un sacco di cose.

    «I marchiatori sono stati un’idea di tuo padre?», chiese Arciere. Aveva lo sguardo severo e infranto, affilato come un pezzo di vetro. Senza volerlo, Sefia gli fissò la cicatrice sulla gola, chiara e sporgente.

    Il rapimento di Arciere. La cicatrice. Gli incubi.

    Tutta colpa dei suoi genitori.

    Le marchiature, la tortura, i combattimenti. Tutti quei ragazzini morti.

    I suoi genitori. Le persone che aveva amato e ammirato. Come avevano potuto fare una cosa simile?

    Per un attimo sperò che Arciere l’abbracciasse e la stringesse forte, senza lasciarla andare finché il mondo non fosse tornato a girare nel verso giusto. Ma non poteva chiedergli una cosa del genere, non più ormai. «Io… Mi dispiace. Non lo sapevo», bisbigliò.

    Arciere serrò la mascella. I tendini del collo erano tesi sotto la cicatrice. «Non potevi saperlo», disse alla fine. Non aveva aggiunto che andava tutto bene, notò Sefia. Ma forse più niente sarebbe andato bene tra loro.

    «Non me lo hanno detto. Nessuno l’ha fatto». Piegò l’angolo della pagina e chiuse il Libro. Il simbolo sulla copertina le dava il tormento. Due linee curve per i suoi genitori. Una per Nin. Quella dritta per se stessa. Risposte. Riscatto. Vendetta.

    Era stata così ingenua. Voleva strappare la copertina del libro, voleva spaccare qualcosa in mille pezzi. Tanin, per aver ucciso Nin. I suoi genitori, per averle tenuto nascoste così tante cose. La Guardia, per aver causato tutti quei danni.

    Ma c’era solo una cosa che poteva fare. L’unica a cui era stata preparata. Fuggire. Riavvolgendo il Libro nella custodia di pelle, Sefia lo ricacciò in fondo allo zaino e si scostò una ciocca di capelli dagli occhi. «Sei ancora con me?».

    In silenzio, Arciere la fissò così a lungo che a Sefia parve quasi di vedere la stanchezza dipingergli pian piano le borse sotto agli occhi. La incolpava per quel che avevano fatto i suoi genitori? Voleva abbandonarla, dopo tutto quello che avevano passato insieme?

    No, ti prego, non farmi questo.

    Alla fine annuì, ma adesso non la guardava più negli occhi.

    «Andiamo, allora».

    Arciere si toccò velocemente la tempia e indicò Cascarra. Stava per sorgere il sole e le strade iniziavano ad animarsi.

    «No, non possiamo lasciare Deliene da quella parte, dobbiamo andare a nord».

    Mentre mettevano via la loro roba, Sefia descrisse le Montagne di Szythi che sorgevano sulle rive a nord ovest di Deliene. D’estate le vette aguzze ospitavano di tanto in tanto qualche pastore con il suo gregge, ma con l’avvicinarsi dell’autunno sarebbero presto tornate deserte. Nessuno osava sfidare gli altipiani nei mesi freddi, quando il cibo e la legna scarseggiavano e le temperature scendevano drasticamente sotto lo zero.

    «Le Montagne di Szythi non sono certo la mia prima scelta», disse. «Ma che alternative abbiamo?».

    In un silenzio colmo di disagio, si misero gli zaini in spalla. Prima che Arciere riacquistasse la parola, Sefia aveva convissuto per giorni e giorni con il suo mutismo. Era una cosa rassicurante, familiare. Come essere avvolta in un cappotto caldo.

    Ma ora quel silenzio era carico della pesante verità sui suoi genitori, del passato che Arciere non riusciva a raccontarle, del ricordo del loro bacio.

    Ripensò a ciò che Tanin aveva detto su Lon e Mareah, e provò lo stesso dolore per i segreti dei suoi… e per quelli di Arciere. Se davvero mi avessero voluto bene, si sarebbero fidati di me.

    Strinse le mani intorno alle bretelle dello zaino. «Andiamo, avanti».

    Con movimenti rapidi coprirono le loro tracce sul terreno e sgattaiolarono via mentre l’alba accarezzava le cime degli altipiani e la luce del giorno li inseguiva attraverso gli aghi dei pini.

    Per raggiungere le Montagne di Szythi, comunque, dovevano prima attraversare l’irregolare distesa della Zona Centrale di Deliene: colline ondeggianti che ricordavano un oceano dorato puntellato dal bestiame e agitato dal vento. Una distesa aperta, esposta, pericolosa.

    Sull’ultima vetta del Crinale, Arciere si fece ombra con una mano per osservare attentamente quel rettangolo di terra al centro del Regno del Nord.

    «Hai mai visto la Zona Centrale di Deliene prima?», chiese Sefia, mettendo il tappo alla borraccia.

    «Non sono mai stato fuori da Oxscini».

    Sefia sollevò lo sguardo, studiando il suo profilo irregolare. Quindi Arciere era nato nel Regno della Foresta, proprio dove l’aveva trovato più di un mese prima nella cassa marchiata con il simbolo simbolopallido.png . Chissà se la sua era una famiglia di costruttori navali o di taglialegna dell’entroterra. Forse erano stati membri della Flotta Reale. Magari Arciere era orfano e aveva perso i genitori cinque anni prima, quando Everica, il Regno di Pietra dell’est, aveva dichiarato guerra a Oxscini.

    Anche quello faceva parte del piano dei suoi genitori?

    Deglutendo, riagganciò la borraccia allo zaino. «Dovremo tenerci lontano dalle strade, se vogliamo arrivare alle Montagne di Szythi senza farci notare».

    Arciere si stropicciò gli occhi, ancora in preda alla stanchezza, come se avesse difficoltà a distinguere il sonno dalla veglia. «E poi?».

    Sefia riprese a camminare verso nord. «Con un po’ di fortuna sopravvivremo all’inverno».

    «E dopo?», chiese lui. «Cosa faremo dopo?»

    «Non lo so. Continueremo a scappare».

    Ma in qualche modo, quell’opzione non le sembrava più abbastanza.

    Avventurandosi fra le colline rinsecchite, iniziarono a seguire le impronte di un gregge, lontano da strade principali e occhi indiscreti. Ma ben presto si resero conto di non essere i soli viandanti che cercavano di passare inosservati.

    In mezzo alla terra arida e ai piccoli cumuli di escrementi, trovarono tracce di ruote, orme di cavalli e impronte di stivali, a decine. Sefia non aveva proprio alcuna voglia di imbattersi in una comitiva così numerosa.

    Sbattendo le palpebre, richiamò la Vista e fiumi di correnti dorate iniziarono a scorrerle davanti. La quantità di informazioni presenti nel Mondo Illuminato in genere la confondeva, sopraffacendola. Era un oceano di storia, che rischiava di trascinare a largo la sua coscienza riducendo il suo corpo a un mero guscio vuoto. Ma da quando aveva iniziato ad allenarsi, aveva capito che le bastava focalizzare la Vista su un segno – un graffio, un dente, una cicatrice – che la tenesse ancorata per non perdersi.

    Concentrandosi sulle impronte polverose, vide che venti persone – alcune a piedi, altre a cavallo e altre ancora su dei carri – avevano solcato quella stessa strada poche ore prima.

    Trattenne il fiato. Sui carri erano state caricate delle casse di legno, e su tutte era inciso simbolopallido.png : il simbolo del Libro, lo stesso che aveva visto sei settimane prima, quando aveva tirato fuori Arciere da una cassa simile.

    Sbatté le palpebre ancora una volta e la visione scomparve.

    Arciere si toccò la fronte con un dito, il suo vecchio modo di chiederle: che c’è?

    Poteva mentirgli. Tenerlo all’oscuro. Ma non voleva che tra loro le cose iniziassero a funzionare così.

    «Marchiatori», bisbigliò.

    Capitolo 3

    fiore_fmt.png

    Il richiamo del fulmine

    Marchiatori. Quella parola fece affiorare tutti i ricordi che tormentavano Arciere ogni volta che chiudeva gli occhi: Hatchet, Barbarossa, Palo Kanta, i combattimenti, le catene e le casse, il ferro infuocato che gli marchiava l’avambraccio – lo sfrigolio della carne e la puzza di bruciato – per segnare tutte le sue vittorie.

    I ragazzi che aveva ucciso.

    La bestia che era stato.

    Ai suoi piedi, i solchi delle ruote e le impronte degli stivali si confondevano nella terra mentre osservava il tragitto polveroso. Si toccò il braccio, le dita sfiorarono le bruciature che i marchiatori gli avevano inflitto. La chiamavano la conta: un registro ufficiale dei ragazzi che aveva ucciso. Quindici combattimenti supervisionati da Arbitri. Quindici morti per cui Hatchet era stato pagato fior di quattrini. Quindici bruciature che lo avrebbero portato alla battaglia finale a Jahara, dove l’ultimo assassinio gli avrebbe fatto ottenere un incontro con la Guardia.

    Le unghie affondarono nella carne. Aveva ucciso molte più persone, in realtà. E ora lo sapeva. Nell’ufficio della Guardia a Corabel, Rajar gli aveva fatto tornare la memoria e, con quella, anche la voce, la coscienza e il senso di colpa.

    Chiuse gli occhi e l’incubo

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