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Fuoco blu
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E-book269 pagine3 ore

Fuoco blu

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Info su questo ebook

In principio, la Terra era fuoco.
Dal fuoco sorsero i draghi, che levarono i loro ruggiti verso la Grande Madre Ish, splendente nel cielo.

Sono trascorsi quindici anni da quando i draghi hanno rivelato la loro esistenza all’umanità e il mondo è stato sconvolto da un conflitto devastante, ma non tutti sono felici della società rispettosa dell’ambiente imposta dai nuovi padroni della Terra. Al seguito di un gruppetto di aspiranti rivoltosi, Cameron è convinto di cercare nel mezzo del deserto la possibilità di un futuro più libero; scoperta una realtà terribile e tradito da quelli che credeva essere amici, capirà che gli unici in grado di tenerlo al sicuro sono proprio i draghi, perché stanno lottando tutti per il bene dello stesso pianeta.
Con quasi due milioni di anni di esistenza alle spalle, Klaus pensava di seguire dei ribelli per sventare una minaccia all’equilibrio raggiunto a fatica dalle due specie, non immaginava che un giovane umano baciato da Ish avrebbe scatenato il suo fuoco interiore e cambiato per sempre la sua vita.
Uomo e drago, diversi eppure simili, dovranno lottare contro la follia di chi vuole distruggere il mondo, mentre un sentimento improvviso sboccia nei loro cuori. Ish non compie errori, la fiamma che ha acceso nei loro animi è destinata a bruciare per l’eternità.
LinguaItaliano
Data di uscita16 mar 2022
ISBN9791220702553
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    Anteprima del libro

    Fuoco blu - Aurora R. Corsini

    1

    Due giorni prima


    «Drago!»

    Il grido risuonò al di sopra del rombo del motore e spezzò il fischio del vento, che sferzava da ore nelle orecchie di Cameron.

    «Drago,» urlò di nuovo la voce crepitante di Diego, uscendo dalla ricetrasmittente. «A est, viaggia veloce.»

    Est. Dov’era l’est?

    Per un attimo Cameron perse del tutto il senso dell’orientamento, girando freneticamente la testa da un lato all’altro nel tentativo di scorgere qualcosa nel cielo. Il sole abbacinante del pomeriggio definiva i contorni polverosi del deserto, in quello che un tempo era stato il New Mexico. O forse lo era ancora; niente sembrava più avere una definizione certa ormai, da quando la società americana si era sbriciolata e lottava per ricomporsi. Rocce, cespugli rinsecchiti e sabbia si estendevano fino all’orizzonte: un paesaggio desolato eppure meraviglioso nella propria apparente immobilità.

    «Coprite tutto.»

    L’ordine perentorio di A.J. lo riscosse dalla confusione e Cameron fermò la jeep, spalancando la portiera e catapultandosi fuori ancora prima che il motore si fosse spento del tutto. Corse sul retro del veicolo e aprì il portellone per agguantare il telone termico che, in teoria, avrebbe dovuto proteggerli. Un uggiolio insistente lo raggiunse prima che lo richiudesse.

    «Sta’ buona, Lily, non preoccuparti,» disse con un tono più rassicurante possibile, spiegando il fagotto opaco, di un marrone grigiastro simile a quello del terreno che li circondava.

    Il suo cane, accucciato sui sedili posteriori, si quietò subito e lo osservò mentre gettava un’estremità del telo sul cofano della jeep. Il materiale di cui era fatto serviva a isolare il calore e impedire che si disperdesse; era stato ideato per proteggere dal freddo, ma era utile anche per nascondere la traccia termica di una persona. O di un veicolo.

    Almeno così gli avevano detto, non l’aveva mai testato di persona.

    «Sembra che stiamo per scoprirlo,» borbottò Cameron, sbuffando mentre lottava per srotolare il telone sopra il tettuccio della macchina.

    Sentiva gli altri fare lo stesso con il furgone lì accanto, però non aveva tempo per controllare i loro progressi. Dovevano sbrigarsi, quelle maledette lucertole erano veloci e potevano piombarti addosso in un secondo, prima ancora che tu capissi cosa stesse succedendo.

    «Ti aiuto,» disse A.J., comparendo di colpo dall’altro lato della jeep e afferrando il bordo opposto del telone.

    Lavorando insieme, ricoprirono l’auto in fretta, accucciandosi per controllare che fosse completamente nascosta fino alle ruote. Mentre si rialzava, Cameron lanciò un’occhiata al cielo sopra di loro: una distesa azzurro brillante, con qualche sbuffo di nuvola qua e là e una totale assenza di bestie volanti.

    «Siamo sicuri che sia…» Incontrò lo sguardo di A.J. e vi scorse la stessa preoccupazione che sentiva dentro di sé. I radar non sbagliavano: era impossibile confondere l’avanzata dei draghi con quella lineare di un velivolo, perché sfruttavano le correnti d’aria ed erano in grado di cambiare rotta e gettarsi in picchiata con la rapidità fulminea di un rapace, a dispetto delle dimensioni enormi.

    «A posto?» gridò A.J. ai loro compagni, che stavano finendo di schermare il furgone.

    «Tutto ok,» fu la risposta affannosa di Bob, che sbuffava per la fatica. L’ampio girovita non gli era d’aiuto in situazioni come quella, ma la sua abilità nel procurare mezzi di trasporto e combustibile si era dimostrata molto utile per la spedizione.

    «Chiudetevi dentro, passiamo in silenzio radio finché Diego non dà il via libera.»

    Si mossero quasi all’unisono: Bob e Diego salirono sul furgone e Cameron si rimise al posto di guida della jeep, con A.J. al proprio fianco. In pochi istanti, la quiete scese su quel pezzo di deserto, il vento che soffiava tra le rocce l’unico suono a circondare i due veicoli celati dai teli termici e i loro occupanti.

    Sperava che funzionasse. Mentre pregava un potere celeste in cui in realtà non aveva mai creduto, si girò sul sedile e allungò un braccio verso Lily, che si era sdraiata con il muso sopra le zampe anteriori e lo fissava. Accarezzare il suo pelo folto lo tranquillizzò un poco, la familiarità del gesto come sempre placò l’ansia che gli attanagliava il petto. Il cane gli spinse il naso umido contro il palmo ed emise un basso guaito, forse avvertendo il suo bisogno di essere confortato.

    «Ssh,» sussurrò dolcemente. «Zitta, bella, va tutto bene.»

    Cameron avrebbe desiderato poter smettere persino di respirare, perché gli sembrava di produrre un frastuono assordante. I draghi percepivano le tracce di calore delle loro prede, ma quant’era fine il loro udito? Aveva il cervello talmente in confusione per la paura che non riusciva a ricordare a che distanza si stimasse fossero in grado di arrivare.

    Erano tutte supposizioni, però. Stavano basando le loro possibilità di sopravvivere su un mucchio di ipotesi, derivate da brandelli di informazioni presi qua e là. Quelle creature non rivelavano mai niente, restavano zitte e fissavano tutti con quegli inquietanti occhi dalle pupille verticali. Come se fossero le padrone del mondo.

    E lo erano, era inutile farsi illusioni.

    «Ma le cose cambieranno, riusciremo a trattare alla pari,» bisbigliò Cameron tra i denti serrati, tornando a sedersi dritto e scrutando il parabrezza oscurato dal telo. Essere in grado di guardare il cielo per controllare se fossero davvero al sicuro gli sarebbe stato di maggiore aiuto.

    L’abitacolo della jeep era avvolto nel buio, ma sottili lame di luce penetravano da sotto i bordi del telone, nei punti in cui non arrivava a ricoprire bene il terreno, e lui intravide lo sguardo di A.J. guizzare nella sua direzione.

    «Stai bene?» sussurrò l’uomo che era a tutti gli effetti al comando della loro missione, aggrottando le sopracciglia scure.

    Annuì, deglutendo a vuoto per il nervosismo prima di osare aprir bocca di nuovo. «Mi chiedevo solo se nascondersi così funzionerà.»

    «Loro non riescono a percepire il calore dei motori o dei nostri corpi, se restiamo sotto i teli.» La voce di A.J. era ferma e sicura, nonostante si sforzasse di parlare piano. «Siamo isolati.»

    «L’avevi già fatto?»

    L’altro fece un cenno affermativo con la testa, sprofondando nel sedile e incrociando le braccia. «Dobbiamo soltanto avere un po’ di pazienza, non preoccuparti.»

    Osservandolo calarsi il cappellino sulla fronte e chiudere gli occhi, come se fosse intenzionato a sfruttare quella pausa imposta per riposare un po’, Cameron si domandò quale fosse di preciso la sua storia. Sapeva che era stato nell’esercito e poi nella polizia, ma non si era mai azzardato a indagare più a fondo. Prima – prima di quella notte maledetta, del fuoco nei cieli, della distruzione sulla Terra, dei draghi – tutti loro erano stati qualcos’altro: poliziotti, studenti, medici, figli, fratelli, padri.

    Uomini, prima della fine del mondo erano stati degli uomini, convinti che non esistesse niente nell’universo che non conoscessero. Padroni incontrastati della natura, capaci di piegare ogni cosa al proprio volere. Erano stati degli sciocchi e ora ne stavano pagando le conseguenze.

    Detestava avere pensieri del genere, eppure non riusciva a negarne la verità. Sua madre aveva ripetuto spesso che il pianeta prima o poi si sarebbe ribellato allo sfruttamento umano; sebbene all’epoca fosse stato solo un bambino, ricordava perfettamente le sue discussioni con zia Mary sul riscaldamento globale, mentre tentava di convincere la cognata di quanto fosse reale e pericoloso.

    Evelyn Jacobs aveva avuto ragione, anche se non avrebbe mai immaginato che a far cambiare rotta all’umanità non sarebbe stato un trattato o un accordo tra nazioni, ma il dominio ecologista imposto dai draghi, il cui comandamento supremo era il rispetto della Terra e di tutti i suoi abitanti. Il concetto di usa e getta, tanto caro alla società consumista, era stato cancellato a favore di principi come il riciclo e il riutilizzo; non tutto era perfetto e la situazione si stava ancora evolvendo, però quelle creature lavoravano insieme agli uomini, obbligandoli a collaborare.

    Molto probabilmente i suoi compagni si sarebbero infuriati, se avessero saputo che, in fin dei conti, Cameron non disapprovava davvero il nuovo percorso intrapreso dalla società umana, ma non poteva dimenticare gli insegnamenti ricevuti dai genitori. Magari non abbracciava proprio fino in fondo i progetti di A.J., eppure l’aveva seguito nel deserto, perché quella gli sembrava l’unica strada per ottenere un rapporto più egualitario con i draghi.

    Rimasero in silenzio per quella che gli parve un’eternità e quando finalmente la sua mente in subbuglio si fu quietata, un crepitio nella ricetrasmittente segnalò la riattivazione del collegamento con il furgone.

    «Si è allontanato,» li informò Diego, il sollievo evidente nella voce. «Ha proseguito per la sua strada, senza cambiare rotta per raggiungerci.»

    «Ha funzionato,» esclamò Bob con entusiasmo. «Quel bastardo non è riuscito a sentirci.»

    Mezzo assordato dalle sue parole, che esplosero dalla radio agganciata al cruscotto, Cameron si massaggiò un orecchio con una smorfia. «Sembra di sì, siamo stati fortunati.»

    «Non è fortuna, siamo più furbi di quegli animali e gliela faremo vedere noi…»

    «Certo, certo,» lo interruppe A.J. con tono fermo. «Adesso ripartiamo, abbiamo parecchia strada da fare oggi.»

    Quell’ordine pacato fu sufficiente a spegnere qualsiasi principio di discussione. Cameron non sopportava l’arroganza di Bob ed era convinto che sottovalutasse l’intelligenza dei nuovi padroni del mondo, però come sempre tenne per sé le proprie opinioni e obbedì, scendendo dalla jeep per levare il telone e riporlo nel bagagliaio il più in fretta possibile. Il rifugio in cui avevano intenzione di trascorrere la notte era ancora lontano.

    2

    Il crepitio delle fiamme non avrebbe dovuto dargli i brividi, in teoria rappresentava qualcosa di buono. Calore, sicurezza, protezione. Dopotutto, l’umanità si era evoluta grazie alla scoperta del fuoco, imparando a controllarlo e utilizzarlo per i propri scopi.

    Mentre fissava le lingue colorate divorare i pezzetti di legno, Cameron non si sentiva per niente al sicuro. Rivedeva le case bruciare, la cenere prendere il posto di città intere e le bestie ruggenti che volteggiavano tra le spire di fumo.

    Ma non erano stati i draghi a iniziare la distruzione.

    Lanciò un’occhiata ai suoi compagni, chiedendosi se anche le loro riflessioni in quel momento avessero preso una deriva altrettanto morbosa. Seduti attorno al piccolo fuoco che avevano osato accendere per tenere lontano il freddo della notte, in un certo senso ricordavano quei primi uomini delle caverne.

    Si sfregò il volto e grattò la fastidiosa barba cresciuta negli ultimi giorni, desiderando avere dell’acqua per potersi radere. Poi gli sfuggì una risatina e vide Diego rivolgergli un’occhiata perplessa. «Stavo pensando che sembriamo degli uomini primitivi,» gli spiegò.

    «Caverna e fuoco ci sono,» replicò l’amico, indicando le pareti di roccia che li circondavano, poi guardò Bob e sogghignò. «E non siamo messi male nemmeno a pellicce.»

    Mordendosi le labbra per non sghignazzare, Cameron osservò a propria volta l’uomo, che era impegnato nel laborioso tentativo di cambiarsi la maglietta restando seduto sul proprio sacco a pelo. Stava lottando contro l’orlo arrotolato, che sembrava essersi incastrato da qualche parte, e il ventre prominente ancora nudo era ricoperto da una fitta peluria scura.

    «Di sicuro non soffrirà il freddo come noi, stanotte,» commentò lui, alzando la propria borraccia verso Diego in un brindisi ironico.

    Mentre loro scoppiavano a ridere, Bob riuscì finalmente a infilarsi la maglia nell’orlo dei pantaloni. «I veri uomini sono pelosi, non come voi fighette.» I suoi occhi scintillavano malevoli mentre si rimetteva il giaccone mimetico e chiudeva la cerniera. «Non avremmo perso la guerra, se ci fossero stati più uomini con le palle e meno ragazzine preoccupate solo di non rompersi un’unghia.»

    Stava per ricominciare con una delle solite tirate, Cameron non sopportava più l’ignoranza e il misto di omofobia e sessismo di ogni suo discorso. Prima che potesse interromperlo, pur sapendo che sarebbero finiti di nuovo a litigare, la risata squillante di Diego risuonò sotto la volta di pietra che li sovrastava.

    Si erano infilati in un sistema di caverne che si estendeva sotto un affioramento roccioso, un rifugio segnato sulla mappa che A.J. stava utilizzando per guidarli. Avevano lasciato la jeep e il furgone tra i cespugli vicino all’ingresso, coperti con i teli per mascherarli il più possibile, e poi si erano addentrati sottoterra fino a quella grotta dal fondo sabbioso e il soffitto perso nell’oscurità, nella speranza che il fuoco di cui avevano bisogno per riscaldarsi durante la notte non venisse scorto all’esterno.

    «Ma hai visto dove siamo, pendejo?» Diego sorrideva, ma nel suo sguardo brillava un principio di rabbia. «In una caverna, nel bel mezzo del deserto, a caccia di attrezzature per combattere i draghi: secondo te siamo delle fighette?»

    Non era positivo che il suo accento spagnolo si fosse appesantito, lo conosceva abbastanza da sapere che era un segno di quanto fosse sul punto di perdere il controllo. E pur essendo un metro e settantacinque scarso, tutto nervi e sguardi affilati, Diego non era un tipo con cui scherzare: era capace di lanciare un oggetto qualsiasi e prenderti dritto in fronte mentre con l’altra mano non smetteva di digitare al computer. Per fortuna in quei casi lasciava il coltello nel fodero, limitandosi a usarlo contro bersagli inanimati. Nel loro quartetto problematico, il suo compito era gestire la parte informatica e occuparsi del radar, per farli nascondere come era successo quel pomeriggio.

    «La smetti di rompere, Bob?» borbottò A.J. dal suo sacco a pelo, senza muoversi o levarsi il cappellino da sopra la faccia. «Fai un favore a tutti e stai zitto.»

    Le rughe sul volto tondo dell’altro uomo si accentuarono quando storse la bocca. «Tu non hai visto bruciare i tuoi figli, brutto stronzo, non dirmi di stare zitto.»

    Cameron sentì una fitta al petto e deglutì, cercando di scacciare il dolore. Certe notti, quando si svegliava in un bagno di sudore, pensava che forse sarebbe stato meglio essere là insieme a loro, invece di osservare in un incubo dopo l’altro il padre, la madre e la sorella morire nei modi più atroci. A volte sognava un rogo, con le fiamme che avvolgevano l’edificio, altre li immaginava vittime dei razziatori che avevano imperversato nelle strade mentre il mondo andava in pezzi. Conoscere la verità però non gli era di grande aiuto, o almeno quella che secondo A.J. veniva spacciata per verità, ora che si era insediato un nuovo governo. Lui non era più sicuro di cosa credere.

    «Non li hai visti bruciare, altrimenti saresti morto insieme a loro,» disse Diego, puntando un indice verso Bob in modo accusatorio. «Smettila di raccontarci questa balla, sappiamo tutti che tua moglie ti aveva lasciato e loro vivevano dove sono cadute le bombe.»

    Vaste zone degli Stati Uniti si erano ormai trasformate in lande desolate, alcune con pericolose concentrazioni di radiazioni e opere di bonifica in atto che sarebbero durate chissà quanto. I bombardamenti, nucleari e non, avevano spazzato via centinaia di migliaia di persone.

    Cameron sospirò e ruotò le spalle per rilassare i muscoli contratti, non si metteva bene. Non sarebbe stata la prima volta che quei due rischiavano di venire alle mani, ma quella sera era stanco e non aveva nessuna voglia di gettarsi nel mezzo per separarli. Quelle discussioni avvenivano talmente spesso che persino Lily si era abituata a sentire le loro voci furiose e non si scomponeva più; era rimasta distesa sull’estremità del suo sacco a pelo con il muso annidato tra le zampe, il pelo color miele illuminato a sprazzi dalle fiamme.

    «Mio fratello è morto davanti ai miei occhi.» La voce morbida di Diego aveva assunto una nota stridente. «Io l’ho visto morire, io.»

    Notando come stringeva i pugni, Cameron si allungò per posargli una mano su un braccio. Non parlò, non aveva bisogno di farlo; appena l’amico si voltò a guardarlo, lui fece un piccolo sorriso e seppe che si erano compresi quando lo vide calare le palpebre. Convivere con il dolore per aver perso la famiglia era ciò che li aveva fatti avvicinare, mentre frequentavano uno dei gruppi di supporto per i sopravvissuti. Erano stati entrambi dei ragazzini nel 2016, nel momento in cui il mondo era impazzito, ed erano diventati amici, condividendo le proprie storie e trovando un minimo di conforto nel raccontarle.

    Il fratello di Diego era stato ucciso mentre cercavano di fuggire da New York, insieme ad altri giovani sfollati; il loro autobus era stato bloccato da un gruppo di persone che volevano rubarlo e Carlos era stato raggiunto da un proiettile, dopo che l’autista era riuscito a superare gli aggressori. Non era qualcosa che poteva essere dimenticato tanto facilmente, per quello Cameron comprendeva alla perfezione la rabbia dell’amico ogniqualvolta Bob tirava fuori quel discorso.

    «Stai dicendo che i miei figli non sono morti?» esclamò l’uomo, balzando in piedi talmente di slancio che rischiò di inciampare e barcollò pericolosamente verso il fuoco, con la pancia che ondeggiava davanti a lui e sembrava tirarlo verso il basso.

    «Calmati, Bob.» Cameron si alzò e aprì le braccia in un gesto conciliatorio, nella speranza di spegnere quel litigio ancora prima che cominciasse. Sentiva Diego fremere dietro di sé, pronto a gettarsi contro quello che in quel momento considerava un avversario. «Nessuno ti sta accusando di mentire, ma devi smettere di raccontare di aver visto i tuoi figli morire, perché lo sappiamo tutti che non è vero. Non è rispettoso nei confronti di chi l’ha vissuto sul serio.»

    L’uomo si passò una mano tra i radi capelli grigi, il volto paonazzo bagnato di sudore, però annuì, muovendo la testa a scatti. «Hai ragione, scusa,» borbottò a mezza voce, lo sguardo rivolto verso il fondo sabbioso della grotta. «Scusami, Diego, ho detto una cazzata.»

    Dopo qualche istante di silenzio teso, l’altro grugnì una specie di assenso, poi si girò e afferrò lo zaino che aveva accanto, a quanto pareva intenzionato a ignorarli tutti e prepararsi per dormire. Meglio così, almeno avrebbe smaltito la rabbia.

    «Siamo a posto?» Cameron fissò Bob finché non annuì. «Bene, allora buonanotte.»

    Prese un paio di rami dalla catasta che avevano raccolto prima di inoltrarsi nelle caverne, li gettò sul fuoco e osservò le fiamme riprendere vigore, le lingue gialle e arancio che si agitavano e sembravano quasi danzare. Erano belle, uno spettacolo affascinante che avrebbe tanto voluto potersi godere senza il brivido di inquietudine che gli stava salendo lungo la schiena.

    I draghi gli avevano rubato anche quello.

    Sentiva il leggero russare di A.J., il respiro quieto di Lily e Diego e Bob che si muovevano dietro di lui, ma non aveva più voglia di far loro da madre, che si scannassero pure se pensavano fosse una buona idea. Era stanco, e non solo per le lunghe ore trascorse al volante sotto il sole in quegli ultimi giorni; a volte gli sembrava di non aver più dormito da quando aveva dodici anni e tutto il suo mondo era svanito per sempre.

    Chiudendo gli occhi, Cameron si chiese se avrebbe mai più ritrovato la pace. Era così stanco.

    3

    Arrotolato su se stesso nel buio, il drago sogghignò, soddisfatto. La sua spia stava lavorando bene, logorando con sapienza lo spirito di quel gruppetto di sbandati. Sbuffò dalle narici e mandò un’esile spirale di fumo a disperdersi nell’aria frizzante del deserto.

    Sì, stava proprio facendo un buon lavoro. Non aveva sbagliato affidandogli quell’incarico, nonostante la sua giovane età.

    Klaus contemplò la distesa di stelle nel cielo notturno mentre meditava; pur sforzandosi, non ricordava esattamente quando fosse nato il dryss. Trecento anni prima, forse meno. Era appena un cucciolo agli occhi di una creatura che aveva cavalcato i venti quando i primi uomini in grado di camminare eretti avevano cominciato a spandersi per il mondo.

    Ancora prima che l’umanità iniziasse a farlo, i draghi già tenevano conto di ogni giro compiuto dalla Terra intorno a Ish, scadenzando in tal modo le loro esistenze infinite. Ormai utilizzavano quasi tutti i termini umani per definire i cicli del tempo, ma tra di loro c’erano alcuni, soprattutto i Primi, che ancora si basavano sugli antichi calcoli, andando a ritroso fino alle ere remote in cui fuoco e vento dominavano ogni cosa.

    I dryss, o draghi minori, come la sua spia, non

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