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The Wild Boy
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E-book358 pagine4 ore

The Wild Boy

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Info su questo ebook

The Storm Series

Dall'autrice del bestseller The Bad Boy

Tru Bennett, giornalista musicale, è riuscita in un’impresa impossibile: conquistare il cuore di Jake Wethers, il tipico bad boy, per giunta rockstar. Ora stanno progettando di sposarsi e di vivere insieme negli Stati Uniti. Naturalmente a Tru mancano Londra e la sua migliore amica, Simone, ma la vita con Jake a Los Angeles è fantastica. O almeno così aveva immaginato… Perché in realtà essere una coppia molto nota può comportare conseguenze pesanti: dirigenti musicali avidi, paparazzi dietro l’angolo, il passato di Jake sempre in agguato. A peggiorare il clima arriva la riluttanza di Jake ad avere figli: sarebbero solo il modo per dire addio al suo successo. Tru ama Jake più di ogni altra cosa, ma la crisi minaccia di distruggere tutto quello che hanno costruito. E se l’amore che li unisce non fosse sufficiente?

Una storia che rimarrà nel cuore delle lettrici 

«Ho amato questo libro! Ho pianto, riso e sorriso. Non sono riuscita a smettere di leggerlo finché non sono arrivata all’ultima pagina…»

«Mi è piaciuta molto la storia d’amore tra Jake e Tru. È davvero ben scritta e con la giusta dose di romanticismo, sesso, contrasti e liti.»
Samantha Towle
Ha iniziato a scrivere mentre aspettava il primo figlio. Ha finito Nonostante tutto ti amo ancora cinque mesi dopo e da allora non ha più smesso di scrivere. The Wild Boy è il secondo capitolo della serie bestseller The Storm, di cui la Newton Compton ha già pubblicato The Bad Boy. Vive con il marito e i figli nell’East Yorkshire.
LinguaItaliano
Data di uscita16 nov 2016
ISBN9788822702807
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    Anteprima del libro

    The Wild Boy - Samantha Towle

    1434

    Questo libro è un’opera di fantasia.

    Nomi, personaggi, luoghi e avvenimenti sono frutto dell’immaginazione

    dell’autrice o sono usati in maniera fittizia.

    Qualunque somiglianza con fatti, luoghi o persone,

    reali, viventi o defunte è del tutto casuale.

    Titolo originale: Wethering The Storm

    Text copyright © 2013 Samantha Towle

    All rights reserved

    This edition made possible under a license arrangement

    originating with amazon Publishing,

    www.pub.com

    Traduzione dall’inglese di Valentina Cabras

    Prima edizione ebook: gennaio 2017

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-0280-7

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Samantha Towle

    The Wild Boy

    The Storm Series

    A coloro che hanno letto The Bad Boy, l’hanno amato, consigliato ad amici e familiari, hanno scritto recensioni e mi hanno mandato messaggi bellissimi… questo è per voi.

    Tru

    Capitolo uno

    Spostandomi gli occhiali sulla testa, giro il viso verso il sole ancora caldo del tardo pomeriggio. Lascio ciondolare la gamba dalla sdraio e infilo le dita dei piedi sotto la sabbia bianca. Jake è sulla sedia accanto, la sua mano nella mia, le dita intrecciate, e parla al telefono con Stuart.

    «Di’ loro di fare il lavoro per cui li pago. E se hanno dei problemi, fai presente che li posso sempre rimpiazzare. Lo so. Teste di cazzo… Ah, ti ricordi quella cosa che ti avevo chiesto di fare… L’hai fatta? Bene, grazie».

    Con un sospiro, chiude la telefonata e lancia il suo iPhone sul tavolino.

    «Tutto bene?», gli domando, girandomi a guardarlo.

    Dio, è stupendo. Non so se mi abituerò mai alla sua bellezza mozzafiato. E qui è ancora più attraente, con la pelle abbronzata e le lentiggini sul naso più evidenti. Ha un aspetto appetitoso.

    «Hmm? Sì, tutto a posto», risponde un po’ distratto. «Solo gente che non fa il lavoro per cui è pagata».

    «Ne vuoi parlare?»

    «No». Si porta la mia mano alla bocca e mi sfiora le nocche con le labbra, lasciando un bacio sull’anello. «Ci sono un sacco di cose che voglio fare con te mentre siamo qui, Tru, e parlare non è una di quelle».

    Ignorando il suo desiderio di non parlare di lavoro, gli chiedo: «Devi tornare prima a Los Angeles per risolvere il problema?».

    Jake si gira sul fianco per guardarmi. «No. Io e te resteremo qui insieme, da soli. Niente e nessuno mi farà allontanare da quest’isola e da te. Ho intenzione di passare i prossimi cinque giorni a tenerti con meno vestiti possibili addosso, se non proprio senza, e a scoparti fino a svenire».

    Un brivido mi corre lungo la schiena. Adoro quando mi parla così. Rozzo e dominatore, è sexy da impazzire.

    «Sei un romanticone», dico alzando gli occhi al cielo scherzosamente.

    «Non mi vorresti se non fossi così».

    Il mio sguardo si fa serio. «No, infatti».

    Allungo la mano e prendo la bottiglia d’acqua sul tavolino. Bevo un sorso e lascio che gli occhi scorrano sul meraviglioso panorama che ho davanti. Siamo su un’isola nelle Figi, Turtle Island, nell’arcipelago Yasawa. È dove hanno girato Laguna Blu. È privata ed esclusiva, e ci sono solo quattordici ville, ma siccome Jake è Jake, ha affittato tutta l’isola per una settimana. Un’intera settimana di isolamento, solo io e lui. Dave e Ben, le sue guardie del corpo, ovviamente sono con noi e stanno in una delle ville dall’altra parte dell’isola. Li ho visti a malapena da quando siamo arrivati. E, a parte il personale che vive qui, siamo soltanto noi due. È stato così gli scorsi due giorni ed è come stare in paradiso.

    Dopo il concerto al Madison Square Garden, quando Jake è scappato dal palco per corrermi dietro e chiedermi di sposarlo, le cose si sono fatte un po’ movimentate… be’, più movimentate, visto che la vita con Jake lo è sempre. Dopo tutto ciò che è successo quella notte, non riuscivo a pensare lucidamente, e non sono stata attenta quanto avrei dovuto: non mi sono tolta l’anello. E mentre Jake e io stavamo entrando in albergo dopo essere andati via dal concerto, un giornalista che aspettava fuori l’ha notato e si è scatenato l’inferno.

    Per i successivi due giorni siamo stati letteralmente rinchiusi in albergo. La stampa e i fan urlanti si erano riuniti fuori. Mancava l’aria. Quando Jake ha proposto di andare via dal Paese per un po’, ho accettato di buon grado.

    Ho lasciato che si occupasse lui dell’organizzazione. Non mi importava dove saremmo andati, purché fossimo soli. E lo siamo.

    Adoro stare qui con lui. È la prima volta da quando ci siamo messi insieme che siamo solo noi due. So di aver appena suggerito di tornare a Los Angeles, ma sinceramente è stata una cosa un po’ buttata lì. Non voglio rinunciare a tutto ciò che abbiamo adesso: la completa solitudine e la possibilità di fare quello che vogliamo quando vogliamo. Ma so che qualcosa del lavoro lo turba. Il tono che aveva mentre era al telefono con Stuart lo dimostra. Anche ora, intuisco che la sua mente è da un’altra parte mentre fissa l’oceano e picchietta le dita sulla mia mano.

    Odio quando non si confida con me. So che fa così per evitare di caricarmi di pesi sulle spalle, ma io voglio che lo faccia. Voglio che condivida tutto con me; le nostre vite sono intrecciate, ora, e non accetto che si faccia carico di tutto da solo. L’ultima volta che l’ha fatto ha ricominciato a drogarsi e ci siamo quasi persi. Jake è pulito solo da poche settimane, e desidero che resti così. Sono felice che sia qui, lontano da tutte le tentazioni. Be’, tutte tranne me, ovvio. Mi preoccupo, però, per come andranno le cose quando torneremo alla vita reale.

    «Ti va una nuotata prima del tramonto?», gli chiedo facendo un cenno in direzione dell’acqua che sbatte sul bagnasciuga bianco, decidendo di non insistere sull’argomento. Penserò ai suoi problemi di comunicazione dopo, quando sarà più rilassato.

    I suoi occhi si fissano sul mio corpo, il suo sguardo si sofferma su ogni curva facendomi involontariamente irrigidire tutti i muscoli, soprattutto quelli delle gambe.

    «Mi stai chiedendo se voglio vederti bagnata in bikini?». Un sorriso gli incurva le labbra, mentre inarca un sopracciglio. Abbasso lo sguardo sul mio due pezzi preferito, che è stato anche l’ultimo acquisto che ho fatto. È bianco a fiori rosa con dei brillantini. L’ho preso all’aeroporto, è stato amore a prima vista.

    «Ma come fai a trasformare in sesso una cosa così semplice come la mia proposta di fare il bagno?», gli chiedo ridendo, alzandomi dalla sdraio. Mi tolgo gli occhiali da sole dalla testa e li lascio sull’asciugamano. Con le mani sui fianchi, lo fisso.

    Gli occhi di Jake scorrono di nuovo sul mio corpo. «Se ci sei tu di mezzo, tesoro, il sesso c’entra sempre». Si alza anche lui con un movimento elegante e mi viene incontro.

    All’improvviso il mio corpo sente il bisogno del suo tocco. Non ne ho mai abbastanza di Jake, e voglio che continui a essere così.

    Lui mi stringe, e porto immediatamente le mani sui suoi addominali premendo le dita sui muscoli, mentre lo guardo in quei bellissimi occhi blu che potrei ammirare per tutta la vita.

    Un sorrisetto diabolico gli incurva le labbra mentre le sue mani grandi mi afferrano il sedere facendomi allacciare le gambe ai suoi fianchi.

    Naturalmente rispondo ben volentieri alla sua tacita richiesta. Gli porto le braccia al collo e gli passo le dita tra i folti capelli neri, baciandogli le labbra e sentendo l’erezione che mi preme contro.

    «Sei eccitato?», chiedo sorridendo.

    «Be’, tu sei sexy», risponde scrollando le spalle.

    Mi passa le labbra sul collo e mi accarezza la pelle con la lingua, mentre si avvia in mare. Avanza lentamente nell’acqua tiepida finché non ci arriva al petto. I miei capelli lunghi sono già bagnati; quindi, reggendomi alle sue spalle, inclino la testa all’indietro e immergo il resto.

    Mentre mi tiro su, incontro di nuovo il suo sguardo. «Cos’ho fatto per meritarti?», chiede. I suoi occhi all’improvviso sono insicuri. Qualsiasi dubbio gli stia passando per la testa, lo voglio cancellare, voglio rassicurarlo.

    «Mi chiedo la stessa cosa ogni giorno», sussurro. Ho bisogno che Jake si renda conto che non sono migliore di lui: ha i suoi difetti, ma anch’io ho i miei.

    Jake espira, chiude gli occhi per un attimo, si china e mi bacia. È un contatto che si porta via il mio rimpianto e, mentre mi perdo in lui, schiudo le labbra lasciando entrare la sua lingua, che accarezza la mia con movimenti lenti e calcolati. Sapendo bene a cosa questo bacio porterà, sussurro: «Vuoi tornare nella villa?». Sono prontissima e restare con lui senza vestiti.

    «No. Ti voglio qui, ora». Il tono della voce è autoritario come lo sono le sue mani mentre mi stringe i glutei e mi attira contro la sua erezione.

    «Ultimamente sei fissato con le esibizioni sessuali, Wethers?».

    Scoppia in una risata sonora, gutturale. «No, sono fissato con te. Ogni. Cazzo. Di. Secondo». Scandisce le parole una a una mentre mi lascia una scia di baci sulla spalla. I suoi denti mi sfiorano la pelle e i capezzoli mi si inturgidiscono, e sento il seno appesantirsi nel pezzo di sopra del costume.

    Mi guardo velocemente intorno. «E se qualcuno ci vede?».

    Jake fa lo stesso, con gli occhi che gli brillano. «Siamo in mezzo al nulla. Nell’oceano, tra l’altro. Chi cazzo vuoi che ci veda?»

    «La gente che lavora qui. O Dave. O Ben».

    «Allora assisteranno a un bello spettacolo».

    «Jake!», esclamo, dandogli uno schiaffo sulla spalla.

    Si volta verso di me e sfrega la punta del naso contro la mia. «Sanno che devono stare lontani. Siamo solo io e te, piccola».

    Senza inibizioni, come solo con lui riesco a essere, sussurro: «Se è così…», e gli premo le labbra sul collo, baciandolo. Faccio scorrere la lingua sulla sua pelle, sul punto sensibile appena sotto l’orecchio che so che lo fa impazzire. Jake rabbrividisce e mi stringe di più a sé, premendo i suoi fianchi contro i miei.

    Muovo la mano verso il basso, sott’acqua, e arrivo fino al costume. Incontro subito la sua erezione e la sfioro con le dita, accarezzandola come piace a lui. La sua bocca cerca la mia, gemendo, e mi bacia come se volesse divorarmi. Adoro che il suo desiderio nei miei confronti non si spenga mai. Abbiamo fatto l’amore spessissimo da quando siamo arrivati sull’isola; mi divora e mi consuma ogni volta, sempre con uguale intensità.

    Jake mi passa una mano sul seno e lo afferra, mi sposta il costume e con il pollice mi sfiora il capezzolo già turgido. Con l’altra mano lavora sulla parte di sotto del costume finché, da dietro, non trova l’apertura e infila un dito. Per il piacere ansimo sulle sue labbra.

    «Cazzo», geme, «non ce la faccio ad aspettare. Devo entrare dentro di te, ora».

    Adoro quando diventa esigente e famelico.

    Sciolgo le gambe dalla sua vita e gli abbasso il costume sui fianchi, poi sposto il mio slip di lato. Jake si mette in posizione e, molto lentamente, inizia a entrare dentro di me. Di solito prima mi prepara con le dita e la lingua alle sue dimensioni, mi fa rilassare, ma adesso sono così eccitata all’idea di farlo qui che non mi interessa se fa male. Ho bisogno che sia dentro di me, ed è un bisogno molto più forte del mio istinto di autoconservazione, a quanto pare.

    E lo stesso prova Jake, che con la mano mi afferra la natica e mi spinge contro la sua lunghezza.

    «Merda», sibilo tra i denti mentre mi divarica completamente le gambe, facendomi provare un piacere doloroso.

    «Stai bene?», chiede cercando il mio sguardo.

    «Sì…», gli rispondo muovendo i fianchi, «sì, sto bene… a meraviglia». Respiro profondamente mentre mi godo la stupenda sensazione di averlo dentro.

    «Scusa, sono stato egoista… ma… porca puttana, Tru», dice ansimando. «Non credo che mi stancherò mai di sentirti così. Sei strettissima, cazzo, sei sexy da impazzire».

    Emetto un gemito mentre lui muove i fianchi e tocca quel punto sensibile dentro di me.

    «Ora vieni per me», dice respirando sulla mia pelle. «Qui, nell’oceano Pacifico. Urla il mio nome mentre ti porto all’orgasmo». Mi lecca il labbro inferiore e poi affonda la lingua nella mia bocca. Le sue spinte si fanno più veloci e io mi reggo a lui, affondandogli le unghie nella carne, mentre l’acqua salata scivola tra i nostri corpi. «Non ne avrò mai abbastanza di te, Tru. Mai», mi ringhia all’orecchio. Si muove sempre più forte, penetrandomi profondamente.

    E si assicura che sia così, mentre continua a fare l’amore con me nell’oceano Pacifico, col sole che tramonta sparendo naturalmente dentro l’acqua.

    Si è fatta sera, e io e Jake siamo sdraiati sul letto a baldacchino. La nostra villa è semplice e raffinata, niente di appariscente. È come noi. Tutta la casa è uno spazio aperto, ogni stanza sbocca nell’altra. Dà un senso di libertà, il tipo che Jake di solito non ha. Mi chiedo se sia uno dei motivi per cui ha scelto questo posto. La camera da letto è luminosa e ariosa, le lenzuola sono bianche, fresche e pulite. Anche se è un paradiso che molte celebrità scelgono per evadere, non è eccessivo ma discreto. È perfetto.

    Abbiamo calciato via le lenzuola per il caldo tremendo. Abbiamo le gambe intrecciate e i nostri corpi si toccano, appiccicosi per la salsedine e la sabbia rimaste sulla pelle. Sono appoggiata al petto di Jake, che sta giocando distrattamente con i miei capelli mentre canticchia una canzone. Ascolto più attentamente appena inizia a bisbigliare le parole. È meraviglioso. Adoro sentirlo cantare, soprattutto a cappella.

    «Cosa canti?», gli chiedo alzando la testa.

    «La nostra canzone».

    «Non sapevo ne avessimo una». Sorrido. Io e Jake abbiamo molte canzoni che ci ricordano la nostra infanzia, ma nessuna che sia nostra, che ci rappresenti come coppia.

    «Si intitola You Started degli Ou Est Le Swimming Pool». Vedendo la mia espressione confusa, continua: «Non li hai mai sentiti?».

    Scuoto la testa.

    «E ti definisci una giornalista musicale», dice schioccando la lingua a mo’ di finto rimprovero. «Erano un gruppo britannico anche loro. Che figuraccia che hai fatto».

    «Stai zitto», replico facendogli la linguaccia. Lui la prende velocemente tra pollice e indice e la tira delicatamente prima di lasciarla.

    «Allora, perché è la nostra canzone?», chiedo appoggiando il mento sul suo petto.

    «Perché parla di noi», risponde semplicemente.

    «Okay…», dico, ma non mi basta. «E quando hai deciso che sarebbe stata la nostra canzone?».

    Vedo che un lampo di dolore gli attraversa il viso. Non mi piace come la cosa mi fa sentire.

    «La prima volta che l’ho sentita è stata il giorno dopo che mi hai lasciato a Boston». Alle sue parole, ricordo il tempo che abbiamo passato separati e il dolore mi attanaglia il petto. «Ero con Denny, mi aveva trascinato fuori dall’albergo per mangiare qualcosa, e in macchina aveva messo quell’album. Quando ho sentito la canzone, era come se stessi ascoltando la nostra storia, Tru». Mi guarda negli occhi, profondamente come nessun altro sa fare. «Se a quel punto non mi fossi ancora reso conto che dovevo riconquistarti, quella canzone mi avrebbe fatto capire meglio che…». Si ferma, espira.

    «Capire cosa?», incalzo.

    «Che dovevo lottare per te, che dovevo fare tutto il possibile per riaverti, anche se significava giocare sporco». Mi passa un dito sulla guancia. «Non c’è nessun altro per me. Inizio e finisco con te». Mi prende la mano e la solleva, premendo il palmo contro il suo.

    «Posso sentirla?», chiedo con un nodo in gola. «Ce l’hai?»

    «Ce l’ho sul telefono, è la tua suoneria», mi risponde prendendolo.

    «Come mai non lo sapevo?», gli chiedo guardandolo storto.

    «Perché quando mi chiami, di solito sei da un’altra parte», replica con un tono che esprime ovvietà.

    «Sei un cretino», gli dico con una risata, dandogli una pacca sul petto.

    Ridendo, Jake preme sullo schermo del telefono e se lo posa sul petto, tra noi due. Dopo pochi secondi, sento le note del sintetizzatore che cominciano a diffondersi. La musica riempie la villa, e gli unici altri suoni che si sentono sono quello delle onde e il battito del mio cuore. Il vocalist inizia a cantare e mi viene la pelle d’oca mentre ascolto attentamente il testo; mi aggrappo a quelle parole. Poi parte il ritornello e non riesco a trattenere il pianto: capisco esattamente quello che dice Jake. Parla di noi. Di lui, di me, di tutto; delle cose belle e di quelle brutte. Inizia il secondo ritornello, con i violini in sottofondo, e le lacrime mi scendono sulle guance.

    «Ehi, non piangere», mi dice Jake calmandomi e asciugandomi il volto con le dita.

    «Scusami, non posso farci niente. È incredibile. E parla davvero di noi, avevi ragione».

    «L’hai fatto davvero… hai dato inizio alla mia vita», mi dice facendo riferimento al titolo della canzone. Mi passa le dita tra i capelli e me le posa sulle guance.

    «E tu alla mia», rispondo, mettendomi sopra di lui e adagiando le labbra sulle sue. Jake mi posa la mano dietro il collo mentre la sua lingua massaggia delicatamente la mia. Mi succhia il labbro inferiore e dice in un respiro: «Non mi completi, Tru, tu fai di me quello che sono, mi rendi migliore. Senza di te non sarei niente. Niente. È già successo e non voglio che ricapiti: non voglio perderti di nuovo».

    Rabbrividisco alle sue parole. «Bene, perché non vado da nessuna parte».

    «Nessun rimpianto?», mi chiede.

    «Nessuno. Sono esattamente dove devo essere, dov’ero destinata a essere».

    Jake sposta il telefono sul letto mentre la canzone finisce. Mi sdraio sul suo petto e chiudo gli occhi respirando il suo profumo mentre mi abbraccia.

    «Abbiamo impegni per cena», mi annuncia dopo un attimo, prendendo il telefono e controllando l’ora.

    «Ah, sì?»

    «Sì, e dobbiamo muoverci se non vogliamo saltarli».

    Jake mi sposta dal suo petto e si alza.

    «Il personale aspetterà, Jake. Non è che ha altro da fare. Torna a letto». Batto una mano sullo spazio vuoto vicino a me. Non mi va proprio di alzarmi, sono felice di essere qui con lui.

    Allunga le braccia sopra la testa mettendo in bella mostra il suo corpo perfetto, poi si china e mi lascia un bacio casto sulle labbra.

    «Assecondami, per una volta», mi dice, poi se ne va in bagno lasciandomi sola con i miei pensieri.

    Assecondarlo? Ma di che cavolo parla?

    Mi accorgo che apre il getto della doccia.

    «Hai mezz’ora per prepararti, quindi muovi quel bel culo», lo sento dire dal bagno. È proprio prepotente. Sbuffando, metto giù le gambe e mi unisco a lui.

    «Sei bellissima», mi dice Jake mentre mi abbraccia da dietro. Sono davanti al grande specchio del bagno e mi sto dando un’ultima sistemata. Mi metto la collana – quella che mi ha preso a Parigi – e sorrido al suo riflesso.

    «Anche tu. Mi piace che le tue lentiggini si notino dopo che hai preso il sole».

    Fa una smorfia. «Mi fanno sembrare un ragazzino».

    Mi giro tra le sue braccia e gli sfioro il naso con un dito. «No, ti fanno sembrare figo. Più figo del solito». Mi alzo sulle punte e glielo bacio.

    Sto soffrendo qui a Turtle Island senza i tacchi, mi mancano un sacco. O sono scalza o con le infradito, che metterò stasera insieme al vestitino leggero bianco.

    Mi allontano, appoggiandomi al lavandino e studiando il mio uomo che indossa pantaloncini di jeans e una maglia dei Pearl Jam senza maniche. È l’incarnazione della rockstar, con tutti i tatuaggi in bella vista. Puoi portar via la rockstar da Los Angeles, ma non da Jake.

    «Sei pronta?», chiede toccandomi la collana.

    «Sì».

    Mi prende la mano e intreccia le nostre dita, poi mi porta fuori dal bagno, attraversiamo la villa e usciamo al chiaro di luna. È stupendo qui. Riesco a vedere tutte le stelle, non c’è la cappa di smog che le nasconde ma solo un cielo terso a perdita d’occhio.

    Camminiamo verso la spiaggia prendendo la strada più corta per l’edificio principale, dove si trova il ristorante. Arriviamo all’incrocio e faccio per andare da quella parte, ma Jake mi afferra la mano e mi fa tornare indietro. Scuote la testa. Io inclino la mia, incuriosita, ma lascio che mi guidi senza fare domande. Appena dietro la curva, noto un tavolo apparecchiato sulla spiaggia, vicino al bagnasciuga.

    «Cena sulla spiaggia?», gli sorrido.

    «Solo il meglio per la mia ragazza», mi risponde, baciandomi poi sulla fronte.

    Ci sono delle lanterne appese ad alcuni paletti piantati nella sabbia tutt’intorno al tavolo, ma non sono tanto quelle che attirano la mia attenzione, quanto le luci che scorgo dietro. Lascio la mano di Jake e vado da quella parte.

    SPOSAMI

    È scritto con delle candele che sono state infilate nella sabbia al centro di un cuore. Col battito in gola e la testa che gira, mi volto verso di lui.

    «Mi stai chiedendo di sposarti?»

    «Sì», risponde guardandomi negli occhi.

    «Non l’hai già fatto?». Gli sorrido confusa e sollevo la mano sinistra facendogli vedere il bellissimo anello di fidanzamento.

    Jake viene verso di me. Non so perché, ma il cuore inizia a battermi più veloce e tremo, quasi come fosse la prima volta che me lo chiede.

    Mi raggiunge e mi prende le mani. «Tru, ti ho chiesto di sposarmi nel bel mezzo di un concerto al Madison Square Garden, nel backstage. Non proprio un posto romantico. E non è stato come l’avevo immaginato». Fa un bel respiro. «Quindi ora te lo chiedo nel modo giusto, come ho sempre desiderato».

    «Jake, non importa dove o come l’hai chiesto… l’importante è che l’hai fatto».

    Sfiora l’anello di fidanzamento con il pollice. «Voglio darti solo il meglio, e non parlo di soldi, Tru. Parlo di ricordi, della nostra vita insieme. Ti ho chiesto di sposarmi subito dopo che ci siamo trascinati a vicenda in un tornado emotivo. Ora le acque si sono calmate e stiamo bene…».

    «Da favola», lo correggo.

    «Da favola», mi sorride. «Te lo sto chiedendo di nuovo, così sai che averlo fatto non è stata solo una reazione automatica da parte mia. Quello che voglio sei tu, per sempre. E credo… be’…». Abbassa lo sguardo muovendosi a disagio, prima di tornare a guardarmi. «Credo che serva anche a me. Voglio sapere che sposarmi è esattamente quello che vuoi, che non hai detto di sì solo perché ti sentivi sotto pressione». La sua stretta diventa più forte, mi fa quasi male. «Quella sera non avrei mica accettato un no come risposta…».

    «No, immagino di no». Sorrido e scuoto la testa, ricordandomi le sue parole. «Ma non sono un’ingenua. Non avrei accettato se non fosse stato quello che volevo. Ti amo, ti ho sempre amato», aggiungo, sorpresa dalle lacrime che mi stanno riempiendo gli occhi.

    «Ti amo anch’io, piccola». Mi prende il viso e mi bacia delicatamente. «Quindi è un sì?», mi chiede sulle labbra.

    «È un sì», gli sorrido, traboccante di felicità. «Adesso abbiamo due proposte di matrimonio da raccontare ai nostri figli, un giorno».

    Lo sento irrigidirsi, e non in senso buono. Mi stacco da lui e negli occhi gli leggo qualcosa che mi provoca un senso di disagio nello stomaco. Non va bene. Non va bene per niente.

    «Non intendo dire che avremo subito dei figli, ovviamente», mi affretto ad aggiungere. «E sarà così per un po’ di anni. Per un bel po’ di anni». Tre, quattro al massimo.

    Jake resta in silenzio e continua a fissarmi, il suo viso è una maschera imperscrutabile. Ma anche con la luce fioca, vedo che è leggermente impallidito.

    E ora mi sento di chiedergli: «Vuoi dei figli, vero?». Io sì, non riesco a immaginare la mia vita senza.

    Si schiarisce la voce. «Io… be’, non lo so». Fa spallucce, è imbarazzato. «Insomma, non ci ho mai pensato. Credo di non vedere dei bambini nel mio futuro. Sono un investimento che non ho mai preso in considerazione».

    Un investimento? Da quando i figli sono diventati prodotti?

    Non va affatto bene. Siamo così lontani dall’andare bene che non ci sono neanche parole per definire la situazione.

    «Ah», commento. E che altro dovrei dire? All’improvviso rabbrividisco, e non c’entra niente l’aria della sera. Mi allontano un po’ da lui.

    «Senti, Tru», riprende, alzando lo sguardo su di me. «Lo sai che non ho avuto un grande esempio, da piccolo».

    Il padre di Jake era violento, un uomo terribile, che è finito in prigione per come trattava lui e sua madre.

    «Non so com’è un padre. E i bambini… Cristo, non starebbero proprio bene nel mio mondo, no? Insomma, non saprei da dove cominciare. La musica è il mio mondo. Tu e la musica». Non so se è la mia espressione, il mio linguaggio del corpo o il completo deficiente che lo sta possedendo in questo momento che porta il suo livello di stupidità al massimo e gli

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