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Trinity. Fate
Trinity. Fate
Trinity. Fate
E-book310 pagine3 ore

Trinity. Fate

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Info su questo ebook

Trinity Series

Autrice del bestseller internazionale Calendar girl

N°1 nelle classifiche italiane

Non sono in molti a poter dire di essere stati scottati dal destino. Io sono l’eccezione. Ho cicatrici lungo tutto il corpo che possono provarlo. I dottori hanno fatto tutto quello che è stato possibile per curare le abrasioni, nascondendole con la chirurgia. Ma a volte quello che non può essere visto non può nemmeno essere curato. Quella notte le fiamme hanno morso ben più della mia carne. Hanno cancellato il mio talento, la mia bellezza e, soprattutto, incenerito il legame che avevo con l’uomo che amavo. Sono stata io ad allontanarlo, ma avevo le mie ragioni. Ho fatto quello che ogni donna avrebbe fatto al mio posto: ho rinunciato a tutto pur di fargli ritrovare pace e serenità altrove. Ma mi manca. Ed è il suo sguardo, adesso, a bruciare di rancore. Un calore così potente che mi fa temere di venire nuovamente distrutta.

La nuova serie scandalosa numero 1 del New York Times
Un'autrice da 4 milioni di copie
Tradotta in oltre trenta Paesi

Le cose a cui teniamo di più sono quelle in grado di farci più male

«Stupefacente! Fantastico! Brillante! Sexy! Adorabile! Non ci sono abbastanza parole per descrivere quanto sia fantastico questo libro. Fate è la splendida conclusione della serie Trinity e ho pianto fino all’ultima pagina.»

«Il miglior romanzo della Carlan!»

«Difficile riuscire a descrivere le emozioni che ho provato!»
Audrey Carlan
È un’autrice di bestseller internazionali, al primo posto nella classifica del New York Times. Le sue storie ricche di oscurità e passione sono state tradotte in più di trenta lingue in tutto il mondo. Vive in California con i suoi due figli e l’amore della sua vita. Quando non scrive, insegna yoga, degusta vini o è impegnata a leggere. Fate è l’ultimo dei cinque capitoli che compongono la serie Trinity, tutti pubblicati dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita7 mag 2018
ISBN9788822719256
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    Anteprima del libro

    Trinity. Fate - Audrey Carlan

    1939

    Titolo originale: Fate

    Copyright © 2016 Waterhouse Press, LLC

    The moral rights of the author have been asserted

    All rights reserved

    Traduzione dall’inglese di Cecilia Pirovano

    Prima edizione ebook: agosto 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-1925-6

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Audrey Carlan

    Fate

    Trinity Series

    Indice

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Epilogo

    Ringraziamenti

    Alla mia sorella nell’anima Carolyn Beasley.

    Senza di te, non ci sarebbe Kathleen Bennett.

    Con la conclusione di questa serie,

    il mio desiderio più grande è che, come Kat,

    anche tu possa avere il tuo lieto fine.

    Con tutto il mio amore e la mia amicizia, per sempre.

    BESOS

    Bound – Eternally – Sisters – of – Souls

    Unite per sempre – anime sorelle

    Capitolo uno

    Kathleen

    I rimpianti sono desideri mai realizzati. Dopo trent’anni passati su questa terra, posso dire di avere più rimpianti che dita delle mani e dei piedi, e quasi tutti riguardano un uomo. L’uomo che io stessa ho allontanato. E adesso sono sola, senza un compagno, senza figli e senza nessuna speranza di avere qualcosa di più.

    Si dice che la solitudine sia una scelta, ed è vero. Le persone entrano ed escono in un lampo dalla mia vita, come api che succhiano il mio nettare e si lasciano dietro un grande vuoto. Lui l’aveva riempito con la gioia, le risate e quello che consideravo amore. Ci avevo persino creduto. Fino a quando è finita. Adesso non è rimasta che un’ombra della donna che ero e che vorrei tornare a essere.

    Il mio terapeuta dice che, dopo l’incendio e con le ferite che ho riportato, soffro di disturbo postraumatico da stress, e forse ha ragione. Sembra che tutti abbiano la risposta ai miei problemi, ma sono io quella bloccata all’inferno. Sono io che mi sveglio ogni notte in preda a un dolore lancinante al fianco, che mi scende lungo il braccio destro fino alle punte delle dita. E, ogni volta, mi rendo conto di quanto sia sola. Non ho qualcuno che si svegli, mi tenga stretta e mi bisbigli parole dolci all’orecchio per farmi rilassare e riaddormentare.

    Sono finiti i giorni in cui potevo contare sul caldo abbraccio di un uomo. Uno dei miei molti rimpianti. Eppure, non cambierei la mia decisione. Sta meglio senza di me. Senza l’ombra vuota e a pezzi che è rimasta di me.

    Non che importi qualcosa. Non mi amava quando ero fisicamente e mentalmente perfetta, di certo non sarebbe in grado di amarmi adesso. E allora perché non riesco ad andare avanti? A togliermelo dalla mente, dal cuore e dalla vita? Perché la mia felicità dipende dall’uomo che non c’è più?

    Sono tanti tre anni passati a struggersi per una persona che hai allontanato volontariamente dalla tua vita. Tre lunghi anni di cure per le ustioni, innesti, riabilitazione e terapia. Terapia. Che ridere. Il dottor Madison non può aggiustarmi. Nulla può riuscirci. A ogni nuova tecnica si riaccende la speranza di tornare a sembrare e a sentirmi come prima della notte che mi ha cambiato la vita, ma non succede mai. Ogni tanto ho qualche chiazza di pelle più liscia, qualche cicatrice in meno qua e là. Anche gli innesti lasciano delle cicatrici, ma quelle sono più facili da nascondere. Tuttavia, questa non sono io.

    Kathleen Bennett, la vera Kat, è bruciata nell’incendio. Tutto ciò che mi rendeva la donna che ero, la persona che mi sentivo fiera di essere, spensierata, innamorata della vita, innamorata di Carson Davis… Be’, quella donna è morta e, al suo posto, adesso ce n’è una amareggiata e sfregiata che vede tutto nero e ha un desiderio inesauribile di scomparire.

    Forse la soluzione sarebbe andarmene, diventare qualcun altro. Ma non potrei mai lasciarle. Le mie anime sorelle sono la mia linfa vitale. Sono le radici da cui è nato l’albero che mi rendeva tanto orgogliosa. Un albero che adesso è soltanto un mucchio di foglie morte e rami secchi e raggrinziti per nulla attraenti. Quelle radici però mi tengono ancora aggrappata alle mie tre donne molto più a fondo di quanto si possa immaginare dall’esterno. Il nostro legame è il frutto di amore, risate, sacrifici, fatica, dolore e rinascita. Loro mi capiscono, anche nell’attuale versione incasinata, e non la smettono di cercare di riportare a galla la persona che ero, nascosta sotto la pelle abrasa.

    Tre anni e non sono ancora riuscita a ritrovarla. Comincio a temere che non ci riuscirò mai.

    «Kathleen, sei pronta?», tuona la voce su cui ormai faccio affidamento. L’unica persona con cui riesco a essere del tutto sincera, Chase Davis, il marito della mia anima sorella Gillian, bussa alla porta della camera. «Sei presentabile? Faremo tardi se non sei pronta».

    «Stai calmo. E sì, sono presentabile. Entra pure». Sospiro e ravvio la frangetta. Non che importi, visto che non mi guarderà nessuno. E, se anche succedesse, la gente vedrebbe soltanto un mostro sfigurato.

    Chase apre la porta e si ferma sulla soglia. Indossa un completo blu navy fatto su misura che gli calza alla perfezione. Me ne sono assicurata personalmente. La mia nuova linea maschile sta venendo bene. In effetti, è l’unica cosa che va bene nella mia vita, considerando che riesco a usare la mano destra al massimo per stringere una pallina durante la fisioterapia. Devo ammettere però che diventa sempre più forte, anche se non riuscirò mai più a realizzare i lavori dettagliati per cui ero nota nel mio passato da costumista. Quella nave ormai è salpata e non tornerà mai più.

    «Kathleen, così metti alla prova la mia pazienza». Chase solleva un braccio e batte un dito sul suo Rolex.

    Con un sorriso, prendo la borsa dal comodino con la mano sinistra. «E tua moglie e i tuoi figli no?».

    Aggrotta la fronte, ma accenna un sorriso. Gli capita sempre quando si parla di Gillian. Non può farne a meno. Il suo mondo gira intorno alla mia energica migliore amica dalla chioma rossa e ai loro adorabili gemelli, e lui non potrebbe esserne più contento.

    Senza smettere di sorridere, corruga le labbra. «Comunque sia, dobbiamo andare, altrimenti faremo tardi per i risultati degli esami. Non vedo l’ora di sapere che cosa ha da offrire questa nuova tecnologia».

    Chase Davis, la mia personale fonte di ottimismo. Dopo l’incendio, si è assunto l’incarico di risolvere i miei problemi. Non solo i miei, ma anche quelli di tutte le anime sorelle della moglie. Ha aiutato Bree con il suo studio di yoga e pagato l’affitto del nuovo appartamento di Maria per il primo anno, fino a quando si è messa con Eli. Per me però ha fatto molto di più. Anche se non gliel’ho mai detto, è diventato il mio eroe. Perlopiù mi fingo seccata dal suo comportamento, così da non dover affrontare quello che provo in realtà.

    Un gran sollievo.

    Chase mi sta accanto come non sopporto che facciano le mie amiche. Non so perché. Si è insinuato nel mio dolore e l’ho lasciato fare. Con le ragazze invece non ci riesco. Ho bisogno che mi vedano forte come pensano che sia, perché l’illusione di questa forza è tra le poche cose che mi restano.

    All’inizio, appena dimessa dal centro ustionati, ho rifiutato l’aiuto di Chase perché volevo fare tutto da sola. Fino a quando mi sono resa conto che non era possibile. Dopo il secondo ciclo di cure, un giorno è passato a trovarmi nel mio appartamento sgangherato dall’altra parte della città. Grazie al cielo, perché mi ha trovata sul pavimento, incapace di muovermi per un dolore lancinante al braccio e al fianco, tanto che continuavo a perdere conoscenza. Si era infettato un innesto. Chase mi ha raccolta da terra e portata in ospedale, ed è rimasto con me fino a quando mi hanno dimessa. E in quel momento ho scoperto che mi aveva giocato un brutto tiro: aveva trasferito tutte le mie cose nel palazzo dall’altra parte della strada, dove sarebbe dovuta andare Maria quando il suo ex le aveva sventrato l’appartamento. Alla fine però non ne aveva avuto bisogno, perché era andata a vivere con il suo attuale marito, Elijah Redding.

    Chase Davis, miliardario, maschio alfa e iperprotettivo nei confronti della sua famiglia, ha criticato aspramente le mie scelte di vita e non mi ha permesso di fare da sola. Insieme all’appartamento, ha predisposto tutta una serie di infermiere a domicilio che passavano diverse volte al giorno per medicarmi le ferite, massaggiatrici per i muscoli e un appuntamento settimanale con uno psicologo, il dottor Madison, lo stesso da cui sono andati Gillian e Chase durante il calvario che hanno vissuto per via del pazzo che mi ha ridotta in queste condizioni.

    «Sul serio, Chase, non ci diranno niente che non abbiamo già sentito. Il tessuto è troppo danneggiato. Lei ha subìto troppi interventi, non è rimasto molto con cui lavorare, bla bla bla. Altri esami, altre cure sperimentali…», dico, imitando con la mano buona una bocca che parla.

    Chase mi afferra per un gomito e mi conduce fuori di casa, in ascensore e giù verso l’auto in attesa. A giudicare dalla stretta ferma e salda, è irritato. Capirai, sai che novità.

    «Ehi, Austin, come va?», chiedo alla guardia del corpo che tiene aperta la portiera della limousine nera immacolata.

    «Benissimo, signorina Bennett», risponde lui, con il suo dolce accento del Sud, e china la testa.

    Ridacchio e salgo, scivolando sul sedile per fare posto a Chase.

    «Dov’è Jack?», m’informo.

    Chase sistema i gemelli sui polsini della camicia. «Con mia moglie. I bambini sono stati invitati a giocare da un amichetto».

    Sbuffo dal naso. «Hai mandato tua moglie e i piccoli a giocare con altri bambini insieme alla scorta?». Riesco a malapena a trattenere la risata che ho in gola.

    Volta la testa e una ciocca di capelli color caffè gli ricade sulla fronte. Mi ricordano quelli biondi che scostavo sempre dalla fronte di Carson. Chase mi trafigge con i suoi sinceri occhi blu. «E ti stupisci? Anche dopo tutto questo tempo?».

    Scuoto la testa. «Non proprio. È solo che sono anni ormai che non riceviamo minacce, ma tu continui a comportarti come se fossimo sempre sotto assedio».

    Accavalla le lunghe gambe. Le scarpe in pelle nera di Salvatore Ferragamo sono lucidate con cura. Anche le calze sono di ottima fattura.

    Calze. Mmm. E se abbinassi delle calze ai completi maschili per un look perfetto? Prendo il registratore e lo avvio. «Abbinare le calze ai completi. Cercare tessuti e colori per la linea attuale».

    Concentrato sul telefono, Chase fa una smorfia.

    «Non sei costretto a venire con me a questi appuntamenti. Non è compito tuo e io non sono più il tuo caso umano. Ormai faccio un mucchio di soldi con le mie linee di abbigliamento e, da quando sono in affari con Chloe, la mia carriera è decollata. Hai già fatto abbastanza, sul serio». Abbiamo già avuto questa discussione almeno dieci volte.

    Si infila il telefono in tasca, fa un respiro profondo e si gira verso di me, con un braccio allungato sul sedile. «Kathleen, tu non sei il mio caso umano. Sei una mia amica. A parte Carson, sei la mia migliore amica».

    Carson. Trasalisco solo a sentir nominare il mio ex ragazzo, nonché l’amore della mia vita.

    «E poi, ho fatto una promessa che intendo mantenere», aggiunge tutto serio.

    Aggrotto la fronte. «Una promessa? È la prima volta che ne parli».

    Serra le labbra e guarda davanti a sé. «Non importa. Verremo a capo di tutta questa situazione».

    Lo afferro per i bicipiti, duri come l’acciaio. Che cavolo, quest’uomo sì che si allena. Non è grosso come Eli, il marito della mia anima sorella Maria, ma di certo ha un corpo fatto apposta per piacere a una donna, sul piano estetico e su quello fisico. E visto che ha di nuovo messo incinta la mia migliore amica, è ovvio che lei goda regolarmente dei suoi attributi. Donna fortunata.

    «Dimmi di questa promessa».

    Gira di scatto la testa verso di me. «Forse un giorno. Per ora, speriamo per il meglio…».

    «E aspettiamoci il peggio. Sì, sì, lo so. Me l’avrai detto un centinaio di volte negli ultimi tre anni. Non per questo però è più facile sentirsi dire che resterò deforme per il resto della mia vita».

    Chase mi prende la mano destra con delicatezza e chiude gli occhi. Mi conforta sapere che non ha paura di toccarmi, anche se in modo platonico, come un fratello. Proprio come le ragazze, lui non ha paura delle mie cicatrici e non mi vede diversa. Tuttavia, sa che io mi vedo diversa ed è proprio questo che ha intenzione di cambiare.

    «Un giorno dovrai accettare quello che ci è successo. A Bree, a Phillip, a Maria, a tua moglie, a tua madre, a te. Non è stata colpa tua. Danny McBride era un individuo malato e perverso che ci ha fatto soffrire, ma non possiamo cambiare le cose. Però è morto, Chase. Morto».

    Sospira. «Insieme a Thomas, alla ragazza del corso di yoga e alle vittime dell’esplosione. Lo so che non dipende da me se era ossessionato da mia moglie e dalle sue amiche, ma capisco perché lo fosse. Anch’io sono ossessionato da Gillian. Farei qualsiasi cosa per lei e per i nostri bambini».

    Sorrido, perché so fino a che punto la adori. «L’amore è una forma buona di ossessione, e tu ne hai da vendere. Ma non puoi addossarti la colpa delle azioni di qualcun altro».

    «Se solo fossi riuscito a fermarlo prima…», comincia a dire, ma gli stringo la mano per farlo tacere.

    Lui abbassa lo sguardo e sorride.

    «Chase, smettila…».

    «L’ho sentito», dice tutto allegro, interrompendomi. «Mi hai appena stritolato la mano!». Gli occhi blu gli brillano per l’entusiasmo.

    Abbasso lo sguardo e vedo la mia mano sfregiata che stringe ancora la sua, dalla carnagione dorata e la manicure perfetta.

    Sorrido. «L’ho fatto sul serio?».

    Annuisce. «Eccome. Vedi, la giornata sta già migliorando. Gillian sarà elettrizzata».

    Lo lascio andare, sollevo il braccio e piego le dita. La pelle si tende in modo innaturale sugli incavi e sugli innesti irregolari, ma riesco a stringere il pugno. È la prima volta in tre anni.

    «La mobilità è migliorata».

    «Allora il trattamento orale per ricostruire i tessuti e ristabilire mobilità delle articolazioni e forza muscolare sta funzionando. Che bella notizia».

    E le belle notizie non sono finite. Il dottore ha detto che negli ultimi sei mesi, grazie alla nuova terapia, la mia mobilità è migliorata del venti percento. Forse non recupererò mai le eccellenti abilità motorie che avevo, ma a breve potrò compiere azioni come reggere un bicchiere, prendere un piatto e metterlo nella lavastoviglie o tenere in braccio un bambino; azioni che prima non riuscivo a fare e che le persone normali danno per scontate. Ogni volta che ho dovuto dire di no a Gillian e a Bree, quando volevano passarmi i loro figli, mi sono ricordata di quanto avessi perso. E adesso, forse, potrei ricordarmene ancora.

    «Stupendo. Dobbiamo festeggiare». Chase prende il telefono. «Piccola, Kathleen ha delle grandi notizie da condividere. Di’ a Bentley di organizzare una cena per tutto il gruppo».

    Gli metto una mano sulla spalla e scuoto la testa. «Solo noi stasera, okay? Non voglio dare troppe speranze alle ragazze». Gli do un buffetto sull’avambraccio.

    Abbassa le spalle. «Facciamo solo un piatto in più. Sì, Kathleen ti spiegherà tutto quando arriviamo. No, non vuole chiamare Maria e Bree. Non subito. Lo so che sarebbero contente di saperlo, ma lasciamola fare come crede sia meglio…». Mi guarda, con gli occhi socchiusi.

    Non è affatto contento che non voglia festeggiare. È una buona notizia, davvero, ma non ne sappiamo ancora abbastanza per spargerla. Bree e Maria sarebbero al settimo cielo e non sopporterei l’ennesima delusione. Non ora. Non mentre Maria, appena sposata, si sta godendo la luna di miele e Bree e Phillip si stanno concentrando sulla progettazione della casa.

    «Per adesso solo Gigi, le altre dopo, okay?», sussurro.

    Chase annuisce brusco e torna a parlare al cellulare. «Arriviamo tra poco».

    Chiusa la telefonata, si preme il pollice e l’indice sulle tempie. «Kathleen, non capisco proprio questo tuo bisogno di prendere le distanze da tutti. Non solo fai del male a te stessa, ma così metti un sacco di pressione addosso a mia moglie. Nelle sue condizioni…».

    «Le sue condizioni? È incinta, non sta mica morendo», gli ricordo. «È la mia vita, Chase. La mia. Non la tua. Forse tu gestisci le cose in modo diverso, ma spetta a me decidere se comunicare la notizia o meno».

    Sospira. «Hai passato gran parte degli ultimi tre anni a respingere le persone che ti vogliono bene. Io ci sono già passato, e non solo è una cosa malsana, ma ti rende infelice. E tu lo sei eccome. Lo vedo ogni volta che ti guardo negli occhi. Ti manca lui e ti mancano loro». Le sue parole sono brusche e irritanti, e colpiscono nel segno.

    Stringo le labbra e i denti. «Non hai nessun diritto di parlare di lui. Avevi promesso di non farlo».

    «Be’, anche lui sta mandando a puttane la sua vita, proprio come te». Si concede un lungo sospiro.

    «Che cosa vuoi dire? Che cosa sta succedendo a Carson?».

    Il mio cuore accelera a mille battiti al minuto. Il solo pensiero che l’uomo che possiede la mia anima abbia dei problemi mi provoca un attacco di panico in piena regola. Inspiro, espiro e mi sforzo di tenere a bada la pressione sul petto che mi stritola il cuore un centimetro dopo l’altro.

    Accigliato, Chase guarda fuori dal finestrino e non si accorge della mia angoscia.

    «Se tu non l’avessi lasciato e non l’avessi respinto più volte, non si sarebbe mai cacciato in questa situazione. È colpa tua».

    È colpa tua.

    «Scusa?». Il panico viene soverchiato dalla rabbia.

    «La donna con cui esce ha qualcosa che non va. Qualcosa di grosso». Scuote il capo.

    Alzo gli occhi al cielo. «Ha già avuto altre donne in passato. Supererà anche questa, come sempre».

    Chase sbuffa e serra la mascella con tale forza da farla scricchiolare. «Non ne sono così sicuro».

    «Che cosa può avere di male una donna che si scopa Carson? È un uomo virile. Fidati, una volta ero io a beneficiare di tanta virilità».

    Stringe entrambi i pugni sulle ginocchia. «Credimi, Kathleen, ho una brutta sensazione».

    «Allora parlane con lui», borbotto, con un gesto stizzito della mano. Questo argomento è una vera tortura. Immaginare Carson con una donna è come infilarsi spontaneamente un paletto nel cuore.

    «L’ho fatto», dice a denti stretti. «Mi sta evitando. Sta evitando tutti. Sta facendo come te».

    Sospiro per scaricare la frustrazione.

    «Non posso farci niente».

    Sbuffa. «Certo che puoi. Puoi smetterla con queste stronzate e riprenderti il tuo uomo. E non fingere che non sia l’uomo giusto per te, perché lo capisco quando dici una cazzata. Prima dell’incendio, eravate più felici che mai».

    «Chase…», lo ammonisco. «Tirare fuori il passato non aiuterà il futuro».

    «È un’idiozia, e lo sappiamo tutti e due. Dimmi che non lo ami più».

    «Non lo amo», ribatto all’istante. Sono diventata così brava a mentire che lo dico senza la minima emozione.

    «Bugiarda», borbotta. «Ti pentirai di non averlo riconquistato».

    «Me ne pento già», ammetto con un lungo sospiro.

    «E allora fa’ qualcosa».

    Con il cuore pesante, mi concentro sul danno alla pelle della mia mano, che risale lungo tutto il braccio, fino alla spalla, e poi scende sul petto. Queste brutte cicatrici mi resteranno per sempre. Ho già fatto gli innesti e gli interventi per rendere la pelle più liscia. I medici hanno fatto il possibile. Adesso dipende tutto dalla fisioterapia, per incrementare la mobilità del braccio e della mano, e dall’enorme quantità di creme che mi spalmo sulla pelle lesa per mantenerla morbida e flessibile. Evitare il sole aiuta, ma non basterà a far sparire le cicatrici. Il mio corpo non è più adatto a essere desiderato da un uomo, a essere toccato nei momenti di passione.

    Scuoto la testa. No, non si merita di dover posare gli occhi sul riflesso che sono costretta a vedere ogni giorno allo specchio. È disgustoso e preferisco che mi ricordi com’ero: bella, perfetta, intatta nella mente e nel corpo.

    «No. Sta meglio senza di me. Non sono più quella di prima. Non sono più la donna a cui teneva».

    «Non è vero. Sei la stessa donna di sempre, bella, piena di talento, generosa e con molto da offrire a un uomo. Io sono un uomo e sono anche il cugino e il migliore amico di Carson. So che cosa vuole e di che cosa ha bisogno: te. La donna che eri prima, quella che sei adesso e quella che diventerai in futuro. Fidati. Le cicatrici non contano perché, quando c’è l’amore, un uomo adora anche i difetti della propria donna. Io amo le smagliature di Gillian, le bacio sempre, perché sono la prova che i miei bambini sono usciti dalla sua pancia. Mio figlio e mia figlia sono nati grazie a quei segni. Le dico sempre di mostrarli con orgoglio».

    «Tu non sei una donna. Non capisci».

    «No, sono un uomo che ama sua moglie. Ogni parte di lei è mia, con le cicatrici e tutto il resto. E, Kathleen, molte se le è fatte prima di conoscermi e mi piacerebbe cancellarle, ma indicano il percorso che l’ha portata fino a me e alla nostra vita insieme. Per lei sono preziose e per me sono la prova che, ogni tanto, bisogna attraversare l’inferno per arrivare in paradiso. Me l’ha insegnato lei».

    «L’amore che ti lega alla mia migliore amica è bellissimo, ma tra me e Carson non c’è mai stato». Mando giù a fatica il groppo che ho in gola.

    «Invece sì, c’era».

    Chiudo gli occhi e mi lascio andare sul sedile della limousine. «Vedi, Chase, è qui che ti sbagli. Carson non mi ha mai amata. Non me l’ha mai detto, neanche una volta. Anche se io glielo ripetevo in continuazione». Mi concedo una risata amara. «Mi chiedeva di dirglielo sempre. Adorava sentire quelle parole uscire dalle mie labbra e mi riempiva di baci, ma mai una volta che le abbia dette lui a me. E, quando gli chiedevo come mai, mi diceva soltanto: Non ce la faccio. Ti prego, non chiedermelo. Vedi?»

    «E così ti sei arresa?», mi domanda, in chiaro tono d’accusa.

    «Sì, dopo tutto ciò che è successo, quello che avevo da offrirgli, le continue terapie, il dolore degli interventi e la convalescenza infinita… Se non mi amava prima, non potrebbe mai amarmi dopo. Ho corso un rischio calcolato e mi è andata male. Ogni singola volta che l’ho cacciato via, non ha mai detto quelle due paroline. Lo imploravo e invece lui piangeva, crollava e scuoteva la testa. Non posso stare con un uomo che si rifiuta di dirmi che mi ama».

    «Ma io so che è così», dice sottovoce, convinto.

    «Due parole, Chase. Ne avevo bisogno ma lui non le ha pronunciate, e adesso io non posso più dirgliele. Devo andare avanti. Come ha già fatto lui, a quanto vedo».

    Sospira

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