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Trinity. Body
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E-book398 pagine6 ore

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Info su questo ebook

Trinity Series

Autrice della serie bestseller Calendar girl
N°1 nelle classifiche italiane

Gli uomini rovinano le donne. Specialmente gli uomini come Chase Davis: bello, intelligente, ricco e potente. Non ho mai avuto speranze di sfuggirgli. Non volevo desiderarlo. Non volevo avere bisogno di lui. Non volevo innamorarmi. Ma lui non avrebbe mai accettato un no come risposta e io gli ho permesso di consumarmi. Un po’ alla volta, con i suoi modi arroganti, presuntuosi, e con quella sua ossessione per il controllo. Quando è entrato nella mia vita mi ero appena ripresa da una relazione sbagliata che mi aveva distrutta. Per questo mi sono decisa a dargli fiducia, per non chiudermi in me stessa. Ma nel momento esatto in cui l’ho lasciato entrare, mi ha circondata con una luce così brillante da accecarmi. Così che non vedessi la verità: gli uomini non rovinano le donne. Le divorano. 

La nuova serie scandalosa numero 1 del New York Times
Un'autrice da 4 milioni di copie

«Perfetto per chiunque cerchi una storia d’amore dolce e feroce.»

«Una storia appassionante, ricca di sensualità e suspense con colpi di scena che non ti permettono di staccartene più.»

«Bentornata Audrey Carlan, ci sei mancata moltissimo!»
Audrey Carlan
È un’autrice di bestseller internazionali, al primo posto nella classifica del «New York Times». Le sue storie ricche di oscurità e passione, tra cui la serie Calendar girl, sono state tradotte in 30 Paesi e hanno venduto oltre 4 milioni di copie. Vive in California con i suoi due figli e l’amore della sua vita. Quando non scrive, insegna yoga, degusta vini o è impegnata a leggere. La nuova attesissima serie Trinity arriva in Italia con i cinque capitoli pubblicati dalla Newton Compton.
LinguaItaliano
Data di uscita6 dic 2017
ISBN9788822718334
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    Anteprima del libro

    Trinity. Body - Audrey Carlan

    1918

    Titolo originale: Body

    Copyright © 2015 Waterhouse Press, LLC

    The moral rights of the author have been asserted

    All right reserved

    Traduzione dall’inglese di Francesca Gazzaniga

    Prima edizione ebook: maggio 2018

    © 2018 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-1833-4

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Audrey Carlan

    Body

    Trinity Series

    Indice

    Capitolo uno

    Capitolo due

    Capitolo tre

    Capitolo quattro

    Capitolo cinque

    Capitolo sei

    Capitolo sette

    Capitolo otto

    Capitolo nove

    Capitolo dieci

    Capitolo undici

    Capitolo dodici

    Capitolo tredici

    Capitolo quattordici

    Capitolo quindici

    Capitolo sedici

    Capitolo diciassette

    Capitolo diciotto

    Capitolo diciannove

    Capitolo venti

    Ringraziamenti

    A mia madre, Regina…

    Perché non hai mai avuto il tuo e vissero per sempre felici e contenti.

    Mi manchi ogni giorno.

    Alle mie migliori amiche Dyani, Nikki e Carolyn.

    Senza di voi, non sono me stessa.

    Senza il vostro amore e costante supporto, questo romanzo non sarebbe stato pubblicato.

    Senza di te, Dyani Gingerich, non ci sarebbe nessuna Maria De La Torre.

    Senza di te, Nikki Chiverrel, non esisterebbe Bree Simmons.

    Senza di te, Carolyn Beasley, non avrei Kathleen Bennet.

    Senza le mie migliori amiche, questo libro non sarebbe stato altrettanto speciale.

    Vi vorrò sempre bene.

    BESOS

    Bound – Eternally – Sisters – of – Souls

    (Unite per sempre – anime sorelle)

    Capitolo uno

    Voglio soltanto una vita normale, senza sofferenza. Ho provato più dolore fisico ed emotivo io in ventiquattro anni che la maggior parte delle donne in tutta la loro esistenza. Le persone danno per scontate molte cose, come il fatto di non doversi preoccupare di un’imminente e disastrosa fine. Le invidio, e un giorno vorrei essere anch’io così. Il mio nuovo motto è vivi per il domani. Ogni decisione che prenderò mi condurrà verso un futuro luminoso, non corrotto dalla dura realtà e dagli imprevisti. Sono io ad avere in mano le redini della mia vita. Non sono più una donna timida che si lascia ferire.

    Oggi, il mio ruolo di manager per la raccolta fondi di uno dei più importanti enti benefici dedicati alle donne degli Stati Uniti mi ha portata qui, in questo bar. Dopo un lungo viaggio con due scali, sprofondo nel sedile imbottito che prende la forma del mio corpo. Guardandomi intorno sono contenta di aver messo la giacca elegante e i jeans scuri. Le scarpe dal tacco vertiginoso e la lunga collana di perle rendono il tutto più ricercato.

    Sono un po’ fuori luogo. Uomini e donne in abiti immacolati e vestiti da cocktail si riuniscono in piccoli gruppi per godersi un aperitivo. Non mi sento a mio agio. Se la riunione del consiglio di amministrazione della Fondazione Safe Haven non si tenesse in questo hotel, sarei a casa in pigiama a sorseggiare vino e a guardare un film strappalacrime con la mia coinquilina, Maria.

    Le profonde scanalature del bancone del bar dagli spigoli arrotondati disegnano un motivo a spirale. Dietro, il chiarore dei ripiani retroilluminati colpisce le bottiglie dei liquori come un raggio di sole che attraversa il cristallo. I diversi fasci colorati si irradiano facendo sembrare le mensole di vetro piene di alcolici un’opera d’arte. Ai lati ci sono due scalette che permettono ai barman di raggiungere lo scaffale in cima, dove si trovano liquori da centinaia di dollari a bottiglia, forse addirittura a bicchiere.

    Scorrere la carta dei vini mi ricorda quale sia la mia posizione sociale. Vivendo in un Paese in cui si produce vino, sono piuttosto ferrata su cosa sia buono, discreto o scadente. Tutto su questa lista è venduto a bottiglia, la più economica delle quali sfiora il centinaio di dollari: neanche minimamente accessibile per le mie tasche.

    L’ometto irsuto dietro il bancone mi sorride mentre pulisce il piano con uno straccio umido e vi appoggia un sottobicchiere. «Cosa posso prepararle?». Il suo accento è italoamericano.

    «Mmm, non so ancora. Servite vino al calice?»

    «Non è di queste parti, vero?». La sua domanda è schietta e amichevole.

    Decido di essere sincera. «No. Sono qui per lavoro».

    «Benissimo. La aiuto io», dice, battendo la mano sul bancone. «Bianco o rosso?»

    «Bianco, per favore. Grazie».

    Il bar è fantastico. Non ero sicura di volerci venire, ma sono contenta di averlo fatto. La mia stanchezza dopo il viaggio inizia a svanire. Il barman mi serve un generoso calice di vino. Ne ha versato ben più del normale. Gli rivolgo un sorriso a trentadue denti. Lui ricambia e si allontana per dedicarsi a un altro cliente.

    Dagli altoparlanti nascosti esce la voce cadenzata di Amy Winehouse che canta di quanto non sia adatta al suo uomo. Le persone chiacchierano tra loro. Bevo un sorso di vino e le note calde e armoniose dello Chardonnay mi avvolgono. Mi torna in mente una piccola cantina di Napa che ho visitato l’anno scorso insieme alle mie migliori amiche. Il vino aveva esattamente la stessa armonia serica al palato. È il sapore dei soldi. Spero solo che il mio conto non superi i venti dollari, altrimenti spenderò tutta la mia diaria.

    Mi guardo intorno e osservo il mix eclettico di arte contemporanea e luci soffuse. In un angolo c’è un pianoforte nero. È illuminato in maniera soffusa, come in attesa di un’anima solitaria che sfiori i suoi tasti d’avorio.

    Un uomo appoggia la mano sul bancone lucido, distogliendomi dai miei pensieri. Con lo sguardo risalgo il braccio dello sconosciuto e scorgo il più bel viso che abbia mai visto. Potrebbe benissimo stare sulla copertina di una rivista di alta moda. Sopracciglia folte e marcate incorniciano quelli che mi paiono occhi scuri. Gli zigomi scolpiti si sollevano quando reclina la testa in una risata. È la quintessenza dell’uomo alto, moro e bellissimo, in un completo che probabilmente fascia il corpo più armonioso che esista. È magnifico.

    Lo osservo, dalla punta delle scarpe di pelle firmate fino agli squisiti pantaloni su misura che cingono una vita snella in quel modo sexy che si vede solo nei film. Prendo un altro sorso dal mio bicchiere, lasciando che il calore del vino mi inebri, mentre i miei occhi continuano il loro viaggio su quell’ampio petto. Immagino che sotto il tessuto della camicia ci siano degli addominali scolpiti. Ha la cravatta allentata. Probabilmente ha appena finito di lavorare ed è qui, in centro a Chicago, per farsi una birra con gli amici.

    No. È troppo elegante per una birra. Quello sarebbe il tipo di uomo con cui di solito esco io. Questo qui, invece, Mr Superman, ha classe. Il suo bicchiere è pieno di un liquido color miele, e ciò conferma i suoi gusti: scotch o whisky con ghiaccio.

    È la personificazione del sesso mentre sorseggia il suo drink. Immagino il liquido bruciare mentre scende lungo la sua gola, l’alcol pungente riscaldarlo e placare gli affanni della giornata.

    Potrebbe essere un avvocato o un banchiere. Magari ha avuto una riunione in questo hotel e sta socializzando con gli uomini intorno a lui. O meglio, loro stanno cercando di fare una buona impressione su di lui. Così mi sembra più verosimile.

    I miei occhi si posano sul suo viso e rimango sconvolta quando mi accorgo che mi sta fissando intensamente. Vorrei distogliere lo sguardo, ma non posso. Sento una stretta allo stomaco mentre ci studiamo a vicenda. Provo a guardare altrove, ma non ci riesco. Dopo quella che mi sembra un’eternità, lui alza un sopracciglio e un sorriso furbo gli incurva le labbra. Magnifico non era la parola adatta. È spettacolare.

    Passa le lunghe dita tra le ciocche sensuali dei suoi capelli scuri, che farei qualunque cosa per poter toccare. Sento i brividi salirmi lungo la schiena mentre continuia­mo a guardarci.

    Proprio quando sono sul punto di svenire per aver trattenuto troppo il fiato, lui distoglie gli occhi. È come buttare sabbia su una fiamma. Il fuoco si spegne subito. Estinto. Freddo. Non rimane che cenere.

    Cosa diavolo è successo?

    La giornata dev’essere stata troppo pesante. Non avevo mai fissato un uomo tanto a lungo, né ne ero mai rimasta così colpita. Scommetto che è bravo a letto.

    Il pensiero mi attraversa la mente e lo scaccio. Queste idee non portano mai a niente di buono. È positivo che abbia distolto lo sguardo. Ancora meglio che non abbia sentito il mio corpo chiamarlo perché soddisfacesse il desiderio che mi incendiava. Gli sarebbe bastato un fiammifero e avrei preso fuoco come un mucchio di foglie secche.

    Mi sforzo con tutta me stessa di guardare verso il bar e concentrarmi su qualcosa che non sia l’uomo nell’angolo. Passo delicatamente il dito sul bordo del bicchiere, provando a produrre un suono che segua la musica in sala. Mi soddisfa sentire che riesco a produrre un rumore, una nota lieve a tempo.

    «Bella melodia». Una voce profonda alle mie spalle. È una di quelle che ti fanno ribollire il sangue.

    Mi volto così in fretta che urto il mio bicchiere. Un braccio mi saetta accanto e lo afferra prima che cada anche solo una goccia di vino. Sono intrappolata tra un petto muscoloso e il bancone del bar alle mie spalle. Istintivamente appoggio le mani sulla superficie dura che mi trovo davanti. Con il naso sfioro una camicia ben stirata. Un profumo inebriante di legno di sandalo e agrumi si spande nell’aria. Lo respiro a fondo. Mi viene in mente che è fin troppo tempo che non mi trovo in intimità con il sesso opposto.

    Un rumore mi riporta alla realtà. Il petto contro cui sono appoggiata è scosso da una risata. Mi allontano leggermente e scorgo due meravigliosi occhi blu. Prima la luce mi aveva ingannata. Non sono affatto scuri. Lo osservo con attenzione: occhi blu, zigomi scolpiti, mento a forma di cuore.

    Il Superman sexy è qui, proprio davanti a me, e mi sta guardando. Un’aura di luce lo circonda, accentuando ogni sua caratteristica. Sta… ridendo.

    Arriccio il naso e spingo contro il suo petto per creare una certa distanza tra noi. In un batter d’occhio, questo sconosciuto ha invaso il mio spazio, mi ha intrappolata come un animale, ha salvato il mio drink e mi ha lasciata senza parole.

    «Il gatto ti ha mangiato la lingua?»

    «No!». Alzo gli occhi al cielo per quanto sembri ridicolo persino a me.

    Lui ride e indica lo sgabello vuoto.

    «Posso?». Si siede senza aspettare una risposta.

    «No, non puoi. Sto aspettando una persona». Risposta molto ragionevole. È un’enorme bugia, ma funziona sempre quando un corteggiatore indesiderato cerca di sedermisi accanto.

    «Questa persona si può sedere sulla sedia dall’altra parte». Sorride.

    È davvero sexy. Potrei guardare il suo viso per giorni e comunque non capirei come Dio possa aver creato qualcosa di tanto perfetto. Probabilmente questo è il suo unico pregio.

    Schiocca le dita e il barman arriva di corsa.

    «Che maleducato. Tratti sempre tutti come fossero dei cani?».

    Non so nemmeno perché ho parlato. Avrei dovuto ignorarlo, finire il mio vino e andarmene. Ma no, dovevo per forza punzecchiare Superman.

    Mi guarda, mentre il barman attende pazientemente. Mi sembra strano per un barista. Perché non intromettersi e chiedere a Superman cosa vuole ordinare? Lui mi osserva con i suoi occhi blu come l’oceano e si rivolge al barman senza nemmeno guardarlo. Ripeto, che maleducato!

    «Sam, ne prendo un altro. E anche lei». Indica il mio bicchiere quasi vuoto.

    «Sì, signor Davis. Arriva subito». Il barista si inchina quasi, prima di correre a preparare i cocktail.

    «Signor Davis? Immagino tu venga qui spesso, allora».

    «Chase Davis e sì, questo hotel è mio. È importante che controlli i miei investimenti».

    Sento le guance infiammarsi. Non sono sicura se sia per l’imbarazzo o il fastidio. Forse entrambi. Oltre a essere bello da morire è anche un montato. Non mi importa.

    «Mi dispiace di essere sembrato maleducato, ma lo schiocco di dita è servito ad attirare l’attenzione di Sam. Volevo offrirti un altro giro prima che scappassi».

    Mi sembra ragionevole. «E come mai vorresti offrirmi un drink, signor Davis?»

    «Chase. Puoi chiamarmi Chase».

    «Ho l’impressione che tu sia abituato a essere chiamato signor Davis». Uso il mio tono più seducente. «Ti piace il senso di rispetto che ti dà?». Non capisco da dove cazzo arrivino le parole che pronuncio. Mi sembra di fare un gioco di cui non conosco le regole e non so se sto vincendo o perdendo. Qualcosa in quest’uomo mi dice di tenere alte le difese, ma non in un senso negativo. Più che altro come se volessi ottenere da lui una qualche reazione.

    «Per l’ambito professionale signor Davis è appropriato. Nel privato, com’è il caso di questa conversazione, vorrei che mi chiamassi Chase». I suoi occhi brillano e quando sorride scorgo una fila di denti bianchissimi. Rimango senza fiato.

    Annuisco, incerta su come proseguire. Lui trasuda sicurezza e controllo e io percepisco l’ansia di stargli accanto. È un Superman sensuale ma sembra stia diventando la mia kryptonite.

    «Per rispondere alla tua domanda, vorrei offrirti un drink per conoscerti meglio».

    Sento una stretta allo stomaco quando mi guarda in viso e poi abbassa lo sguardo sul mio seno. Per fortuna ho messo il top stretto sotto la giacca. Accentua le mie forme ma al contempo lascia spazio all’immaginazione. Grazie al cielo ho visto What Not To Wear e ho seguito i consigli sulla giacca aderente e il top.

    Mi passo la lingua sulle labbra e poi le mordo piano, cercando di decidere cosa dire o fare. Lui respira a fondo, vedo il suo petto alzarsi e abbassarsi. I suoi grandi occhi blu si spalancano.

    «Come ti chiami?», chiede.

    «Gillian Callahan, per gli amici Gigi».

    «Io ti chiamerò Gillian o signorina Callahan». Mi afferra la mano e se la porta alle labbra per baciarla. «I nomignoli si conquistano. Io preferisco scegliere il mio».

    Il suo tono deciso mi provoca esplosioni di desiderio e pelle d’oca.

    Quest’uomo è l’incarnazione del sesso. Le sue parole trasudano passione, così come il suo sguardo e il sorriso furbo che incurva un paio di labbra niente male. Voglio baciare, mordere e assaporare quella bocca. Esattamente in quest’ordine. Si slaccia del tutto la cravatta già allentata. Con dita rapide sbottona il colletto della camicia, mostrando la pelle abbronzata. Mi sporgo verso di lui, attratta da ciò che ho davanti. Vorrei avvicinarmi e leccargli il collo. Solo un assaggio veloce. Mi basterebbe.

    «Ti piace ciò che vedi, Gillian?».

    Prima che il mio cervello torni a funzionare e filtri le mie risposte, annuisco. Proprio come una ragazzina del liceo, mi lascio sfuggire: «Dio, sì».

    «Mmm, sono contento. Forse dovremmo continuare questa conversazione da un’altra parte». In un istante i suoi occhi blu si fanno scuri.

    Mi appoggia la mano sul ginocchio e il suo pollice traccia disegni immaginari. A ogni leggera pressione sul tessuto dei jeans, il suo tocco sembra bruciarmi la pelle. Sento l’eccitazione salire fino ai fianchi, finché non mi rendo conto di quello che ha detto.

    «Come, scusa?». Sobbalzo sulla sedia, e ciò mi richiede un grande sforzo, visto che ho le gambe molli come gelatina. Spostarci in un posto più tranquillo? Come se fossi una sgualdrina pronta ad andare a letto con un uomo, per quanto sexy come il qui presente, dieci minuti dopo averlo conosciuto? Non sono quel tipo di ragazza. Be’, potrei esserlo, ma non è l’impressione che voglio dare.

    La sua espressione muta in un sorriso confuso. Si protende verso di me, io però mi allontano, sfuggendogli. Gli uomini che cercano di toccarmi mi causano spesso attacchi di panico.

    Socchiude gli occhi. «Mi desideri. Lo vedo chiaramente. Ce l’hai scritto su quel bel faccino e anche le tue emozioni sono palesi».

    Un brivido di paura mi attraversa la schiena e mi fa drizzare i peli. Scuoto la testa. «Devi aver frainteso. È ora che vada. È stato bello conoscerti». Nel tentativo di schiarirmi le idee, mi giro e mi dirigo verso l’uscita.

    «Gillian, aspetta!», chiama alle mie spalle.

    Vorrei mettermi a correre, ma so di essere al sicuro qui. È un hotel a cinque stelle nel centro di Chicago. C’è molta gente. Faccio un respiro profondo e mi volto verso l’uomo più bello del mondo. Superman non gli rende giustizia. È semplicemente perfetto.

    Mi raggiunge e mi porge un cartoncino bianco.

    «Il mio biglietto da visita. Dietro c’è il mio numero di cellulare. Non ho capito cosa sia successo, ma vorrei rivederti».

    Improbabile. «Ci penserò».

    Inclina la testa in un modo che mi fa pensare non sia mai stato rifiutato da una donna. Probabilmente è proprio così. Solo una pazza potrebbe rifiutare del sesso con questo sconosciuto così affascinante, ma io vivo per il domani, non per l’oggi. Un lieve sorriso gli si dipinge sul volto. Si piega in avanti e mi appoggia le mani sulle braccia. Faccio del mio meglio per non farmi prendere dal panico. In realtà sono stata io a provocarlo. Deve essere parte della mia maniera di affrontare le cose. Chiudo gli occhi, lui si avvicina e mi dà un bacio sulla guancia.

    L’odore di legno di sandalo e agrumi aleggia nell’aria intorno a lui. Mio Dio, ha un profumo pazzesco.

    Chase mi sussurra all’orecchio: «Ci vediamo», poi con le labbra mi sfiora la guancia prima di allontanarsi.

    Potrei sciogliermi. Mi fa l’occhiolino, si volta e torna verso il bar.

    Stupida. Stupida. Stupida.

    Continuo a ripeterlo a me stessa mentre mi tolgo le scarpe col tacco e le lancio nella stanza. Povere scarpe. Non meritano di essere trattate così, ma dovrò pur sfogarmi in qualche modo. Mi attira l’idea di sbattere la testa contro il muro, ad esempio. Questo o la violenza sulle scarpe.

    Perché non posso essere normale e basta? Entro in un bar. Mi siedo. Bevo qualcosa. Incontro un bell’uomo. Flirto. Lui mi chiede di uscire. È così che l’incontro con Chase sarebbe dovuto andare. Ma no. Non per Gigi Callahan, la ragazza distrutta di San Francisco. Un uomo fa una proposta sessuale palese e io inizio a tremare come una foglia. Peggio, scappo via come un cucciolo spaventato. Sarei dovuta rimanere e rispondergli per le rime.

    Non che sia una moralista o una santa. Mi hanno fatto questo genere di avance mille volte. Ho anche pensato di accettare. Ma con lui è stato come se non riuscissi a essere abbastanza lucida da mettere una frase dietro l’altra. La mia mancanza di filtri gli ha dato il via libera. Con quel corpo e quel viso da adone, chi non vorrebbe andarci a letto? Cazzo, se non fossi un gattino spaventato, sarei attaccata alla sua gamba in cerca di coccole.

    Chase. Il solo pensare a lui mi fa stringere lo stomaco e bagnare le mutandine. Cazzo!

    Mi butto sul letto e fisso sconsolata il soffitto. Quando inizierò a controllare le mie paure? Non importa. Sono qui per concentrarmi sul lavoro con la Safe Haven e basta. Anche se forse, aprendomi con gli altri, potrei ottenere qualcosa da uno di loro. Per esempio da un tipo alto, con i capelli scuri, gli occhi blu come l’oceano e le mani grandi.

    Stupida. Stupida. Stupida.

    Il mio telefono vibra sul tavolo e mi riporta alla realtà. È la mia coinquilina. Grazie a Dio!

    «Ria! Meno male che hai chiamato!», strillo.

    «Mi amiga! Cosa succede? Non sembri in te».

    Maria De La Torre è una delle mie migliori amiche e abita con me. Ne abbiamo passate di tutti i colori insieme. Col trascorrere degli anni siamo diventate protettive l’una nei confronti dell’altra. Il suo affetto e il suo supporto mi hanno aiutata a superare notti di pianto e autocommiserazione. E io ho fatto lo stesso per lei. Insieme, e con una buona dose di terapia, abbiamo capito come affrontare le cose e condividerle. Sono sempre abbastanza chiusa, ma ora ci sono alcune persone di cui mi fido. Maria è una di quelle.

    «Ho conosciuto un uomo», sospiro al cellulare, disgustata da me stessa.

    «Allora perché sembra che ti sia appena morto il gatto?», ride lei.

    «Non so. Questo è diverso. È intenso». Intenso è un eufemismo.

    Anche Maria sospira all’altro capo del telefono. «Gigi, non dirmi che hai trovato l’ennesimo stronzo che vuole solo portarti a letto. Cioè, capisco che tu sia scopabile, ma devi smetterla di attrarre solo pedazos de mierda!».

    Rido. Lei pensa che tutti gli uomini siano pezzi di merda. Inutili. Il fatto che usi parole spagnole quando parla la rende speciale. È una cosa unica e mi ha insegnato molto su quella lingua.

    «Non è un tipo del genere. Be’, in realtà non so molto di lui, a parte che è bellissimo. E quando dico bellissimo, intendo proprio come un attore, potrebbe rientrare nella classifica degli uomini più belli del mondo. Probabilmente le donne si strapperebbero le mutande davanti a lui». E credo che lui lo sappia. Stronzo presuntuoso.

    Lei sogghigna. «Bene. E quindi tu lo farai?»

    «Fare cosa?»

    «Strapparti le mutande per lui, stupidina». La sua risata si fa più forte e il tono è quello di chi è sicuro delle cose che dice.

    «No! L’ho incontrato, ci ho parlato e poi sono scappata. Mi sono resa ridicola. Non credo che voglia rivedermi». È vero. E comunque, se conoscesse il mio passato, porterebbe quel suo corpo sexy da Superman in giacca e cravatta il più lontano possibile da me.

    «Cara bonita, vedrai che non è così».

    Mi imbarazzo. Mi ha sempre chiamata bel faccino, è il nomignolo affettuoso che ha scelto per me. Ma diventa fin troppo tenera quando sente che sono giù di morale o ho bisogno di incoraggiamento.

    «Ti ha chiesto di uscire o il numero di telefono?».

    Scorgo un bagliore di speranza. «Sì, una cosa del genere. Mi ha dato il suo biglietto da visita con il cellulare scritto dietro. E mi ha chiesto di chiamarlo». Tecnicamente mi ha dato il biglietto dopo il mio comportamento idiota, quindi forse è interessato. E questo cosa dice di lui? Io mi sono comportata come una pazza, ma lui ha tentato comunque di adescarmi. È stato inappropriato anche lui.

    «Vedi, c’era qualcosa. Intendi chiamarlo?». Sembra speranzosa. «Ti meriti un po’ di divertimento mentre sei a Chicago. E poi, quando è stata l’ultima volta che sei andata a letto con qualcuno?».

    La sua è una domanda retorica. Sa che sono passati mesi.

    «Ria! L’ho appena conosciuto! Mi stai suggerendo di andarci a letto?». Questa ragazza non ha freni. Anche se non posso negare di aver pensato la stessa cosa, soprattutto quando si è allentato la cravatta argentata, mostrando un po’ di pelle.

    «Sì, esatto. Hai bisogno di una scopata!».

    Sobbalzo alle sue parole.

    «Sei nervosa ultimamente. Hai detto tu stessa che è il tipo di uomo con cui ogni donna vorrebbe andare a letto. Pensaci. Sei giovane, mi amiga! Inizia a comportarti come una che ha ventiquattro anni, non quarantaquattro».

    Sospiro. «Hai ragione. Ci penserò. Che ne dici se ti chiamo domani dopo la prima riunione? Vorrei andare a letto presto per allenarmi in palestra in mattinata». Sbadiglio e mi rendo conto di essere esausta.

    Maria ha davvero ragione. Sono stata fin troppo rigida. L’ultima relazione che ho avuto, se così vogliamo chiamarla, è stata con Daniel lo sfigato.

    Cioè, non è che fosse proprio uno sfigato. Era solo troppo sensibile per me. Mi trattava come una principessa e piangeva davanti ai film romantici. Io non piango quasi mai. Era anche noioso a letto. Voleva farlo solo nella posizione del missionario, nient’altro. È rimasto sconvolto quando gli ho proposto di prendermi da dietro. La sua voce spaventata mi rimbomba ancora in testa: «Vuoi essere scopata come una puttana, Gigi? Mio Dio, ma cos’hai che non va?».

    Pensare a quello stupido mi fa innervosire. Voglio un uomo che sappia come comportarsi. Uno che mi faccia eccitare, che mi faccia venire regolarmente senza però che io abbia paura di lui. Daniel non mi ha mai dato molto piacere, ma neppure mi ha mai sfiorata con rabbia.

    La voce contrariata di Ria interrompe i miei pensieri. «Uffa, sempre in palestra. Bree ne sarebbe fiera. Io invece mi godrò una bella cenetta con Tommy. Le cose si stanno smuovendo, credo che finalmente riuscirò a farmi portare a letto!».

    Guardare Maria che corteggia un ragazzo è una cosa completamente nuova. Di solito sono gli uomini a fare a botte per starle vicino, non il contrario. «L’attesa aumenta il desiderio», le ricordo. «Sii felice delle attenzioni che ti riserva. Almeno vuole davvero stare con te, non solo portarti a letto». Rido e sento il suo sospiro frustrato.

    «Ma io voglio che mi scopi!».

    «Buona fortuna. Goditi la cena. Io sono a pezzi dopo il viaggio e qui siamo anche due ore avanti», le ricordo con un altro sonoro sbadiglio.

    «Buonanotte, cara bonita. Te quiero. Besos».

    «Ti voglio bene anch’io. Besos».

    Metto il telefono in carica e mi infilo la camicia da notte. Dopo aver dato un’occhiata ai messaggi, decido di mandarne uno collettivo alle ragazze e a Phillip. Le mie altre migliori amiche vorranno sapere che sono arrivata sana e salva nella città del vento. Phillip impazzisce se non ha mie notizie. Un aggiornamento veloce al gruppo per dire che mi farò sentire domani dopo la riunione e sono pronta per dormire.

    Mi sento nervosa per domani, non sono mai stata a una riunione del consiglio di amministrazione della Fondazione Safe Haven. Spero di riuscire a impressionarli con le mie statistiche e con i risultati annuali della raccolta fondi. Chiudo gli occhi, il respiro rallenta e i nervi tesi si rilassano. Mi addormento sognando quegli occhi blu come l’oceano e quelle mani forti che mi accarezzano.

    Capitolo due

    Il cuore mi batte all’impazzata e i muscoli mi fanno male, mentre una sottile striscia di sudore mi scorre in mezzo ai seni. Ho il respiro affannoso. Sono vicina, manca poco e ci sono. Sono euforica e continuo, fino al limite. Continuo a correre. Mio Dio, quanto mi piace.

    I miei piedi colpiscono il tapis roulant e io sorrido vittoriosa. Respiro, quasi mi sfugge un gemito. Chiudo gli occhi, in estasi, e mi sento davvero viva.

    «Incredibile», mormora qualcuno dietro di me.

    Vengo colta di sorpresa nel mio nirvana. Appoggio male il piede, e nel cadere cerco inutilmente di aggrapparmi alla barra di metallo del macchinario con le dita sudate che mancano la presa. Volo all’indietro e inciampo. Delle braccia forti mi afferrano per la vita e mi spostano dal tapis roulant. Sono appoggiata a una solida parete di muscoli.

    «Gillian! Ti saresti potuta fare davvero male!». Gli occhi preoccupati di Chase Davis si posano sul mio viso.

    Sono senza parole. Mi sento stordita, confusa. Il cuore batte a mille, ho le gambe deboli e incerte, respiro a fatica. Mi aggrappo con forza alla sua schiena, cercando di riprendere l’equilibrio. Mi accarezza il viso con la mano destra, mentre la sinistra è ancorata sul mio fianco. Se così non fosse, non so se riuscirei a rimanere in piedi.

    «Stai bene?»

    «Sì, credo di sì». Scuoto la testa e porto le mani sulle sue spalle per tranquillizzarmi. La pelle nuda e umida mi rende fin troppo consapevole di quanto sia vicino Chase. I nostri corpi sono incollati. La sua pancia tocca la mia, pelle contro pelle mentre respiro a fondo. Ogni parte del suo corpo è calda, dagli addominali scolpiti alle spalle possenti. Il sudore gli imperla la fronte e gli cola lungo il collo. Vorrei leccare quella goccia per sentirne il sapore.

    Avere le sue braccia forti strette attorno a me mi fa sentire al sicuro, come se niente potesse ferirmi, nemmeno lui. È una sensazione a cui non sono abituata, ma è quello che cerco nel profondo dell’anima. Ho sempre pensato di non poter più provare una cosa del genere dopo ciò che ho passato.

    «Tutto bene? Mi hai spaventato a morte».

    Continua a tenermi, mentre gli oggetti intorno a me iniziano a riprendere la loro forma. Mi accarezza la guancia con il pollice e io lo guardo negli occhi. Non mi aspettavo che si preoccupasse così, che il suo viso mostrasse tanta ansia. Forse non è solo un tipo presuntuoso e scaltro con una bella faccia. Controvoglia, mi rendo conto che c’è la possibilità che non tutti gli uomini forti e dominanti usino la loro forza per ferire il prossimo.

    Mi passa i polpastrelli sul labbro inferiore. Sussulto, e il suo sguardo si fa cupo. Si lecca le labbra. Stringe la presa intorno alla mia vita e mi preme una mano sulla schiena. Sta per baciarmi. Oh mio Dio.

    Lo allontano freneticamente da me, faccio un passo indietro e mi piego per inspirare a fondo l’aria tanto agognata. Poi mi tiro su di nuovo.

    Lui mi guarda con aria interrogativa e un sorriso furbo compare sul suo bel viso.

    Stava per baciarmi. Lo so. E io volevo baciarlo? In testa mi rimbomba un forte sì! Allora perché mi sono spostata?

    Mi riprendo da quel momento di panico e lo vedo in tutto il suo splendore. Che vista! Alleluia! Posso dire amen? Davvero, è fantastico.

    Indossa dei pantaloncini a vita bassa e nient’altro. Si china e raccoglie la maglietta che deve essergli caduta mentre mi afferrava al volo. È a torso nudo e io lo osservo con attenzione. È in ottima forma. Spalle e petto ampi, forti, tutti tendini e muscoli. Una

    V

    perfettamente definita, vita sottile e addominali scolpiti. Quest’uomo si allena… e molto.

    Dall’ombelico parte una striscia di peli scuri che finisce nei suoi pantaloncini. Oh Dio, cosa non darei per poter far scorrere il dito su quei peli, sempre più in basso…

    Mi ricordo che sta ancora aspettando una risposta e dico la prima cosa che mi viene in mente. «Stai bene». La sua espressione stupita mi fa tornare in me. «Cioè, cazzo… io. Io sto bene».

    La sua risata riecheggia nella sala, ricordandomi dove mi trovo: la palestra dell’hotel. Mi guardo intorno, mi sentirei mortificata se qualcun altro avesse visto la mia caduta poco elegante. Ma ci siamo solo Chase e io. Cerco di superare l’imbarazzo e schiaccio

    STOP

    con più forza del necessario. Il tapis roulant si ferma stridendo. Sfogare la frustrazione sui macchinari non risolleverà il mio orgoglio ferito. Mi volto e metto le mani sui fianchi, sulla difensiva. Chase si appoggia a una delle colonne lì accanto, con le braccia incrociate al petto. È del tutto a suo agio nel mostrare quella pelle dorata.

    I suoi occhi pieni di ilarità accompagnano l’affascinante sorriso che gli illumina il

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