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Un mondo diverso
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E-book176 pagine2 ore

Un mondo diverso

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Info su questo ebook

Londra, 2078. L’antiquario Giovanni Prezioso è titubante ad accettare l’incarico, ma è stato il Presidente Moussen in persona a chiederglielo e gira fama che paga bene. Inoltre il suo compito sembrerebbe semplice, in fondo è il suo mestiere. Deve dare la caccia a una chimera che probabilmente non esiste. In una terra tradita dal lato oscuro dell’uomo, braccati dal potere e da nemici invisibili, Giovanni e i suoi compagni non potranno fidarsi di nessuno. In una guerra in cui la posta in palio è il diritto di esistere, Giovanni dovrà essere il primo a trovare la risposta. Che cos’è la Rosetta e chi è l’uomo che imparò a volare?
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788835825845
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    Anteprima del libro

    Un mondo diverso - Enrico Radente

    infanzia.

    I

    Rose sorrise dolcemente.

    «It was good… very good…».

    Giovanni sorrise.

    «Non ti capisco quando parli la tua lingua».

    «Oh… Italians».

    Lei sorrise. Gli diede un bacio lieve sulle labbra, si alzò e prese i due microchip. Uno lo mise all’inizio del collo, proprio sopra le corde vocali, l’altro sotto l’orecchio sinistro.

    Rose si lasciò cadere sul letto e sussurrò maliziosamente: «Sai quanto mi è costato metterci l’italiano nel traduttore?».

    «Non è mica colpa mia se non lo impostano come lingua standard. Dopo inglese, francese, tedesco e spagnolo, sicuramente ci andrebbe l’italiano…».

    «Sappi che ho speso ben centomila ethereum».

    «Tu sai come siamo noi italiani…».

    «Sì, arretrati! I più arretrati d’Europa! Allergici all’inglese!».

    «Ma no… che dici? È solo una difesa culturale, la nostra», rise Giovanni. «Sai che mi è venuta un’idea…».

    «Quale?», chiese lei, aprendo le gambe.

    «Tastare il tuo italiano a letto…».

    «…».

    E mentre la pioggia tamburellava forte sulle vetrate, Giovanni la penetrò ancora una volta.

    «Usi ancora il pillolo vero?», chiese Rose dalla porta del bagno.

    «Certo! Ti ho appena regalato tanti spermatozoi morti stecchiti e sterilizzati».

    Giovanni aspirò una lunga boccata di sigaretta. Sorrise a quei settecento e rotti anni di attività del tabacco.

    «Non ci scherzerei troppo! Hai sentito dell’ultima epidemia di Aids fra i reietti?», gli chiese Rose.

    Giovanni rise e spense la sigaretta nel defumatore. La macchina prelevò il filtro. Si era sempre domandato che fine facessero poi quei filtri.

    «Cosa ci fai qui a Londra?», chiese Rose.

    «Devo incontrare il grande capo…».

    «Il grande capo? Mr Moussen?», scandì lei sgranando gli occhi. «Il governatore dell’Inghilterra, il presidente del direttivo?».

    «Già».

    «E cosa vuole Mr Moussen da un antiquario?».

    «Le stesse cose che vogliono da te i tuoi clienti. Marchette. E io non mi tiro indietro. Basta che paghi bene… Non sono certo sensibile all’etica».

    Rose iniziò a rivestirsi e gli disse: «Conviene che ti rivesta anche tu. Tra poco accenderanno le luci».

    «E chi se ne frega? Quanto ti devo…».

    Parole pesanti, come uno schiaffo.

    «Duecentomila, al solito!», sibilò lei. «Vestiti, ti ho detto, prima che si riaccendano le luci. Rischi due giorni in gattabuia».

    Rose si spostò in cucina.

    Alle 7.30 in punto, si accesero contemporaneamente le luci, i segnalanti delle vetrate, le pareti a immagini… Tutto l’appartamento prese vita. Giovanni scosse il capo. Non si era ancora abituato a tutto questo. Il Vatch iniziò a notificare messaggi non ancora ascoltati. Il giornale condivideva notizie di altri due luogotenenti del Npi: arrestati e processati per direttissima. Il giorno seguente sarebbero stati gettati al di là dei muri.

    Giovanni aveva conosciuto Rose quattro anni prima, durante una missione. Lui doveva consegnare a un bavoso conte inglese l’ultimo libro uscito per la collana dei rosa, Il marinario di Venezia, edizione del 2031, (l’anno prima dell’inabissamento di Venezia). Avevano appuntamento all’Hotel Palace di Londra e proprio lì, fu attratto da quella ragazza dall’aria misteriosa, enigmatica, incontrata per caso. Giovanni era andato fino in Turchia per scovare quel testo. Era stato un suo informatore di Vicenza, uno stampatore clandestino di falsi tipografici, a dargli l’imbeccata. Il libro ce l’aveva un vecchio rigattiere sdentato di Istanbul. Giovanni lo aveva comprato a diecimila ethereum: l’equivalente di due pacchetti di sigarette e l’aveva poi rivenduto a quel conte per venticinque milioni di ethereum.

    Quella fu la prima di tante notti calde. Giovanni voleva molto bene a Rose. Forse ne era innamorato. Anche se era difficile ammettere di essersi innamorati di una puttana della City.

    Alle 7.35 in punto, la solita pantera della Sanità Pubblica svolazzava all’altezza delle vetrate.

    Giovanni li salutò, ancora nudo come un verme, poi indicò il suo pistolo. Non gli avrebbero fatto nulla, alle 10 doveva incontrare il loro capo. I due sanatori, dopo apposito scambio di battute con la centrale, si involarono altrove.

    Giovanni era nervoso. Troppi punti interrogativi in tutta quella faccenda. Due giorni prima, il segretario personale del governatore del distretto d’Inghilterra, nonché presidente del direttivo d’Europa, l’aveva chiamato al Vatch. L’immagine del segretario uscì rattrappita per colpa del sensore ottico ammuffito. Il segretario era stato eloquente: «L’onorevole presidente del direttivo d’Europa, nonché governatore del distretto d’Inghilterra, Benjamin Moussen, chiede alla signoria vostra di presentarsi nella sede del direttivo a Londra, il giorno giovedì 3 settembre 2078 alle ore 10. Distinti saluti, il segretario personale del presidente, Paul Schinker».

    Il messaggio era stato recapitato in italiano, non in inglese. Curioso. La hostess ologramma della metropolitana sopraelevata segnalò la fermata del palazzo del direttivo. Giovanni si alzò dal sedile ergonomico a levitazione. Il sedile sobbalzò, fluttuando nell’aria. Uscì dalla metropolitana.

    Non guardò sotto, soffriva di vertigini. C’era quel centimetro di vuoto, fra la pedana della metropolitana e il marciapiede della stazione sopraelevata, che faceva intravedere i circa due chilometri di vuoto che portavano a terra. Ossia al livello 0, quello dei reietti.

    Una volta a terra, Giovanni controllò per l’ennesima volta di avere il traduttore addosso impostato sull’inglese.

    Tutt’intorno la vita della più grande metropoli dell’Impero europeo. Auto e scooter a idrogeno. Lavavetri autorizzati chissà da chi, visto che avevano vecchissimi zaini a propulsione ormai fuorilegge. Grattacieli che arrivavano a toccare il cielo azzurro, intelligente illusione ottica prodotta dalla cupola atmosferica di protezione. Oltre, l’atmosfera reale toccava ormai i quarantacinque gradi. Guardando in giù, c’era poi il susseguirsi dei vari livelli, dal più ricco (l’ottavo) al più povero (lo zero), il regno dei reietti: i barboni, papponi, gli scarti della società di cui ormai non si riusciva più a tenere il conto. Si usavano treni a levitazione per collegare i vari distretti d’Europa. Tagliavano le viscere della terra a 500 km/h.

    Il contatto fra un impero e l’altro era ufficialmente fuorilegge. Il mercato nero era gestito dai mediorientali e indiani con le loro navi terrestri a illusione ottica. Caffè, synth, allucinogeni cerebrali, armi batteriologiche, motori a propulsione nucleare o a idrogeno, puttane, schiavi. L’Italia era il porto europeo di tutto questo. Odiata da tutti, luterani in primis, il bel paese rimaneva ben ancorato all’Europa e alla sua cupola di protezione per una ragione. Era il mercato nero del continente, capace di far scomparire e riapparire in nuove forme e nuovo potere una quantità impressionante di merce che nessuno voleva ufficialmente vedere.

    Per questo, il direttivo accettava di buon cuore anche il fastidio persistente procurato dai terroristi del Npi. Girava da anni il sospetto che l’Npi avesse la sua radice proprio in Italia.

    Per questo, Vito Tutolo, padrino della mafia italiana, era governatore ad interim del distretto italiano da anni immemori.

    Tutto era nato dallo scoppio della Quinta Guerra Mondiale nel 2040. Non si sa bene chi iniziò, o almeno, il potere faceva credere questo. Ciò che rimaneva nello stomaco dei vivi era un buco nero che nessuno avrebbe più voluto affrontare. La guerra uccise 4,5 miliardi di persone, metà delle terre emerse divenne deserto o fu risucchiata dall’oceano che tutto vuole.

    La fermata Alfred Moussen era affollata. Al Check, Giovanni passò il Vatch sullo scanner e uscì all’aria aperta. Si lasciò alle spalle la piramide cubica della stazione. Di fronte a lui, si ergeva il grattacielo del Direttivo Centrale. Attraversò piazza Alfred Moussen, la piattaforma di luce sospesa in aria.

    Arrivò all’ascensore mnemonico A, come da istruzioni, e vi entro. Pensò al piano. Fu scaraventato in su, per poi atterrare in maniera morbida al livello richiesto: Livello 8.

    Il sensore ottico riconobbe la sua identità, classificata come ospite del giorno del presidente, e si aprirono le porte.

    La cupola di vetro era larga come un campo di football e alta almeno centocinquanta metri. Era il centro del potere del continente europeo. A ogni paratia d’acciaio era posizionato un sanatore, perfettamente mimetizzato con l’ambiente. In fondo, c’erano tre reception che portavano a sette differenti ascensori mnemonici.

    Giovanni arrivò alla reception centrale. Una splendida segretaria mora gli indicò il terzo ascensore, facendo tre con le dita. Da vicino, sembrava una statua di gesso. Era immobile. All’ascensore, un sanatore disse semplicemente: «Ultimo piano».

    Entrò nell’ascensore. Appena il tempo di pensare e fu scaraventato all’ultimo piano in un batter di ciglio.

    Si ritrovò su un vero tappeto persiano, contornato da specchi dorati, sanatori ovunque ai lati e la cappella Sistina stirata sul soffitto. Un po’ titubante, si avviò verso la porta in mogano massiccio in fondo al corridoio.

    «Salve», si ritrovò a dire al terzo o quarto sanatore che incontrò alla sua sinistra.

    Finalmente giunse alla porta. Quest’ultima si aprì senza che lui battesse ciglio.

    «Cazzo…».

    Dire sfarzo, era poco. Quel luogo era grande come due loft panoramici. Il pavimento era lastricato di marmo di Carrara. La parete di sinistra era affrescata con candidi putti veneziani. Il soffitto non esisteva e si vedevano le stelle. Alla sua destra una biblioteca con almeno tremila libri. Giovanni si avvicinò circospetto. Il primo archivio catalogava libri dal 1960 al 2040. Più ci si addentrava, più si andava indietro nel tempo. Rimase allibito, quando in fondo alla biblioteca, sorrideva sorniona una copia veneziana cinquecentesca de Il Milione di Marco Polo. Quel libro valeva almeno cinquanta miliardi di Ethereum.

    «Vista la mia collezione?», una voce da dietro fece ricomporre Giovanni. Cercò di costruirsi un atteggiamento leggermente meno strisciante.

    «Ehm… sì, interessante… Ma questa copia de Il Milione è al sicuro qui?».

    «Se lei solo la toccasse verrebbe incenerito all’istante…».

    Giovanni si scostò di colpo. Poi, come se nulla fosse, si girò e si avviò verso la voce.

    «Salve, sono Benjamin Moussen», l’uomo porse la mano a Giovanni. Fu una stretta a dir poco vigorosa. Poi, Moussen si avviò verso la scrivania e si sedette su una poltrona in pelle di daino.

    «Prego», disse poi indicando con la mano il primo scaffale di libri.

    Giovanni seppe stupirsi ancora. Su quello scaffale c’era la bibliografia completa di Michel Foucault.

    «Può prendere La Storia della Follia della Gallimard, quella del 1972, per favore?», chiese assai amabilmente Moussen.

    «Certo…», Giovanni ghignò.

    «Le dirò, sono un grande estimatore di Foucault, ma questa edizione non mi paga neppure il viaggio».

    Moussen scoppiò in una fragorosa risata.

    «Oh no no… so che non è un bibliofilo, mi ha frainteso… ah ah…». Poi Moussen si fermò di colpo e aggiunse: «Mi stupisce comunque il fatto che Lei conosca Foucault…».

    «Come a me stupisce il fatto che Lei abbia la sua bibliografia completa».

    «La stupisce questo? A me sembra uno strumento basilare per chi ha una grande responsabilità. Sapere è potere», poi Moussen indicò la sedia di fronte a lui.

    «Si sieda Mr. Prezioso», disse poi.

    Giovanni si sedette e mise il libro sul tavolo.

    «Cosa vuole da me Mr. Moussen?».

    Moussen si alzò a guardare il virtuale di un camino che crepitava fuoco.

    «Paul», chiamò Moussen.

    All’istante comparve dal nulla il segretario inquietante che Giovanni aveva visto al Vatch, il giorno che gli era stato recapitato l’invito al palazzo del direttivo. Aveva uno strano tatuaggio sul polso interno destro: due serpenti attorcigliati che si mangiavano l’un l’altro e formavano un cerchio. La parte bassa del tatuaggio era leggermente difettata.

    «Mi porti gli incartamenti e il Napoleon del 2050, grazie», Paul scomparve così com’era apparso.

    Paul tornò con un plico e la bottiglia di cognac. Dalla scrivania spuntarono due bicchieri. Il maggiordomo versò il cognac.

    «Grazie Paul», Moussen fece poi cenno a Paul di andarsene. Quest’ultimo si congedò con un inchino.

    Giovanni si accorse di un vecchissimo modello di fotocopiatrice, per metà coperta da una tenda bianca d’organza.

    «Allora, Giovanni. Ha mai sentito parlare della Rosetta?».

    «La rosetta?».

    «E di un certo Franco Corradi?».

    «Chi, l’inventore del sistema operativo centrale di protezione?».

    «Gliela faccio breve. Franco Corradi nacque a Livorno nel 2000. Genio da subito, dopo la guerra, nel 2045, coordinò insieme al professor Isaac Furstenberg…».

    «L’equipe che progettò il sistema operativo di protezione dell’Impero europeo. Questa è Storia presidente».

    «Già, però qui nasce la leggenda».

    Giovanni sorrise.

    «Nel 2053 Corradi impazzisce e viene rinchiuso nel manicomio giudiziario di Aversa, perché stupra la signora delle pulizie. Anche se da qui nascono interpretazioni di tutti i tipi. Dicono che sia stato Furstenberg a incastrare Corradi».

    «Già, ma si narra anche che Corradi

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