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Il regno degli Illuminati
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Il regno degli Illuminati
E-book649 pagine8 ore

Il regno degli Illuminati

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Info su questo ebook

Due autori tradotti in oltre 15 Paesi

Un grande thriller

Dagli autori del bestseller L'ultimo segreto dei templari

Padre Emmanuel è stato ucciso dal colpo di un cecchino presso la sede dell’UNESCO di Parigi. L’omicidio, per le efferate modalità con cui è avvenuto, all’interno dell’importante sede di un organismo internazionale, diviene subito un caso di pubblico dominio e alimenta i sospetti più inquietanti. Tra l’altro, la giudice Gardane scopre poco tempo dopo che il killer è un membro della massoneria. Cosa significa tutto ciò? Chi sono i mandanti dell’assassinio e per quale oscura ragione è stato commesso? Il commissario Marcas è uno che non si accontenta delle spiegazioni semplici e per ricostruire i fili di una trama complessa è disposto ad andare fino a San Francisco. Le sue indagini si concentrano soprattutto su una società segreta che risale al diciottesimo secolo e che sembra operare ancora in diversi Paesi. La verità non è mai vicina quando sono in tanti a volerla nascondere… Il futuro dell’Occidente è legato alla soluzione di un oscuro enigma, ma in troppi desiderano che rimanga insoluto…

C’è ancora chi pensa che il potere dei templari appartenga al passato

«Terrificante e realistico.»
Le Point

«Un libro costruito molto bene. Un viaggio nella storia.»

«Non vorrei perdere per nulla al mondo una delle indagini del commissario Marcas.»
Eric Giacometti
Giornalista di un grande quotidiano francese, alla fine degli anni Novanta ha condotto una grande inchiesta sulla massoneria. Insieme a Jacques Ravenne, che conosce da venticinque anni, ha iniziato nel 2005 una collaborazione letteraria. Le inchieste del commissario Marcas sono state tradotte in 15 lingue.
Jacques Ravenne
È lo pseudonimo di un massone elevato al grado di Maestro del Rito Francese. Con Eric Giacometti ha firmato una serie di thriller di grande successo internazionale, di cui la Newton Compton ha pubblicato Il settimo templare, L’ultimo segreto dei templari e Il regno degli Illuminati.
LinguaItaliano
Data di uscita19 lug 2017
ISBN9788822712790
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    Anteprima del libro

    Il regno degli Illuminati - Eric Giacometti

    1698

    Titolo originale: Le règne des Illuminati

    Copyright © 2014, Fleuve Éditions, un département d’Univers Poche

    Published originally under the title Le Règne des Illuminati

    Traduzione dal francese di Francesca Tilli e Sofia Buccaro

    Prima edizione ebook: settembre 2017

    © 2016 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-227-1279-0

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Librofficina

    Eric Giacometti – Jacques Ravenne

    Il regno degli Illuminati

    Indice

    Prologo

    Parte prima

    Capitolo 1

    Capitolo 2

    Capitolo 3

    Capitolo 4

    Capitolo 5

    Capitolo 6

    Capitolo 7

    Capitolo 8

    Capitolo 9

    Capitolo 10

    Capitolo 11

    Capitolo 12

    Capitolo 13

    Capitolo 14

    Capitolo 15

    Capitolo 16

    Capitolo 17

    Capitolo 18

    Capitolo 19

    Capitolo 20

    Capitolo 21

    Capitolo 22

    Parte seconda

    Capitolo 23

    Capitolo 24

    Capitolo 25

    Capitolo 26

    Capitolo 27

    Capitolo 28

    Capitolo 29

    Capitolo 30

    Capitolo 31

    Capitolo 32

    Capitolo 33

    Capitolo 34

    Capitolo 35

    Capitolo 36

    Capitolo 37

    Capitolo 38

    Capitolo 39

    Capitolo 40

    Capitolo 41

    Capitolo 42

    Capitolo 43

    Capitolo 44

    Capitolo 45

    Parte terza

    Capitolo 46

    Capitolo 47

    Capitolo 48

    Capitolo 49

    Capitolo 50

    Capitolo 51

    Capitolo 52

    Capitolo 53

    Capitolo 54

    Capitolo 55

    Capitolo 56

    Capitolo 57

    Capitolo 58

    Capitolo 59

    Capitolo 60

    Capitolo 61

    Capitolo 62

    Capitolo 63

    Capitolo 64

    Capitolo 65

    Capitolo 66

    Capitolo 67

    Capitolo 68

    Capitolo 69

    Capitolo 70

    Parte quarta

    Capitolo 71

    Capitolo 72

    Capitolo 73

    Capitolo 74

    Capitolo 75

    Capitolo 76

    Capitolo 77

    Capitolo 78

    Capitolo 79

    Capitolo 80

    Capitolo 81

    Capitolo 82

    Capitolo 83

    Capitolo 84

    Capitolo 85

    Capitolo 86

    Capitolo 87

    Capitolo 88

    Capitolo 89

    Capitolo 90

    Capitolo 91

    Capitolo 92

    Capitolo 93

    Capitolo 94

    Glossario massonico

    Ringraziamenti

    A voi, lettori

    Lettera ai nostri lettori…

    Al termine de L’ultimo segreto dei templari, sua precedente avventura, Antoine si era esiliato in Africa, per l’esattezza in Sierra Leone. Per un anno non ha dato cenni di vita.

    Durante quella eclissi, Jacques ha potuto scrivere il suo romanzo sul marchese de Sade, Les Sept Vies du Marquis (Fleuve Éditions, 2014), un’opera che aveva a cuore da anni. Quanto a Eric, dopo quindici anni di passione, ha abbandonato il suo giornale, «Le Parisien/Aujourd’hui en France», e altri progetti.

    Finché un giorno Antoine è ricomparso. Era tornato a Parigi senza avvertirci. Va da sé che non l’abbiamo più lasciato.

    Per apprezzare questa nuova indagine, vi consigliamo di leggere attentamente il paragrafo che segue la fine del romanzo. Il segreto scoperto da Antoine vi riguarda tutti, ciascuno di voi… In amicizia.

    Eric Giacometti e Jacques Ravenne

    Appuntamento sul nostro nuovo sito per conoscere le novità e approfondire le inchieste di Antoine Marcas.

    www.giacometti-ravenne-polar.com

    Prologo

    «La parola segretezza è ripugnante in una società libera e aperta, e noi, come popolo, ci siamo opposti intrinsecamente e storicamente alle società segrete, ai giuramenti segreti e alle riunioni segrete».

    John Fitzgerald Kennedy

    Discorso davanti all’American Newspaper Publishers Association

    27 aprile 1961

    Roma

    3 luglio 1963

    Il trentacinquesimo presidente degli Stati Uniti scese lentamente dalla Lincoln blu notte parcheggiata nel cortile della chiesa. Pur sapendo che i colleghi erano già in posizione, un agente di sicurezza perlustrava con sguardo altezzoso la costruzione dai vecchi muri ocra, segnati da crepe.

    Nelle uscite ufficiali, John Fitzgerald Kennedy non indossava i suoi Ray-Ban Wayfarer, ma un paio di Persol 649. Non mancavano mai di accompagnarlo nelle trasferte private, amorose o politiche, procurandogli un’illusione di anonimato.

    Un’aria calda, eccessiva per lui, gli avvolse il viso congestionato. In piedi, sotto il sole calante, raddrizzò la schiena dolente per il caotico tragitto lungo i vicoli sconnessi di Trastevere, quindi consultò il suo orologio cronometro dal quadrante in argento. Un regalo di Jackie. Avviò il rituale conto alla rovescia.

    La lancetta partì.

    Uno, due, tre

    Doveva restare in piedi un minuto prima di incamminarsi verso la piccola chiesa dove era atteso. Un interminabile minuto affinché il suo cervello si irrorasse di sangue saturo di cortisone. Altrimenti, lo avrebbero colto le vertigini e avrebbe perso conoscenza, come la settimana prima a Berlino.

    Prese il fazzoletto inumidito che gli porse uno dei suoi uomini, si umettò la fronte e fletté leggermente le gambe. Il pantalone di tweed gli aderiva alla pelle. Sentì le cinghie del busto, attorno al dorso incrinato, conficcarsi nella camicia.

    Venti secondi.

    Il tempo giocava sempre a suo svantaggio. Si passò meccanicamente la mano tra i capelli spessi e impomatati. Di fronte a lui due enormi cipressi si stagliavano su una panchina di pietra. Vi si sarebbe riposato volentieri. E perché non fare poi una deviazione… Scacciò quell’idea sulfurea.

    Trenta secondi.

    Il sangue aveva ripreso ad affluire. Avrebbe tanto voluto stendersi all’ombra degli alberi. E dimenticare. Dimenticare le sue responsabilità. Persino i suoi consiglieri non reggevano più il ritmo. Gettò uno sguardo al più giovane, Adam, rimasto dentro l’auto, immerso in un rapporto riservato, un affare di corruzione riguardante il vicepresidente Johnson.

    Un minuto. Stop al cronometro.

    Inspirò a fondo, come gli aveva insegnato il medico. Le grosse suole ortopediche scricchiolarono sul ghiaino, le vertebre scrocchiarono come una vecchia corteccia, il suo corpo si mise in moto.

    Passò davanti ai cipressi: un odore di resina, dolce e fruttato, lo penetrò; un profumo già respirato un quarto di secolo prima, durante il primo viaggio a Roma. Era stato il padre a portarlo, lontano dalla loro terra, il Massachusetts, per farsi benedire da Pio

    XI

    . Ma, più che il papa, lui ricordava la figlia dell’ambasciatore, compagna delle notti romane.

    Un sorriso gli aleggiò sulle labbra, il primo della giornata che non fosse dettato dal dovere.

    Fu richiamato all’ordine dal brusco, grave rintocco di una campana. Il fantasma seducente della giovane bruna svanì mentre avanzava verso l’edificio austero. Salutò i due uomini della sicurezza che piantonavano i lati della chiesa ed entrò, togliendosi gli occhiali.

    Una lieve corrente d’aria, più tiepida, gli accarezzò il viso. Sbatté le palpebre per abituarsi alla penombra che lo circondava. L’interno in stile romanico non aveva nulla di ostentato: alcune pareti annerite dai secoli, qualche fila di sedie in legno delicato, un coro pressoché disadorno. Si fece il segno della croce e si diresse verso il fondo, martellando, con cadenza metallica, il pavimento con la punta ferrata delle suole.

    Davanti all’altare, sotto un cristo longilineo sospeso a una catena arrugginita, una figura fino a quel momento inginocchiata si stava alzando in piedi. Prima che Kennedy potesse raggiungerlo, l’uomo, vestito di un’immacolata tonaca bianca, gli andò incontro. Era sul finire della sessantina e di statura media. Il capo calvo ballava dentro la veste e due occhi vividi, marroni, ringiovanivano il viso consunto, come se contemplassero una luce non visibile ai mortali.

    Paolo

    VI

    , duecentosessantaduesimo successore di Pietro, allargò le braccia, i palmi aperti.

    L’americano fece per chinarsi in modo da baciare l’anello piscatorio, ma il pontefice scosse la testa, stringendogli gli avambracci. «Andiamo, signor presidente, ci siamo salutati tre ore fa», dichiarò in un perfetto inglese dall’inflessione italiana. «Che la pace di Cristo sia con lei».

    «Grazie, Sua Santità. Se potesse attenuare la pressione sulle vertebre, sarebbe già un miracolo».

    I due uomini si osservarono in silenzio. Si erano incontrati quella mattina per una visita ufficiale in Vaticano. Il papa, incoronato da appena quattro giorni, aveva pronunciato un caloroso discorso di benvenuto per il primo presidente cattolico nella storia degli Stati Uniti. Davanti alle telecamere di tutto il mondo. Il Vaticano si teneva ormai al passo con i tempi. Ma, di comune accordo, i due uomini avevano deciso di rivedersi al riparo dagli sguardi, per discutere del vero motivo per cui Kennedy era a Roma.

    Il presidente della prima potenza mondiale pareva vacillare sulle grosse scarpe nere. Il pontefice sapeva che l’americano soffriva sin da giovane di una rara malattia delle ghiandole surrenali che gli corrodeva le ossa, condannandolo a portare un busto permanente.

    Kennedy si schiarì la voce. Un raggio di sole illuminò il suo viso stanco, filtrando da una vetrata rosseggiante. «Vengo a farmi consigliare, lontano dagli occhi della gente».

    Il nuovo capo spirituale della Chiesa cattolica scrollò il capo. «Davvero? Io non sono che un papa novello e lei il rodato presidente degli Stati Uniti d’America. Sono io che dovrei chiederle consiglio su come gestire le faccende di questo mondo. Fresco di elezione, devo portare a termine il Concilio Vaticano

    II

    indetto dal mio predecessore».

    John Fitzgerald Kennedy si raddrizzò, l’espressione pensierosa. «Ho letto una nota al riguardo. Modernizzare un sistema sclerotizzato, rompere i conservatorismi, infondere speranza. Ne so qualcosa, in effetti, nel mio Paese».

    «Ma non siamo qui per parlare di riforme…».

    «Infatti. Perché avete scelto questa chiesa per il nostro colloquio?».

    Il papa tese l’indice in direzione di una nicchia sopra un grosso pilastro di fianco all’altare: all’interno di un cassettone in legno chiaro campeggiava un triangolo scolpito con al centro un occhio aperto; da ogni lato del triangolo si irradiava una miriade di raggi dorati.

    «Ah, sì… L’occhio della Provvidenza», mormorò Kennedy. «Ho sempre avuto l’intima convinzione che mi guidasse».

    Il papa incrociò le mani sulla tonaca. «L’occhio di Dio è ovunque, figliolo, come quello di Mosca. Mi è stato riferito dai miei servizi di sicurezza che il segretario generale russo, Chrušcëv, era al corrente della mia elezione ancor prima che la fumata bianca fuoriuscisse dal conclave. L’occhio di Mosca… Avrei potuto evocare le orecchie del Cremlino. Questa incresciosa abitudine dei tempi moderni di installare microfoni… A meno che la vostra potente

    CIA

    , che collabora con le mie forze, non abbia a sua volta qualche spia in seno alla curia».

    «Non lo consentirò», asserì l’americano con mollezza. Sapeva che il nuovo papa aveva un’esperienza più che ventennale nelle questioni di diplomazia internazionale. Delle realtà del mondo.

    Paolo

    VI

    gli lanciò un’occhiata studiatamente ironica. «Naturalmente… Tornando alla vostra domanda, questa chiesa mi è cara sin dalla mia ordinazione. Lontana dagli intrighi e dai fasti della Santa Sede, è una casa di Dio umile e spoglia».

    Kennedy non riusciva a stare fermo, la schiena aveva ripreso a torturarlo. Notando l’espressione di dolore sul suo volto, Paolo

    VI

    gli indicò la navata laterale, rischiarata da raggi di sole obliqui. «Camminiamo. Ho sempre amato la luce a quest’ora del giorno. Quieta l’anima».

    Passarono davanti a un dipinto dalla cornice dorata, accanto a un confessionale. Sulla tela scurita un giovane seminudo, dalla carnagione bianca e i capelli neri, era legato a un palo. L’esile corpo era trafitto da frecce acuminate e delle gocce scarlatte colavano dalle ferite. Kennedy trasse dalla giacca una boccetta bianca e, sotto lo sguardo compassionevole del papa, prese una pillola grigia.

    «È vero che le è stata impartita l’estrema unzione?», gli domandò Paolo

    VI

    con dolcezza.

    «Sì, Santo Padre. La malattia di Addison¹, la mia croce personale. Ho visto ben tre volte la morte in faccia». Tacque, il suo sguardo si fece assente qualche istante, poi riprese. «C’è di buono che non la temo più».

    Si fermò, fronteggiando il papa, che sovrastava di una testa.

    «Mi rincresce non potermi trattenere oltre. Devo rientrare a Washington stasera», se ne uscì quasi impaziente. «Volete cominciare?».

    Il capo della Chiesa non si formalizzò per il tono imperativo dell’americano: l’elezione al trono pontificio non gli aveva dato alla testa come ad alcuni suoi predecessori.

    «Bene», sussurrò benevolo. «Conoscerà certamente un suo compatriota, padre Avery Dulles. Insegna teologia all’università gesuita di Woodstock, nel Maryland. Una mente tra le più brillanti, come se ne trovano spesso in quell’ordine».

    Una corrente tiepida spirò di nuovo sui loro visi.

    «Ho capito perfettamente», rispose Kennedy in tono neutro. «Il cugino dell’ex direttore della

    CIA

    , Allan Dulles, che mi ha trascinato nel disastro cubano della baia dei Porci, due anni fa. L’ho silurato. Mi auguro che il gesuita abbia maggiore buon senso della spia del cugino».

    Paolo

    VI

    assunse un’aria preoccupata. «Padre Avery gravita attorno a cerchie di influenza molto utili al Vaticano, democratiche quanto repubblicane. Ci conosciamo, inoltre, da parecchi anni. Mi ha telefonato prima del nostro incontro per rivelarmi alcune informazioni sconvolgenti, di cui mi sento in dovere di informarla».

    Kennedy si stava massaggiando il collo, la bocca contratta: solo il sentir nominare i Dulles gli risvegliava i dolori cervicali.

    Paolo

    VI

    trasse un rosario in legno annerito e prese a sgranarlo tra le dita.

    «Mi ascolti con attenzione, stanno accadendo dei fatti molto gravi che la riguardano. Un mese fa padre Dulles ha ricevuto la confessione di un uomo d’affari di primo piano della West Coast. Un repubblicano che ha finanziato la campagna del suo avversario, Richard Nixon, e che non la ha in simpatia».

    Kennedy non si scompose. «Mi sono fatto talmente tanti nemici con la mia politica riformista…».

    «In cambio del suo appoggio, l’uomo in questione è stato ammesso in una società segreta conservatrice che si riunisce non lontano da San Francisco».

    «Ho capito a quale gruppo occulto alludete. Ho letto una nota al riguardo al mio arrivo alla Casa Bianca. Praticano strani riti, in effetti. Non mi sono mai piaciute le società segrete e ho messo in guardia l’America da esse. Ebbene?»

    «Il nostro uomo ne è rimasto agghiacciato. È un buon cristiano e non ha potuto tacere. Ha assistito a una cerimonia pagana, blasfema, in cui hanno arso un cadavere. Invocando il suo nome, presidente, e la sua funzione! E non è tutto…».

    Il pontefice si espresse sottovoce per una decina di minuti buoni, interrompendosi di tanto in tanto per valutare la reazione del suo interlocutore, per poi riprendere in tono più lento, accentuando ogni singola parola, così da imprimerla in Kennedy.

    Calò il silenzio, quindi fu il turno del presidente americano di parlare. Lo fece con timbro grave e monocorde. Sui tratti marcati di Paolo

    VI

    si dipinse un’espressione incredula. Kennedy terminò a sua volta, parendo al limite dello sfinimento.

    Nei suoi occhi il papa non ravvisò che un opaco velo blu.

    «Sono inorridito, figliolo. Inorridito».

    Il presidente posò lo sguardo sul san Sebastiano martire. «Vi sono uomini che subiscono il proprio destino, altri che lo scelgono. Io assumo il mio, a costo di espormi alle frecce dei miei nemici. Porterò i miei impegni fino in fondo».

    «Si sbaglia, figliolo, è Dio che decide, soltanto Lui», esclamò Paolo

    VI

    . L’eco della sua voce si ripercosse sulle pareti della chiesa.

    «E se la mia scelta fosse quella di Dio?», replicò Kennedy in tono di sfida.

    «Sbaglia!».

    «Devo andare», concluse il giovane presidente, fissando l’uomo più anziano negli occhi. «Vi ringrazio infinitamente per la vostra sollecitudine e i vostri consigli. Arrivederci, Santissimo Padre».

    Il papa non insistette. Notò uno strano luccichio nello sguardo dell’americano.

    E quel luccichio lo raggelò.

    «Pregherò per lei e per la sua famiglia», mormorò.

    Osservò Kennedy allontanarsi con passo greve e impacciato lungo la navata centrale. Il sole non illuminava più le vetrate, nella casa di Dio stava calando l’oscurità. Il più potente dei re della Terra si immerse nelle tenebre, la schiena ricurva come se stesse intraprendendo la sua personale via crucis. Paolo

    VI

    si segnò, a mo’ di esorcismo, pur comprendendone la portata irrisoria. Levò lo sguardo verso l’occhio incastonato nel triangolo di pietra e rabbrividì.

    L’occhio della Provvidenza gli restituì uno sguardo vuoto. Per la prima volta nella sua esistenza, sentì la fede vacillare.

    Quattro mesi e mezzo più tardi, il 22 novembre 1963, il presidente John Fitzgerald Kennedy veniva assassinato a Dallas. Un sospettato, Lee Harvey Oswald, fu arrestato il giorno stesso dell’omicidio, in un cinema, dopo essere fuggito da un edificio in cui la polizia rinvenne un fucile da cecchino. Fu ucciso il giorno dopo da Jack Ruby, gestore di un night club. Una commissione di inchiesta presieduta da Earl Warren, giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti, formulò il suo rapporto l’anno successivo, escludendo la teoria di un complotto. Lee Harvey Oswald fu riconosciuto come unico colpevole.

    Nel 1979, su pressione dell’opinione pubblica, il caso Kennedy fu riaperto da una commissione della Camera dei Deputati. Le conclusioni del rapporto Warren furono inficiate e la tesi del complotto validata.

    Data la popolarità del presidente e le varie zone d’ombra, l’assassinio di Kennedy suscitò, per la prima volta nella storia degli Stati Uniti, una profonda sfiducia della popolazione verso le istituzioni e un intensificarsi delle teorie cospirazioniste.

    ¹ Reale.

    Parte prima

    «I mezzi di azione della nostra società segreta sono tali, di fatto, che nulla può resistere».

    Adam Weishaupt

    gran maestro degli Illuminati di Baviera

    1

    Parigi

    Sede

    UNESCO

    Ai giorni nostri

    La bambina dai capelli biondo paglia teneva in braccio un cagnolino bianco. La testa leggermente inclinata verso il cucciolo, sfoggiava quel sorriso irresistibile che lo faceva sciogliere. Damien Heller contemplò con tenerezza la foto sgualcita. In quel momento la piccola doveva sgambettare nel letto, mentre la madre le leggeva una storia. Un letto ben lontano, all’altro capo della Francia. Gli mancava terribilmente.

    Baciò la foto, la posò in verticale contro il fodero vuoto della carabina, quindi riassunse la posizione di attesa, seduto sulla seggiola di ferro. La canna del Dragunov semiautomatico poggiata sul bordo della finestra, aggiustò di nuovo il mirino diurno modello

    PS-O

    1 sull’auditorium gremito.

    Scorse gli astanti – almeno un migliaio di persone – poi risalì lungo il tappeto rosso che si estendeva verso il palco, fino a fermarsi su un uomo alto, in piedi dietro un podio. Un bel viso, una barba da hipster impeccabile quanto lo smoking, stava tenendo un discorso in un francese un po’ incerto. Damien non aveva bisogno di tendere l’orecchio: sulla parete sopra lo stanzino in cui si trovava era installato un altoparlante.

    «Padre Emmanuel non è più francese. No, appartiene ormai all’umanità, fa parte della famiglia dei Gandhi, dei Kennedy, dei Mandela e di tutti quei giganti che hanno il bene comune come unico orizzonte. E la cosa più incredibile è che questo grande uomo si è sempre considerato un umile tra gli umili. Sono felice di annoverarlo tra i miei amici».

    L’oratore tese il braccio verso un gruppo di persone ben vestite, sedute sul palco dietro un lungo tavolo di vetro. Dalla sala si levarono degli applausi.

    Irritato, Damien Heller regolò il reticolo del mirino in mezzo agli occhi dell’americano.

    Non mi stupisce che tu te la intenda con padre Emmanuel. Quanti soldi vale la sua amicizia? Credi di poterti comprare il mondo coi tuoi miliardi e il tuo Web venduto alla

    CIA

    e alla

    NSA

    ? La tua vita di merda, posso farla esplodere.

    Sfiorò il grilletto, con un ghigno. Non successe nulla.

    Il brillante Stuart T. Rankin, direttore generale della

    NICA

    Corporation, colosso delle telecomunicazioni e di Internet, poteva continuare il suo discorso da filantropo, non era lui il bersaglio del cecchino. Il mirino lasciò il cuoio capelluto del miliardario e si spostò verso il maxischermo che trasmetteva la cerimonia in diretta. L’espressione raggiante di Stuart Rankin appariva al centro dell’inquadratura, ritrasmesso dal videoproiettore.

    Perfetto, le televisioni celebreranno la mia impresa in primo piano e in alta definizione. Ideale per YouTube.

    Il cambiamento di focale fece strizzare l’occhio a Heller. Abbassò lentamente il mirino verso gli invitati seduti sul palco, fino a fermarsi su un uomo calvo con le braccia conserte e indosso una semplice tonaca in lino bianco.

    Damien puntò la croce di mira sul sacerdote. Padre Emmanuel, la personalità più amata dai francesi in qualunque sondaggio, avrebbe ricevuto, per la prima volta nella vita, un premio per la sua opera a favore dei diseredati. Heller sogghignò.

    Sarà anche l’ultima.

    Si sentì infiammare da un’ondata di potere, simile a un fuoco divorante. Eppure non aveva ancora il dito sul grilletto. Non doveva essere precipitoso e rovinare tutto, il muscolo dell’indice si stancava troppo facilmente. Ampliò l’inquadratura sulla fronte del premiato. La pelle tesa del capo riluceva sotto i proiettori, delle goccioline di sudore imperlavano le tempie rugose.

    «Padre…», sussurrò Daniel, «il mio indice è il dito di Dio che punirà la tua impostura. La tutela dei poveri e dei bambini del terzo mondo, fesserie! Ti pavoneggi accanto a un miliardario e a dei politici. Te li sei arruffianati ben bene per ricevere il tuo premio? Stai pur certo che svelerò il tuo vero volto al mio processo».

    Lasciò il mirino e controllò l’orologio: mancavano solo due minuti alla consegna del riconoscimento. La scaletta della cerimonia era scandita al secondo. Il suo cuore accelerò come quando sfrecciava con la moto, di notte, sulla circonvallazione. Il sangue prese a pulsargli nelle vene, trascinando via, finalmente, tutte le delusioni, le umiliazioni. Era finito il tempo del fallimento, sarebbe entrato nella storia e avrebbe aperto gli occhi ai francesi e al mondo intero sul paladino dei poveri.

    Un clic. Uno solo, e si sarebbe scatenato il putiferio.

    Aveva previsto tutto.

    Il panico generale, gli agenti di sicurezza che avrebbero individuato la provenienza dello sparo, da sopra l’auditorium. L’irruzione nello stanzino.

    Si sarebbe lasciato placcare a terra, ammanettare ed esibire davanti alle telecamere. E avrebbe lanciato il suo messaggio all’intera umanità. Era un mese che ripeteva il suo discorso, nel suo rifugio, lontano dagli occhi della gente.

    Mi chiamo Damien Heller…

    Mi chiamo Damien Heller e sono un cittadino del mondo. Ho trent’anni e sono come voi una vittima del Nuovo Ordine Mondiale. Vi faranno credere che io sia un mostro, uno spietato assassino, che abbia ucciso un servo di Dio perché sono pazzo e asociale. Non è così. Padre Emmanuel era un nemico della luce.

    Le parole colavano dentro di lui come miele, rendendolo invincibile. Dette un ultimo sguardo alla foto della figlia, quindi si inchiodò sul mirino. La sua bimba era troppo piccola per capire, ma una volta cresciuta sarebbe stata fiera di portare il suo cognome.

    Nella sala sottostante uno scoppio di applausi salutò la fine del discorso dell’americano.

    «Signore e signori, ho l’immenso privilegio di accogliere… padre Emmanuel».

    Adesso l’intera sala si era alzata per acclamare l’arrivo del prete.

    Il cecchino si chinò, collocando l’occhio a cinque centimetri dal mirino – solo i principianti lo facevano aderire – e, il dito sul grilletto, divenne un tutt’uno con l’arma. Doveva solo attendere che il bersaglio prendesse posto sul podio e cominciasse la sua orazione.

    Il premiato si posizionò di fronte al pubblico acclamante. Il suo viso benevolo invase la superficie del maxischermo e i suoi occhi dolci, quasi irreali, soggiogarono i presenti e i milioni di famiglie che assistevano alla diretta. Innumerevoli furono gli animi che vacillarono sotto la potenza di quello sguardo. Il sacerdote apparteneva a quell’esigua razza di eletti che sorgono periodicamente nella storia degli uomini per rischiararli dalle tenebre.

    Senza distogliere la vista dagli astanti e dalle telecamere, trasse dalla tonaca un fascio di fogli, quindi batté sul microfono. Il filo di voce scaturì come un ruscello limpido.

    «Vi ringrazio. Oggi è un gran giorno. Non per me, ma per milioni di bambini sfortunati nel mondo. Mi preme inoltre rendere omaggio a Stuart Rankin che ha deciso di condividere con noi una parte delle sue sostanze. Stuart, fa’ un ultimo sforzo, cerca di convincere i tuoi amici ricchi a mostrarsi altrettanto generosi».

    La sala rise assieme al miliardario. Il sacerdote tacque un istante, fissando la folla. Delle rughe sottili gli contornavano gli occhi penetranti, allungandogli lo sguardo.

    Le sue parole risuonarono come acqua che diventa torrente.

    «Conoscete tutti il mio motto. Basta subire».

    La linea grigia delle sue sopracciglia comparve nitida nel mirino. Il reticolo si piantò in mezzo agli occhi. Il cecchino trattenne il fiato come aveva imparato.

    Il mondo non subirà più la tua presenza…

    La voce del prete si riversò nell’auditorium.

    «Varcate la soglia della speranza. Questa sera vi annuncio che…».

    Damien Heller premette il grilletto alle 19:51:01. Dalla canna del Dragunov partì un proiettile di 7,62x54 mm. Perforò l’occhio destro del religioso, attraversando la scatola cranica e conficcandosi nella parete di cemento, sotto il maxischermo. Il corpo fu sbalzato all’indietro, la testa picchiò a terra.

    Una delle tre telecamere puntate sul palco, in modalità primo piano, colse per la prima volta nella storia dell’umanità il volto di una persona assassinata in diretta. E in alta definizione.

    Quella sera morì un grande uomo, che si era sempre considerato piccolo. E varcò la soglia dell’immortalità.

    Vi fu una seconda detonazione, ma il proiettile non raggiunse mai padre Emmanuel. La testa di Damien Heller esplose a sua volta. E non era stato lui a sparare.

    Quella sera morì un piccolo uomo, che si era sempre considerato grande. E varcò la soglia della notorietà.

    2

    Ai giorni nostri

    Un anno dopo l’assassinio di padre Emmanuel

    Religione

    «Osservatore romano»

    Roma, Vaticano. Il papa ha avviato ieri la procedura di canonizzazione di padre Emmanuel. Il portavoce del Vaticano, monsignor Carlino, ha spiegato ai giornalisti presenti che il sacerdote assassinato è considerato un martire della fede.

    AFP

    Parigi

    Sarà occorso quasi un anno esatto affinché la giudice Hélène Gardane del polo antiterrorismo chiuda l’istruttoria sull’uccisione di padre Emmanuel. Il rapporto sarà trasmesso al procuratore della Repubblica la prossima settimana. Stando alle fughe di notizie dell’ultimo periodo, la giudice Gardane avvalora la tesi dell’omicida isolato.

    Ricordiamo che il presunto assassino, Damien Heller, trent’anni all’epoca dei fatti, si è suicidato con la propria arma sul luogo dell’attentato. L’uomo, asociale e affetto da disturbi della personalità, ha lasciato una breve lettera in cui spiega che padre Emmanuel era un «nemico della luce». Damien Heller ha precisato di aver agito «solo e per il bene dell’umanità». Al termine di un’istruttoria condotta a passo di carica, la giudice di ferro, come la chiamano i colleghi del tribunale di Parigi per via del suo carattere inflessibile, non ha appurato complicità dirette o indirette. Il procuratore della Repubblica ha un mese per stabilire se chiudere l’inchiesta o indire un processo in contumacia. Una fonte vicina all’Eliseo ritiene che, «tenuto conto del turbamento suscitato nell’opinione pubblica, sarebbe auspicabile che un processo avesse luogo, se non altro per dissipare gli spettri complottistici che aleggiano intorno all’assassinio di una simile personalità».

    Cronaca

    Sondaggio nell’anniversario dell’assassinio di padre Emmanuel, reso noto questa mattina per diffusione immediata sui media. Il 42% degli intervistati crede ancora che dietro l’omicidio del sacerdote vi sia stato un complotto, e che l’omicida, Damien Heller, sia stato manipolato. Il 39% dei francesi evoca una somiglianza inquietante con l’assassinio del presidente americano John Fitzgerald Kennedy, nel 1963.

    Parigi

    Antoine Marcas uscì dal negozio di telefonia mobile, entusiasta del suo nuovo smartphone. Un modello elegante, color avorio, con un grande schermo, zeppo di gadget e applicazioni che non avrebbe mai usato.

    Lo sguardo incollato sul nuovo giocattolo, deviò sul marciapiede e non si accorse dell’uomo corpulento dalla giacca rossa che arrivava in senso opposto. Spintonato, riuscì ad afferrare il cellulare appena in tempo, prima che accadesse l’irreparabile. Non aveva attivato l’opzione danni e furto.

    «Idiota», bofonchiò il tipo.

    «Scusi», rispose Antoine.

    L’omone assunse un’aria seccata. Scansò Marcas con il dorso della mano e fece per passare. «Levati, miserabile, vatti a comprare un cervello con un

    GPS

    ».

    La frase di troppo. Negli occhi di Antoine lampeggiò la collera. Non era in servizio, poteva ribattere.

    «Il grasso non rende affabili…».

    Il tizio divenne scarlatto quanto la giacca. «Sgombra, coglione, o ti gonfio».

    Marcas sentì il sangue ribollire. Gli avrebbe ricacciato gli insulti in quella gola adiposa.

    Proprio in quel momento lo raggiunse il commesso del punto vendita. «Ha dimenticato di firmare un modulo. Venga», si intromise. Poi sottovoce: «Non vale la pena rispondere. Lasci correre».

    Lo portò via quasi di forza, lasciando allontanare l’omaccione, con il dito medio alzato. Cinque minuti più tardi Antoine usciva per la seconda volta dal negozio. Guardò l’orologio: mancavano pochi minuti all’appuntamento. L’obeso gli aveva rovinato il momento di piacere, le offese continuavano a ronzargli nella testa. Il parigino caricaturale, volgare e maleducato.

    Dal suo ritorno dall’Africa, Antoine trovava la Francia triste e grigia. Di fatto, tutto gli pareva grigio: Parigi, i muri di Parigi, i parigini, gli abiti dei parigini, i visi dei parigini. Se alzava il naso al cielo, dei nuvoloni grigi sostavano in permanenza sulla capitale; se accendeva il televisore, un fiume di notizie grigie e deprimenti gli inondava l’animo. Come se un’appiccicosa pellicola antracite avesse ricoperto il Paese, e anche lui.

    Attraversò la strada e si fermò davanti alla vetrina di un’edicola, dove era esposta in bella mostra la prima pagina di un settimanale. Ritraeva il volto di un uomo calvo e sorridente in preghiera, gli occhi rivolti verso un cielo madreperla:

    PADRE EMMANUEL CI MANCA

    Antoine osservò il prete con tristezza. Ricordava molto bene il giorno in cui aveva appreso del suo assassinio. Era stato l’anno precedente, in Sierra Leone, in una giornata di pioggia torrenziale, in cui la melma ricopriva le strade nell’aria umida di Freetown. Si era riparato all’interno di un bar di un misero hotel e, davanti a una birra tiepida, si era messo a guardare le notizie lampo in un televisore catodico. Padre Emmanuel ammazzato in pieno discorso. L’occhio ridotto in brandelli dal proiettile, il corpo sbalzato in aria… Poi la scoperta del cadavere dell’assassino suicida, dieci minuti più tardi. Nel bar si erano levate le grida: il sacerdote era popolare persino in quell’angolo d’Africa, dove aveva costruito alcune scuole per gli orfani di guerra.

    La sirena spiegata di una volante lo fece tornare bruscamente al grigiore parigino. Riprese a camminare e vide che la strada in cui voleva recarsi era sbarrata da due camionette nere e lucenti simili a grossi insetti metallici. Si udivano fischi e schiamazzi.

    Aggirò le vetture e si bloccò. Un gruppo di manifestanti agitavano striscioni, urlando slogan davanti all’obbedienza. Uomini e donne di stampo europeo, dai tagli militari e i capelli legati in crocchie, facevano cerchio intorno a un prete dalla tonaca inamidata e il capo rasato di fresco.

    Il servo di Dio si sgolava attraverso un megafono. «Hanno ucciso padre Emmanuel. Bastoni sui massoni!».

    «Fratelli ai macelli!», gridò in coro un gruppetto di contestatari, in fila perfetta.

    Antoine ne fu stomacato. Trasudava un odio familiare: il caro vecchio odio del capro espiatorio, vecchio come la Repubblica, inveterato sotto l’Occupazione, un odio che esalava una brodaglia d’ignoranza e fanatismo. Padre Emmanuel si sarebbe senz’altro indignato di quella sordida appropriazione.

    Basta subire, era questo il motto del sacerdote. Dal suo soggiorno in Africa, Antoine lo aveva fatto proprio. A suo modo, aggiungendovi due parole.

    Basta subire l’idiozia.

    Perlustrò la scena e, intorno alla folla assembrata, scorse qualche collega in uniforme che osservava preoccupato la manifestazione.

    Spostò l’attenzione sull’ingresso dell’obbedienza. Dietro alle grandi vetrate del pianterreno, tre membri della sicurezza mostravano dei volti tirati. Un po’ più a destra, lungo la strada, una barriera separava gli oppositori cattolici estremisti da un altro gruppo. Dal look radicalmente diverso.

    Antoine rimase sconcertato: alcuni uomini dalle barbe lunghe, con indosso la gellaba, circondavano tre donne velate dalla testa ai piedi, che agitavano dei cartelli:

    GIÙ LE MANI DAL BURQA

    NO AL COMPLOTTO MASSONICO SIONISTA

    Il disprezzo di Marcas si tramutò in stupore: integralisti cattolici e musulmani uniti nell’odio per i massoni. Pazzesco.

    Una mano si posò sulla sua spalla. Un uomo in abito scuro, dai capelli rossi, il naso all’insù e il sorriso forzato, gli sventolò un manifestino in faccia.

    «Legga, signore! I massoni hanno ammazzato padre Emmanuel e hanno fatto lo stesso con Luigi

    XVI

    durante la Rivoluzione francese. Apra gli occhi».

    Antoine dette una scorsa al foglio, in cui si alludeva a padroni del mondo, complotti satanici contro la Francia cristiana, assassinii di capi di Stato, Illuminati, terrore rivoluzionario. Un montaggio fotografico ritraeva padre Emmanuel sotto il mirino di un massone con il grembiule.

    «Ho gli occhi spalancati, grazie», rispose tagliente. «Quali prove avete del coinvolgimento dei massoni nell’omicidio?»

    «L’assassino ha scritto che il sacerdote era un nemico della luce. Sì, signore! Ebbene la luce è roba da massoni. Padre Emmanuel era dunque nemico dei fratelli, per questo è stato ucciso. E i media, succubi dei massoni, tengono la bocca chiusa. Occultano tutto».

    Marcas non sapeva se ridere o piangere. Gettò uno sguardo ai barbuti. «Perché manifestate insieme agli estremisti musulmani?», chiese al tizio. «Siete favorevoli al burqa?».

    Quello scosse la testa con aria imbarazzata, lanciando un’occhiata sprezzante ai fondamentalisti. «Scherza! Fosse per me li manderei via a calci in culo, ma erano qui prima di noi. Padre La Gourdine, il nostro capo spirituale, vuole che li lasciamo stare. Abbiamo comunque messo in piedi un barriera per tenerli lontani. Se gli fossimo saltati addosso, non sarebbe parso il vero ai massoni. Troppo forte! Saltare addosso agli arabi è giusto, dico bene?».

    Marcas ebbe difficoltà a rimanere impassibile.

    «Uno spasso».

    «Vede, non siamo fascisti, possiamo coabitare in connessione halal. Non è forse una dimostrazione di carità cristiana? Buona giornata».

    Il discepolo di padre La Gourdine si infilò tra i passanti per distribuire i volantini. Antoine prese il cellulare e chiamò il curatore del museo. «Ciao, fratello. Dei coglioni bloccano l’ingresso».

    «Lo so, hanno persino evacuato gli uffici per un’allerta bomba. La sicurezza ha chiamato i tuoi colleghi. Sono concordi nel ritenere che sia meglio attendere la fine della manifestazione. Quegli esagitati non aspettano altro che passare per martiri, se la polizia interviene. Passa da rue Thomas Nouvelle, l’altra entrata è libera».

    Marcas aggirò il gruppo di cattolici e si avvicinò agli integralisti musulmani. I loro sguardi tradivano un certo nervosismo. Avevano anche loro un servizio di sicurezza: appostati accanto alla barricata, avvistò quattro colossi in occhiali da sole che scrutavano i cattolici con diffidenza. Quell’alleanza di circostanza non gli parve forgiata nel migliore dei sodalizi. Uno dei manifestanti aveva un’aria da studente, con i suoi occhialini tondi. A parte il cartello, raffigurante un triangolo con un occhio sanguinante, sembrava sano di mente.

    «Perché manifestate?», gli domandò Marcas, volendosi convincere che gli occhiali garantissero un minimo di neuroni ogni centimetro cubo di cervello.

    «I massoni hanno diffuso un comunicato favorevole alla nuova legge contro il burqa. I massoni, agenti dei sionisti, dettano legge in questo Paese. Quegli empi hanno persino assassinato uno dei vostri migliori preti».

    Antoine si trattenne dall’alzare gli occhi al cielo. Mancavano soltanto gli ortodossi estremisti ebrei – ma quelli non manifestavano mai – e la triade divina sarebbe stata al completo.

    Che vadano tutti al diavolo, questi invasati di Dio.

    Gli germinò un’idea sinistra nella testa. Bisbigliò qualcosa all’orecchio del giovane, indicando padre La Gourdine che arringava il suo gregge.

    Lo studente si innervosì. «Ne è certo?»

    «Giuro!», esclamò Marcas con aria angelica.

    L’occhialuto si avvicinò all’imam, un uomo dalla barba e dai capelli grigi. Antoine si allontanò con prudenza, appostandosi sul marciapiede di fronte.

    In capo a qualche istante, un movimento impercettibile, simile a un’onda, agitò la folla, seguito da un levarsi di insulti. L’imam si addossò alla barriera, brandendo il pugno in direzione del parroco. Come per magia, il gruppo di cattolici smise di vociare e si voltò verso gli islamici, disposti come fanti prima dell’assalto.

    Sui fanatici calò un silenzio mortale. Da Oriente e Occidente, le due masse ostili di carne si fronteggiarono. Visi anonimi che trasudavano diffidenza, sguardi arroventati dall’estremismo, muscoli irrorati da un cattivo sangue. Le coscienze individuali erano svaporate nell’incandescenza dell’odio collettivo. Per la più grande gloria del loro Dio.

    D’un tratto si udì un rumore di ferraglia: la barriera che separava i due gruppi era caduta in campo cattolico. Da entrambe le parti eruppero gli strepiti. La rissa di Dio poteva avere inizio. I cervelli inebriati dal vino dell’intolleranza, i manifestanti si gettarono gli uni sugli altri, come se volessero reinscenare le crociate.

    Un uomo in maniche di camicia uscì dal bar e affiancò Marcas. Era Hassan, fratello di loggia della Fratellanza dell’acacia d’Oriente. Una loggia in cui ebrei, musulmani, cristiani e atei dialogavano in armonia da decenni.

    «Ebbene, commissario Marcas, non si interviene? Stanno disturbando la quiete pubblica».

    «Non sono in servizio, e poi i miei colleghi stanno per darsi una mossa».

    «Quei manifestanti sono degli stupidi», commentò Hassan disgustato.

    «È un eufemismo, ti trovo troppo gentile».

    «C’è un proverbio arabo che calza a pennello: Il dotto conosce l’ignorante, perché lo è stato anch’egli, ma l’ignorante non può conoscere il dotto, perché tale non è mai stato».

    Antoine gli rivolse un sorriso cordiale. Ricordava la tavola presentata dal fratello Hassan sulla tolleranza a Cordoba nell’era mitica di al-Andalus. In quel momento, si era ben lontani dalle raffinatezze dell’antica Andalusia. L’imam aveva afferrato il parroco per la tonaca, mentre le rispettive guardie del corpo si massacravano a dovere. Il prete sferrò un pugno nelle costole del salafista, che emise un grido di dolore.

    «Non molto cristiano», se ne uscì Marcas. «Dieci euro sull’imam, è uno scattante».

    «Quindici sul prete, ha la stazza di un giocatore di rugby».

    Risuonarono dei fischi. Una squadra di poliziotti, compatta come un grosso scarabeo dalla corazza nera e lucente, si avventò sulla calca di manifestanti.

    «Spero che non interrompano la zuffa. Schadenfreude», mormorò Marcas, irritato.

    «Ovvero?», domandò Hassan, mimando un incontro di pugilato.

    «È un’espressione che mi ha insegnato un diplomatico tedesco in Sierra Leone. Significa gioire delle disgrazie altrui. Io schadenfreude ed è bello».

    Purtroppo per Marcas, i rinforzi, con i loro grossi scudi, riuscirono a respingere i manifestanti. L’ingresso dell’obbedienza fu sgomberato, mentre le frange di integralisti urlavano unanimi contro la brutalità dei poliziotti.

    «Che cosa hai detto al quattrocchi?», domandò Hassan.

    «Solo che padre La Gourdine voleva saltare loro addosso… La reazione era prevedibile».

    Il fratello si strinse nelle spalle. «Non sono altro che menti limitate, come se ne trovano talvolta nelle religioni del Libro. L’integralismo è un’offesa all’intelligenza di Dio».

    Marcas indurì lo sguardo sulla folla dispersa. «E un insulto a quella umana», replicò secco.

    3

    Parigi

    Abbazia di Saint-Germain

    5 luglio 1794

    L’uomo che, sfidando il temporale, stava risalendo il lastricato traballante di rue Saint-Benoît volse inquieto lo sguardo verso l’angolo di rue Sainte-Marguerite. Nell’oscurità che avvolgeva il quartiere, aveva visto un bagliore riverberarsi come un fuoco fatuo sulla cinta dell’abbazia di Saint-Germain.

    Si rifugiò con un balzo nell’ombra protettrice di un portico e posò l’involto, cercando di confondersi con il grigio bagnato delle facciate. Nella via echeggiò un rumore di passi grevi, barcollanti. Dal suo nascondiglio, lo sconosciuto arrischiò un’occhiata discreta. Gli apparve una lanterna, appesa a una picca, seguita da due energumeni abbigliati come a carnevale. Il più giovane indossava un enorme tricorno, su cui era appuntata una coccarda tricolore, e una lunga giacca sfrangiata che gli arrivava fino ai piedi. Con mano lesta, cercava di proteggersi dalla pioggia, stringendo il collo della misera camicia.

    «Sul sangue dei Capetingi, ti dico che ho sentito un rumore», esclamò il vicino, mentre tentava di non far scivolare il berretto rosso dai capelli bagnati. I suoi zoccoli riempiti di paglia secca colpivano nervosi il lastricato.

    Il tricorno alzò le spalle. Avevano montato la guardia alla prigione dell’abbazia al calare della sera, e il suo compagno di sventura era arrivato gonfio di vino come la botte che doveva essersi bevuto. Complice l’ubriachezza, udiva di continuo rumori misteriosi e viveva nel terrore perpetuo di un tentativo di evasione.

    «Sono aristocratici, ne sono certo, vogliono liberare i loro complici!», esclamò Fortin, soprannome che doveva al girovita. Indicò con dito tremulo la massa scura della prigione, immersa in un silenzio di tomba.

    Il tricorno fece di nuovo spallucce. Nobili incarcerati non ve n’erano più da un pezzo: la maggior parte era già sotto tre piedi di terra e di calce, i corpi insanguinati da una parte, le teste mozzate dall’altra.

    D’improvviso un’ombra si stagliò dalla parete.

    «Ah, cittadini, sono proprio contento di vedervi! Capitate a proposito per aiutare la Repubblica».

    Dinnanzi alle due guardie esterrefatte, apparve un giovane dai capelli neri legati in un codino, con in mano un fagotto annodato alla buona. La picca si abbassò all’istante, minacciosa. La lanterna oscillante rivelò il volto del sospettato: naso dritto, occhi grigi screziati di verde e una pelle bianchissima.

    «Ehi, tu, hai la faccia di un sangue blu! Uno di quei dannati aristocratici che complottano contro la nazione!».

    «Niente affatto», protestò il giovane aprendo la redingote, «vi mostrerò i miei documenti. Vedrete che…».

    Il Bègue fu più svelto. Nella sua mano comparve una pistola, accompagnata dallo scatto rapido del cane caricato. «Un’altra mossa e ti faccio saltare le cervella. Il tuo nome?».

    D’un tratto scoppiò l’acquazzone che rumoreggiava dall’inizio della serata. Un lampo striò la notte, illuminando le torri di Saint-Germain, per poi tramutarsi in un tuono che assordò tutto il quartiere.

    «Cos’ha risposto?», domandò il tricorno.

    «Non ho sentito nulla con questo maledetto fracasso».

    «Perquisiscilo».

    In un attimo, Fortin si impossessò dei documenti del sospettato, mentre il tricorno, senza perderlo di mira, abbassò la lanterna.

    «È una tessera della sezione dell’Unità. Riconosco il timbro».

    Dall’estate 1790, Parigi era divisa in quarantotto sezioni, ognuna

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