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Il Fantasma Di Dervil: Cronache Di Andorian
Il Fantasma Di Dervil: Cronache Di Andorian
Il Fantasma Di Dervil: Cronache Di Andorian
E-book700 pagine11 ore

Il Fantasma Di Dervil: Cronache Di Andorian

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Info su questo ebook

Un giovane cavaliere viene chiamato dagli anziani del suo ordine per portare a termine la sua prima missione nelle lontane contee orientali e dare lustro al nome del suo casato. Un prigioniero della Torre dei maghi costretto fin da bambino a servirli come schiavo, mette a rischio la sua vita per ritrovare la propria libertà. Due vite, parallele e distanti si trovano tuttavia ad essere legate da un filo invisibile che dalla lontana cittadina di Dervil conduce fino alle sponde del grande lago.
LinguaItaliano
Data di uscita11 mag 2020
ISBN9788835826422
Il Fantasma Di Dervil: Cronache Di Andorian

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    Anteprima del libro

    Il Fantasma Di Dervil - Daniele Pezzano

    Epilogo

    Prologo

    Non sempre il lettore è disposto a leggere il prologo di un racconto, specie se magari va di fretta oppure se proprio non ha voglia di sciropparsi pagine e pagine in cui l'autore spiega per filo e per segno come è riuscito nella titanica impresa di terminare il proprio lavoro, narra aneddoti riguardanti la fatale ispirazione che l'ha portato a scrivere, oppure alterna questo a vivaci affreschi della propria vita quotidiana/intellettuale. Proprio perché vorrei evitare questa reazione in chi mi ha concesso fiducia ed ha acquistato questa mia opera, esordirò con la più classica delle promesse: sarò breve. Scherzi a parte, il libro Le cronache di Andorian ha avuto una storia travagliata alle spalle, dovuta soprattutto al fatto che essendo per me lo scrivere un passatempo ed avendo moglie, figli ed un lavoro vorticosamente stressante, come molti altri del resto, mi sono trovato inizialmente col patema di non poter pubblicare niente se non dopo anni magari, come già accaduto con l'altro mio libro La luce del cielo che a tutt'oggi riscriverei praticamente in toto e non è escluso che lo faccia. Ebbi allora la malaugurata idea di provare a scriverlo capitolo per capitolo e mettere a disposizione dei potenziali lettori ogni singolo di questi, man mano che li redigevo; l'idea da una parte era buona ma dall'altra, e per questo ho detto malaugurata, non lo era affatto dal momento che da una parte si tradiva chi magari si aspettava un racconto autoconclusivo, dall'altra non dava alcuna certezza sui tempi in cui si sarebbe potuta vedere terminata l'opera. Con tutti coloro che si fossero sentiti in qualche modo traditi/fregati io mi scuso pubblicamente ed è per questo motivo che decisi di lasciar perdere questo modo di procedere e di fare alla vecchia maniera, magari tentando di dedicare un pizzico in più di tempo a questo che come non mi stancherò mai di ripetere, è solo un passatempo per me.

    Un’ultima cosa e poi termino questo preambolo già eccessivamente lungo per i miei gusti, per chi volesse contattarmi o scrivere impressioni su questo racconto o sull'altro da me edito

    La luce del cielo lo invito a farlo tramite la mia pagina Facebook: https://www.facebook.com/EbooksDanielePezzano

    Buona lettura.

    La Torre dei Maghi

    Umidità. Quella umidità strisciante che implacabilmente penetra nelle ossa trapassando qualsiasi indumento. Questa sarebbe stata per certo, la prima cosa che chiunque avrebbe avvertito entrando nei meandri sotterranei della grande torre dei maghi, la Shannan-dôm, la torre della mente. La Torre, come veniva chiamata semplicemente da tutti i cittadini di Therion, era l'unico edificio che per imponenza poteva competere col palazzo reale nella capitale del regno di Andorian ed era anche altrettanto antica. Molte erano le voci e le leggende che circolavano attorno a quel luogo. Secondo alcune, esistevano porzioni di questa vetusta costruzione, addirittura più antiche del palazzo reale stesso. Secondo altre, proprio quei tetri ed umidi sotterranei erano stati scavati non già dagli stessi maghi ma addirittura dagli stregoni svariati secoli prima dell’ultima grande guerra. La Torre aveva una pianta ottagonale e di otto metri era la misura di ciascuno di quei suoi lati. Si innalzava nel cielo di Therion fino a raggiungere un'altezza di quasi trenta metri. L’antica magia tramite la quale era stata eretta, conferiva tutt’ora alle sue pietre opalescenti, benché qui e lì erose dagli elementi e dal tempo, una levigatezza senza eguali. Attorno alla Torre un cortile interno disegnava un anello tanto ampio che la superficie totale di quello spazio chiuso a sua volta da un’alta cinta di mura, superava i trenta ettari. Quest’ultima fascia muraria, infine, si apriva verso la città attraverso quattro grandi portoni di legno, uno per ciascun punto cardinale. Date le sue ragguardevoli dimensioni, questo ampio spazio veniva usato dai maghi come orto per il loro sostentamento e diversi recinti con parecchi animali erano altresì presenti. La grande quantità d’acqua necessaria per sostentare sia le colture che le bestie, era fornita da un ramo sotterraneo del fiume Mae, il fiume che attraversava da nord a sud tutta Therion. Questo scorreva qualche metro al di sotto della porta occidentale e l’acqua veniva convogliata da lì verso otto distinti pozzi situati uno dinanzi a ciascun lato della Shannan-dôm attraverso una serie di canalizzazioni antiche quanto la torre stessa. In questo modo i maghi riuscivano a procurarsi tutto il cibo loro necessario ed anche qualcosa in più da rivendere ai pochi mercanti che una volta alla settimana erano autorizzati a varcare la porta settentrionale. Questo piccolo commercio consentiva loro di mettere da parte anche quanto bastava per pagare mensilmente le tasse al Re, condizione imprescindibile per far sì che la loro presenza fosse tollerata in città. La realtà con cui infatti i maghi si dovevano quotidianamente confrontare, era proprio quella di essere loro stessi reclusi all’interno della loro torre: al di fuori di ciascuno dei quattro ingressi si trovava una guarnigione permanente di una decina di cavalieri della rosa per un totale di quaranta in tutto, con l’unico compito di sorvegliare chiunque entrasse o uscisse da lì. Sulle mura esterne altrettante guardie cittadine si davano il cambio di giorno e di notte: niente doveva passare inosservato ed i maghi non avevano il permesso di uscire senza l’autorizzazione del sovrano o dell’ordine dei cavalieri. Pochi tuttavia erano a conoscenza del fatto che tanto in alto s’alzava quella torre, quanto in profondità affondavano le sue radici: i sotterranei erano stati nel tempo ampliati fino ad occupare tutto lo spazio del cortile interno. Molte erano le celle costruite là sotto e tutte erano ugualmente fredde e spoglie ma una in particolare lo era più delle altre, trovandosi separata da uno dei canali sotterranei, da nemmeno un braccio di muratura. Una gelida stretta attorno tutto il corpo, questo si provava ogniqualvolta qualcuno varcava la soglia di quella stanza, ma quei pochi metri quadrati rappresentavano da qualche anno anche i confini del mondo privato di fratello Xavier, novizio del culto di Gheltyas.

    Un Prigioniero

    Le mura sgraziatamente scavate nella cruda roccia stridevano nella loro rozza fattura col pavimento dei sotterranei perfettamente levigato da una magia ormai dimenticata, ma del resto non era un posto creato dai maghi con l'intento di essere accogliente. I sotterranei della Shannan-dôm erano luoghi dove portare avanti esperimenti, tenere in vita e studiare alcune delle mostruosità magiche in cui a volte chi veniva a contatto anche solo indirettamente con la magia si trasformava. Erano luoghi dove custodire amuleti ed artefatti ed infine, soprattutto, i sotterranei della Torre, erano prigioni e fratello Xavier, insieme agli altri suoi compagni altro non era se non un prigioniero, uno schiavo dei maghi, uno dei loro " soggetti di studio". Quasi beffardamente difatti, i maghi erano al tempo stesso sia reclusi che carcerieri: da una parte guardati a vista dal braccio armato del Re, erano altresì i custodi di quelli che venivano affetti dal gran male.

    Le vicende che portarono Xavier ad essere imprigionato e successivamente ad abbracciare il nascente culto di Gheltyas non erano dissimili da quelle di tanti suoi confratelli: nato in uno dei molti piccoli villaggi che costellano le contee occidentali da una famiglia di contadini, ultimo di cinque figli e terzogenito maschio, poco dopo aver compiuto le dodici primavere ed aver quindi superato il tempo dell'infanzia, Xavier aveva iniziato a mostrare gli inequivocabili segni del gran male, con tale nome veniva chiamata la magia da chiunque non fosse un appartenente all'ordine dei maghi. Dapprima furono soltanto sporadici sogni premonitori, poi pian piano un crescendo di tante altre avvisaglie, piccole e meno piccole. Qualcuno poi mise in giro la voce che addirittura il piccolo figlio di Georgeus fosse in grado di parlare con i morti.

    Le voci si moltiplicarono amplificandosi sempre più finché risultò impossibile scindere la realtà dalla menzogna. Accadde così che un giorno giunse a Linderford un plotone di soldati del Re. Lo strapparono alla famiglia e lo portarono via, così come prescritto da un codice della legge antico quanto la dinastia regnante stessa, verso la più vicina torre dei maghi. Questi ultimi esaminatolo, non ebbero dubbi: riscontrarono in lui la capacità di attingere alla fonte primaria della magia ma in modo aberrante e quindi pericoloso. Non era da classificarsi in modo dissimile dai mostri creatisi subito dopo la guerra che secoli prima distrusse il loro potere nel continente e per questo fu condotto nei sotterranei. Questa che ormai col tempo era divenuta una prassi consolidata, benché gravasse da una parte la comunità dei maghi di Therion di bocche in più da sfamare, consentiva loro dall’altra di poter contare su manodopera gratuita tramite la quale far rendere ancora di più quegli ettari di terreno in superficie e sotto terra che in fin dei conti rappresentavano la loro unica vera ricchezza materiale.

    Il buio, la solitudine e soprattutto il terrore generato dal non sapere cosa ne sarebbe stato di lui, accompagnarono i suoi primi giorni di prigionia. C'erano altre persone laggiù nelle sue stesse condizioni, persone di tutte le età, molti anziani ma anche uomini maturi, ragazzi e persino altri bambini come lui e la cosa che invero lo colpì più d’ogni altra, fu che tutti coloro con cui venne a contatto l'accolsero con benevolenza tentando fin da subito di farlo sentire un po' più a suo agio in una situazione tanto traumatica per un fanciullo. Nulla però poteva sostituire il ricordo del viso di sua madre che gli sfiorava la fronte con un bacio prima di dormire o il calore della sua famiglia che nonostante tutte le voci, vere o presunte sul suo conto, non aveva mai smesso di volergli bene. Ogni giorno, dopo aver terminato i compiti impostigli da quelli che erano divenuti i suoi padroni, dopo essere stato sottoposto a serie interminabili di domande sempre uguali e sempre riguardanti quelle sue capacità di cui lui non aveva alcun controllo all'epoca, si gettava piangendo sul pagliericcio della sua stanza soffocando con una mano tremante i singhiozzi fino a cadere sfinito in un sonno privo di sogni. Le cose andarono avanti così per un periodo di tempo che nemmeno ora, Xavier avrebbe saputo quantificare. Un giorno come tanti altri però, gli capitò una volta tornato nel dormitorio dove era alloggiato assieme agli altri fanciulli, di prestare attenzione ad uno strano discorso che i grandi stavano tenendo fuori nel corridoio. I grandi, altri non erano se non i prigionieri più anziani e quel giorno si trovò a sentirli confabulare concitatamente tra loro. Dovevano anche loro essere appena tornati dai rispettivi lavori nella Torre questo era poco ma sicuro. Le voci generalmente assai pacate, erano questa volta più stentoree benché stanche e gli risultò impossibile far semplicemente finta di non sentire, come faceva sempre. Non erano molte le occasioni per parlare del resto: i discorsi nelle ore dei pasti erano proibiti, così come anche il proferire parola salvo autorizzazione, durante tutto il resto del giorno, per questo i grandi approfittavano di quei pochi minuti prima di dover tornare nelle loro celle. I loro carcerieri non li abbandonavano mai neppure in queste occasioni ma gli permettevano comunque di intrattenersi per poco a parlare, prima della sera. Fu in questo modo che udì distintamente quella parola, " chierici. Così una di quelle voci disse riferendosi proprio a loro stessi. Era questa una parola allora del tutto sconosciuta per lui, ma rimanendo in ascolto apprese che costoro asserivano d’essere una specie di messaggeri di un essere superiore il cui nome era Gheltyas il quale benché fosse stato bandito da tempo immemore dalle terre di Andorian, preparava il suo ritorno. Per questo motivo, disse un altro in quell'occasione, dovevano aver fede ed andare avanti perché quella che stavano attraversando non poteva che essere una prova. Il fatto che alcuni, pochi, tra gli uomini e le donne del continente manifestassero poteri che nemmeno i maghi riuscivano a comprendere né a replicare, era il chiaro segno di come Gheltyas stesse scegliendo i suoi emissari in questo mondo. Quel discorso finì di lì a pochi istanti quando la voce imperiosa di un mago annunciò che il tempo delle chiacchiere era terminato, ma l'eco di quelle parole rimbombò a lungo nella sua mente. L'idea che un essere superiore avesse scelto lui, un bambino quasi del tutto illetterato come emissario, lo affascinò ed in qualche modo gli diede un barlume di speranza in quella realtà fatta di semioscurità, schiavitù ed umiliazione. Man mano che il tempo passava, Xavier si avvicinò sempre più a quelli che sarebbero divenuti i suoi confratelli ed essi gli insegnarono tutto quello che a loro volta avevano appreso dai loro carcerieri: a leggere e scrivere, a parlare lingue che, come apprese solo in seguito, gli avrebbero permesso di discorrere con le creature celesti e tenere a bada quelle degli inferi. Imparò a padroneggiare quei suoi straordinari poteri che, come gli fu spiegato, altro non erano se non una emanazione del potere di Gheltyas e non il risultato di un modo diverso, ed aberrante, di mettersi in comunicazione con quella che i maghi definivano la fonte primaria della magia". Xavier imparò a curare con il semplice tocco delle sue mani, studiò l'erboristeria grazie ai testi trafugati a rischio della vita dalle biblioteche della Torre ed infine fu consacrato a Gheltyas dal reverendo padre Malkan, il più anziano tra tutti gli altri prigionieri.

    Il salmodiare dei suoi confratelli impegnati nelle lodi serali, giungeva nella piccola stanza di Xavier come una nenia soffusa capace in qualche modo di placare i brividi di freddo del ragazzo. I maghi mal sopportavano quella pratica che era divenuta una prassi negli ultimi anni, ma il fatto che il suono di quelle voci non riuscisse a raggiungere i piani superiori, li aveva persuasi a non proibirla. Raccolta da terra la pietra focaia, estrasse dalle tasche della tunica lo stoppino e con rapidi gesti ormai automatici, l’accese. Con un altro altrettanto rapido movimento, usò quella piccola fiammella per accendere la larga ma ormai quasi del tutto consumata candela posta ad un paio di passi dal pagliericcio. Immediatamente agitò lo stoppino smorzandone la fiamma e lo rimise in tasca subito dopo. Si volse quindi verso un leggio posto poco lontano da quel suo giaciglio, dove l'aspettavano i primi fogli di quella che sarebbe divenuta la " Hangat Andorian", la storia di Andorian; un tomo che in quegli ultimi tempi lui ed i suoi fratelli con il benestare dei maghi avevano iniziato a redigere. Non era stato affatto facile né sottoporre la questione ai loro carcerieri, né farsi dare quanto gli occorreva per portare avanti quel lavoro. Fu solo grazie all’ormai anziano padre Malkan, che alla fine riuscirono a convincerli: costui fece loro intendere che qualora avessero portato a termine quell’opera, la biblioteca della Torre si sarebbe arricchita di un nuovo oggetto dal valore molto elevato; qualcosa che avrebbe certamente portato ulteriore lustro alla Torre della mente stessa ed avrebbe reso la sua biblioteca, per certo, la più ampia per argomenti trattati tra tutte quelle delle altre torri dei maghi sparse per il continente.

    Xavier era divenuto un ragazzo alto, dal volto scavato e dai capelli lunghi e neri come le ali di un corvo che la luce della candela faceva somigliare ad un fitto groviglio di sottili liane che ricadeva ai lati del viso. Gli occhi grandi ed anch'essi neri come la pece scrutavano la semioscurità della stanza. Era sudato, sporco e spossato dalla fatica della giornata ma del resto chi non era nelle sue stesse condizioni laggiù? Ristette solo pochi istanti, come era suo solito ogni volta che entrava in quel ristretto, umido, angusto, ma soltanto suo, angolo di mondo. Si strinse nella lunga tunica e poi si decise a muovere i suoi passi proprio verso il leggio. Tenendo la candela in mano, l’appoggiò nell’angolo superiore destro di quell’unico mobile che in qualche modo arredava la sua cella. Sollevò la pesante copertina di pelle appoggiata sulla risma di fogli per evitare che potessero cadere e cominciò a leggere a voce bassa per assicurarsi che non ci fossero stati errori nella stesura di quella prima e perciò importantissima, serie di pagine.

    Ci fu un tempo in cui gli Dèi camminavano al fianco degli uomini, un'epoca d'oro in cui la vita prosperava in questo ed in altri mondi. Gli uomini erano numerosi e gli Dèi li ammaestravano in ogni arte a loro conosciuta. La voce bassa riempì l'aria della piccola stanza mentre la fiamma della candela guizzò al ritmo delle parole creando ombre le quali a loro volta danzarono sulle sgraziate pareti di roccia viva. Pareva quasi che esse stesse si animassero per dare vita a quanto veniva letto. Xavier andò avanti seguendo le lettere miniate con l'indice ossuto della mano destra. Non c'erano errori in quelle prime righe. Proseguì poco più sotto: fu in quel tempo, che gli Dèi costruirono immense arche nei cieli, tra le stelle, per gli uomini e la loro progenie e tramite queste trasportarono gli esseri umani in queste terre a cui fu dato il nome di Andorian. In quel tempo lontano le messi nei campi crescevano senza sforzo grazie alla sapienza ed al volere degli Dèi. L'uomo conosceva il moto degli astri e per grazia degli Dèi sapeva predire qualsiasi evento celeste.

    Xavier si allietò perché il risultato finora soddisfaceva appieno le sue aspettative. Guardò con attenzione anche le immagini miniate tra le parole, da fratello Nath: erano colorate e splendide e rendevano esattamente l'idea di quanto era scritto; del resto quello era anche uno degli scopi per cui erano state disegnate. Facendo questo si sorprese ad immaginare che mondo potesse essere quello descritto in quelle poche righe redatte a partire dalle conoscenze ancestrali accumulate nei secoli dai maghi e dalle visioni dei suoi fratelli. Nonostante fossero passati quasi trecento anni dalla conclusione della Agganh Shannen, la guerra delle due torri combattuta dagli stregoni che allora governavano il continente, Andorian era ancora oggi per larga parte disabitata e nelle terre di nessuno si aggiravano mostri di ogni sorta, nati dalle terribili energie magiche sprigionate durante quel conflitto. Fantasmi e spettri infestavano tutt'ora le foreste orientali e le città abbandonate e proprio a causa di tutto ciò la popolazione odiava profondamente la magia ed i maghi, arrivando per l’appunto a coniare il termine " il gran male per riferirsi a tutto quello che si potesse ascrivere a questi ultimi. Inoltre per quelle poche notizie che riusciva a carpire dai discorsi dei suoi padroni, le contee più lontane da quelle centrali erano in costante guerra tra loro. Se a questo si aggiungeva il fatto che gli ultimi tre inverni erano stati assai rigidi, il mondo di Andorian pareva più vicino alla sua fine che non alla sua rinascita. Xavier scosse la testa e si concentrò nuovamente sulla lettura: sapeva che anche questi ultimi eventi facevano parte di quell'imperscrutabile disegno che avrebbe portato al ritorno di Gheltyas e forse anche degli altri Dèi. La fiamma della candela tornò immobile quasi in attesa delle parole del giovane. Giunse allora dalle profondità degli abissi, per reclamare la sua supremazia tra gli Dèi, Khiritan che invidioso di quanto gli altri esseri celesti erano riusciti a creare, dispose le sue schiere infernali e gettò il suo mantello sul sole onde la sua luce fosse oscurata. Quando fu buio su tutte le terre di Andorian, allora sguinzagliò i suoi demoni. Fu questo l'inizio della guerra dei cieli. Tirò un sospiro prima di continuare. Il fuoco divino consumò gli oceani e le terre. Distrutte furono le arche che gli Dèi avevano costruito per gli uomini. Distrutti i campi e decimati i capi di bestiame. Le acque dei fiumi furono rese imbevibili dalle schiere demoniache di Khiritan e gli uomini caddero come il grano falciato durante il raccolto. Fu in quel periodo di tenebra che gli Dèi crearono gli angeli, gli araldi della loro luce e diedero loro il potere di comandare in battaglia i giganti. Khiritan tuttavia si avvide ben presto di quanto fatto dai suoi avversari e si affrettò a escogitare una contromossa. Dalla sua malvagità furono generati i Thenet, i draghi d'ombra, e ad essi fu dato il potere di comandare le legioni infernali. Xavier si leccò l'indice della mano e cambiò pagina. Gli Dèi a quel punto compresero che il conflitto dei cieli avrebbe in breve portato all'estinzione la razza umana e per questo decisero di sacrificarsi imprigionando sé stessi e Khiritan in un luogo al di là dello spazio e del tempo, così da non dover nuocere agli uomini ulteriormente. Per non lasciare questi ultimi senza una guida però, decisero altresì che alcuni dei loro angeli e dei giganti, sarebbero rimasti nelle terre di Andorian ed avrebbero condotto i sopravvissuti alla rinascita. Anche questa volta tuttavia, l'Avversario venne a conoscenza dei piani dei suoi nemici e decise che anche lui avrebbe lasciato una sua personale guida per gli uomini, dando ordine che alcuni dei suoi draghi si assopissero nelle viscere della terra assieme alle rispettive schiere. In questo modo se anche non fosse riuscito a trionfare sugli altri Dèi in questa dimensione, i suoi servi avrebbero continuato a lottare in suo nome. Prese un profondo respiro e sfogliò un'altra pagina. L'ultima battaglia della guerra dei cieli fu terribile e grandiosa ad un tempo. Le stelle cambiarono il loro corso e così i fiumi. La terra fu scossa da tremiti continui come fosse in preda ad una forte febbre. Alla fine gli Dèi ebbero la meglio ed esiliarono loro stessi insieme a Khiritan, nel profondo dell'abisso e da lì mai più egli sarebbe tornato. Così si concluse la guerra dei cieli".

    Perfetto mormorò con voce profonda mi sembra che il risultato sia ottimo. Direi che ora posso andare a dormire e così dicendo sistemò nuovamente i fogli nel loro ordine iniziale, ripose la copertina di pelle sopra questi ultimi, prese ancora tra le mani la candela che, come fosse stata destata di botto dal sonno, parve rianimarsi acquistando nuova vivacità e si voltò verso il pagliericcio in un angolo della stanza. Recitò come al solito il ringraziamento serale a Gheltyas, spense con un soffio la fiamma della candela e si stese stremato nel buio. Cadde in un sonno profondo di lì a poco, proprio mentre in lontananza cominciavano a giungere i terribili versi dei mostri che i maghi tenevano segregati là sotto assieme a loro.

    Riflessioni Di Una Maga

    Qualche decina di metri al di sopra dell'angusta cella di fratello Xavier, nel caldo soffuso della sua stanza, Selina Nhymm stava preparandosi per la notte spazzolando i lunghi capelli biondi. I grandi occhi azzurri incastonati come due zaffiri in quel viso minuto e pallido, fissavano le intricate rune da lei stessa tracciate sul suo libro degli incantesimi. Come ogni sera, compiva con la pazienza tipica dei maghi, gli esercizi di memorizzazione. Selina era l'ultima figlia di un ricco mercante della capitale, la madre era morta dandola alla luce e questo aveva fin dall'infanzia, segnato tutti i suoi rapporti sociali: il padre l'amava e l'odiava al tempo stesso, le sue sorelle l'avevano sempre lasciata in disparte ed in giro si diceva che portasse sfortuna. Per certi versi la sua storia era simile a quella di fratello Xavier, se non fosse per il finale. Il padre, Taddeus Nhymm, si decise a chiamare le guardie solo dopo essere sopravvissuto a stento all'incendio che distrusse il suo negozio e la sua casa. Un incendio generatosi da un alone di fuoco, così raccontò, che aveva avvolto sua figlia prima di esplodere tutto attorno. Ciò che era accaduto, spiegò in seguito ai maghi Selina stessa, non era nelle sue intenzioni anzi, lei non aveva idea di come potesse essere successo. Le cose andarono più o meno in questo modo: lei ed il padre ebbero una accesa discussione perché quest'ultimo voleva a tutti i costi che iniziasse a frequentare il figlio del locale esattore delle tasse. Potrai finalmente mostrarti utile per la famiglia invece che star sempre chiusa nella tua stanza oppure andare a zonzo per i campi fino a notte fonda a fare chissà che cosa! le aveva detto, aggiungendo poi che se le cose fossero andate in porto tra lei ed il ragazzo, avrebbe avuto un’arma in più per sottrarsi alle asfissianti ed onnipresenti, imposte del Re. Selina era andata su tutte le furie e man mano che la rabbia ed il tono della sua voce crescevano, iniziò a sentire un calore come di fiamma ardente che le bruciava il petto. Suo padre cominciò a sua volta ad urlarle contro: " TU SEI MIA FIGLIA E FARAI COME DICO IO! CHE TI PIACCIA O NO!!". Alzò una mano contro di lei in un impeto di rabbia ma quando Selina istintivamente si coprì il volto con le braccia, accadde qualcosa di incredibile: fu come se quel fuoco che sentiva arderle nel petto si spostasse repentinamente alle braccia per poi esplodere tutto attorno. Chiuse gli occhi e quando li riaprì pochi istanti dopo, suo padre era riverso a terra a qualche metro dal tavolo attorno al quale fino a prima erano seduti. A dirla tutta, era stato scaraventato al di là della porta della bottega, in strada, e tutt'attorno a lei c'erano solo fiamme. Sentì le sorelle che dalla cucina erano fuggite fuori, gridare che un demone era entrato in casa ed aveva ucciso loro padre. Il caldo si fece in breve insopportabile ed il fumo acre iniziò a farla tossire violentemente. Ebbe realmente paura di morire così, senza nemmeno aver capito cosa fosse successo. Si alzò barcollando e corse verso l'uscio divelto della bottega e da lì in strada. Erano passati solo pochi mesi da allora, ma per lei quei pochi mesi rappresentavano lo spartiacque tra due vite completamente differenti e per la prima di esse non provava alcuna nostalgia: i maghi le avevano trasmesso i rudimenti delle loro arti, insegnandole anche a controllare le sue doti. Le avevano dato una stanza tutta sua, un mentore ed un servo ed in cambio le avevano solo chiesto di studiare gli antichi testi ed applicarsi ogni giorno per migliorare le sue capacità. Non poteva chiedere di meglio in fondo. Selina continuava a seguire con lo sguardo, l'intricato disegno che il pennino aveva tracciato sulla pergamena: stava tentando di memorizzare uno dei pochissimi sortilegi che le avevano insegnato, il più semplice di tutti, quello che le permetteva di leggere le rune scritte dagli altri maghi. Ogni mago, le avevano spiegato, aveva un suo particolare stile di scrittura spesso indecifrabile da chiunque a parte l'autore, quindi quell'incantesimo di per sé così semplice era al tempo stesso indispensabile per qualsiasi mago che avesse un minimo di ambizione.

    La sedia imbottita su cui era comodamente adagiata non era d'aiuto nel mantenere la concentrazione doveva ammetterlo, senza contare che tutto il giorno l'aveva trascorso in biblioteca, nel primo livello dei sotterranei a consultare i trattati sulla fonte primaria della magia e su come riuscire ad interagire con essa ed ormai la stanchezza iniziava a farsi sentire. Passò ancora una volta la spazzola tra i capelli che teneva appoggiati sulla spalla sinistra e stese le sue lunghe gambe su uno sgabello che lasciava sempre vicino al tavolo proprio per compiere quel gesto. Il fuoco crepitava nel camino mentre la pioggia che aveva bagnato ininterrottamente tutto il giorno, la capitale del regno, stava finalmente scemando di intensità. L'inverno avrebbe dovuto ormai essere terminato da un paio di settimane ma il tempo non aveva accennato minimamente a migliorare. La cosa tuttavia non le dispiaceva affatto: aveva sempre amato l'odore dell'erba bagnata ed il lieve ticchettare delle gocce di pioggia che battevano ai vetri della sua stanza e niente le riempiva il cuore di serenità come veder scendere la neve sopra i tetti della città e vederli imbiancarsi lentamente. La stanza di Selina era piuttosto grande, un'altra delle cose che non le facevano rimpiangere la sua famiglia: c'era un tavolo sempre ingombro di libri, con al centro dello stesso un candelabro da cinque candele. Il tavolo era posto proprio al centro della stanza, attorno ad esso un paio di poltrone ed alla sua destra il camino, qualche ciocco di legno, l'attizzatoio e le spazzole per la cenere. Alla sinistra c'era il letto e di fianco a quest'ultimo un baule che conteneva gli effetti personali della ragazza. Il pavimento era coperto da un tappeto soffice che contribuiva a rendere gradevole e caldo l'ambiente. Una piccola finestra permetteva di gettare uno sguardo verso settentrione ed abbracciare gran parte della città di Therion. Nelle limpide giornate d'inverno era possibile da lì scorgere la sagoma della catena montuosa chiamata Edrin manan la muraglia del nord, con le sue cime perennemente innevate ed i suoi boschi che al pari di ruscelli impetuosi, scendevano imponenti lungo i pendii fin quasi a valle. Sospirò mentre con lo sguardo raggiunse la parte terminale dell'ultima runa, in fondo alla pagina. Quasi istintivamente sfogliò il libro aprendolo sulla prima di una lunga serie di pagine bianche. Era sciocco da parte sua ma non l'abbandonava mai la speranza di trovare, un giorno o l'altro, proprio compiendo quel gesto, impresse su quelle pagine vuote le rune di un qualche nuovo potentissimo incantesimo che le permettesse di avanzare in quello che il suo mentore chiamava la ka marân la via della perfezione; quell'ideale percorso, cioè, che avrebbe un giorno portato i maghi a ritrovare l'armonia completa con la fonte primaria della magia, quella stessa armonia che solo i messaggeri degli Dèi conobbero nei secoli passati. Richiuse quasi a malincuore il libro, si alzò e lo ripose nella sua custodia di legno. Lasciò la spazzola sul tavolo e recitò l'incantesimo che imprimendo il sigillo sul lucchetto, avrebbe permesso solo a lei di aprire la custodia medesima. Ripose il tutto nel baule e si sentì piuttosto soddisfatta per essere stata così brava nel richiamare alla mente l'altro incantesimo da lei conosciuto, a parte quello della lettura. In tutto quel tempo non era più riuscita a replicare quanto accadde nella bottega del padre, ma gli fu spiegato dal suo mentore che era del tutto normale una cosa del genere: con l'esercizio e lo studio, le disse, sarebbe venuto il momento in cui le avrebbe insegnato l'incantesimo per permetterle di compiere nuovamente ed addirittura amplificare se possibile, il prodigio compiutosi quel giorno. Passò una mano sulla pesante e lunga camicia da notte che era appartenuta alla madre da lei mai conosciuta e che suo padre le aveva donato il giorno in cui l’aveva consegnata nelle mani dei maghi. Raggiunse i fianchi e voltandosi verso il camino, fissò le guizzanti piccole fiammelle che stavano lentamente divorando il grosso ciocco di legno messo lì per la notte dal suo servitore personale. Questa sequenza di pensieri, camino, fuoco, ciocco di legno, servitore, le fecero balzare alla mente il fatto che prima di essere condotto via, le aveva preparato un infuso di foglie di Melias per conciliarle il sonno. Cercò con lo sguardo la tazza sul tavolo ed eccola là, nello stesso punto in cui quel deviante l'aveva lasciata. Solo che ora era fredda e soprattutto le foglie erano rimaste troppo a lungo nell'acqua calda e gli effetti dell'infuso sarebbero quindi stati troppo forti. In ultima analisi doveva buttarlo via. Sbuffò e presa la tazza aprì la finestra. Una stilettata di aria gelida entrò urlando nella stanza e fece ondeggiare violentemente le fiammelle delle candele. Selina svuotò veloce il contenuto della tazza stando attenta a che il vento non le rigettasse tutto sul vestito ed altrettanto velocemente richiuse la finestra. Il freddo improvviso la fece tremare leggermente. Prese la poltrona dove fino a poco prima era comodamente seduta e si avvicinò al fuoco per riprendere il tepore perduto prima di infilarsi sotto le coperte. Il fuoco del camino era una delle altre cose che l'avevano sempre affascinata. Guardando le fiamme danzare, era solita abbandonarsi ai suoi pensieri tanto che a volte perdeva anche la cognizione del tempo e dello spazio. Questa volta, quasi senza che se ne accorgesse, si sorprese a pensare a quel deviante del suo servo. Gliel'avevano assegnato solo da pochi giorni, nemmeno dieci, ma c'era qualcosa in quel ragazzo che la metteva a disagio ogni volta che ne incrociava lo sguardo. " non è come dice lui pensò quasi ad alta voce riferendosi a quanto le aveva spiegato il suo mentore circa l'utilizzo dei devianti da parte maghi come servi oltre che come soggetti di studio. Il posto di un deviante non dovrebbe essere al fianco di un mago sussurrò con lo sguardo perso tra le fiamme. Selina era cosciente delle implicazioni del suo pensiero e proprio queste stesse la tormentavano. Eppure non c'erano alternative dal suo punto di vista: i devianti che ormai, per quello che aveva avuto modo di studiare, erano in un rapporto di uno ogni quattro maghi nella sola torre della mente rappresentavano un ostacolo, una minaccia forse, per la ka marân. Il loro modo di usare il potere della fonte primaria, era molto più simile a quello degli antichi stregoni che non a quello degli odierni maghi e quindi era un passo indietro in quel cammino teorizzato dal venerabile Karnak, il primo arci mago della torre della mente. Fu proprio lui che insieme ad altri la costruì sulle macerie di un edificio ancora più antico, sfidando il primo Re e le ire del popolo pochi anni dopo la conclusione della guerra delle due torri. Fu sempre lui, il venerabile come lo chiamava più semplicemente Selina, che insegnando agli stregoni superstiti la disciplina dello studio delle rune, riuscì col tempo a far sì che si compisse il miracolo dell'evoluzione nella magia: gli stregoni si tramutarono cioè negli odierni maghi. Da quei giorni lontani altre torri erano state costruite nelle regioni più distanti del continente ma la Shannan-dôm aveva il primato di essere stata la prima della nuova era. Certamente questa evoluzione non era avvenuta senza un prezzo: gli antichi stregoni è vero, attingevano al potere della fonte primaria in maniera assai istintiva e senza la minima padronanza ma questo permetteva loro di creare prodigi che per potenza nessuno dei maghi era più riuscito ad eguagliare e lo stesso discorso valeva per le armi e gli altri oggetti sui quali erano stati impressi degli incantesimi da loro. La potenza degli stregoni era stata sacrificata per permettere ai loro successori di riprendere il cammino verso la perfezione. Proprio con questo pensiero nella mente, Selina si alzò dalla poltrona e si diresse verso il letto: questi esseri sono una regressione pensò accigliata ed il loro numero aumenta. Come è possibile? La teoria del ka-marân presuppone una evoluzione continua eppure queste persone sono una eccezione che ne mina le basi. No, il loro posto non è al fianco dei maghi e forse nemmeno tra le aberrazioni segregate in fondo alla Torre e la cosa peggiore è che questo male pare si stia diffondendo anche tra i cavalieri dell'ordine della rosa. No ripeté con ancora maggiore convinzione il mio mentore si sbaglia su questo punto ed io sono più che sicura che presto o tardi dovremo affrontare il problema alla radice, con o senza l'assenso del Re. Uno sbadiglio la colse impreparata nel bel mezzo di questo ragionamento, ricordandole che forse era il caso di lasciare tutte le sue elucubrazioni per l'indomani e così spense le candele e lasciata come unica fonte di luce quella del fuoco nel camino, si infilò sotto le coperte chiudendo gli occhi. Il mio infuso di Melias accidenti!" si disse un'ultima volta. Poi, si lasciò cullare dal sempre più sporadico ticchettare della pioggia sul vetro, dal crepitare sempre più sommesso del fuoco e dal fischio del vento che scendendo dalle montagne a nord aveva iniziato ad investire la vallata e si addormentò.

    Una Figura Nella Notte

    Il buio tutt'attorno Therion era quella notte pressoché totale; della stessa capitale del regno dei Vanhausen si riuscivano a scorgere solamente le tremule luci delle torce poste ad intervalli regolari sulle mura cittadine. Persino il lieve riflesso traslucido che di solito avvolgeva le pareti della Shannan-dôm e che nelle notti di luna piena si riusciva a scorgere dal limitare della vallata era scomparso, inghiottito dalle pesanti nuvole basse che coprivano tutto l'orizzonte. Di tanto in tanto qualche sprazzo di luce lunare si faceva strada come un serpente in uno stretto cunicolo giungendo sino al suolo; quando ciò accadeva, sembrava come se un raggio d'argento fosse stato gettato sulla terra dal cielo e per pochi istanti, prima che le nubi chiudessero ogni spiraglio, una piccola porzione di vallata abbandonava l'oscurità per svelarsi a chiunque fosse passato di lì in quel momento. La strada che tutti chiamavano Nimrael, l’orientale cioè, era stata ridotta ad un infido pantano dalle piogge di quei giorni ed era deserta a quell'ora di notte. I rumori che giungevano portati dal vento dalle vicine foreste, si spandevano in quella zona della vallata ancora distante qualche miglio dalla capitale, riecheggiando più volte prima di affievolirsi e svanire. D'improvviso un viandante avvolto in un pesante mantello, una figura più nera di quella notte scura, fece la sua comparsa cavalcando un esausto destriero.

    Procedeva lento lungo la Nimrael. Una spada corta era assicurata al lato destro della sella mentre a tracolla ballonzolava un piccolo zaino di cuoio. Tranquillo amico mio sussurrò con voce dolce alla cavalcatura carezzandola siamo arrivati ormai. Laggiù si scorgono le luci di Therion. Una volta giunti al palazzo dell'ordine ti condurrò personalmente nelle stalle e farò in modo che tu possa riposarti per tutto il tempo necessario affinché ti riprenda da questo lungo viaggio. Sul dorso del guanto che copriva la mano con cui il viandante accarezzò la bestia, era impresso lo stemma dei cavalieri della rosa, uno scudo con i due leoni reali, piantato in un roseto. Quest'ordine cavalleresco fu creato dalla casata dei Vanhausen, subito dopo la conclusione della Agganh Shannen, quando ci si accorse che non solo gli stregoni non erano tutti periti in quel conflitto ma che addirittura tentavano di organizzarsi per ricostituire il loro potere. In quel periodo di caos i Vanhausen usarono quei cavalieri e la rabbia del popolo come arma per distruggere ogni velleità restauratrice degli stregoni e soprattutto per abbattere le resistenze degli appartenenti alla vecchia nobiltà; in ultima analisi si può dire che senza i cavalieri della rosa i Vanhausen non sarebbero stati in grado di estendere il loro potere su tutta la parte centrale del continente e per questo i cavalieri e la casa reale erano qualcosa che col tempo era divenuta assai difficilmente scindibile. L'ordine era il braccio armato del Re, i suoi occhi nelle regioni remote del regno e cosa più importante erano gli unici col diritto di processare e giudicare i nobili nel caso questi ultimi si fossero macchiati di qualche crimine contro la corona. Proprio per questo motivo, negli ultimi anni il numero di casate nobiliari che spontaneamente donavano i propri secondogeniti maschi all'ordine, era in costante aumento. Ad ogni modo nulla sembrava nel tempo, scalfire la fama che l'ordine stesso si era creato nel popolo: il suo codice cavalleresco era ben noto e tutti sapevano che nonostante i nobili facessero a gara per mettersi in luce col Re iscrivendo i propri cadetti, l'ordine non faceva alcuna distinzione di ceto sociale nell'accettare le nuove reclute. La dura disciplina a cui poi erano sottoposti e la vita quasi monacale imposta ai suoi cavalieri erano delle garanzie ulteriori per il popolo che niente avrebbe potuto far deviare l'ordine dal costante inseguimento del suo ideale di giustizia assoluta e di assoluta fedeltà alla corona. L'umidità era opprimente, lo sbuffare del cavallo ed il respiro del cavaliere creavano nubi di vapore che rendevano il loro incedere quasi surreale, soprattutto quando la luna riusciva ad intrufolarsi tra le nubi gettando un argenteo raggio di luce verso il suolo. I minuti passarono lenti, la pioggia fitta che fino a qualche ora prima li aveva tormentati era quasi del tutto scomparsa ma il freddo intenso reso più acuto dall'umidità che saliva dal terreno e dal vento, riusciva a penetrare attraverso il pesante mantello, farsi strada nella cotta di maglia e nella tunica sotto di essa fin quasi a stringere le ossa del cavaliere in una gelida morsa. Il tempo passò, le foreste si fecero sempre più lontane mentre le luci della città sempre più vicine. Il vento aumentò ancora di intensità frustando cavallo e cavaliere con glaciali stilettate; ancora un paio d'ore di viaggio e sarebbero finalmente arrivati a destinazione. I campi coltivati e le case dei contadini si fecero via via più frequenti: ombre nere a malapena percettibili nell'oscurità della notte.

    D'un tratto uno squarcio più ampio nella pesante coltre di nubi, permise alla luce lunare di inondare quella porzione di vallata. Una lontana casupola alla destra del cavaliere stava muta immersa nel sonno della notte e tutto attorno ad essa alberi da frutto protendevano i loro ormai spogli rami verso il cielo. Karl, questo era il suo nome, si voltò quasi istintivamente in quella direzione: gli alberi scheletriti dall'inverno quasi risplendevano nel buio per via della luce riflessa dalla patina d'acqua sui loro tronchi. Il vento ululava e sferzandoli li faceva muovere da una parte all'altra. Una sottile e pressante inquietudine si insinuò di colpo facendo accelerare i battiti del suo cuore. Immagini e ricordi del viaggio in procinto di concludersi si affacciarono violentemente dinanzi a lui come schegge di un vivido incubo. Quasi meccanicamente, la mano destra si posò sul ciondolo col disco solare di Gheltyas stringendolo quasi a volerne evocare ancora una volta il potere. La pratica di questo culto tra i cavalieri era cosa relativamente recente: tutto nacque nemmeno vent'anni prima, quando l'allora Re Edwin, il padre dell'attuale Re Georg IV, fu informato da alcune spie del fatto che le sempre più insistenti voci circa gli esperimenti su cavie umane da parte dei maghi fossero ben più che semplici dicerie. La legge secondo la quale tutti quelli affetti dal " gran male dovessero essere portati alla più vicina torre dei maghi, aveva come scopo di poter guarire o al più allontanare dalla società, i soggetti che dimostrassero di avere delle capacità magiche e tuttavia era altrettanto severamente proibito condurre esperimenti su esseri umani e se le voci fossero risultate anche solo in parte vere, allora il Re avrebbe avuto l'occasione di imporre altri vincoli sugli odiati nemici. Per questo motivo fu dato ordine ai cavalieri della rosa di entrare nella Shannan-dôm e quando questi verificarono che le persone che avrebbero dovuto essere sanate, venivano invece tenute in condizione di schiavitù, il Re ebbe il pretesto per ordinare al consiglio dell'ordine dei maghi di rendere mensilmente conto del numero di quanti erano rinchiusi nella torre, pagare una tassa per ciascuno di essi ed un'altra come punizione per averne occultato alle autorità il reale impiego. Fu poi ribadito l'obbligo da parte dei maghi di non fare uscire nessuna di queste persone dalla torre salvo disposizioni contrarie. In questo modo il Re si garantì una entrata sicura in più nelle casse statali ed allo stesso tempo mostrò al popolo la sua magnanimità liberando di tanto in tanto i prigionieri più anziani dalla torre dei maghi. Ben presto, però si pose il problema di come ricollocare le persone liberate: andavano tra la gente, spargevano voci e facevano prodigi sfidando ogni divieto ma la cosa più preoccupante era che dopo l'iniziale ostilità, il loro aiuto disinteressato stava facendo breccia nei cuori della popolazione di Therion. Agli occhi dei cittadini non c'era alcuna differenza tra un chierico di Gheltyas ed un mago, salvo il modo di impiegare i loro poteri ed il fatto che i primi farneticassero di cose che a tutti parevano assurde e proprio per questo minavano uno dei pilastri con cui i Vanhausen tenevano unito a sé il regno: l'odio per i maghi. Il Re si decise per il male minore stabilendo che fossero presi in custodia presso i cavalieri dell'ordine della rosa e rimanessero a loro unica disposizione. Questa scelta se da una parte fece tornare tutto alla normalità tra la popolazione, pose le basi per il diffondersi del culto tra le fila dei cavalieri. Nel tempo, tra lo stupore di molti, ci si accorse che, vuoi per la rigida disciplina, vuoi per i continui esercizi di meditazione imposti ai cavalieri o per la semplice opera di costante insegnamento da parte dei chierici, parecchi dei membri dell'ordine impararono ad imitare alcuni dei prodigi compiuti dalle persone date loro in custodia sebbene con molto meno vigore. I chierici da prigionieri, erano divenuti padri spirituali. Karl deglutì fissando gli alberi che si dimenavano sospinti dal vento e cercò di allontanare ogni pensiero, spronando al contempo la sua cavalcatura a proseguire il cammino. A poco a poco la stanchezza e soprattutto la consapevolezza di essere in luoghi incomparabilmente più sicuri di quelli attraversati, fecero sì che l'inquietudine si affievolisse fino a scomparire e con lo sguardo rivolto verso le ormai sempre più troneggianti mura, Karl proseguì lungo la via orientale per portare a termine la sua missione. Alle guardie che lo videro arrivare, si qualificò mostrando il volto, le insegne ed urlando con quanto fiato aveva in gola per farsi sentire: mi chiamo Karl Trevoux, cavaliere della rosa e reco importanti notizie per l'ordine ed il Re!. Le folate di vento che ora stavano soffiando impetuose coprivano quasi completamente la sua voce e Karl dovette più volte ripetersi prima che le guardie si decidessero ad aprirgli le porte della città. Illuminato dalle guizzanti luci dei grandi bracieri posti sulle mura, il volto già abbastanza squadrato del giovane cavaliere sembrava ancor più spigoloso. Karl non aveva raggiunto i trent'anni quindi non si poteva considerare un cavaliere anziano ma non era più nemmeno una recluta: aveva nei cinque anni già trascorsi nelle file dell'ordine, affrontato decine di scontri nelle remote regioni orientali del Regno contro soprattutto le orribili creature non-morte che ne infestavano i villaggi abbandonati. I capelli rossastri erano stati quasi completamente tagliati ed una lunga cicatrice attraversava tutta la parte sinistra del volto, dall'orecchio fin quasi sotto il mento deturpandone il viso. Non appena le porte gli furono aperte diede un colpetto al cavallo e si diresse senza aspettare un solo attimo, verso la caserma dell'ordine, dall'altra parte della città. Le fiamme salivano alte dal braciere acceso nella grande sala del consiglio; le volute di fumo salivano tortuose verso il soffitto addensandosi su una grata attraverso la quale trovavano la loro via di fuga. Questa stanza circolare era il cuore amministrativo dell'ordine: qui venivano vagliate le notizie che giungevano dagli informatori, qui venivano prese tutte le decisioni più importanti e qui, sullo scranno più alto tra quelli presenti, sedeva il Re ogniqualvolta decideva di assistere alle sedute del consiglio medesimo. Nessun arazzo, nessun mosaico, nessuna statua adornava le pareti e gli interni, solo un grande braciere posto al centro dinanzi agli scranni, che veniva acceso in occasione di ogni riunione. Il grande portone rosso si aprì con un rumore stridente di cardini e tre dei sette cavalieri anziani entrarono prendendo silenziosamente posto. Una tunica bianca, un mantello bordato di rosso ed una spada d'argento al fianco: in tal modo erano vestiti. Dopo poco anche Karl fece il suo ingresso dalla porta posta direttamente dinanzi a quella da cui erano entrati i suoi superiori, dalla parte opposta della stanza. Fece alcuni passi fintantoché non entrò nel cerchio di luce del braciere, poi si inginocchiò ed attese che gli venisse concesso di parlare. Uno dei tre alzò una mano e Karl prontamente si rialzò. Maestri cominciò sono tornato dalla missione da voi affidatami nella baronia di Dervil, agli estremi confini orientali del regno. Fece una pausa in cui il crepitare del fuoco nel braciere riempì l'aria. Purtroppo le notizie circa le continue incursioni di briganti su quel tratto della Nimrael sono veritiere ma non posso nascondervi il fatto che se si trattasse solo di questo non avrei chiesto di poter conferire con voi a quest'ora tarda. Vai avanti dunque lo spronò con voce bassa uno dei tre. Da quello che ho potuto constatare con i miei occhi e dalle testimonianze raccolte, ho la certezza che coloro i quali assaltano le carovane siano Troll delle foreste. Troll? ripeté lievemente dubbioso uno dei presenti i Troll non son usi a siffatte azioni. Questo è il punto ribatté l'altro prontamente credo che ci sia qualcuno che li abbia spinti e credo che questo qualcuno sia un essere da cui gli stessi Troll siano profondamente terrorizzati. Quali sono le prove che ci porti di quanto ipotizzi?. Ho avuto uno scontro con loro, ho visto nei loro occhi un terrore che non poteva essere ricondotto al semplice fatto di star combattendo per la propria vita. Stavo cercando di localizzare il loro accampamento ma sono stato scoperto ed alla fine costretto a fuggire. A quel punto ho ritenuto che la cosa più saggia fosse quella di tornare qui per informarvi affinché poteste prendere la decisione più giusta. Hai fatto bene sentenziò dopo un attimo di silenzio uno dei tre se non hai altro da riferire puoi andare. Il consiglio delibererà quali azioni intraprendere. Karl si inginocchiò nuovamente ed uscì. Rimasti soli i tre cavalieri anziani discussero tra loro su come procedere alla luce delle informazioni raccolte: il problema dei briganti a Dervil era divenuto negli ultimi tempi piuttosto importante per il Re dal momento che i commerci con questa lontana ma assai ricca d'argento baronia, ne iniziavano a risentire. Però tutti convennero che in fondo il fatto che si trattasse di mostri e non di briganti, non fosse poi una così cattiva notizia: i mostri si potevano sterminare senza troppe remore, i briganti invece erano pur sempre uomini e di questi tempi ogni vita era preziosa. C’era poi da tenere in considerazione che spesso, soprattutto nelle baronie e contee delle periferie del regno, i nobili organizzavano loro stessi bande di fuorilegge per colpire sia economicamente che fisicamente i propri rivali. Queste cose erano ben note all’ordine, ma fintantoché non venivano intaccati gli interessi della corona come in questo caso, si tendeva a chiudere anche se a malincuore, entrambi gli occhi: questa era la volontà dello stesso sovrano. Proprio per questo motivo quindi, le notizie di Karl rendevano la situazione, sempre da un certo punto di vista, più semplice: non ci sarebbe stato bisogno di fare qualsivoglia indagine ulteriore sulla nobiltà locale. Chi incaricheremo dunque di questa missione? chiese uno. Non ritengo, nonostante tutto quello che ci è stato riferito che si tratti di un compito troppo arduo: Karl non è riuscito nell'intento perché da solo fece presente un secondo. Non credo nemmeno io acconsentì il terzo per questo sarei propenso a scegliere il giovane Folken per questa missione: ha completato l'addestramento, ha dimostrato, come tutti i Folken prima di lui, grande valore nelle missioni in cui ha preso parte ed io credo che questa potrebbe essere l'occasione giusta per affidargli il suo primo vero incarico. Cionondimeno sarei propenso ad affiancarlo con uno dei soldati del Re e magari chiedere al sommo Chernon di darci uno dei suoi maghi per ogni evenienza concluse nuovamente il cavaliere più anziano che aveva parlato per primo. Buona idea fece eco il secondo ed aggiungo che, dal momento che si dovrà transitare attraverso regioni infestate da mostri non morti, sarebbe un altrettanto ragionevole consiglio far pressione sul sommo Chernon affinché oltre che il mago ci metta a disposizione anche uno dei chierici della torre". Quest'ultima affermazione trovò il consenso degli altri due e la decisione fu quindi presa: Aramus Folken, il primogenito di una casata che da sempre aveva fornito valenti cavalieri all'ordine, avrebbe avuto il suo primo vero incarico. Fu disposto che l'indomani un messo sarebbe stato inviato alla Shannan-dôm in modo tale da poter essere pronti entro un altro giorno al massimo, per la partenza.

    Prima Missione

    La famiglia dei Folken era invero tra le più antiche del regno, più antica anche dei Vanhausen e le leggende solevano ripetere che la sua storia fosse iniziata durante la Agganh kamraes, la primordiale guerra dei messaggeri. Inoltre i racconti che si tramandano nella vallata di Munbrade, proprio dove sorge l'omonima città nonché il castello degli stessi Folken, narrano di come Fender Folken capostipite della stirpe, cavaliere di uno dei regni antichi, si perse a seguito di una battaglia nelle estreme regioni orientali del continente, di come fosse stato soccorso dagli elfi che taluni credono abitare quelle lande e di come si fosse innamorato di Alhanna.

    Le storie attorno a questo popolo sono parecchie e molto differenti tra loro, ma tutte concordano sul fatto che gli elfi abbiano abitato su Andorian da tempi remoti ed alcune azzardano a dire che calcavano già queste terre da millenni, quando gli Dèi trasportarono i primi uomini sul continente. Stando ad altre, gli elfi hanno la loro dimora al sicuro nel folto delle immense foreste di Elessan che si inerpicano sui pendii della grande catena montuosa che fa da confine alle regioni abitate dagli uomini. Sempre stando a queste storie, gli anziani che governavano quel popolo si decisero infine ad allontanare Fender dalle loro terre mal tollerando una prolungata presenza di una persona dalla cui razza si erano sempre tenuti lontani. Egli tuttavia non partì solo: Alhanna lo seguì verso occidente e con lei tornò alle sue terre. Quelle leggende di cui si accennava prima, storie che i vecchi della vallata di Munbrade raccontano talvolta dinanzi al focolare ai bambini, volevano che proprio l'amore tra il capostipite dei Folken e la giovane Elfa fossero la causa di alcuni tratti somatici che ancora oggi si potevano riscontrare nei discendenti di questa famiglia. Nessuno su Andorian però, poteva affermare di aver incontrato un elfo, almeno non negli ultimi cinquecento anni e col tempo la loro stessa esistenza sfumò trasformandosi da certezza in mito, in leggenda, in dicerie e fole da raccontare la sera per far sognare i più piccoli. La realtà storica riguardo questa casata, non è tanto antica come le voci che la circondano: inizia dalla conclusione della guerra delle due torri quando fu fondato l'ordine dei cavalieri della rosa. I Folken furono tra i primi ad entrarvi e da allora, quasi fosse divenuta una tradizione, i primogeniti della famiglia si arruolarono tutti tra le sue fila ed ognuno di essi si coprì di fama e di onori, tanto che il Re li elevò da semplici cavalieri, al rango di Baroni assegnando loro un feudo e delle terre da amministrare in sua vece.

    La notizia della decisione presa dal consiglio, giunse poche ore dopo ad Aramus mentre quest'ultimo stava consumando il pasto della mattina nel refettorio, con l'ordine di presentarsi immediatamente dai suoi superiori. Aramus era un ragazzo con poco meno di venti primavere alle spalle, molto alto rispetto ai suoi compagni e con due grandi occhi di un turbinoso colore grigio perla, uno dei famosi tratti somatici di famiglia che ancora testimoniavano secondo alcuni, la mescolanza col sangue elfico. Era un ragazzo alto, la sua corporatura non si poteva dire fosse robusta, questo era certo, tanto che ad un occhio inesperto avrebbe dato l'impressione di non essere in grado di alzare uno scudo da combattimento sopra la propria testa. Tuttavia a dispetto delle apparenze, il suo fisico asciutto e snello nascondeva muscoli e nervi d'acciaio. Capelli nerissimi tagliati tanto corti da lasciare intravedere la cute sottostante, incorniciavano infine un viso dai tratti gentili. La recluta non aveva ancora terminato di comunicargli il messaggio che quello mollò di botto la ciotola col latte di capra e quasi presagendo il motivo di quella chiamata, si precipitò dal capitano del suo plotone abbandonando la stanza. Il cuore aveva d'improvviso iniziato a battere all'impazzata per l'eccitazione dei mille pensieri che gli si stavano assiepando nella mente: " una missione! Una missione tutta per me! Sì, non può essere altrimenti! Niente più superiori...Chissà di che si tratta. Il capitano non deluse in effetti le sue aspettative: si trattava proprio di una missione! E per giunta avrebbe dovuto recarsi in un luogo molto lontano, attraversare le pericolose regioni orientali e poi affrontare dei Troll! Aramus non stava più nella pelle; gli venne data una mappa delle contee orientali di Andorian, ulteriori informazioni su Dervil ed i suoi dintorni. Gli venne assicurato altresì che un messaggio per il barone era già stato spedito con un piccione viaggiatore e che quindi sarebbero stati suoi ospiti, una volta giunti fintantoché non avesse portato a termine la missione. Ma la cosa che riempì il suo cuore d'orgoglio e lo fece smaniare ancor più di partire, fu la conferma che sarebbe stato alla guida di un piccolo gruppo di persone: addirittura avrebbe potuto dare ordini ad un mago! Il capitano parlò per una mezz'ora buona ma lui aveva iniziato a fantasticare sulla futura impresa già dopo le prime parole e ben poche delle raccomandazioni che gli furono fatte, vennero poi effettivamente recepite: riuscì a sentire a malapena alcuni brani di quel discorso che narravano di pericoli, non morti, mostri tutte cose che non facevano altro se non aumentare ancora più l'impazienza. Si destò solo quando sentì il suo capitano concludere con un bene, credo che non ci sia altro da dire, Preparati, l'armeria è a tua disposizione. Domani mattina presto ti recherai alla Shannan-dôm dove farai conoscenza con gli altri. Inutile dire che mi aspetto grandi cose da te. Non la deluderò signore!" replicò entusiasta Aramus prima di congedarsi.

    Una Forzosa Richiesta

    Più o meno nello stesso istante in cui Aramus Folken veniva informato circa la sua missione, nella Shannan-dôm, la scena si ripeteva in forma diversa e con diversi attori. Selina era stata convocata dal suo mentore molto presto quella mattina: il sole non si era levato sopra l'orizzonte e tutto era ancora illuminato dalle torce. Il sonno non pareva aver lasciato gli occhi della giovane maga, testimonianza forse di una notte agitata ed il silenzio in cui era tuttora immersa la torre, fece sì che i suoi occhi si richiusero ben più di una volta mentre quasi meccanicamente raggiungeva l'aula della grande biblioteca al termine di un lungo corridoio scavato nella roccia del primo degli oltre cinque livelli sotterranei. Il suo mentore l'attendeva lì, seduto dietro al tavolo su cui solitamente le faceva lezione, avvolto in un pesante mantello rosso e azzurro col cappuccio calato in testa che gli lasciava scoperto il viso dal naso in giù. Ci mise un po' per realizzare quello che le si stava comunicando: una missione fuori dalla torre! Il sonno svanì di lì a pochi istanti. Non era pronta! Non conosceva abbastanza incantesimi! Erano più o meno i pensieri più ricorrenti che si alternavano nella sua testa ed avrebbe voluto esternare questi suoi dubbi se non fosse che ogniqualvolta tentava di aprire bocca, il suo mentore la precedeva rispondendole quasi potesse leggere nella sua mente. "Ti permetterò di trascrivere un paio di

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