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Dei del Mondo Finito: Primo libro bianco, Cronache di Esedra
Dei del Mondo Finito: Primo libro bianco, Cronache di Esedra
Dei del Mondo Finito: Primo libro bianco, Cronache di Esedra
E-book224 pagine3 ore

Dei del Mondo Finito: Primo libro bianco, Cronache di Esedra

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Info su questo ebook

Pianeta Hanon, un altrove perso tra le maglie del tempo e dello spazio. Questo è il luogo dell'infinito in cui ho visto la luce anni or sono.

Ora che vivo in tutte le cose, rimembro con tenerezza i dubbi, le paure e la sofferenza che la condizione umana impone di provare. Adesso che non ho più forma e che sono come aria che vaga in questo mondo, senza meta, conosco l'oscurità e la luce nascosti nel cuore di ogni creatura. Presto giungerà il giorno del giudizio e ogni evento presente e passato perderà il significato che gli uomini e le altre creature gli hanno attribuito, per vestirsi di nuova identità al cospetto di Dio.

Prima che tutto varchi i cancelli dell’eternità e prima che il mio potere venga sottoposto a giudizio divino per vivere in eterno o perdersi per sempre, ho deciso di affidarvi i miei ricordi affinché ciò che hanno visto i miei occhi e ciò che ha provato il mio cuore sopravviva oltre me stessa oltre Hanon.

Vi narrerò le vicende di un'umanità stremata, violata nel corpo e nell'anima dal più oscuro male. Ma è proprio quando si giunge dove ha sede il più nero degli abissi che si deve trovare la forza di risalire in superficie per cambiare lo stato delle cose. Capire che nessuna schiavitù e nessuna costrizione è per sempre, costituisce la speranza in un futuro migliore, la consapevolezza di poter essere gli artefici del proprio destino.

Lottare fino a che l'ultimo respiro presente nei polmoni non venga esalato, fino a che l'ultima goccia di sangue non venga versata. Cambiare se stessi per cambiare ciò che è al di fuori di noi; di questo vi parlerò affinché vediate la grandezza del potere che è insito dentro ognuno di noi. Renderò immortali le gesta di coloro che si sono sacrificati per l'onore del Dio Bianco e per la salvezza di Hanon.

Questo è il volere di colei che è divenuta verità immortale per volontà divina.
LinguaItaliano
EditoreYas Venice
Data di uscita4 feb 2020
ISBN9788835367093
Dei del Mondo Finito: Primo libro bianco, Cronache di Esedra

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    Anteprima del libro

    Dei del Mondo Finito - Yas Venice

    cuore.

    Prologo

    Pianeta Hanon, un altrove perso tra le maglie del tempo e dello spazio. Questo è il luogo dell’infinito in cui ho visto la luce anni or sono.

    Ora che vivo in tutte le cose, rimembro con tenerezza i dubbi, le paure e la sofferenza che la condizione umana impone di provare.

    Adesso che non ho più forma e sono come aria che vaga in questo mondo, senza meta, conosco l’oscurità e la luce nascoste nel cuore di ogni creatura.

    Presto giungerà il giorno del giudizio ed ogni evento presente e passato perderà il significato che gli uomini e le altre creature gli hanno attribuito, per vestirsi di nuova identità al cospetto di Dio. Prima che tutto varchi i cancelli dell’eternità e prima che il mio potere venga sottoposto a giudizio divino per vivere in eterno o perdersi per sempre, ho deciso di affidarvi i miei ricordi affinché ciò che hanno visto i miei occhi e ciò che ha provato il mio cuore sopravviva oltre me stessa oltre Hanon.

    Vi narrerò le vicende di un’umanità stremata, violata nel corpo e nell’anima dal più oscuro male, ma è proprio quando si giunge dove ha sede il più nero degli abissi che si deve trovare la forza di risalire in superficie per cambiare lo stato delle cose; capire che nessuna schiavitù e nessuna costrizione è per sempre costituisce la speranza in un futuro migliore, la consapevolezza di poter essere gli artefici del proprio destino.

    Lottare fino a che l’ultimo respiro presente nei polmoni non venga esalato, fino a che l’ultima goccia di sangue non venga versata. Cambiare se stessi per cambiare ciò che è al di fuori di noi; di questo vi parlerò affinché vediate la grandezza del potere che è insito dentro ogni essere. Renderò immortali le gesta di coloro che si sono sacrificati per l’onore del Dio Bianco e per la salvezza di Hanon.

    Questo è il volere di colei che è divenuta verità immortale per volontà divina.

    Puella Rebel

    Capitolo1

    Seguitemi.

    Vi condurrò sul Monte Volgo, il confine ultimo che separa terra e cielo dove sorge il complesso di Esedra, ultimo baluardo dell’antico ordine eulenico.

    Eccolo Anuby Koll, il Gran Tai, uno dei capi dell’ordine dei monaci rossi, perso nei suoi pensieri.

    Era stanco ma non riusciva a trovare pace poiché sapeva che l’oscurità sarebbe giunta sin lassù a corrompere anime e cose. Bene e male si sarebbero mescolate spezzando ogni equilibrio.

    Aveva appreso da Sraosha, tanti anni prima, che tutto ciò che è regolato dal fato pretende laute contropartite. Ma se la casualità rappresenta la maschera dietro la quale si nasconde Colui che regola i moti dell’universo, che senso ha opporsi al destino, frutto della totalità degli eventi guidati dall’eterno e immenso codice, retto dalla mano di una volontà superiore?

    Il Gran Tai contemplava i propri pensieri al pari di un pastore che osserva il suo gregge, privo però della capacità di guidarlo in una direzione prestabilita.

    Dalla terrazza in seno alla torre di cristallo che sormontava quell’angolo di mondo, lo splendore abbagliante di Esedra giungeva a sorprenderlo ancora a distanza di anni: guglie e cuspidi inneggianti al cielo come mani tese a lodarne la bellezza; archi e portici scolpiti da mani sapienti tra i quali si aggirava il vento della storia; statue dalle forme sinuose, testimoni di un antropomorfismo portato all’eccesso. Talmente perfette da inquietare, pronte a ricevere sangue nelle loro vene di pietra e spirito per volare via. Ogni parete marmorea all’interno del perimetro sacro, là dove sorgeva la torre di luce, recava scolpite parole di vita eterna, contornate da figure geometriche elementari, simboli di armonia cosmica.

    Quelle mura millenarie avevano retto agli attacchi dei talkoniani ed erano rimaste indenni dinanzi al fuoco di King Khaio. Adesso il male aveva cambiato volto: risparmiando la pietra e il marmo era riuscito ad insinuarsi nell’anima di Esedra attraverso sinistri venti di congiura e sospetto, accompagnati da un nemico invisibile pronto a colpire a tempo debito.

    Una voce dolce e premurosa interruppe il flusso di pensieri che ruotava incessante nella testa del Gran Tai:

    «Maestro!».

    Egli continuò a fissare il paesaggio.

    In lontananza, al di sotto dell’oceano di rosee nuvole che circondavano il Monte Volgo, si scorgevano sinistri bagliori accompagnati da sordi boati. Le cime delle montagne parevano galleggiare sulla distesa cotonata ed erano scosse sin nelle fondamenta dalla potenza di quel rombo che aumentava di intensità.

    «Maestro!».

    Anuby fece un cenno con la mano senza però voltarsi.

    «Ti ho sentito ragazzo».

    Il giovane si avvicinò alla balaustra e guardando anch’esso il paesaggio disse: «Un altro temporale?».

    Il giovane novizio, di nome Jado, era un orfano giunto in fasce lì sul tetto del mondo ed era cresciuto all’interno del complesso. Come molti altri non aveva mai messo piede nel mondo sottostante quindi era ignaro di ciò che l’oceano di nuvole nascondeva.

    «Mi piacerebbe vederne uno dal basso… come il resto dell’umanità» disse Jado.

    Il Maestro si voltò verso il giovane dai grandi occhi verdi. «Credimi non ti perdi niente di piacevole» dopodiché si diresse verso l’entrata, seguito a ruota dall’allievo.

    Gli ultimi raggi dei soli accompagnarono i due sin dentro la biblioteca ricavata all’interno della torre di cristallo. Costituiva il centro di Esedra, intorno sorgevano le altre costruzioni che la cingevano in un abbraccio triangolare perfetto. Alla base della torre vi erano delle statue colossali di marmo bianco che rappresentavano i tre spiriti del Dio Bianco aventi forma di grifone.

    Le loro zampe anteriori, munite di grandi artigli, sostenevano il peso della torre a cui si accedeva tramite la Scala dei Sospiri, costituita da ben 133 gradini. All’interno il silenzio regnava sovrano tra le migliaia di volumi stipati negli scaffali di cristallo misti a legno di arabresco. Quella era l’unica parte del complesso che non necessitava di luce artificiale: la torre era progettata per trattenere i raggi dei soli che rimanevano imprigionati all’interno delle pareti, senza mai morire. Donavano così vita ad una colonna di luce che si innalzava per ben 177 metri, in grado di guidare vascelli e navicelle che attraversavano l’oceano di nuvole. Quel luogo incantevole era conosciuto ovunque come il Faro, la luce che guidava i viaggiatori.

    Jado e il suo maestro intrapresero la discesa verso il basso, attraverso una comoda scala che aggirava le pareti interne della torre. Al centro della torre invece si ergeva una sorta di cilindro che ne percorreva l’intera sua altezza, esso ruotava perennemente su se stesso e gli scaffali creavano una sorta di spirale che si inerpicava dal basso verso l’alto giungendo sino alla vetta che si intravedeva a malapena. Intorno al cilindro rotante vi era una struttura a chiocciola, immobile consentiva ai monaci di consultare i volumi che man mano scorrevano dinanzi ai loro occhi. Bastava sfiorare un volume per attivare un meccanismo che faceva in modo di trovarlo ai piedi del cilindro per consultarlo o portarlo via.

    Anche se era lontano dalla prescelta, Anuby ne avvertiva la presenza in una stanza dell’ala adibita agli alloggi studenteschi: impossibile non percepire quel gelo che penetrava sin dentro le ossa, come un insieme di aghi sottili.

    Solo chi ha il potere di provocare la fine può dar vita ad un nuovo inizio, il Gran Tai ricordava bene le parole pronunciate dall’oracolo e ogni parte del suo discorso echeggiava ancora nella sua mente. Anuby non avrebbe permesso che il potere di cui la prescelta era custode si perdesse in un giorno dimenticato dal cielo, avrebbe lottato affinché ciò non accadesse. Tre rintocchi del grande orologio, incastonato nella cuspide del tempio bianco, salutarono quel giorno che si apprestava ad entrare nel passato, lasciando gli abitanti di Esedra liberi di vivere la loro notte nel bene e nel male.

    ✱✱✱

    La trentesima ora era passata da poco e i silenziosi corridoi al piano terra vennero animati da decine di fiaccole rette dalle giovani mani dei novizi. Questi andarono a formare un lungo serpentone vivente diretto verso il Tempio Bianco le cui porte erano spalancate per accogliere al suo interno la processione: qui avrebbe avuto luogo la cerimonia dell’abluzione, rito importante del passaggio dal noviziato al sacerdozio. Tra due ali di tuniche bianche avanzavano i capi dell’ordine tra i quali si faceva largo la possente presenza del Choyn, capo indiscusso degli eulenici, nel suo abito color porpora munito di ampio mantello del medesimo colore. Sul petto lo stemma di Esedra: un triangolo equilatero con all’interno i simboli universali intrecciati dell’alfa e dell’omega inscritti in un pesce stilizzato. I simboli irradiavano i loro raggi verso l’infinito.

    Il cappuccio celava parte del volto, lasciando intravedere il mento maturo dalla barba curata dove si stagliavano un naso ben disegnato e labbra carnose. A scandire il ritmo della sua camminata vi era il rumore del pastorale retto dalla sua mano destra che, ad un numero di passi prestabilito, entrava in contatto con il suolo. Accanto a lui vi erano i sacerdoti Gran Tai dalla tonaca diversa: porpora mista a bianco. La processione, percorrendo una stradella composta da mattoni quarzati, transitò all’interno del giardino sacro al cui centro sorgeva il Faro. Un maestoso cielo stellato sfoggiava la sua magnificenza fuori dalla grande cupola vitrea, che racchiudeva l’intero complesso. Da qui sbucava solo la torre di luce. Quell’opera serviva a proteggere l’ecosistema interno poiché, a quelle altitudini, sarebbe stato impossibile vivere senza un aiuto artificiale che andasse a colmare la carenza di aria.

    Dopo essere transitata sotto la cupola, la lunga scia luminosa si apprestò a varcare la soglia del Tempio Bianco. L’imponente costruzione copriva circa un terzo del perimetro sacro dell’intero complesso, dietro, gli alloggi studenteschi si congiungevano, andando a formare il vertice del sacro triangolo equilatero cui la struttura dava vita. L’organo intonò melodie sinuose e avvolgenti, quando tutti furono all’interno del tempio le porte si chiusero alle loro spalle.

    Negli stessi istanti ai piani superiori

    Dove avevano sede gli alloggi studenteschi, nella parte opposta del complesso, stava per iniziare un altro rito che non aveva nulla di religioso. Nel mezzo del lunghissimo corridoio, ovvero l’ipotetica base del triangolo equilatero, si erano riuniti molti studenti: con la complicità di qualche guardia si preparavano ad assistere alla bagarre che animava da sempre la notte del sesto giorno della settimana. L’ambiente era rischiarato da numerose candele sistemate su alcune scrivanie, tirate fuori dalle stanze attigue.

    Il Cerbero, un ragazzo dall’aspetto trasandato con la testa incoronata da miriadi di treccine, era intento ad annotare le puntate su un taccuino elettronico; accanto a lui lo speaker sorseggiava dell’ottimo kashi. I quattro speedcraft erano schierati al nastro di partenza mentre i rispettivi centauri ultimavano i preparativi consigliati da amici e scommettitori. Solo uno dei quattro se ne stava in disparte, con il casco che già copriva le sue fattezze. Sentiva pulsare il sangue nelle vene dei suoi avversari, quasi poteva vedere il calore corporeo delle persone disperdersi nell’aria circostante. Preferiva osservare gli altri piuttosto che socializzare. I suoi modi erano lontani anni luce dagli altri abitanti di Esedra e ciò gli era costato anni di isolamento e solitudine, ma in fondo era un prezzo accettabile se ciò voleva dire difendere la sua natura speciale.

    Akim Verbain, lo speaker, ordinò ai motociclisti di prendere posto sugli speedcraft.

    «Hai battuto ogni record» riferì il Cerbero al centauro solitario «Nessuno ha scommesso su di te». Non vi fu risposta alla frecciatina. Intanto Verbain tirò fuori dalla tasca un blister che consegnò al primo dei centauri; dopo essere montato sul veicolo, il ragazzo prelevò due capsule e le mandò giù. Così fecero gli altri contendenti mentre il blister passava di mano in mano.

    «Mandale giù, queste ti aiuteranno» disse Akim rivolto al centauro misterioso che inaspettatamente rifiutò ciò che gli veniva offerto: «No, questa roba non mi serve».

    Una voce simile ad un soffio, una voce di donna, gli comunicava il rifiuto. Verbain rimase interdetto, era la prima volta che una donna sedeva su uno speedcraft. Akim ripose il blister in tasca e fece fatica a trattenere la curiosità: quella tipa non aveva bisogno di un’assistenza artificiale che potesse aiutarla durante il percorso. Lei non aveva bisogno di allucinogeni che migliorassero la sua vista notturna perché la natura, Dio o qualunque cosa fosse, l’avevano dotata di strani doni ignorati dal resto del mondo.

    Accanto a lei era schierato Roland Brooks, l’avversario più temibile e portabandiera di quello sport estremo. Era rampollo di una delle famiglie più potenti di Zharvan, personaggio ben caro al Choyn in persona, visti i notevoli contributi in denaro che la famiglia versava annualmente nelle casse di Esedra.

    Il Cerbero procedeva alla conta del denaro raccolto ed ecco che gli si avvicinò lo speaker passando sottobanco la sua puntata.

    «Tutto sul numero 4» sussurrò. L’altro lo fissò esterrefatto.

    «Non dire niente, segna e basta, sento che sarà lei a vincere».

    Era giunto il momento di avviare la corsa kamikaze.

    «Quattro centauri che sfidano l’oscurità… qui non vince il migliore ma colui che è amato dalle tenebre» le scarne parole di Akim Verbain preannunciarono il momento dell’inizio delle ostilità. Una candela rossa su cui lo speaker avrebbe soffiato venne passata dal «Cerbero», la tensione riempiva l’aria.

    Dal canto suo lei era incurante dell’atmosfera elettrica che la circondava, anzi cominciava ad annoiarsi. Si era rilassata un po’ troppo per accorgersi della candela che venne spenta improvvisamente. A quel segnale gli altri tre partirono di gran carriera mentre si udì forte la voce possente e chiara di Akim che urlava al suo indirizzo: «Muoviti bastarda!».

    La ragazza uscì dal letargo e partì all’inseguimento del terzetto. Man mano che la luce delle candele si allontanava incontrò parecchie difficoltà all’interno di quel buio onnipresente. Nell’effettuare in malo modo la svolta a destra per immettersi nel lungo rettilineo, che costituiva un lato dell’ipotetico triangolo, temette di aver danneggiato le sospensioni posteriori andando a sbattere contro il muro. Intanto nelle posizioni davanti tutto procedeva bene. Gli estratti ai funghi allucinogeni facevano il loro effetto consentendo ai ragazzi una visione notturna soddisfacente, con sfumature verde scuro che facevano sembrare il tutto come visto attraverso una telecamera ad infrarossi.

    «Maledizione! Se continuo così non riuscirò nemmeno a tagliarlo il traguardo!» pensò lei, preoccupata dell’andamento non esaltante della sua gara.

    Era Roland a condurre in quel momento, con fatica era riuscito a sopravanzare i due avversari e per lui era giunto il momento di assicurarsi la vittoria, a modo suo. Rallentò impercettibilmente. Voleva che uno dei due contendenti lo affiancasse in un tentativo di sorpasso. Così fu, uno dei due speedcraft si avvicinò sulla sinistra; Roland lasciava intendere di non opporsi alla manovra ma quando venne sopravanzato di circa mezzo metro tirò fuori dalla tasca dello stivale una fune-ragno. Attivò il congegno simile ad un rombo tridimensionale e dopo pochi secondi le due estremità del rombo si conficcarono rispettivamente una tra i raggi della ruota posteriore dell’avversario e l’altra in una colonna che costeggiava il muro. La parte agganciata alla colonna, complice l’alta velocità del veicolo, trattenne di botto la ruota posteriore spezzando lo speedecraft in due tronconi; il povero centauro rotolò rovinosamente a terra mentre la metà anteriore libera dalla fune-ragno rimbalzava impazzita accanto a lui.

    Nel frattempo la situazione della motociclista misteriosa volgeva al meglio. Entrambi i nervi ottici lavoravano a pieno ritmo per abituarsi all’oscurità e le sue pupille in risposta si ingrandirono, mostrandole finalmente il percorso in tutta la sua lunghezza. Fortunatamente lo speedcraft non aveva subito danni nel colpo rimediato poc’anzi. Un gran botto in lontananza attirò la sua attenzione. Era accaduto qualcosa agli avversari che la precedevano, intravide qualcuno a terra e, ad una certa distanza, un veicolo in pezzi. Non si premurò di prestare soccorso poiché non era nella sua natura farlo. Intanto il centauro, seppur dolorante, stava tentando di rialzarsi e venne abbandonato al suo destino dalla giovane che con il motore a pieni giri se lo lasciò alle spalle, preoccupata soltanto di non riuscire a raggiungere gli avversari che la precedevano.

    Quell’avventura in cui si era imbarcata era solo una delle tante cose che faceva senza avere una reale motivazione, a guidarla solo la voglia di esaltare la sua ingombrante diversità. A testimonianza di ciò giunse in quell’istante la conferma da parte del suo «dono», oramai non

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