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Il Canto del Lago
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E-book77 pagine59 minuti

Il Canto del Lago

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“…Guardo l’onda e penso a questo scambio tra una riva e l’altra. Penso che, in qualche modo, ci deve essere uno scambio anche tra un’anima e l’altra, e tra un mondo a l’altro. La tua anima e la mia, il mio mondo ed il tuo. I miei ricordi, i tuoi ricordi…”. Con queste parole si riassume questa raccolta di Linda Spandri (classe 1982), composta da cinque racconti, il cui filo conduttore è l’ambientazione sul Lago di Como. Leggenda, presenze e fatti vissuti si intrecciano nella narrazione sul confine tra realtà e fantasia.
LinguaItaliano
Data di uscita4 apr 2012
ISBN9788866187622
Il Canto del Lago

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    Il Canto del Lago - Linda Spandri

    RICORDI

    IL CANTO DEL LAGO

    Aprì il cassetto in cui aveva visto lo zio Stefano riporre un quadernetto in fretta e furia, in numerose occasioni. Più volte gli aveva chiesto di cosa si trattasse, ricevendone in cambio una sola, evasiva risposta:

    - Ogni cosa a suo tempo, Loris. Presto ti racconterò una storia…

    Niente di più, così Loris aveva deciso di scoprirlo da solo. Quel pomeriggio, finalmente, l’occasione si era presentata.

    - Vieni a vedere i pescatori in poncia? – aveva chiesto lo zio.

    - Oh, se non ti fa nulla preferirei stare a casa a… a riposare… ho dormito poco, la scorsa notte… sai, il temporale…

    Lo zio gli aveva lanciato uno sguardo strano, che lui non era riuscito a decifrare. Che si fosse accorto del suo tentennamento, del suo rossore?

    - Il temporale?

    - Sì… perché?

    - Il temporale, hai detto? Solo il temporale… il gabbiano no?

    - Quale gabbiano?

    Lo zio si era limitato a scuotere la testa, mugugnando prima di uscire:

    - Presto ti racconterò una storia…

    Lo zio Stefano era decisamente un personaggio strano. In realtà era zio del padre di Loris, fratello di quel nonno Domenico che il ragazzo ricordava solo vagamente, dato che era morto quando lui aveva appena quattro anni. Ecco perché Stefano era sempre stato una sorta di nonno surrogato per Loris, che gli voleva bene. Era quell’affetto il motivo per cui, un mese prima, quando lo zio si era slogato una caviglia scivolando su una passerella di legno, pescando di notte sotto il diluvio, il giovane aveva deciso di andare a passare qualche tempo da lui. I suoi genitori erano stati subito d’accordo, soprattutto quando avevano saputo che sulla passerella non era stato trovato niente che facesse pensare ad un’attrezzatura da pescatore.

    - Lo zio ha la sua età – aveva sentenziato il padre di Loris. – Può darsi che stia andando indietro.

    In quel mese, tuttavia, Loris non aveva notato niente di realmente preoccupante, dal punto di vista della salute. Certo, restava il fatto che lo zio fosse quanto mai bizzarro e con l’età che avanzava questa caratteristica pareva accentuarsi. Il quadernetto misterioso era solo un esempio di questa stravaganza. C’era pure il fatto che lo zio tutte le sere scendeva sulla riva e si inginocchiava tra la ghiaia, come se volesse accarezzare l’acqua. E poi dormiva pochissimo, la notte: Loris l’aveva sentito spesso gironzolare per casa, affacciarsi alla finestra della mansarda quando il tuono iniziava a brontolare, borbottando qualcosa, come se volesse rispondere alle nuvole. Sonnecchiava poi qualche ora il pomeriggio, ed in quelle occasioni continuava a bofonchiare anche nel dormiveglia, in uno strano delirio di noci, gabbiani, onde, navi… Una volta si era tirato a sedere sul letto, esclamando:

    - Loris, Eva è già andata via?

    Poi si era ricomposto, guardando di scorcio il nipote, con aria imbarazzata, fugacemente, con quei suoi occhi nocciola accesi e spiritati, scostandosi dalla fronte una ciocca di capelli ingrigiti e nonostante ciò ancora tenuti lunghi sulle spalle. Capire chi fosse questa Eva, poi, non ce n’era stato verso, e Loris aveva preferito non insistere.

    Appena visto dalla finestra che lo zio si era allontanato per la strada, Loris era andato allo scrittoio del soggiorno. Nel cassetto, che scricchiolò all’apertura, oltre al quadernetto c’erano alcuni gusci di noce, un sacchetto di raso che una volta doveva essere stato bianco, vuoto ma chiuso da un consunto laccio da scarpa, una piuma candida dalla punta grigia, una penna a sfera comunissima, un plettro per chitarra spezzato in due. Raccolse le due metà e le fece combaciare. Incisa sulla superficie liscia c’era la figura di un vascello. Non sembrava un’incisione a stampo, piuttosto un’immagine intagliata in modo rudimentale con un ago o qualcosa di simile, manualmente, seppur con una certa precisione. Rimise il plettro in fondo al cassetto, si guardò intorno e poi afferrò il quaderno, con decisione e delicatezza ad un tempo, e lo aprì su una pagina casuale.

    A prima vista, pensò fosse un diario, poi leggiucchiando qua e là scoprì che si trattava più che altro di un elenco di appunti datati, senza un grande significato. Espressioni come Temporale notturno. Germani sulla passerella per tutta la mattina o Gabbiano sul salice erano ricorrenti. Frequente e ripetitiva era la frase Liberato un guscio. Perplesso, Loris continuò a girare pagine che parevano tutte uguali, con la calligrafia di zio Stefano, così piena di punte che tiravano a destra e verso l’alto, fino a quando s’imbatté in una frase che compariva per la prima volta. La lesse e la rilesse, convinto di essersi sbagliato.

    - Il lago ha cantato… e che vuol dire?

    - Vedo che non hai saputo aspettare…

    Il quaderno sfuggì dalle mani di Loris che si voltò di scatto. Solo allora si rese conto di aver parlato ad alta voce e contemporaneamente si accorse che lo zio era rientrato. A disagio come un bambino sorpreso con la mano incastrata nel vaso delle caramelle, alzò appena i propri occhi in quelli del’uomo, aspettandosi di trovarvi un’espressione

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