Keep calm e passeggia per Torino
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Info su questo ebook
Torino è una città che ha saputo reinventarsi con una creatività straordinaria, evolvendosi in ogni settore: turismo, cultura, tecnologia, architettura, strutture museali, arte, musica, teatro, enogastronomia. Ed è estremamente affascinante scoprire i suoi mille volti passeggiando con calma tra le sue strade ricche di storia e cultura. D’altronde, ci sarà un motivo se il «New York Times» ha inserito Torino tra le 52 mete da visitare nel 2016, unica tra le italiane, e se la città è seconda tra le capitali europee dell’innovazione con lo slogan “Il luogo dove le idee prendono vita”. Anche Skyscanner consiglia di visitare il capoluogo piemontese e l’UNESCO ha dichiarato il parco del Po e la collina torinese “riserva di biosfera”, allungando la lista dei numerosi siti torinesi patrimonio dell’umanità. E allora cosa aspettate? Fate un bel respiro e avventuratevi tra piazze, vicoli e viali, perché, come si dice, stè bin a Turin!
Tra le passeggiate:
• Torino dall’alto
• percorso magico/noir nella Torino “nera”
• Torino e la street art: camminare in barriera
• tour magico nella Torino “bianca”
• al Parco del Valentino: un lungo giro fra storia, sport e natura
• nell’arte moderna e contemporanea: musei, fondazioni, gallerie
• sorprendente percorso al Lingotto
• percorso esotico: dall’Egitto all’Oriente più estremo
Daniela Schembri Volpe
nata a Palermo nel 1963, al Politecnico di Torino ha conseguito il titolo in Scienze e arti della stampa. Si è occupata di grafica come art director junior e da tempo lavora nell’editoria come correttrice di bozze e editor. Ha vissuto all’estero in diverse città del mondo. È appassionata di viaggi, di arte e ovviamente della sua amata Torino. Con la Newton Compton ha pubblicato 365 giornate indimenticabili da vivere a Torino e Keep calm e passeggia per Torino.
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Anteprima del libro
Keep calm e passeggia per Torino - Daniela Schembri Volpe
378
Della stessa autrice:
365 giornate indimenticabili da vivere a Torino
Mappe: Adriana Farina
Prima edizione ebook: ottobre 2016
© 2016 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-9912-5
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Oldoni Grafica Editoriale, Milano – www.oldoni.com
www.newtoncompton.com
È cosa di un momento: io sono la strada e lascio dietro di me
il viandante che ero
e la distanza e l’affanno e l’incertezza, e ogni cosa
è dentro la mia strada.
Nel corso della vita ne abbiamo fatta di strada.
Ma ci siamo dimenticati
di tracciare un viottolo in cui camminare
lentamente e felicemente con noi stessi.
Fabrizio Caramagna
Introduzione
Benvenuti a Torino! Welcome to Turin! Bienvenue à Turin! Bienvenido a Turín! La mia prima guida, 365 giornate indimenticabili da vivere a Torino, è stata pubblicata da pochi mesi ed eccomi già al secondo lavoro, con entusiasmo mai sopito, riguardo a una città in continuo fermento ed evoluzione. Sono ritornata a scrivere su Torino scoprendo che, in un lasso di tempo veramente breve, la città propone già interessanti novità. Torino e i torinesi hanno una capacità tutta loro di reinventarsi e di reinventare con una creatività che abbraccia ogni settore: turismo, cultura, tecnologia, architettura, strutture museali, arte, musica, teatro, enogastronomia ecc. Un DNA legato alla capacità di lavorare in squadra, di collaborare, che si è rivelato, tra le altre, una carta vincente. Del resto quale città ultimamente, in Italia, può annoverare tanti e tali prestigiosi riconoscimenti? Iniziamo dal «New York Times», che nel 2016 ha inserito Torino tra i 52 luoghi da visitare nel mondo, unica tra le città italiane. Il capoluogo piemontese, con le colline delle Langhe e del Monferrato, terre di vino, è nella classifica delle mete da non perdere. Una città che non ha dimenticato la propria vocazione industriale ma che dal cilindro
ha tirato fuori mille occasioni per uscire, conoscersi, vivere! Tra le motivazioni: il Museo Egizio, da pochi mesi riaperto con il suo nuovo allestimento; i Docks Dora, sede di gallerie, atelier e club underground; spazi espositivi come Camera, il nuovo centro per la fotografia ed eventi cresciuti negli anni come Artissima e Paratissima; Slow Food, con il Salone del Gusto. E ancora il museo Ettore Fico, Arte in Barriera, le Fondazioni di Arte, i Festival musicali, il nuovo quartier generale della Lavazza, le Luci d’artista.
Sempre nel 2016 la città sabauda è sul podio tra le capitali europee dell’innovazione con lo slogan «Il luogo dove le idee prendono vita», seconda dopo Amsterdam vincitrice, per un frisin, del premio iCapital, seguita da Parigi e number one in Italia: si tratta di un riconoscimento di prestigio, che premia la voglia di futuro delle aree urbane del vecchio continente. A Torino è stato riconosciuto il merito, tra altre trentasei città europee, di aver saputo creare modelli di innovazione aperta che sostengono le start-up nel settore sociale, e per aver creato nuove opportunità nell’innovazione urbana.
E ancora, ecco il motore di ricerca delle vacanze Skyscanner che consiglia di visitare Torino inserendola al primo posto in un elenco di venti città italiane. Della città si celebrano la bellezza delle vie del centro, l’architettura espressa da fastosi palazzi nobiliari e dalle piazze, veri e propri eleganti salotti e salottini urbani, gli strabilianti e molti musei dal Museo Egizio, già ricordato, al MauTo, il Museo dell’Automobile, dal Museo Nazionale del Cinema alla GAM (Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea), dal Museo di Arti Orientali al Museo del Risorgimento. Senza dimenticare soprattutto il Polo Reale e i musei ospitati nei pressi di Torino in quelle che furono le delizie dei Savoia: la Reggia di Venaria, il Castello di Rivoli che ospita il Museo di Arte Contemporanea, la Palazzina di Caccia di Stupinigi. Infine, la collina torinese promossa dall’Unesco a Riserva Biosfera, allungando la lista dei numerosi siti torinesi Patrimonio dell’Umanità.
E allora turisti, torinesi, tutti, godiamo degli itinerari proposti da Keep Calm e passeggia per Torino e meravigliamoci sempre e con entusiasmo di tanta bellezza del passato e del futuro che tutto il mondo riconosce a Torino.
Stè bin a Turin!
RINGRAZIAMENTI
Un grazie particolare a Vittoria Brucoli e Claudia Colucci per l’assistenza nelle passeggiate. Grazie ai tanti affettuosi amici che mi seguono con interesse, in particolar modo Anita Simioni, e poi Antonella Girola, Luisa Grisorio, Anna Concaro, Lina Catizone, Roberta Rosa, Donata Facello. Un enorme ringraziamento ad Antonella Pappalardo e Alessandra Penna della Newton Compton. Grazie alla mia cara famiglia: a Emanuele e Andrea Sacchi, a Sara e Gino. Thanks to Claudia Dapiran, Laura Dapiran, John McGarvey, Alan Nee (i miei turisti preferiti). E al grande relatore/filosofo Carlo De Blasio, grazie! I love Turin!!!
DIREZIONE CENTRO
IL CUORE DI TORINO IN OLTRE 2000 ANNI DI STORIA, ARCHITETTURA, MAGIA, CURIOSITÀ
1
PASSEGGIARE SVETTANDO TRA PANORAMICHE ALTEZZE: TORINO DALL’ALTO
Può apparire scontato, a Torino, pensando a panorami e altezze, riferirsi alla Mole Antonelliana, il monumento simbolo della città inserito, a ragion veduta, nelle top ten dei turisti tra i più visitati e negli itinerari dei torinesi di tanto in tanto, quando lo sguardo desidera riappropriarsi della bellezza della città, dei fiumi che la attraversano e delle Alpi, magari innevate, sullo sfondo di un cielo azzurro. Il percorso panoramico non potrà che strabiliare, tanti sono i punti dai quali si può godere di un paesaggio aereo, dove ogni cosa risulta piccola e al contempo grandiosa. Dove il reticolo di vie, monumenti, verde pubblico (e Torino fa bella mostra di un importante patrimonio green) compone un quadro davanti al quale la mente si svuota di ogni pensiero per lasciare spazio solo alla contemplazione.
Organizzata una passeggiata per altezze crescenti, si parte da un punto che ci permette di godere del panorama più centrale della città: piazza Castello. L’edificio più alto che svetta sulla piazza è la Torre Littoria, ma è a uso esclusivo di uffici e abitazioni, anche se in anni recenti sono stati presentati progetti per renderne pubblico l’accesso alla parte più alta, fruendone come caffetteria e punto panoramico. In stile razionalista, progettata nel 1933 dall’architetto Armando Melis De Villa e dall’ingegnere Giovanni Bernocco, viene portata a termine in un solo anno con l’inaugurazione nel 1934. Ventuno piani sono distribuiti lungo 87 metri di altezza, in questo edificio che per l’epoca era all’avanguardia per progetto e utilizzo di materiali. Originariamente doveva ospitare la sede del PNF (partito nazionale fascista), ma questo non accadde e venne poi acquisita dalla Reale Mutua Assicurazioni. È intuitivo, piaccia o meno, che la Torre Littoria risulti disarmonica nell’ambito della bella piazza barocca; i torinesi le hanno affibbiato diversi soprannomi (il dito del Duce
, il pugno nell’occhio
ecc.) ma pure è certo che lo skyline torinese non può esimersi dall’inglobarla. L’edificio che ci consente, invece, di appropriarci del primo panorama del percorso è un gioiello che racchiude millenni di storia: palazzo Madama. Al centro della piazza, che occhieggia al suo sposo, il palazzo Reale, troneggia una costruzione che fa percorrere un viaggio nel tempo di tutto rispetto. Le fondamenta di palazzo Madama sono visibili attraverso la pavimentazione trasparente al piano terra, nell’atrio interno del palazzo, e all’esterno in alcuni punti della piazza, e mostrano parte della struttura di una delle quattro porte urbiche di accesso alla città (nonché parte del decumano massimo) all’epoca di Augusta Taurinorum e del Castrum. Questa era la Porta Decumana, all’estremità del decumanus maximus in direzione del fiume Po, verso oriente dove sorge il sole. Per avere un’idea della forma che doveva avere la porta est della città di fondazione, si può camminare sino alla Porta Palatina, che dista una piazza
da palazzo Madama. Nel XIII secolo Guglielmo VII del Monferrato incorporò i resti della Porta Decumana in una fortezza eretta a ridosso delle torri già esistenti. Successivamente la porta con le due torri di vedetta, quelle prospicienti via Garibaldi, venne riadattata dai principi D’Acaja a castello, divenendo una casaforte che lentamente verrà decorata per essere resa abitabile dalla corte. Nel Seicento, la Madama Cristina di Francia prese residenza nel castello iniziando una serie di modifiche che proseguiranno con Maria Giovanna Battista di Savoia Nemours, per la quale l’archistar del tempo, Filippo Juvarra, progettò un palazzo esempio del più raffinato barocco riuscendo a realizzare solo parte del progetto tra cui, sulla piazza, lo splendido avancorpo, e lo scalone d’onore a doppia rampa. Ora ci si prepara a salire su una delle quattro torri, una delle due più recenti, a cui si può accedere tramite un comodo e moderno ascensore, dalla cabina in vetro. Lassù il panorama, dall’altezza di circa trenta metri, permette di godere di una piazza Castello come non la si è mai vista in cui gli spazi si espandono; le proiezioni panoramiche indicano, anche in braille, i nomi dei maggiori monumenti e dei monti più alti della catena alpina che circonda Torino, tra cui il Monviso, nonché le direzioni e le relative distanze verso le maggiori città europee. Una volta usciti da palazzo Madama ci si dirige verso la seconda altezza
, in direzione del Duomo di San Giovanni e del suo campanile nella piazza omonima.
Siamo di fronte a un altro monumento torinese risalente al Medioevo. Costruito nel 1468 a tre ordini e con una cella campanaria, per volere del vescovo di Torino Giovanni di Compeys, fu modificato nel 1722, durante il regno di Vittorio Amedeo II, a opera, eccolo di nuovo tra noi, dell’architetto messinese Filippo Juvarra, con una sopraelevazione barocca sulla parte romanica preesistente che lo rende elegante e lo innalza di ulteriori dodici metri. Il percorso di salita alla torre campanaria della Cattedrale è stato riaperto nel 2013 dopo diversi interventi di ristrutturazione. Rispetto alla torre di palazzo Madama, alla torre campanaria si può accedere solo salendo i gradini. Dopo aver messo in moto
le gambe, lo spettacolo è servito da circa 43 metri! Torino panoramica e le Alpi sono tutt’intorno ma soprattutto è notevole la visione privilegiata sull’area archeologica, la Porta Palatina e il mercato di Porta Palazzo. Altezza
che vai, panorama che trovi… Se i gradini avessero provocato languore, ecco tre ottimi consigli (occorre prenotare), tutti in zona, prima di riprendere il cammino aereo
: Da Cianci Piola Caffè in largo IV marzo 9B, Caffè Vini Emilio Ranzini in via Porta Palatina 9G, Host, sempre in via Porta Palatina al 13. Gustata la buona cucina, si va diretti verso una nuova altezza, e che altezza! Questa volta non occorre solo pagare il biglietto ma è necessario prenotare (anche per i diversamente abili). Non ci sono gradini, non ci sono ascensori ma una vera e propria ascesa verso il blu infinito, che Torino sempre più spesso regala. Forse l’avete già scorto nel cielo con gondola
al seguito (non l’imbarcazione veneziana, trattasi del nome tecnico di quella che chiameremmo cesta), il pallone frenato, ancorato nel quartiere di Borgo Dora. Proprio vicino al Duomo passano i mezzi pubblici che portano nella zona dove il Turin Eye concede attimi adrenalinici indimenticabili. La dose di adrenalina è quella giusta, non c’è alcuna tensione. Le vertigini vanno bandite perché non si può bypassare una tale esperienza. Il pallone aerostatico frenato più grande al mondo rivela un fantastico panorama di Torino dopo una ovattata salita verticale di 150 metri. L’ascesa avviene a 35 metri al minuto e in 5 minuti si raggiunge la quota prefissata. Una volta in quota l’esperienza indimenticabile ha la durata di un quarto d’ora. Lo sguardo ammira, rapito da mille stimoli, architettonici e paesaggistici, i colori vivaci dei banchi del mercato di Porta Palazzo, la Dora, i campanili, la Mole, la chiesa della Gran Madre, il campanile di Santa Zita, la collina di Superga con la sua basilica, lo Juventus Stadium. L’altitudine e le sensazioni trasmesse da tanta meraviglia portano anche a una lettura interiore: ogni cosa, materiale o morale, si ridimensiona, e si fa pace con se stessi e con il mondo.
A dirla tutta, l’aerostato modello Hi-flyer ha qualcosa in comune con il famoso London Eye, la ruota panoramica londinese: la nazionalità, dato che proprio in Inghilterra è stato costruito. Supertecnologica, la mongolfiera è dotata di un quadro strumenti sul quale si possono controllare la pressione del pallone, la velocità del vento, la quantità di elio e di aria al suo interno e altri valori tecnici. Volendo cogliere il brivido adrenalinico al massimo, basta concentrarsi sulla sezione trasparente in vetro temperato del pavimento della gondola e guardare verso i propri piedi: la pelle d’oca è assicurata! La gondola, come la classica cesta di una mongolfiera, è rivestita di vimini ma è composta da una struttura di metallo che tramite una rete protegge completamente i passeggeri.
La salita viene effettuata anche in notturna, uno spettacolo di luminarie come pochi. Se il cielo lo permette, con l’ausilio di un astronomo si individuano e si imparano i nomi delle stelle. Sulla gondola, durante particolari eventi, si può prendere parte a degustazione di vini, gustare un aperitivo o ascoltare le guide turistiche bogianen che illustrano il panorama.
La headline del Turin Eye recita: «Vieni a vedere la cosa più bella di Torino». Al riguardo si accettano pareri e commenti! E pensare che, durante l’assedio di Torino del 1706, Vittorio Amedeo II di Savoia, la Volpe Savoiarda, con il cugino Eugenio di Savoia, dovette salire sulla collina di Superga per individuare la tattica da mettere in atto contro le truppe franco-spagnole. La battaglia fu vinta ma quanta fatica in meno se ci fosse stato il Turin Eye! Una volta ritornati coi piedi per terra
vale la pena visitare il Cortile del Maglio; poco più in là, particolari botteghe e la sede di I love Torèt, una associazione che si occupa della conservazione delle famose fontanelle di ghisa verdi con la testa di toro sgorgante acqua, attendono visitatori.
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PERCORSO MAGICO/NOIR NELLA TORINO NERA
L’ideale sarebbe addentrarsi in questo percorso in una di quelle giornate, sempre più rare a Torino, in cui una umida, grigia e persistente nebbiolina rende l’atmosfera più misteriosa e cupa.
Dando credito ad antiche tradizioni esoteriche, Torino viene collocata in uno dei vertici di un triangolo magico
di magia nera composto anche da Londra e San Francisco. A bilanciare, dormano sonni tranquilli turisti e torinesi, esiste anche un sano triangolo benefico di magia bianca che coinvolgerà il lettore in un’altra passeggiata. Si parte da un largo ben noto ai torinesi e che i turisti possono raggiungere comodamente, perché posto alle porte della zona centrale, il cui nome evocativo, Rondò della Forca (Rondò ’dla furca), riporta a giorni infausti. Nulla oggi in questo luogo, se non gli infernali incroci
tra via Cigna, corso Regina Margherita, corso Valdocco e corso Principe Eugenio, riporta a quella che fu la funzione un tempo riservata alla tetra location, ma un indizio emerge dal traffico e dalle fronde, all’angolo tra corso Valdocco e corso Regina Margherita: la statua di san Giuseppe Cafasso, uno dei santi sociali torinesi ritratto mentre conforta un condannato a morte porgendogli un crocifisso e ponendogli un braccio intorno al busto. La statua, collocata proprio nel punto in cui avvenivano le esecuzioni, fu realizzata da Virgilio Audagna ed eretta nel 1960, nel centenario della morte del santo, patrono dei carcerati e dei condannati a morte (ne assistì, pare, cinquantasette).
Nell’Ottocento le esecuzioni venivano pianificate secondo un rituale che seguiva sempre lo stesso iter: la lettura della sentenza al condannato e l’affido all’Arciconfraternita della Misericordia che lo scortava al confortatorio
, una cappella situata nell’edificio del carcere; il condannato, con le mani slegate ma con una catena al piede, consumava, spesso servito proprio da Cafasso, l’ultimo pasto; il boia, che vestiva un mantello rosso, faceva ingresso chiedendo perdono poiché ciò che si apprestava a compiere era il proprio dovere nei confronti della giustizia; in seguito tutti e tre si inginocchiavano presso l’altare e al collo del malcapitato si infilava la corda, già benedetta, e gli venivano legate le mani; infine, salutati dal cortile gli altri detenuti, il protagonista della macabra scena saliva sul carro verso il patibolo.
In una mappa di Torino del 1865 il largo, che appare come Circolo di Valdocco, era descritto come un luogo ampio, atto a ospitare molti spettatori e curiosi (pare che il popolo a fine esecuzione si avvicinasse alla forca per trarne auspici da utilizzare per le scommesse e il gioco), e avvolto da alta vegetazione che rendeva più tetro e poco luminoso lo scenario. Nei paraggi si trovavano prati, fosse, pozzi e rare costruzioni.
La forca veniva installata di volta in volta. Il patibolo era formato da due pali piantati nella terra e zavorrati con due macine di mulino, sui pali si fissava un terzo palo in orizzontale. Due scale si assicuravano a questo terzo palo: una per il condannato e una per il boia. Il giustiziato, oltre alla paura della morte, aveva anche il terrore che la fine non fosse tanto rapida da non infliggergli maggiore sofferenza. Tuttavia poteva accadere che il boia dovesse salire sulla schiena del malcapitato per imporre maggiore trazione e aumentarne il peso e, alla base della forca, altre triste figure
, definite in dialetto i tirapè (il termine traslato in italiano, tirapiedi, definisce bene il significato di altri più moderni ma sempre squallidi ruoli), letteralmente tiravano il condannato. Il corpo compiva poi l’ultimo viaggio verso il cimitero di San Pietro in Vincoli, luogo in cui i giustiziati trovavano sepoltura.
Naturalmente i torinesi non amavano la figura del boia. Una nota imprecazione ancora utilizzata, seppur raramente, lo definisce Bòja fàuss! Il popolo torinese non accettava di buon grado che il boia prendesse denaro per le esecuzioni capitali e da qui nacque l’appellativo fàuss (falso).
Esclamare bòja fàuss è come dire porca miseria
o qualche altra affermazione con analogo significato. Non è da considerarsi un’asserzione volgare, ma un modo molto piemontese, anche se datato, per esprimere una emozione o una reazione in seguito a un episodio un po’ particolare. Un altro modo di dire è legato all’attrezzo principale di lavoro per il boia, la forca. Andare an sla forca significa doversi recare in un luogo lontano. Due espressioni che hanno origine dalla storia popolare del Piemonte.
Chi fu l’ultimo boja fàuss di Torino? Dal Rondò ’dla forca ci si sposta verso un’altra meta noir prediletta dalle visite guidate cittadine: via Bonelli 2, nel quadrilatero romano. Si risale corso Valdocco e si gira a sinistra