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Il giro di Bologna in 501 luoghi
Il giro di Bologna in 501 luoghi
Il giro di Bologna in 501 luoghi
E-book593 pagine5 ore

Il giro di Bologna in 501 luoghi

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Info su questo ebook

La città come non l'avete mai vista

Una guida straordinaria che vi condurrà fra le strade e i vicoli di una Bologna davvero inedita.

I luoghi raccontano storie. A Bologna ogni vicolo, ogni palazzo, ogni pietra, ogni angolo di strada o di piazza ne conserva una. O centomila, stratificatesi nei secoli e nei millenni. Ne abbiamo scelte 501, tra le meno note, le più curiose e le celebri, ma narrate da un nuovo punto di vista. Tra le torri e sotto i portici rivivono la città villanoviana e quella romana, la vivace Bologna del Medioevo e quella fastosa del Rinascimento. Luoghi che fanno emergere le contraddizioni di una città anticonformista e godereccia, eppur devota ai propri simboli religiosi, anarchica ma solidale. Quella degli accademici e dei dottori e quella degli universitari e dei goliardi. La città ferita dalle guerre e dal terrorismo e quella che sa sempre come risorgere. Dentro e fuoriporta, nell’hinterland che scende verso la Bassa e sale verso l’Appennino, nei sotterranei scavati dai torrenti e sui colli che cingono l’abitato, si viaggia come se si seguisse il taccuino degli appunti di un cronista fuori dal tempo che, un tassello alla volta, ricompone quel luogo dell’anima che è Bologna.

Dalla chiesa della vita al portico della morte
Anche Bologna ha i suoi passages
Giocare al telefono sotto il voltone del podestà
Nell’hangar in cui è stato ricostruito l’aereo di Ustica
Via Paolo Fabbri 43 e altri luoghi della Bologna cantata
Il tour dei colli in vespa
In gita con Pupi Avati
Serena Bersani
bolognese, giornalista professionista, lavora da oltre vent’anni nella carta stampata ed è presidente dell’Associazione Stampa dell’Emilia Romagna. Esperta di linguistica, ha pubblicato i libri Professione giornalista e, con Giuseppe Pittàno, L’italiano. Le tecniche del parlare e dello scrivere. Si occupa inoltre di cronaca nera e storia locale. Per la Newton Compton ha pubblicato 101 donne che hanno fatto grande Bologna, Bologna giallo e nera e Il giro di Bologna in 501 luoghi.
LinguaItaliano
Data di uscita10 dic 2014
ISBN9788854170728
Il giro di Bologna in 501 luoghi

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    Anteprima del libro

    Il giro di Bologna in 501 luoghi - Serena Bersani

    217

    Della stessa autrice

    Bologna giallo e nera

    101 donne che hanno fatto grande Bologna

    Illustrazioni di Serena Ficca

    Prima edizione: dicembre 2014

    © 2014 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-7072-8

    www.newtoncompton.com

    Serena Bersani

    Il giro di Bologna

    in 501 luoghi

    La città come non

    l’avete mai vista

    logonc

    Newton Compton editori

    RINGRAZIAMENTI

    Ringrazio tutti coloro che hanno subìto la mia assenza (e, talora, la mia presenza) durante la stesura di questo libro.

    Ringrazio i miei genitori per avermi fatto conoscere e amare questa città.

    Un grazie particolare va a Gianmichele Lisai e ad Andrea Monari per la preziosa collaborazione.

    A Willy

    che è in tutti i luoghi

    di questo libro

    L’amo per gli amori e i dolori dei quali essa,

    la nobile città, mi serba i ricordi.

    GIOSUE CARDUCCI

    Bologna è una metropoli di provincia.

    ROBERTO FREAK ANTONI

    Introduzione

    I luoghi raccontano storie. E a Bologna ogni vicolo, ogni palazzo, ogni pietra, ogni angolo di strada o di piazza ne conserva una. O centomila, stratificatesi nei secoli e nei millenni.

    Ma i luoghi rappresentano anche emozioni: quelle vissute nel passato, che ogni volta ritornano, e quelle che viviamo nel presente che saranno un patrimonio di ricordi domani.

    L’urbanistica e l’architettura sono linguaggi, che narrano abitudini, gusti, scelte politiche, ideali. Il fatto che Bologna sia una città di torri non è un elemento indifferente, come non lo è il fatto che qui ha sede l’università più antica d’Europa, con i suoi oltre nove secoli di storia. Questo libro può essere considerato una guida da chi non conosce Bologna, ma nasce soprattutto per i bolognesi perché troppo spesso nel vivere quotidiano si diventa ciechi rispetto all’ambiente che ci circonda. Vuole essere uno stimolo per vedere con occhi nuovi il luogo in cui viviamo come quando, inaspettatamente, magari in una giornata estiva in cui la città è vuota, uno scorcio, una piazza, un monumento ci si svela come se li vedessimo per la prima volta. È lo stupore dell’inedito in ciò che già conosciamo. Quindi, questo libro vuole essere soprattutto un invito ad andare a rivedere luoghi noti da un punto di vista diverso: il nostro.

    Il giro è centrifugo: parte dal centro della città e prosegue verso la periferia e poi verso il circondario, sempre più vasto e allargato «tra la via Emilia e il West». Ma è anche un giro centripeto, perché tutto si tiene e tutto ritorna sempre. Alla fine, ognuno è un frammento che compone Bologna e Bologna è in tutti gli infiniti frammenti che la compongono.

    Ne sono stati scelti 501, i meno noti e i più curiosi, oppure notissimi ma raccontati in una chiave nuova. Vagabondando tra le torri e sotto i portici rivivono la città villanoviana e quella romana, la vivace Bologna del Medioevo e quella fastosa del Rinascimento, storie che raccontano le contraddizioni di una città anticonformista e godereccia eppur devota ai propri simboli religiosi, anarchica e solidale, quella degli accademici e dei dottori e quella degli universitari e dei goliardi, la città ferita dalle guerre e dal terrorismo e quella che sa sempre come risorgere. Dentro e fuori porta, nell’hinterland che scende verso la Bassa e sale verso l’Appennino, nei sotterranei scavati dai torrenti e sui colli che cingono l’abitato, si viaggia come se si seguisse il taccuino degli appunti di un cronista fuori dal tempo che, un tassello alla volta, ricompone quel luogo dell’anima che è Bologna.

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    I.

    DENTRO PORTA

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    1. Il cuore di Bologna...

    Da dove si può far cominciare un giro di Bologna e provincia attraverso 501 luoghi? Non è una scelta facile perché occorre stabilire dove sia il cuore della città. Si potrebbe pensare alla piazza del Nettuno: sotto la fontana del Giambologna, tutti i bolognesi – di nascita o di adozione – hanno sostato almeno una volta nella vita, perché questo è il punto di ritrovo per eccellenza, il luogo in cui si è soliti fissare gli appuntamenti. Oppure si potrebbe partire dall’adiacente piazza Maggiore, punto di sosta più che di passaggio, carico di valori sociali e umani: basta ricordarla gremita in occasione di grandi manifestazioni politiche e religiose, di protesta e di solidarietà, per un lutto o per una festa. Momenti in cui la piazza non è più lo spazio in cui si accalcano centinaia di soggetti distinti, ma diventa un’entità unica. Tra il Crescentone (il rialzo centrale, che sembra avere anche un po’ le funzioni di un palcoscenico) e i gradini della basilica di San Petronio, si è intrecciata e s’intreccia la vita di chi ha abitato e abita la città. Ma il cuore di Bologna potrebbe essere identificato anche in piazza Ravegnana, che più che una piazza appare un incrocio di vie disegnate ai tempi di Cesare Augusto, e si trova proprio sotto le Due Torri, ed è un altro dei luoghi simbolo nella topografia degli appuntamenti cittadini. Uno scrupolo filologico potrebbe far identificare il punto da cui partire nel cosiddetto ombelico di Bologna, l’attuale vicolo degli Ariosti, una stradina senza uscita che collegava via Indipendenza a via di Porta Castello, considerato per tradizione il punto centrale della città. Un tempo era contrassegnato da una colonna scanalata infissa nel terreno, da cui il nome di via Pietrafitta, ma oggi è solo un tratto cieco tra due megastore dei colossi del prêt-à-porter a buon mercato.

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    2. ...è qui

    E allora pare più sensato collocare il cuore di Bologna in quello che è un non-luogo per definizione: la stazione centrale, in cui si incrociano tutte le linee ferroviarie d’Italia. Qui, il 2 agosto 1980, si incrociarono anche i destini di centinaia di persone, bolognesi e non, residenti e gente in transito, magari per la prima volta, in qualche caso per sbaglio. Tra tutti loro, ottantacinque morirono straziati da un’esplosione, oltre duecento rimasero feriti e segnati per tutta la vita, altre centinaia furono spettatori attoniti e soccorritori inesausti delle vittime della più grave strage avvenuta in Italia in tempo di pace. In seguito a quell’attentato di matrice neofascista si disse che si era voluto «colpire al cuore di Bologna». Ma il cuore di Bologna lo si vide proprio in quell’occasione attraverso la reazione dei suoi cittadini. Non è retorico, allora, pensare di partire per un tour di Bologna proprio da qui, quello che per tanti è un punto d’arrivo. La città racconta molto di sé in piazza Medaglie d’Oro, sotto l’orologio scampato alla bomba, che segnerà per sempre le 10:25.

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    1. La Fontana del Nettuno nell’omonima piazza.

    3. Via Galliera

    È una delle strade più antiche e più signorili di Bologna, relegata un po’ in secondo piano dopo la costruzione della parallela via Indipendenza. Una volta, invece, era la strada del passeggio e del traffico in uscita e in entrata dal centro, attraverso porta Galliera e in direzione dell’omonima località della Bassa, dove esisteva un castello. Oggi è il contraltare tranquillo della strada parallela, divenuto il vero e proprio corso cittadino. Quasi priva di negozi e di vetrine luccicanti, via Galliera resta uno degli esempi più belli di strada disegnata da due liste quasi ininterrotte di portici e palazzi senatori, molti di grande prestigio e frequentati dal bel mondo: a palazzo Tanari pernottò la regina Cristina di Svezia durante un suo viaggio in Italia nel 1656; a palazzo Savioli soggiornò lord Byron; a palazzo Felicini venne ospitato Leonardo Da Vinci che, nel 1515, faceva parte del seguito del re di Francia Francesco I, venuto a Bologna per incontrare papa Leone X e che qui – secondo quanto si racconta – dipinse la Gioconda, prendendo come modella Filiberta di Savoia, anch’essa in viaggio al seguito del sovrano.

    4. Lungo il cardo maximus:

    via Indipendenza

    L’odierna via Indipendenza, tracciata tra il 1885 e il 1890 lungo il cardo maximus romano per collegare il centro alla stazione ferroviaria, è una delle strade dello struscio cittadino, specialmente nel tratto che dal teatro Arena del Sole va verso l’incrocio tra via Rizzoli e via Ugo Bassi. È una di quelle strade in cui tutto convive: gli edifici medievali e rinascimentali con quelli finto antichi costruiti nell’Ottocento, le vetrine di lusso con le bancarelle, il mondo degli affari e quello frivolo dello shopping. La basilica di San Pietro, che è anche la metropolitana, riempie la zona di fedeli, soprattutto in occasione della discesa in città della Madonna di San Luca o a Natale, quando le strade attigue si trasformano in un mercatino multietnico. Insomma, via Indipendenza è un pot-pourri di passato e presente, ben rappresentato dalla palazzina Majani, la deliziosa costruzione liberty che si trova quasi di fronte a San Pietro: opera del 1908 di Augusto Sezanne per i cioccolatieri Majani, ospitava un tempo una sala da tè e un locale da ballo con l’orchestra che suonava sulla terrazza in stile floreale. Oggi l’edificio è sede di un megastore di abbigliamento.

    5. Quel che resta del castello

    di Galliera

    Accanto alla scalinata del Pincio, all’inizio di via Indipendenza, si possono scorgere i ruderi dell’antica rocca di Galliera, che nel Medioevo ebbe vita difficile fino a perire definitivamente nel 1511. Il castello fu voluto e costruito dal papato, che lo eresse per ben cinque volte al fine di sottolineare la supremazia territoriale dello Stato pontificio. Ma per altrettante volte, fin dal primo tentativo condotto dal cardinale Bertrando del Poggetto, quando il papa Giovanni XXII dall’esilio di Avignone meditava di riportare la sede papale in Italia, i bolognesi lo distrussero ribellandosi al dominio diretto della Chiesa. A fine Ottocento, durante lavori stradali, vennero ritrovate tra i ruderi settanta palle per bombarde in arenaria, del peso di oltre trenta chili ciascuna. Porta Galliera, la cui prima realizzazione risale al XIII secolo, ha invece cambiato aspetto nei secoli e, mentre la parte che dà verso il viale mostra una severa facciata, quella che dà verso via Indipendenza ha un ricercato aspetto barocco.

    6. Al Pincio con la moglie

    del Gigante

    Arrivando sotto la scalinata del Pincio in via Indipendenza non si può non notarla per la sensualità che emana. I bolognesi la chiamano volgarmente la moglie del Gigante, proprio per la potenza fisica e la seduzione che accomuna la scultura di questa creatura marina a quella di re Nettuno in piazza Re Enzo. La fontana, che raffigura una ninfa in abiti succinti tra i tentacoli di una piovra, fu scolpita da Diego Sarti e Pietro Veronesi quando venne realizzato il Pincio di Bologna, nel 1896, progettato da Tito Azzolini e Attilio Muggia su modello di quello romano. Dalle due scale laterali, molto scenografiche e arricchite da candelabri in metallo che reggono lampioni, si accede a una terrazza panoramica dove si possono vedere bassorilievi che mettono in mostra il carattere libertario dei bolognesi: la cattura di Re Enzo, la distruzione dell’adiacente rocca di Galliera e la battaglia dell’8 agosto 1848 per cacciare gli austriaci.

    7. I giorni della T

    La T, è noto a tutti i bolognesi, rappresenta l’incrocio delle strade nel cuore del centro storico: via Indipendenza e, perpendicolari a essa, via Rizzoli e via Ugo Bassi. I T Days, invece, sono un luogo a tempo determinato, cioè sono le stesse strade nel fine settimana e nei giorni festivi, quando risultano completamente interdette al traffico. La T nei T Days cambia completamente aspetto: la gente diserta i portici e cammina in mezzo alle strade, che si riempiono di tavolini di bar, gazebo, suonatori, artisti e iniziative varie, dalle aste di biciclette agli eventi sportivi. Nei giorni ordinari, la T, anche se resta zona a traffico limitato, è ingolfata dai mezzi pubblici. In quelli feriali, del resto, è frequentata solo da gente che lavora, essendo la zona per lo più destinata a uffici, studi professionali, banche e negozi. Nei T Days quelle vie tornano in possesso dei bolognesi, assumendo un aspetto forse più provinciale ma certo meno frenetico.

    8. Il mercatino di San Giuseppe

    Poco oltre la metà di via Galliera, procedendo verso la porta, sul retro dell’Arena del Sole, la strada si apre in una piazzetta alberata e con panchine dove si affaccia l’ex chiesa sconsacrata di San Giuseppe, risalente al 1129 e in cui venne sepolto nel 1619 uno dei più illustri pittori bolognesi, Ludovico Carracci. Annesso alla chiesa era un convento, che dapprima ospitò i benedettini, poi i serviti e, dal XVI secolo, le monache domenicane. Queste ultime vollero intitolare la chiesa, oltre che a san Giuseppe, a santa Maria Maddalena. Dopo la soppressione avvenuta in epoca napoleonica, il convento entrò nel complesso che diventerà poi il principale teatro cittadino, mentre la chiesa cadde in rovina. Oggi piazzetta San Giuseppe ospita, di solito il venerdì e il sabato e nei giorni in cui si svolge il vicino mercato della Piazzola, un mercatino di oggetti d’artigianato di ogni tipo e di prodotti di artisti che creano al momento pezzi unici su richiesta dei passanti. Dai bijoux ai cappelli, dalle borse ai soprammobili è, ovviamente, tutto fatto a mano.

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    9. L’Arena del Sole

    Nacque nel 1810 come teatro all’aperto e, quindi, correttamente recita la scritta sul frontone: «Luogo dato agli spettacoli diurni». Venne costruito con l’affaccio su via Indipendenza, davanti al monumento equestre di Garibaldi, inglobando gran parte dell’ex convento delle monache domenicane di Santa Maria Maddalena, soppresso per decreto napoleonico. Il teatro, ideato da Pietro Bonini, divenne subito il più popolare di Bologna, anche grazie alla posizione strategica vicina al centro e al grande mercato cittadino della Piazzola. Vi si esibirono tutti i più grandi attori, dalla Duse a Petrolini. Nel 1935 l’interno venne modificato per essere adattato al nuovo media, il cinema, e poter quindi proiettare anche film. Dopo successivi restauri e ammodernamenti, acquistato dal Comune nel 1984, l’Arena del Sole resta il principale teatro cittadino con una ricca stagione di spettacoli. Per un periodo, durante i lavori di ristrutturazione avvenuti a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, gli spazi dell’ex convento furono occupati da un gruppo di squatter e divennero un centro sociale, L’Isola nel Kantiere, laboratorio musicale e di tendenze dei primi gruppi hip hop italiani.

    10. Palazzo Montanari

    Nel secolo scorso questo superbo palazzo al numero 8 di via Galliera era uno dei più frequentati dagli studenti e dal mondo della cultura cittadina in quanto sede della Biblioteca Comunale, poi trasferita nell’ex Sala Borsa, della Cineteca oggi ospitata nel polo delle arti all’ex Manifattura Tabacchi, e del Circolo della Stampa che non esiste più. Ora è sede di eventi. Voluto dal cardinale Pompeo Aldrovandi, venne costruito nel 1725 su disegno di Francesco Maria Angiolini con il considerevole apporto di Alfonso Torreggiani per la facciata e per lo scalone. Le sale del piano nobile sono affrescate da Vittorio Bigari e Stefano Orlandi. In pieno spirito giacobino, qui venne piantato il primo albero della libertà nel 1796. E qui ebbe poi sede la lavorazione di ceramiche Aldrovandi, assai nota nell’Ottocento. Divenne palazzo Aldrovandi-Montanari solo nel 1860 quando la proprietà passò a quest’ultima famiglia.

    11. Strumenti antichi nell’ex chiesa di San Colombano

    Il complesso di San Colombano è un antico centro monastico proprio nel cuore della città, in via Parigi, che oggi – acquisito dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna che l’ha accuratamente restaurato – ospita la Collezione di strumenti antichi del maestro Luigi Ferdinando Tagliavini e viene utilizzato per concerti di musica barocca. Il nucleo più antico risale al VII secolo, fondato dal vescovo Pietro I, seguace del monaco irlandese, e fu poi associato alla chiesa della Madonna dell’Orazione eretta nel XVI secolo. Il monastero, passato in seguito alle monache benedettine, quindi alle carmelitane e alle clarisse, era stato soppresso nel 1304 dal vescovo dopo un increscioso fatto di cronaca: a causa di una spaccatura interna le monache avevano eletto in contemporanea due badesse e il dissidio si era talmente inasprito che erano persino giunte alle mani. L’oratorio al piano superiore è una vera galleria di talenti secenteschi, che si cimentarono sul tema della Passione e morte di Gesù Cristo: Francesco Albani, Guido Reni, il Domenichino e altri allievi dei Carracci. Unica è anche la Collezione Tagliavini, che comprende strumenti rari datati dal XVI al XVIII secolo: clavicembali, spinette, ocarine, clavicordi e arpicordi, tutti pezzi unici.

    12. Happy hours a palazzo Gnudi

    La facciata austera del bel palazzo Gnudi di via Riva di Reno 77 nasconde uno spirito molto contemporaneo: da residenza di un banchiere e tesoriere pontificio nel XVIII secolo, Antonio Gnudi, è oggi un luogo dove si organizzano eventi pubblici e privati, cene, manifestazioni di vario genere, happy hours in lungo che proseguono fino a notte inoltrata. È una delle tendenze del nuovo millennio in città: riappropriarsi di contenitori storici e di grande valore artistico e utilizzarli come location di grande impatto. Il palazzo, costruito su progetto di Francesco Tadolini nel 1796, possiede una suggestiva sala degli specchi e un salone affrescato con allegorie mitologiche attribuite ai Gandolfi, oltre a uno scalone, un loggiato, due cortili e altre sale di servizio alle principali.

    13. La casa di papa Gregorio XIII

    Ugo Boncompagni, illustre concittadino e giurista divenuto papa a settant’anni con il nome di Gregorio XIII – dopo una vita vissuta laicamente (e un figlio illegittimo) ed essersi dato alla carriera ecclesiastica solo a cinquantasei anni – nacque nel palazzo di via del Monte 8, sulla cui facciata ancora campeggia lo stemma di famiglia. L’edificio dalle leggere colonne in arenaria che sorreggono il portale, costruito fra il 1536 e il 1543, è attribuito al Vignola. Dalla famiglia Boncompagni, in origine semplici commercianti di tessuti, ebbe dunque origine uno dei capi della Chiesa cattolica più ricordati della storia: non solo sotto il suo pontificato vennero ritrovate le catacombe dei primi cristiani, che gli permisero di confutare i dubbi sul primato di Roma dei protestanti, ma si rimise a punto il calendario rispetto a quello fissato da Giulio Cesare oltre quindici secoli prima: una bolla papale emanata nel 1582 stabilì che quell’anno il mese di ottobre dovesse avere dieci giorni in meno, in modo da recuperare l’eccedenza di undici minuti l’anno accumulatasi nei secoli.

    14. Casa Azzoguidi, la prima tipografia bolognese

    Baldassarre Azzoguidi fu uno dei primi editori italiani e la sua tipografia, aperta nel 1470 in alcuni locali della sua vasta dimora al numero 2 di via San Nicolò, è certamente la prima impresa avviata a Bologna per produrre libri a stampa. L’Azzoguidi, proveniente da una famiglia di notai e banchieri, mise a disposizione il capitale necessario per l’avvio e con due soci, Francesco Dal Pozzo e Annibale Malpigli, pose fine all’epoca dei copisti sotto le Due Torri. Il primo libro pubblicato fu l’Opera di Ovidio, raccolta dell’intera produzione del poeta latino, di cui restano solo due esemplari a Firenze e a Roma. Durante la decina d’anni in cui l’Azzoguidi esercitò il lavoro di editore, poco più che una parentesi nella sua lunga vita, fece stampare il celebre breviario di Santa Caterina de Vigri, Le sette armi spirituali, e gli Statuti di Bologna. Nel 1480 cessò l’attività, forse per la troppa concorrenza di altri tipografi sopravvenuti e per quella che può essere considerata la prima crisi del mercato editoriale.

    15. Le scritte di palazzo Bocchi

    L’umanista bolognese Achille Bocchi, vissuto nella prima metà del Cinquecento, fu uno spirito bizzarro e uomo di amplissima cultura, professore di retorica, poesia e lettere greche. Nel suo palazzo, al numero 16 dell’attuale via Goito, nacque ed ebbe sede l’Accademia Hermatena da lui fondata, che metteva insieme l’acume e l’abilità nella parola di Hermes e le qualità declinate al femminile di Atena. Attorno a lui, in questa sede, si raccolsero i principali letterati dell’epoca e lì accanto impiantò pure una stamperia per dare sfogo alle proprie smanie editoriali. Anche l’edificio si distingue dagli altri del centro cittadino, per l’uso massiccio del bugnato in arenaria e per le scritte che corrono lungo tutto il basamento. Costruito nel 1546 su disegno di Jacopo Barozzi da Vignola e con interni affrescati da Prospero Fontana, è l’unico palazzo in Europa a riportare una scritta in ebraico. Si tratta di un versetto del Salterio che dice: «Signore, liberami dalle labbra menzognere e dalla lingua ingannatrice». L’altra scritta è tratta dalla I Epistola di Orazio e recita: «Sarai re, dicono, se agirai rettamente».

    16. Via Centotrecento, strada

    di giovani artisti

    Non è certo l’unica strada di Bologna ad avere un nome che suona bizzarro e di cui non si comprende l’origine. L’ipotesi più probabile è che sia da ricondurre a via «dalle cento trasende», come venivano chiamate nel XIII secolo le aperture nei muri, porte o finestre che fossero. Quindi: via «dai cento portoni e dalle cento finestre». La spiegazione si attaglia anche alla struttura popolare della strada che congiunge via Belle Arti con via Irnerio, in piena zona universitaria: case semplici, con bassi portici e tante aperture nei muri e nei sottoportici. La vocazione a raccogliere artisti è dovuta non solo alla vicinanza con l’Accademia di Belle Arti e la Pinacoteca, ma anche alla presenza del Collegio Venturoli, dal nome dell’architetto che l’acquisì e che nel 1826 lo destinò con un lascito a giovani studenti con attitudini artistiche. In precedenza il palazzo era stato, a partire dal 1557, sede del Collegio Ungarico Illirico. L’imperatore Giuseppe II lo soppresse alla fine del Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento fu prima sede delle Carmelitane scalze, poi uno dei tanti istituti correzionali per minorenni aperti in città per accogliere i discoli.

    17. Il portico più alto

    Qual è il più alto portico di Bologna? A molti verrà da rispondere che è quello in legno delle tre frecce di Strada Maggiore, oppure quello del Meloncello che conduce a San Luca. In realtà il portico più alto è quello dell’edificio che ospita la casa editrice Zanichelli, in via Irnerio. Costruito proprio per l’editore, operante a Bologna già dal 1866, l’edificio è datato 1938 e questo basta a spiegarne lo stile. Si tratta, infatti, di un tipico esempio di architettura fascista monumentale, con pesanti colonne in marmo, progettato dall’architetto Luigi Veronesi nel 1935. Nei progetti era previsto un gemello di questo palazzo, che sarebbe dovuto sorgere all’angolo con via Mascarella, unito al primo per mezzo di un grande arco con galleria sottostante, ma lo scoppio della seconda guerra mondiale vanificò quest’intento. All’ingresso della casa editrice troneggiava in origine un busto bronzeo del Carducci, che venne donato a Giovanni Spadolini quando era direttore del «Resto del Carlino» ed è rimasto nell’atrio della sede del giornale.

    18. La piazza di un Quarantotto

    A ricordare perché questa vasta piazza – oggi un po’ anonima e che copre un grande parcheggio – ai margini di via Indipendenza sia intitolata all’VIII Agosto 1848 c’è il monumento del Giardino della Montagnola, che la fronteggia dal lato su via Irnerio. La statua in bronzo, di Pasquale Rizzoli, rappresenta il Popolano in lotta sulle barricate per cacciare i nemici che assediano la città. Venne scolpita in ricordo delle vittime della battaglia dell’8 agosto 1848, quando i cittadini si ribellarono e sconfissero le truppe austriache che assediavano la città. La piazza è però di origini molto più antiche. Nel Medioevo si chiamò piazza del Mercato perché ospitava le compravendite di bestiame, mentre in epoca napoleonica era destinata alle esercitazioni militari e quindi era stata rinominata piazza d’Armi. Oggi, per metonimia, viene chiamata anche Piazzola, per via del mercato che vi si svolge il venerdì e il sabato.

    19. Lo storico mercato

    della Piazzola

    La Piazzola è uno dei più famosi non-luoghi cittadini. È tale perché di fatto non esiste un posto chiamato Piazzola, ma c’è un mercato che si chiama così forse perché, in origine, era di dimensioni molto più ridotte. Oggi invece la Piazzola si estende su piazza VIII Agosto, nello spazio antistante la Montagnola, sui viali d’ingresso e in parte del giardino, su di un tratto di via Irnerio e anche di via Indipendenza. Ciò avviene, però, solo il venerdì e il sabato, quando queste aree perdono la loro denominazione e si trasformano tutte in Piazzola. Il mercato è antichissimo, fin dal 1219 nell’ampia piazza si svolgeva il commercio all’aperto di bestiame. Qui, nei due giorni deputati, dall’alba al tramonto e con qualsiasi tempo, oggi si trova di tutto. Nella parte di mercato interna alla Montagnola ci sono numerosi banchi di vintage, dall’abbigliamento militare agli abiti da sera, dall’artigianato etnico alle stole di visone. La piazza è riservata invece al pronto moda, con qualche escursione di boutique visto che molti negozi propongono la loro merce anche al mercato. Un’intera fila di banchi è per le scarpe e non mancano accessori di tutti i tipi, ma anche casalinghi, piante e fiori. Oggi è diventato un mercato multietnico e la maggior parte dei venditori non sono bolognesi. Ma qui si fanno affari in tutte le lingue.

    20. La Montagnola

    Il Giardino della Montagnola è uno dei tanti lasciti napoleonici in città. All’inizio dell’Ottocento il condottiero lo volle infatti ridisegnato secondo il modello geometrico dei parchi francesi e ne affidò il rifacimento a Giovan Battista Martinetti. Ma un giardino sopraelevato (su di una montagnola, appunto) esisteva già da secoli, da quando nel 1662 si decise di destinare quella che nel Medioevo era sostanzialmente una discarica a parco cittadino e, in parte, a coltivazioni. La Montagnola è dunque il più antico giardino di Bologna e il più grande del centro storico con i suoi sei ettari di estensione. La vasca circolare con sculture di animali, collocata al centro, è opera di Diego Sarti, come la moglie del Gigante alla base del Pincio. Al parco si accede sia dalla scalinata di via Indipendenza, sia da via Irnerio all’altezza di piazza VIII Agosto. Da sempre è utilizzato come luogo in cui svolgere giochi e manifestazioni sportive: dalle settecentesche cacce al toro, tornei con cavalli e gioco della ruzzola, alle ottocentesche parate militari e voli in pallone, al novecentesco luna park, che vi sostava prima del trasferimento al Parco Nord, agli odierni Giorni dello Zecchino organizzati per i bambini dall’Antoniano.

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    20. La fontana ai piedi della scalinata del Pincio

    che porta in Montagnola.

    21. Un museo da brividi

    Non è esattamente il posto dove portare la fidanzata durante un’uscita romantica, andrebbe meglio come location di un film tipo Una notte al museo. Però il Museo delle cere anatomiche Luigi Cattaneo ha un suo fascino, anche per chi non è studente di medicina. Si trova in una bella palazzina liberty in via Irnerio 48 ed è il tempio degli studi di anatomia patologica soprattutto del periodo tra Settecento e Ottocento. Dal lavoro di celebri anatomisti e abili ceroplasti sono usciti modelli in cera riproducenti la più svariate patologie, con una particolare attenzione alle malformazioni infantili e fetali. Ma ci sono anche teschi e ossa naturali ed essiccati. Nella collezione Taruffi, che fu il primo professore di Anatomia patologica a Bologna, autore di una monumentale Storia della Teratologia, si possono vedere gemelli siamesi, spine bifide, ciclopi e altre incongruenze della natura. C’è anche una Stanza dell’Oncologia, un laboratorio multimediale in cui vengono divulgate le conoscenze fin qui raggiunte sui principali tumori.

    22. L’Orto Botanico, un’oasi di pace in mezzo al traffico

    Dove oggi c’è la Sala Borsa, in epoca rinascimentale c’era un cortile interno al palazzo comunale in cui trovò la sua prima collocazione l’Orto Botanico cittadino, il quarto più antico al mondo. A volerne l’istituzione fu, nel 1568, l’enciclopedico naturalista Ulisse Aldrovandi, che lo diresse fino alla morte nel 1605. Dopo un trasferimento in terreni fuori dal centro, nel 1803 venne portato in una vasta area a porta San Donato con accesso da via Irnerio, dove si trova tuttora. È un’oasi naturalistica di pace, pur trovandosi circondata da alcune delle arterie più trafficate della città. Oggi vi si possono ammirare la ricostruzione di ambienti naturali in cui le specie vegetali seguono ritmi analoghi a quelli che hanno in natura e poi alcune splendide collezioni come quella di piante succulente che conta oltre cinquemila esemplari – alcuni anche dalle forme esagerate – quella delle carnivore e quella di piante tropicali, come le splendide orchidee coltivate in apposite serre. Si mantiene anche la tradizione medievale dell’Hortus simplicium, ovvero l’Orto dei Semplici, in cui venivano coltivate le piante destinate a scopi curativi. All’entrata, in fondo al giardino anteriore, sorge la bella palazzina liberty in cui ha sede l’istituto di Botanica, costruita nel 1919 dal Collamarini.

    23. La Palazzina della Viola

    La Palazzina della Viola, in via Filippo Re, è un gioiello dell’architettura della fine del XV secolo, voluto da Giovanni II Bentivoglio per farne dono al figlio Annibale affinché ne godesse come riposo del guerriero. L’edificio, che sorge quasi a ridosso della terza cerchia di mura, a porta San Donato, non era molto distante dalla strepitosa reggia del signore di Bologna, un tempo nei pressi dell’attuale Teatro Comunale, ed era dedicata agli svaghi del primogenito dei Bentivoglio. Il nome della palazzina è dovuto proprio al fatto che si trovava in un contesto verde dove fiorivano le viole. Con la fine della signoria e l’avvento del potere papale sulla città, la palazzina divenne un collegio universitario destinato a studenti piemontesi per volere dell’allora cardinale legato Bonifacio Ferrerio da Ivrea. In epoca napoleonica diventò di proprietà di Antonio Aldini, poi nel 1803 fu acquistata dal governo che la destinò alla facoltà di Agraria e vi allestì intorno l’orto botanico.

    24. Via Mascarella 37, il ricordo

    degli anni di piombo

    Il muro sbrecciato, con i segni dei proiettili all’altezza del numero 37 di via Mascarella, ricorda

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