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Keep calm e passeggia per Bologna
Keep calm e passeggia per Bologna
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E-book233 pagine3 ore

Keep calm e passeggia per Bologna

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Crocevia fra Nord e Sud, Bologna non ha nulla da invidiare alle città d’arte più importanti del nostro Paese.

Chi la visita impara presto che di cose da scoprire ce ne sono veramente tante, sebbene non si offrano immediatamente e in modo sfacciato allo sguardo. Bisogna avere un po’ di pazienza e di curiosità, rallentare il passo e tenere gli occhi ben aperti: allora Bologna abbandonerà la sua ritrosia e mostrerà finalmente tutte le sue bellezze. Questa guida propone trenta percorsi da fare a piedi per conoscere la città con calma, girando in lungo e in largo uno dei centri storici più estesi e ben conservati d’Italia, facendo anche qualche incursione fuori dalla cerchia delle mura, per vedere quello che ci riserva la periferia o la bellissima campagna circostante, con le sue colline e i parchi.

Tra le passeggiate:

• sulle tracce di re e imperatori
• Bologna turrita: non solo Asinelli e Garisenda
• Bologna la dotta: la zona universitaria
• da Dante a Pasolini, una città intrisa di poesia
• riscoprire le osterie storiche
• tra storia e leggenda: alla scoperta dei sette segreti di Bologna
• Bologna dei graffiti. Un percorso nella street art
• Because the night: la città che non dorme
Maria Grazia Perugini
ternana di nascita e bolognese di lungo corso, lavora da anni nell’editoria. Già caporedattrice di una casa editrice cittadina, traduce dall’inglese e dal russo. Con la Newton Compton ha pubblicato È facile vincere lo stress a Bologna se sai dove andare e Keep calm e passeggia per Bologna.
LinguaItaliano
Data di uscita9 nov 2015
ISBN9788854187801
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    Keep calm e passeggia per Bologna - Maria Grazia Perugini

    PASSEGGIATE NELLA STORIA

    1. Sulle tracce di re e imperatori

    Piazza Maggiore: Palazzo Re Enzo, Palazzo d’Accursio, basilica di San Petronio; Palazzo Caprara; Villa Aldini; monastero di San Michele in Bosco

    Prendiamo le mosse dal vero e proprio cuore cittadino, piazza Maggiore, soffermandoci a osservare gli edifici che la circondano e la storia che raccontano. Prima di inoltrarsi altrove, qualsiasi visita della città deve necessariamente passare da qui, perché nel complesso degli edifici che si affacciano sulla piazza si sono svolti gli eventi più importanti della vita cittadina.

    Così come la vediamo oggi, piazza Maggiore è il risultato di numerosi cambiamenti verificatisi nel corso dei secoli. A partire dal Duecento, il Comune acquistò l’area corrispondente alla piazza (che tra l’altro è tecnicamente priva di nome dal punto di vista della toponomastica, perciò conosciuta semplicemente come maggiore), facendo abbattere numerosi edifici e probabilmente anche alcune torri per ricavare uno spazio comune, da adibire a mercato e destinare alla vita comunitaria. La piattaforma pedonale che si innalza al centro, nota a tutti come crescentone, fu creata nel 1934. Se una volta c’erano soprattutto capannelli di anziani che discutevano appassionatamente di politica, oggi che quel fervore si è spento un po’, anche qui come altrove, la piazza resta pur sempre luogo di incontro privilegiato.

    Siamo al centro della città medievale, e il palazzo più antico che vi venne eretto è quello del Podestà, costruito all’inizio del Duecento, poi ampiamente rimaneggiato in stile rinascimentale (per opera di Aristotile Fioravanti incaricato dai Bentivoglio, i quali non riuscirono a vedere l’opera terminata perché cacciati). La campana (il Campanazzo) della torre che lo sovrasta, la torre dell’Arengo, serviva a chiamare a raccolta la popolazione in occasione di eventi pubblici o calamità. Passando sotto il lungo portico, osservate le numerosissime rosette di arenaria, una diversa dall’altra, che adornano le colonne. In fondo al portico, sul lato verso piazza Nettuno, incrocerete un voltone singolare, il voltone del Podestà. A fianco del palazzo del Podestà venne eretto, poche decine di anni dopo, il Palazzo Re Enzo, così chiamato perché ospitò per ventitré lunghi anni la prigionia di re Enzo, appunto, figlio di Federico II di Svevia, catturato dai bolognesi durante la battaglia di Fossalta che nel 1249 li vide imporsi sulle truppe imperiali. Questo monarca malinconico e colto, di bell’aspetto e dedito alla poesia, soprannominato il Falconetto per la sua grazia e il suo coraggio, restò prigioniero nel palazzo alimentando storie e leggende fino alla morte, sopravvenuta nel 1272 e celebrata da esequie degne di un sovrano. Fu sempre trattato con ogni riguardo, ma non gli fu mai consentito di lasciare le sue stanze. Il padre Federico propose più volte di pagare generosi riscatti e minacciò ritorsioni che non sortirono alcun effetto: il fatto di avere un prigioniero tanto illustre era per i bolognesi motivo di orgoglio e non vi avrebbero rinunciato per alcun motivo. Si dice anzi che all’inizio la prigionia fu molto dura e che il re fosse fatto dormire rinchiuso in una gabbia sollevata fino al soffitto. Questa durezza con il tempo si attenuò e gli fu consentito anche di ricevere visite femminili. Secondo la leggenda, tentò di fuggire all’interno di una botte, ma fu riconosciuto a causa di una ciocca di capelli biondi che fuoriusciva e ricondotto nella sua prigione.

    L’aspetto attuale del palazzo, con le merlature gotiche e le caratteristiche trifore, si deve al discusso restauro di Rubbiani dell’inizio del Novecento, che demolì una parte della struttura per ricostruirla di sana pianta, sulla base di ipotesi non sempre attendibili.

    Di fronte a Palazzo Re Enzo, a chiudere la piazza sul lato occidentale, si trova il Palazzo Comunale o d’Accursio, dal nome del famoso giurista che Dante mette tra i sodomiti e che sembra abitasse sul terreno su cui in seguito fu costruito l’edificio. Ancora oggi sede del municipio, è un luogo intriso di storia cittadina, e lo scenografico scalone barocco che conduce ai piani superiori personalità in visita, semplici turisti e coppie che si avviano a sposarsi, così concepito per consentire una trionfale ascesa a cavallo, deve aver visto passare cortei solenni e fastosi. Si può decidere di salire ai piani, visitare le numerose sale affrescate e dedicarsi alle collezioni comunali d’arte esposte all’ultimo piano, oppure soffermarsi ancora un po’ all’esterno. La facciata fu risistemata dal Fioravanti che vi aggiunse anche la torre con l’orologio, mentre il portale cinquecentesco fu costruito da Galeazzo Alessi, sormontato dalla statua bronzea di papa Gregorio XIII.

    Non appariva dunque esattamente come oggi, questo bel palazzo, nel febbraio del 1530, quando una folla enorme si radunò nella piazza in occasione dell’incoronazione di Carlo V imperatore del Sacro Romano Impero da parte di papa Clemente VII. Si può immaginare con quali fasti fosse accolto in città uno dei personaggi più importanti del mondo, sovrano di un impero così vasto che si diceva non vi tramontasse mai il sole. I preparativi furono lunghi e febbrili, e per l’occasione vennero chiamati i più famosi artisti e architetti che abbellirono strade e piazze dotandole di scenografie, finte statue, fontane che gettavano vino. Si trattava di fatto di una seconda incoronazione, Carlo V era già stato ufficialmente nominato ad Aquisgrana nel 1520; l’evento di Bologna rivestiva più che altro un valore simbolico, come tentativo di riconciliare lo strappo tra il papato e l’impero a pochi anni di distanza dall’ignominioso sacco di Roma compiuto dalle truppe imperiali nel 1527.

    Per consentire a Carlo V di passare direttamente dal Palazzo Comunale in cui era ospitato alla chiesa di San Petronio dove sarebbe avvenuta l’investitura ufficiale, venne creata una piattaforma di legno che si racconta crollò poco dopo il passaggio del sovrano, causando la morte di alcuni soldati del suo seguito (narra la leggenda che vi trovò la morte anche un tale Miguel, famoso per la sua incredibile statura, poi sepolto al cimitero della Certosa).

    Ma come doveva apparire all’imperatore la chiesa principale della città? L’edificazione di questo grande tempio, voluto dai bolognesi per celebrare il proprio patrono, ebbe inizio nel 1390 sotto la guida di Antonio di Vincenzo e nelle intenzioni dei committenti avrebbe dovuto superare in grandezza San Pietro a Roma. Tali velleità furono però stroncate dal papato che intervenne furbamente, innalzando a tempo di record, tra il 1562 e il 1563, sul lato orientale della piazza il palazzo dell’Archiginnasio, per dare uno spazio unitario ai vari insegnamenti universitari e di fatto bloccare la costruzione della navata laterale della chiesa. Quello che dovette vedere Carlo V era certamente un tempio maestoso ma largamente incompiuto. Con il bel basamento in marmo policromo, Antonio di Vincenzo aveva iniziato il rivestimento della facciata, che però non fu mai conclusa, nonostante vi fossero poi aggiunti il bel portale maggiore di Jacopo della Quercia (1426-1438) e i due portali minori. Anche i lavori all’interno procedettero lentamente, le varie cappelle furono terminate a distanza di secoli l’una dall’altra e le volte gotiche della navata centrale furono costruite solo nel 1646-1658, in pieno Barocco.

    Carlo V non fu l’unico imperatore ad avere soggiornato a Bologna. La città conserva infatti le tracce della permanenza di un altro grande della storia: Napoleone Bonaparte. Giunto a Bologna da conquistatore il 20 giugno 1796, tornò poi una seconda volta in visita nel 1805. A ospitarlo non fu il Palazzo Comunale come per il suo illustre predecessore, ma un altro bellissimo palazzo patrizio, situato a poca distanza da piazza Maggiore: Palazzo Caprara (via IV Novembre, 24), oggi sede della prefettura, che a Napoleone piacque tanto da decidere di acquistarlo. Iniziato nel 1561 su progetto prima di Francesco Morandi, poi di Niccolò Donati, l’edificio si ampliò in corrispondenza dell’ascesa sociale della famiglia committente, che nel 1616 entrò a fare parte del Senato. Nel 1700 fu ampliato e completato, arricchendo le sale sontuose al suo interno di numerosi dipinti e opere d’arte.

    Di questa seconda visita di Napoleone, ormai imperatore, i bolognesi ricordano con orgoglio un episodio in particolare, per ricostruire il quale dobbiamo allontanarci un po’ dal centro e seguire il francese nella sua passeggiata a cavallo, in un pomeriggio di fine giugno che doveva essere fresco e limpido, su fino al colle dell’Osservanza. Se abbiamo tempo vale la pena inoltrarsi, seguendo un percorso quasi dritto per una trentina di minuti. Dalla pedonale via D’Azeglio con le sue eleganti boutique e i caffè all’aperto, proseguendo attraverso la cinta dei viali sull’ombreggiata via San Mamolo costeggiata di belle palazzine liberty immerse nel verde, andiamo su per via dell’Osservanza che si addentra ripida in collina. Siamo ancora in città, ma sembra un altro mondo. Pare che osservando il panorama da quassù, con tutto il centro storico che si offre alla vista, il verde dei colli e la pianura in lontananza, Napoleone abbia esclamato: «C’est superbe!», al che il suo ministro Antonio Aldini si precipitò ad acquistare il terreno e farvi edificare una villa, Villa Aldini appunto (via dell’Osservanza, 35/a), allo scopo di ospitarvi l’imperatore nelle visite successive. Napoleone non vi soggiornò mai, ma a Bologna è rimasto uno splendido edificio costruito da Giuseppe Nadi tra il 1811 e il 1816, che con il suo colonnato neoclassico domina la città come da un’acropoli. Il timpano, del 1812, decorato dal bassorilievo rappresentante gli dèi dell’Olimpo, con Giove al centro, è opera del migliore degli scultori bolognesi di allora, Giacomo de Maria. È in arenaria ricoperto di stucco bianco, per dare l’illusione, come accadeva spesso a quel tempo, del marmo bianco troppo costoso e introvabile. Sul retro della villa si trova un piccolo gioiello dell’arte romanica detto Rotonda della Madonna del Monte. È un piccolo edificio di forma circolare risalente al XII secolo, unico superstite di un ampio complesso conventuale benedettino che venne distrutto con la soppressione degli ordini monastici da parte del governo napoleonico. Gli affreschi coevi alla struttura furono ricoperti di carta da parati e la rotonda fu adibita a sala da musica o da pranzo della villa. Gli affreschi sono stati ripristinati e riportati all’antico splendore, ma attualmente purtroppo la struttura non è visitabile.

    Restiamo allora ancora un po’ qui fuori, nel prato a emiciclo davanti alla villa, a goderci la vista; poi ricordiamoci che se siamo stanchi possiamo approfittare del servizio pubblico e tornare in centro in soli dieci minuti con la navetta 52.

    Se invece abbiamo ancora energie da spendere, invece di tornare in centro possiamo scendere in fondo a via dell’Osservanza, e da via San Mamolo svoltare su via Codivilla, accedere al giardino Scoto (ex giardino di San Michele in Bosco) e, percorrendo ancora in mezzo al verde una strada serpeggiante per una decina di minuti, arrivare fino a San Michele in Bosco (piazzale di San Michele in Bosco) con il suo bellissimo e celebrato belvedere, sul colle opposto rispetto a quello in cui ci trovavamo prima. Si tratta di un luogo estremamente suggestivo, un ex complesso monastico trecentesco degli olivetani il cui nucleo originario risale al Duecento. La chiesa fu invece ricostruita nel Cinquecento, dotandola di campanile, dal ferrarese Biagio Dossetti, con reminiscenze romaniche e gotiche risalenti alle precedenti costruzioni. Parte del complesso comprende il dormitorio, il grandioso scalone che dal chiostro centrale porta al loggiato del piano superiore, la foresteria che ospita un famoso affresco di Ludovico Carracci, altre sale elegantemente affrescate e un chiostro ottagonale con affreschi di Ludovico Carracci, Guido Reni e altri. Il complesso è entrato a far parte del circuito museale Genus Bononiae, una rete di itinerari storico-artistici e museali che dal 2003 si sviluppa in tutta la città, ed è la sede degli Istituti ortopedici Rizzoli.

    Nel loggiato del chiostro centrale, una lapide testimonia la permanenza di Napoleone, che a detta dell’iscrizione latina prospectu icherrimo delectatus est, si ricreò del magnifico panorama. Forse sarete spossati, dopo tanto vagare ripercorrendo i passi di re e imperatori, ma certamente non potrete che essere d’accordo.

    2. Bologna turrita: non solo Asinelli e Garisenda

    Asinelli e Garisenda; torre degli Alberici; torre Carrari; torre Bertolotti; torre dei Toschi; torre dei Galluzzi; torre dei Catalani; torre Lapi; torre degli Agresti; torre degli Scappi; torre Azzoguidi; torre Prendiparte; Casa-torre Guidozagni

    Quando si pensa a Bologna, le prime cose che vengono in mente sono i tortellini e le torri. Ad alcuni potrebbe venire in mente anche una terza parola che inizia per T, ma quelli lasciamo che acquistino le cartoline vintage e un po’ goliardiche che ancora oggi si possono scovare nelle tabaccherie del centro, mentre noi ci apprestiamo, mettendo per un po’ da parte anche i tortellini e tutte le altre ghiottonerie cittadine, ad andare a scoprire le torri di Bologna.

    Il punto di partenza obbligato sono certamente le torri degli Asinelli e la Garisenda, edificate entrambe tra il 1109 e il 1119, che insieme rappresentano il vero e proprio simbolo della città, svettando su tutti gli altri edifici nel cuore del centro storico. Con i suoi 48 metri, la Garisenda è la più bassa (anche se in origine doveva arrivare ai 60 metri) e soprattutto è quella pendente, anche se la sua inclinazione sembra non essere aumentata nel corso dei secoli, dopo un primo cedimento di poco successivo alla costruzione.

    Solo la torre degli Asinelli si può visitare (ingresso 3 €) e farlo è un’esperienza imperdibile, sia per la salita in sé che per la vista magnifica dei tetti del centro, ma ricordatevi che non c’è ascensore: risalendo i 97 metri della sua altezza, i 498 gradini di legno si fanno più stretti e più ripidi mano a mano che ci si avvicina alla vetta e per qualcuno possono avere un effetto claustrofobico, seppure abbondantemente ripagato dal panorama che offre la vetta.

    Quando fu costruita, la torre degli Asinelli era alta probabilmente una sessantina di metri e fu ulteriormente innalzata solo in seguito, forse dopo che ne divenne proprietario il Comune, nel Trecento, utilizzandola anche come prigione. Il basamento è oggi circondato da una rocchetta aggiunta successivamente, verso la fine del Quattrocento, per ospitare i soldati di guardia. L’intera area doveva apparire ben diversa da come appare oggi, con le due torri isolate al centro di un incrocio: tutto intorno nel Medioevo ferveva l’attività del mercato (la zona si chiamava appunto Mercato di mezzo) e le torri erano circondate da piccole costruzioni e ballatoi di legno.

    Tra il XII e il XIII secolo, nel momento di massimo fulgore, di torri in città ce n’erano più di un centinaio, fatte edificare dalle famiglie gentilizie a dimostrazione della propria potenza e del proprio prestigio, oltre che per ragioni difensive e di guardia. Di quella selva di torri che doveva rendere inconfondibile lo skyline bolognese, molte furono mozzate o crollarono per cedimenti strutturali, altre furono demolite per risanare zone medievali del centro diventate invivibili. Le ultime demolizioni avvennero all’inizio del Novecento, secondo un piano ambizioso (e a giudicarlo oggi, forse sciagurato) di ristrutturazione urbanistica ispirato alla Parigi di Haussmann, teso a creare nel centro storico grandi aperture simili ai boulevard parigini. Con questo intervento venne abbattuto il Mercato di mezzo per fare spazio a via Rizzoli, e nel farlo si fece piazza pulita, dopo lunghe polemiche, anche delle torri Artemisi e Riccadonna che si trovavano nei pressi delle due torri. Venne abbattuto anche Palazzo Lambertini, e la sua torre fu inglobata nel Palazzo Re Enzo, così come la vicina torre Tantidenari.

    Delle torri storiche ne rimangono circa una ventina, sparse per il centro: alcune ben visibili, altre quasi assorbite dagli edifici che si sono sviluppati intorno.

    Partendo dalla piazza di Porta Ravegnana con l’Asinelli e la Garisenda, proviamo ad andarle a conoscere, dirigendoci per prima cosa verso piazza della Mercanzia con la sua bella loggia trecentesca. Appena imboccata via Santo Stefano, al numero 6, superata la suggestiva facciata gotica di Casa Seracchioli, non potremo non notare una maestosa porta lignea a ribalta, rinforzata da ferro e chiodi: è originale e si dice che servisse a chiudere la più antica bottega della città, fondata nel 1273. Se alziamo gli occhi, scopriremo che ci troviamo davanti a una delle torri che andavamo cercando, la torre degli Alberici, alta quasi 30 metri e probabilmente abbassata per ridurne il peso nello stesso momento in cui fu costruita l’altana alla sommità. Ben visibili sulla facciata i numerosi fori, che dovevano servire per appoggiare le impalcature durante la costruzione e anche per fissare in un momento successivo i ballatoi e le varie strutture di legno che fungevano da collegamento con gli altri edifici.

    Se torniamo un po’ indietro verso piazza della Mercanzia e attraversiamo la strada, prendendo via Clavature poi via Marchesana, al numero 4 di quest’ultima troveremo un’altra torre, esattamente la torre Carrari. Oggi è inserita in un complesso finto-medievale comunque suggestivo, costruito negli anni Venti del Novecento al posto delle viuzze anguste che occupavano l’area in passato, e probabilmente è sempre stata dell’altezza attuale. Con i suoi 22 metri, si può più facilmente considerare una casa-torre che una torre vera e propria, appartenuta alla famiglia Carrari che nel XII secolo

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