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Milano perduta e dimenticata
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E-book265 pagine4 ore

Milano perduta e dimenticata

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A spasso tra passato e presente
Alla scoperta della città tra segreti, misteri e luoghi spariti

Sono molti i luoghi che a Milano si sono persi per sempre, o quasi, o sono rimasti impressi solo nelle foto d’epoca o in qualche vecchia stampa. La Milano dei Navigli che tanto piaceva a Stendhal non c’è più, come pure la Milano Liberty dei sontuosi cortili e del Kursaal Diana. Quella delle vecchie osterie, delle bocciofile di periferia, delle balere e delle case operaie.
La Milano del Mac Mahon, resa indimenticabile da Giovanni Testori, o quella dell’Ortica cantata da Enzo Jannacci. La Milano dove c’era l’erba ai tempi del “ragazzo della via Gluck”, o quella del Cerutti Gino al bar del Giambellino immortalata da Giorgio Gaber. Ma lasciandosi guidare dalle storie e dalle leggende, soffermandosi davanti a uno scorcio inaspettato o a un tesoro artistico dimenticato, è ancora possibile ritrovare antiche suggestioni di un tempo perduto e compiere un viaggio nel tempo alla scoperta dell’anima più autentica e segreta della città.

Per riscoprire il fascino della vecchia Milano

Tesori e labirinti sotto il sagrato del Duomo
Il tunnel di Ludovico il Moro
I Navigli: tracce di un fascinoso passato
La Belle Époque dei Bagni Cobianchi
Dal Bagno di Diana al Kursaal
La farmacia ottocentesca di Carlo Erba
“Quelli della gomma”: gli operai della Pirelli
L’antica Fabbrica del Vapore
Motta, Alemagna e l’epopea del panettone
Le carceri della Malastalla
La Compagnia del Fil de Fer
Il “Covo” di Mussolini e la “Villa Triste”
La Centrale elettrica di via Santa Radegonda
...e tanti altri argomenti


Marina Moioli
Milanese doc, con una laurea in Lingua e Letteratura russa nel cassetto, ha cominciato a scrivere negli anni Ottanta sulle pagine milanesi del quotidiano «Il Giornale», fondato da Indro Montanelli. Giornalista di lungo corso, ha lavorato per importanti testate nazionali, specializzandosi in turismo, enogastronomia e costume.
LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2013
ISBN9788854159457
Milano perduta e dimenticata

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    Anteprima del libro

    Milano perduta e dimenticata - Marina Moioli

    es

    179

    Prima edizione ebook: ottobre 2013

    © 2013 Newton Compton editori s.r.l.

    Roma, Casella postale 6214

    ISBN 978-88-541-5945-7

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Corpotre, Roma

    Marina Moioli

    Milano perduta e dimenticata

    Tra segreti, misteri e luoghi spariti

    omino

    Newton Compton editori

    Presentazione

    Chi pensa che a Milano ci sia poco da vedere forse dovrebbe rileggersi Edith Wharton, la scrittrice americana allieva e amica di Henry James, nonché autrice del celebre L’età dell’innocenza, che nel 1905, visitando la città, scriveva: «Neppure a un’occhiata veloce e distratta Milano può sembrare poco interessante». Affermazione più che mai da sottoscrivere a oltre un secolo di distanza, nonostante siano molti i luoghi che a Milano si sono persi per sempre, rimasti impressi solo nelle vecchie foto o in qualche vecchia stampa d’epoca.

    Eppure, anche se qui il tempo sembra scorrere più veloce che altrove e nella città che ha fatto del dinamismo la sua cifra essenziale non c’è più il fascino della città d’acqua che tanto piaceva a Stendhal, sono tali e tante le facce da svelare e le storie da raccontare, che Milano non finisce mai di stupire. Per capirla, e magari riscoprirla, basta seguire itinerari inconsueti, da quelli delle vecchie osterie alla città dei cortili e dei giardini segreti, dalla Milano sotterranea alla Milano cinematografica, dalla città perduta delle case chiuse e della mala a quel che resta della Milano imprenditoriale della rivoluzione industriale. E come in un gioco intitolato Là dove c’era, ora c’è..., ritrovare antiche suggestioni di un tempo perduto.

    Perché a spasso tra passato e presente, nelle vie in cui ogni epoca ha lasciato le sue tracce, si può cogliere ancora l’anima più autentica e segreta di Milano. Una città che ha la bellezza dell’imperfezione, e che un po’ a sorpresa conserva la capacità speciale di far innamorare chi sa cogliere con curiosità le sue invisibili e dimenticate meraviglie.

    I.

    La Milano sotterranea

    Milano e le sue Memorie dal sottosuolo

    Ci vorrebbe la penna di un Dostoevskij meneghino per raccontare che nel sottosuolo di Milano continua a vivere, tra frammenti perduti e storie dimenticate, una città sconosciuta. Un mondo di cui si è persa la memoria e che periodicamente torna d’attualità: è il caso per esempio del tunnel sotto il monumento equestre di Vittorio Emanuele ii in piazza Duomo, chiuso nel 1894 e riscoperto grazie a recenti restauri, o di quello che collega Santa Maria delle Grazie al Castello, fatto costruire, a quanto pare, da Ludovico il Moro.

    A rievocare questa e altre storie ci aveva già pensato Dino Buzzati nel 1964, in una serie di articoli apparsi sul «Corriere della Sera» mentre fervevano i lavori per la prima linea, la Rossa, della mm, la Metropolitana Milanese. Il grande scrittore immaginò addirittura la scoperta nei sotterranei di Milano di una porta che avrebbe portato agli Inferi: «Qualcuno – supponeva Buzzati – l’aveva oltrepassata e purtroppo di lui si sono perse subito le tracce». Scherzi e fantasie a parte, più modestamente a noi tocca ricordare che a Milano si scava da sempre, sin dall’epoca romana. Nei primi tempi del cristianesimo per realizzare le catacombe, nel Medioevo per approntare vie di fuga dai nemici, oggi per costruire box sotterranei e nuove linee della metropolitana. In ogni caso anche a Milano, Dostoevskij permettendo, di Memorie dal sottosuolo da raccontare ce ne sono tante. Storie che nemmeno i milanesi conoscono bene e che invece vale la pena ricordare.

    Il Foro romano di Mediolanum sotto l’Ambrosiana

    Ci vuole un immenso sforzo di fantasia per immaginare matrone, cives e centurioni romani passeggiare nel Foro costruito in età augustea, ma ormai non ci sono più dubbi: Milano, anzi Mediolanum, nacque proprio nel quadrilatero tra piazza Pio xi, via Cardinal Federico, piazza San Sepolcro e via dell’Ambrosiana. Anche gli scavi archeologici più recenti hanno confermato che qui fu posta la prima pietra del castrum romano ed è stato possibile ricostruire l’incrocio tra il cardo maximus e il decumanus, le due strade principali del primo nucleo della romana Mediolanum.

    A rivelarlo con certezza cono stati gli archeologi impegnati tra il 1990 e il 1992 nei lavori di restauro della Biblioteca Ambrosiana. Scavando nelle antiche e dimenticate cantine della prima biblioteca pubblica italiana, voluta dal cardinale Federico Borromeo e inaugurata nel 1609 (preceduta in Europa soltanto dalla Bodleian Library di Oxford nel 1602 e da quella Malatestiana addirittura nel 1440), hanno trovato i resti della piazza principale della Milano romana. Si trattava di un ampio spiazzo rettangolare che ospitava gli edifici più importanti della città: la Curia, dove si riuniva il Senato cittadino; la Basilica, dove era amministrata la giustizia; i templi per le cerimonie sacre, ma anche le botteghe artigiane, i negozi e le locande. Nel corso dei secoli, il Foro cadde in disuso e poi fu definitivamente abbandonato, mentre il cuore della vita cittadina si andava spostando un po’ alla volta, dal iv secolo in poi, nell’area della cattedrale. Durante il Medioevo qui furono costruiti altri edifici cittadini, utilizzando a volte proprio il materiale di epoca romana. Per questo dell’antico Foro romano restano solo gli enormi lastroni in pietra rossa di Verona della pavimentazione, che conservano ancora tracce della sovrapposizione dei basamenti delle statue che la decoravano. Lungo un lato si notano ancora un piccolo canale, dove scorrevano le acque piovane, e i gradini per raggiungere il porticato dove si trovavano le botteghe e le osterie. Resta visibile oggi solo la parte in mattoni, in origine ricoperta di marmo. Pietre su cui hanno camminato personaggi della storia come gli imperatori Costantino e Teodosio i e che oggi si possono ammirare solo grazie alle aperture straordinarie curate dai volontari dell’arte, durante le visite su prenotazione organizzate per gruppi e scolaresche o sul video sistemato all’ingresso della pinacoteca.

    La visita serve anche per scoprire la storia affascinante di uno dei gioielli più preziosi di Milano e meno conosciuti dai milanesi: l’Ambrosiana, una sorta di università ante litteram per la città, un centro culturale fortemente voluto dal cardinale Federico Borromeo. Tutto iniziò nel 1601, poi nel giro di otto anni il progetto innovativo centrò l’obiettivo e Milano ebbe la sua biblioteca. Un’impresa che Alessandro Manzoni, illustre e assiduo frequentatore, ricorda così nelle pagine de I promessi sposi: «Federigo ideò questa Biblioteca Ambrosiana con sì animosa lautezza, e la eresse, con tanto dispendio, da’ fondamenti; per fornire la quale di manoscritti, oltre il dono de’ già raccolti con grande studio e spesa da lui, spedì otto uomini, de’ più colti ed esperti che poté avere, a farne incetta, per l’Italia, per la Francia, per la Spagna, per la Germania, per le Fiandre, nella Grecia, al Libano, a Gerusalemme. Così riuscì a radunarvi circa trentamila volumi stampati e quattordicimila manoscritti».

    All’epoca di Federico la biblioteca includeva 30.000 volumi e 14.000 manoscritti: oggi la raccolta è arrivata a quasi un milione di stampati e 30.000 codici, cui si affianca l’imponente pinacoteca, con 400 dipinti esposti in 24 sale, che includono opere di Caravaggio, Botticelli, Bergognone, Bruegel, Bramantino, per non parlare del Codice Atlantico di Leonardo e del prezioso cartone della raffaelliana Scuola d’Atene. Fino alle sorprendenti suggestioni del Cortile degli Spiriti Magni, luogo tanto affascinante quanto abitualmente inaccessibile agli sguardi dei visitatori.

    Le necropoli paleocristiane

    Sotto la città metropolitana esiste da sempre una città archeologica del tutto sconosciuta. Della Milano paleocristiana, infatti, quasi nessuno sa nulla, e sono davvero pochi gli studiosi che conoscono i tesori del sottosuolo milanese. Ma circolano alcune ipotesi davvero affascinanti. Ad esempio sarebbero proprio sotto il Duomo le tracce della fondazione della città da parte dei Celti nel 400 a.C. Nell’attesa di riportarle alla luce – sempre che non si tratti solo di una leggenda – oggi ciò che si può vedere sotto la chiesa simbolo della città non è meno intrigante: i resti di un complesso episcopale di epoca paleocristiana.

    Quella delle prime basiliche costruite subito dopo l’Editto di Milano di Costantino (che nel 313 ammise il cristianesimo tra le religioni praticate nell’Impero romano) è una storia affascinante che inizia dal i e arriva al iv secolo dopo Cristo. Nei secoli sono state erette per stratificazioni successive, e visitandole si può scoprire qualcosa di più sul loro passato. Se là dove sorge ora il Duomo si trovava una volta il santuario di San Giovanni alle Fonti, sacrificato quando si mise mano alla Veneranda Fabbrica nel xiv secolo, uno dei capolavori dell’arte paleocristiana meglio conservati è la basilica di San Lorenzo, modello per celebri templi come San Vitale a Ravenna. Scendendo una scala nascosta dietro l’arca di sant’Aquilino si accede alle fondamenta della chiesa, dove si trova ancora una porzione di strada acciottolata. Molti ritengono che esista un antichissimo passaggio segreto sotterraneo che collegherebbe San Lorenzo a Sant’Eustorgio, e in effetti sotto quest’ultima basilica è visitabile un antico cimitero paleocristiano, tornato alla luce durante i restauri degli anni 1959-1962. Conserva tombe pagane, cristiane e germaniche, oltre ad alcune epigrafi che risalgono al iv e al v secolo. Una necropoli in cui gli archeologi hanno individuato diverse fasi d’uso, dal iii secolo fino a tutto l’alto Medioevo: il passaggio cioè da sepolture secondo l’uso pagano a quelle chiaramente identificabili come cristiane. Allo stesso modo, accanto a tombe piuttosto imponenti, realizzate in mattoni e lastre di serizzo (a volte contenenti gioielli e monete), sono state rinvenute anche inumazioni in bare lignee o nella nuda terra, a indicare così la presenza di sepolture più povere. Particolarmente interessante è il materiale epigrafico emerso nell’antico cimitero di Sant’Eustorgio. È il caso del cippo funerario dello schiavo fanciullo Cardamione, ancora decorato in stile pagano. Certamente cristiana, invece, e chiaramente datata all’anno 377 (quindi agli inizi dell’episcopato di Ambrogio), è l’epigrafe sepolcrale di Vittorino, definito esorcista, perché aveva il compito di esorcizzare gli ossessi ma anche coloro che si preparavano a ricevere il battesimo. Altre lastre sepolcrali rimandano poi all’ambiente militare, come quella di un portainsegne (ornata di scudo e vessillo), o quella di una guardia imperiale: presenze forse giustificate dalla vicinanza di quest’area cimiteriale con il palazzo imperiale e la corte.

    Altre iscrizioni, invece, offrono informazioni sulla longevità dei defunti. Si legge che un certo Domese visse fino a novant’anni, mentre una tale Asteria sembra abbia festeggiato addirittura gli ottant’anni di... matrimonio! Età davvero eccezionali, se si considera che in epoca tardoantica l’aspettativa di vita era attorno ai quarant’anni. Per i cristiani delle origini, però, la data della depositio, cioè della sepoltura, non era importante come fine della vita terrena, ma in quanto principio di quella nuova. In questo senso potrebbe essere letta anche l’insolita sequenza omega-alfa ai lati del cristogramma in un’epigrafe del iv secolo della necropoli di Sant’Eustorgio: non si tratterebbe, cioè, di un errore di inversione fra la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto greco, ma probabilmente della precisa volontà di sottolineare come proprio la morte segni il passaggio all’eternità.

    Ultima tappa della Milano sotterranea più antica è nella chiesa di San Vittore al Corpo, dove un ingresso laterale conduce sotto il sagrato per vedere quello che resta di un grandioso mausoleo imperiale che si ipotizza conservasse il sepolcro di Valentiniano ii.

    Nelle catacombe di Milano

    A qualcuno fa venire in mente l’intricata foresta di colonne immortalata nel film 007, Dalla Russia con amore, il primo della saga, interpretato da Sean Connery nel 1962. E anche se la Cisterna Basilica di Istanbul, costruita sotto il regno di Giustiniano i (527-565) e usata come set cinematografico, è ben più leggendaria e monumentale, la cripta di San Giovanni in Conca merita sicuramente una visita, oggi possibile grazie ai volontari del Touring Club (in determinati giorni e orari, con ingresso libero e gratuito).

    Per chi scende i gradini del rudere della chiesa di San Giovanni in Conca in piazza Missori, completamente distrutta nel 1949 per aprire la nuova via Albricci nell’ottica del progetto di una pomposa via Parigi, in realtà mai realizzata, la sorpresa è davvero notevole. La grande cripta con volta a crociera sotto la quale si intervallano diciotto esili colonne fa pensare a un’importante basilica. E infatti la storia di San Giovanni in Conca parte da lontano, addirittura dal iv secolo: distrutta e riedificata più volte, subì l’ultima barbarie (prima della demolizione avvenuta nel 1949) dopo la sconsacrazione e la chiusura da parte degli austriaci prima e dei francesi poi. La cripta risalirebbe addirittura alla prima basilica paleocristiana e oggi rappresenta l’unico esempio di cripta romanica originale esistente a Milano. I resti dell’abside, invece, sono dell’xi secolo e sono l’ultima testimonianza di una serie di ricostruzioni. C’è però chi parla di un mitreo poi rimaneggiato, ipotizzando un uso dedicato al culto già molto prima del cristianesimo, per via delle tracce del culto pagano di Mithra, il dio iranico nato in una grotta. Mentre il toponimo in Conca deriverebbe dalla scoperta di una grande vasca, forse l’antico fonte battesimale.

    Storia complicata quella di questa chiesa: danneggiata dalle truppe di Federico Barbarossa, alla fine del xiv secolo San Giovanni in Conca diventò cappella gentilizia dei Visconti che vi deposero le spoglie di Bernabò Visconti (co-signore di Milano insieme ai fratelli Matteo ii e Galezzo ii). Fu lui infatti a mutarne l’aspetto, pur lasciando intatta gran parte della struttura romanica. Bernabò la intese come chiesa palatina, avendo realizzato proprio lì accanto il suo grandioso palazzo (che doveva essere pari a quello di Azzone al Broletto Vecchio, l’attuale Palazzo Reale, con il quale era collegato da un camminamento soprelevato), e la destinò a ospitare i monumenti funebri della moglie Regina della Scala e il suo. Opera di Bonino da Campione, il monumento funebre oggi si trova al Castello Sforzesco, ma all’epoca si trovava a ridosso dell’altare maggiore, e venne spostato da tale collocazione, considerata blasfema, dall’arcivescovo Carlo Borromeo. Sconsacrata dagli austriaci e adibita a magazzino dai francesi, nel 1879 la chiesa passò alla comunità dei valdesi, che ne fecero smontare la facciata per portarla in via Francesco Sforza. Finché nel 1949, a causa del devastante piano regolatore, fu distrutta. Per fortuna, prima che le ruspe completassero l’opera di demolizione dell’edificio i lavori vennero bloccati, salvando così i pochi resti in superficie (una parte dell’abside, imprigionata tra i binari dei tram) e la bellissima cripta sotterranea.

    Ma Milano conserva anche un altro luogo religioso nascosto al di sotto del livello stradale attuale: si tratta delle catacombe che sarebbero state scoperte tra la basilica di San Lorenzo e quella di Sant’Eustorgio (entrambe le chiese furono realizzate nel iv secolo e sono state poi rimaneggiate nei secoli successivi). Negli anni Sessanta emerse un complesso sotterraneo strutturato in una galleria che univa le due basiliche. E c’è chi vagheggia persino l’esistenza di un mosaico policromo dedicato all’Ultima Cena, di grandezza naturale, ascrivibile al tardo impero. La scoperta non è mai stata confermata, ma un cunicolo e una galleria sono stati intercettati nel chiostro di Sant’Eustorgio, che oggi ospita il Museo Diocesano. La galleria partiva da un breve corridoio, in mattoni, che portava a un vestibolo con due sedili di pietra poggianti sulle pareti laterali. Da qui un angusto passaggio immetteva in una galleria in mattoni con volta a tutto sesto, denominata Galleria dei Sedili di Sant’Eustorgio.

    Tesori e labirinti sotto il sagrato del Duomo

    Si chiamava Rebecchino il vecchio rione intorno al Duomo demolito fra il 1866 e il 1876. Era un quartiere povero, fatto di stradine strettissime e immobili fatiscenti, frequentato dalla malavita cittadina attirata dal continuo afflusso di pellegrini. Il nome derivava da un’osteria del xvi secolo, probabilmente chiamata così perché la gestiva un suonatore di ribeca, antico strumento musicale ad arco.

    Fino al basso Medioevo al posto del Rebecchino sorgeva la basilica di Santa Tecla, primo nucleo di cristianità nella Milano ambrosiana, costruita presumibilmente sulle rovine di un antico tempio pagano dedicato alla dea Minerva e demolita nel 1458 su decreto del vescovo Carlo da Forlì per dare spazio alla Fabbrica del Duomo di Milano. Ed è proprio sotto il sagrato della sua cattedrale, intitolata a Santa Maria Nascente, che Milano riserva una delle sue tante sorprese sotterranee: la zona archeologica dove si possono vedere i resti del battistero di San Giovanni alle Fonti, un luogo che rappresentava il centro religioso della città dall’epoca del vescovo Ambrogio, che proprio qui battezzò sant’Agostino. La costruzione ottagonale si rifaceva al tipico mausoleo romano, e nell’antiquarium si possono ammirare ancora oggi migliaia di tessere policrome che ne ornavano la volta, oltre ad elementi della decorazione parietale. Oggi sappiamo che l’attuale piazza del Duomo, sede della cattedrale cittadina fin dai primi secoli della cristianità, ha ospitato un complesso episcopale formato da due battisteri, Santo Stefano e San Giovanni alle Fonti, e tre basiliche, la vetus, la minor e la nova. Un frammento della storia portato inaspettatamente alla luce in occasione di opere di manutenzione delle fognature nel 1870 e della costruzione di un rifugio antiaereo nel 1943.

    Cancellato dalla storia urbanistica, ignorato dalle mappe catastali, dimenticato dagli archivi, a quattro metri sotto il sagrato è stato recentemente recuperato, dopo secoli di oblio, un altro tesoro nascosto. La scoperta è avvenuta durante i lavori di manutenzione del monumento dedicato a Vittorio Emanuele ii, commissionato dal consiglio municipale a Ercole Rosa nel 1878 (al prezzo di 100.000 lire) e inaugurato nel 1896. Quasi per caso, durante i lavori di manutenzione della statua sono riemerse un metro per volta, le ultime segrete stanze di piazza Duomo: cunicoli, volte di mattoni pieni, sette vani, un labirinto di corridoi, un pozzo per la raccolta delle acque piovane.

    Per aprire un varco nei sotterranei i restauratori hanno inciso il basamento di porfido collocato dall’architetto Portaluppi nel 1929. Poi hanno ripulito i 45 metri quadri della cantina di piazza Duomo, portato la luce elettrica e agganciato un sistema di scale e piattaforme per colmare i dislivelli, con l’obiettivo di aprire un giorno i sotterranei ottocenteschi alla visita di studiosi, turisti e semplici curiosi. Questo cunicolo segreto forse diventerà nei prossimi anni un vero e proprio percorso turistico.

    I passaggi segreti sotto il Castello Sforzesco

    A esplorarlo sono stati finora solo gli speleologi milanesi della scam, l’Associazione speleologia cavità artificiali Milano. Ma tutti i vecchi fedeli meneghini dicono che sotto la chiesa di San Marco, a Brera, esiste un passaggio segreto che porta al Castello Sforzesco. Anche lo storico parroco della chiesa (intitolata al santo patrono di Venezia per riconoscenza dell’aiuto prestato a Milano nella lotta contro il Barbarossa) se ne dovette convincere, quando egli stesso trovò tanti e tanti anni fa una botola dietro una statua e la aprì. La sua curiosità si fermò lì, ma in tempi più recenti il nuovo parroco, monsignor Testore, ha deciso di vedere cosa si nascondeva oltre quel varco e ha chiamato gli speleologi per ispezionare il passaggio che si trova in una cappella laterale della navata destra della chiesa, accanto alla statua raffigurante la Madonna della Cintura. Destinato a rimanere segreto, era un varco difficile da raggiungere. Infatti lo spazio oltre la botola è il vano interno all’altare, formato da mattoni, con una scalinata che originariamente doveva essere composta da sette scalini in pietra. Proseguendo lungo il percorso gli esperti si sono ritrovati dinanzi a un altro vano, che può sembrare un pozzo. Sembra si trattasse di una sorta di camera nascosta, forse per tenere custoditi oggetti di valore o addirittura persone. Forse questo passaggio conduce ad altri ambienti sotterranei della chiesa o forse è un cunicolo ricavato all’interno del canale. Forse un giorno gli speleologi riusciranno a svelare il segreto che avvolge questa specie di pozzo e a trovare veramente la via di fuga sotterranea che portava al Castello di Porta Giovia, meglio noto come Castello Sforzesco.

    Costruito alla fine del xiv secolo, il Castello ha subito varie trasformazioni che ne hanno in parte mutato la fisionomia, ma le sue radici, ovvero i suoi sotterranei, sono rimasti sostanzialmente integri e parzialmente percorribili. La galleria sotterranea e segreta che condurrebbe alla chiesa di Santa Maria delle Grazie, forse veniva percorsa da Ludovico Sforza detto il Moro per andare a piangere e a pregare sulla tomba della moglie Beatrice d’Este, prematuramente scomparsa. Ma non si tratta del solo passaggio segreto esistente. È sottoterra infatti che si può apprezzare l’impianto difensivo della macchina bellica medievale alla cui realizzazione contribuirono famosi architetti, da Antonio Averlino detto il Filarete a Leonardo da Vinci.

    Esiste anche un percorso, aperto al pubblico, lungo le gallerie sotto il Parco Sempione: si tratta della Strada coperta della Ghirlanda, antico sistema difensivo contro gli attacchi nemici e via di fuga che portava fuori delle mura della città. La Strada coperta è lunga circa 500 metri e, come un ferro di cavallo, passa intorno al corpo posteriore della fortificazione rinascimentale. Veniva utilizzata dalle truppe per raggiungere gli avamposti difensivi del recinto della Ghirlanda, collegato alle mura della città medievale, e dava accesso

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