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Luoghi segreti e misteriosi di Bologna
Luoghi segreti e misteriosi di Bologna
Luoghi segreti e misteriosi di Bologna
E-book431 pagine5 ore

Luoghi segreti e misteriosi di Bologna

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Info su questo ebook

Curiosità, aneddoti e storie insolite sulla città delle due torri

Visitando Bologna per la prima volta, si ha l’impressione immediata di essere entrati in contatto con qualcosa di unico al mondo. Il suo fascino è straordinario, ma allo stesso tempo quasi indefinibile: va ben oltre l’immagine, coinvolge tutti e cinque i sensi destando autentica meraviglia. Attrae il visitatore e lo seduce, facendogli avvertire il fascino e la personalità di questa entità secolare, viva e pulsante. Bologna “la fosca e turrita”, Bologna “la dotta”, Bologna “la grassa”: aspetti salienti che nei secoli le hanno valso appellativi ormai impressi nell’iconografia popolare. Salienti, sì, ma non esaustivi. La città nasconde al suo interno molte altre anime, molti segreti che non è sempre facile cogliere mentre la si visita. Dalla storia delle torri alle opere architettoniche più nascoste, dai caratteri esoterici delle dodici porte alle torbide passioni che si agitarono nella Villa Murri, questo libro vi condurrà nei luoghi più magici e misteriosi di Bologna.

Una guida perfetta per scoprire il fascino nascosto della città

Tra i racconti segreti di Bologna, legati ai cinque elementi:

Aria
• una vacanza in torre: la torre Prendiparte • la torre del tempo: torre degli Accursi • lo studium bononiense in una foto del Trecento: la lastra tombale dei Liuzzi • una torre per osservare gli astri: la torre della Specola

Acqua
• gli storici mulini del Savena in città • quel che resta del porto: il porto Naviglio e la Salara • Bologna, città termale: le antiche fonti di Corticella • le antenate delle spa: i Bagni diurni Cobianchi

Terra
• non solo un parco: la Capanna Villanoviana ai Giardini Margherita • i “palazzi del pane”: casa Scappi-Stagni, casa Atti, casa Pedrazzi • i giardini segreti, della realtà e dell’illusione • qualche metro sotto di noi: la città romana

Fuoco
• San Paolo Maggiore: la chiesa “alla romana” • il diavolo in città • il principe che (forse) inventò il tarocchino bolognese • lo studio di un luminare, tra libri rari e antichi strumenti

Il quinto elemento: la cucina
Roberto Carboni
Classe 1968, è nato a Bologna e vive sulle colline di Sasso Marconi. È autore di numerosi romanzi e docente di scrit­tura creativa a tempo pieno. Nel 2015 è stato premiato con il Nettuno d’Oro (in precedenza attribuito, tra gli altri, a Lucio Dalla e Carlo Lucarelli), nel 2016 con il premio speciale Fondazione Marconi Radio Days (precedentemente premiati Enzo Biagi, Lilli Gruber). Nel 2017 ha vinto il Garfagnana in Giallo, nella sezione Romanzo Classic. Nel 2018 è stato vincitore del SalerNoir Festival di Salerno. Con la Newton Compton ha pubblicato Il giallo di Villa Nebbia e La collina dei delitti, e, con Giusy Giulianini, Luoghi segreti e misteriosi di Bologna.
Giusy Giulianini
è nata e vive a Bologna e si occupa di edilizia pubblica e privata. Cura rubriche, recensioni e interviste per testate specializzate in narrativa giallo-noir, sua passione da sempre, e lavora come editor freelance. È autrice di numerosi racconti.
LinguaItaliano
Data di uscita4 nov 2021
ISBN9788822757449
Luoghi segreti e misteriosi di Bologna

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    Anteprima del libro

    Luoghi segreti e misteriosi di Bologna - Roberto Carboni

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    569

    Della stessa autrice:

    101 perché sulla storia di Firenze che non puoi non sapere

    I Signori di Firenze

    100 personaggi che hanno fatto la storia di Firenze

    Prima edizione ebook: dicembre 2021

    © 2021 Newton Compton editori s.r.l., Roma

    ISBN 978-88-227-5744-9

    www.newtoncompton.com

    Realizzazione a cura di Punto a Capo, Roma

    Roberto Carboni - Giusy Giulianini

    Luoghi segreti

    e misteriosi di Bologna

    Curiosità, aneddoti e storie insolite
    sulla città delle due torri
    marchio.front.tif

    Newton Compton editori

    Indice

    INTRODUZIONE

    I CINQUE ELEMENTI

    I. DI ARIA

    Sopra la città

    Nei luoghi del sapere

    ii. DI ACQUA

    Tra acqua e cielo

    Sott’acqua (o sotto terra)

    III. DI TERRA

    Sopra il suolo

    Memorie dal sottosuolo

    IV. DI FUOCO

    Il fuoco della fede

    Il fuoco dell’intelletto

    V. IL QUINTO ELEMENTO: la cucina

    Spuma di mortadella

    Stecchi fritti alla petroniana

    Mariconda

    Balanzoni

    Tagliatelle di castagne con pancetta e pecorino

    Ciribusla

    Pollo alla cacciatora (inutile dirlo, alla bolognese)

    Fagiano tartufato

    Torta ricciolina alle tagliatelle

    Sabadoni

    BIBLIOGRAFIA

    RINGRAZIAMENTI

    INTRODUZIONE

    Bologna dei contrasti

    Visitando Bologna per la prima volta si ha l’impressione immediata di essere entrati in contatto con qualcosa di unico al mondo. Il suo fascino è straordinario, ma allo stesso tempo quasi indefinibile: va ben oltre l’immagine, coinvolge tutti e cinque i sensi destando autentica meraviglia. Ci seduce, avvertiamo la personalità di questa entità secolare, viva e pulsante. Restiamo emotivamente invischiati nel suo sortilegio.

    Bologna la fosca e turrita, la dotta, la grassa: aspetti salienti che nei secoli le hanno valso appellativi ormai impressi nell’iconografia popolare. Salienti, appunto, ma non esaustivi.

    Perché Bologna possiede molte anime, percorse da altrettanti contrasti: Bologna elusiva, dunque, che non si rivela con schiettezza ai visitatori e nemmeno alla sua gente. Bologna segreta. Vediamone dunque alcuni, di tali contrasti.

    Bologna massiccia di pietre e liquida di acque insospettabili: un cuore di medievale concretezza, eppure una fitta rete di fiumi e torrenti che scorrono invisibili sotto l’asfalto e si rivelano in aperture restie. Accade per l’Aposa, in via delle Moline, e per il Reno a palazzo Gnudi. Solide, austere facciate di palazzi senatorii o mercantili, nelle vie Santo Stefano, Strada Maggiore e San Vitale, che celano allo sguardo parchi, giardini, orti, e che si aprono in scorci inediti di piante, fiori, statue e fontane; cisterne post-rinascimentali create per alimentare le fontane cittadine, come la Cisterna di Valverde per il Nettuno, o sorgenti termali conosciute fin dalla prima metà dell’Ottocento quali le Antiche Fonti di Corticella.

    Bologna aerea e ipogea: tutti sanno che in epoca medievale la città svettava in alto con più di cento torri, fregio di potere e strumento di difesa nelle lotte tra i sostenitori del papato e dell’imperatore. Abbattute la maggior parte da guerre, incendi e terremoti, alcune più tardi per la smania di cedere il passo al progresso – il che suscitò lo sdegno anche di Gabriele D’Annunzio –, ne restano ventiquattro. O ventotto, se si contano i quattro torresotti (o serragli) di Castiglione, Piella, Portanova e San Vitale. In una, la Torre Prendiparte, è anche possibile soggiornare come in un hotel di charme. Non tutti sanno invece che esiste una città sotterranea: di cripte, come quella dei Santi Vitale e Agricola sotto la chiesa omonima, o quella di San Zama sotto l’Abbadia dei Santi Naborre e Felice; di fiumi e torrenti tombati, ovvero il Reno, l’Aposa e il Savena; di canali artificiali derivati da essi, il Cavaticcio, il Canale delle Moline, il Canale di Reno e il Navile. O, dal Savena, il Canale di Savena; di cisterne, della Remonda e di Valverde; di rifugi in gallerie antiaeree, scavati sotto i rilievi della città, alla Montagnola, al Giardino del Guasto, sotto il Monumento a Carducci; di spettacolari scavi archeologici, perfino di un teatro romano. Ognuno di essi narra la storia di Bologna, dall’epoca in cui fu Bononia fino ai giorni della Seconda guerra mondiale.

    Bologna clericale e profana: decine di chiese, nate in oltre tre secoli di incontrastato dominio pontificio, che costellano il tessuto urbano e altrettante che affollano le sue periferie. Le une e le altre gelose custodi di un ricco patrimonio artistico; ma anche Bologna dei bordelli, presenti in città fin dal 1352 e chiusi soltanto nel 1958, che dal primo in Corte dei Bulgari si diffusero a Torre dei Catalani in vicolo Spirito Santo, detta anche via del Bordello, e poi un po’ dovunque, in via Falcone, Bertiera, delle Oche, San Marcellino, arrivando nella seconda metà dell’Ottocento a contare oltre 400 prostitute.

    Bologna cristiana ed esoterica: quando si pensi che la basilica di Santo Stefano, Nuova Gerusalemme nell’intento del fondatore Petronio, sorge sui resti di un tempio dedicato alla dea Iside – come testimoniato da una targa, ancora oggi infissa sul lato della chiesa dei Santi Vitale e Agricola – si ha una prima evidenza di quanto le due anime della città siano presenti e coesistenti. Per non parlare dell’ampia sezione dedicata alla magia nella collezione egizia del Museo Archeologico, la terza per importanza in Europa, con oltre 2000 amuleti; della storica presenza di streghe, maghi e vampiri in città; delle assidue raffigurazioni del Diavolo, come sotto il Portico dei Bastardini, a palazzo Malvasia, a palazzo Tartagni; della diagrammazione misteriosa e carica di simboli di Antonio de’ Vincenzi in San Petronio; della ricca simbologia alchemica e massonica diffusa nell’urbanistica e nell’architettura cittadina, ben riconoscibile nel coro ligneo di San Domenico, nella chiesa di San Procolo, nel monumento a Ugo Bassi, nella Certosa monumentale.

    Bologna dotta e grassa: sede dell’Alma Mater Studiorum, che fu fondata nel 1088 meritandole il primato di università più antica del mondo occidentale, in ogni epoca polo di attrazione culturale per letterati, musicisti e scienziati: Dante, Petrarca, Boccaccio, Torquato Tasso, Carlo Goldoni, Stendhal, Giosuè Carducci, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, Pier Paolo Pasolini; Wolfgang Amadeus Mozart e Gioacchino Rossini, che si fregiava del titolo di figlio di adozione della città; Pico della Mirandola, Niccolò Copernico, Luigi Galvani, Guglielmo Marconi. Fucina di insigni artisti, quali Vitale da Bologna, i Carracci, il Guercino, Guido Reni, Giuseppe Maria Crespi, i Gandolfi, Donato Creti, Luigi Bertelli, Giorgio Morandi, Bologna ha meritato l’appellativo di dotta per la sua costante vocazione alla trasmissione del sapere e per la sua eccellenza nelle discipline che elevano l’animo umano. Mostra però, e da sempre, anche un’inclinazione spiccatamente edonista, almeno per quanto riguarda i piaceri della tavola e la convivialità che ne deriva dall’assaporarli in compagnia. Grassa certo, per il contenuto ipercalorico dei suoi prodotti tipici e dei piatti della tradizione, ma anche ghiotta di prelibatezze, fin dal Medioevo, quando i cuochi più rinomati imbandivano le tavole dei signori dell’epoca e chi non se li poteva permettere affollava le oltre 150 osterie cittadine.

    Bologna di fervore politico, tra rosso e nero: la città rossa, non più soltanto per il colore dei suoi tetti ma anche per la bandiera del sol dell’avvenire, da settant’anni con un solo sindaco non di sinistra. Curioso ma indicativo che in epoca fascista sia stata l’unica in regione ad avere non uno ma due gerarchi. Tracce significative di quel periodo restano nel complesso sportivo del Littoriale (oggi Stadio Renato Dall’Ara) con la sua Torre di Maratona, all’interno della quale era collocato un grandioso bronzo, Mussolini a cavallo, distrutto all’indomani del secondo conflitto mondiale e riutilizzato da Luciano Minguzzi per il Monumento al Partigiano e alla Partigiana installato a Porta Lame. Un’architettura magniloquente eppure di moderna razionalità, cui sono improntati numerosi edifici di Porta Santo Stefano, piazza Roosevelt e via Marconi.

    Bologna dei dintorni, tra bassa e collinare: perfino la sua morfologia, a mano a mano che ci si allontana dal centro, scivola verso un diverso sentire. A nord si appiattisce in malinconiche spianate di campi, rari gli alberi che imbrigliano ragnatele di nebbia da autunno a primavera; a sud s’inerpica in colli ridenti di parchi e tenute agricole, ville storiche e santuari, lodati anche da Stendhal nel suo viaggio in Italia tra il 1816 e il 1817. Nell’occasione, i suoi passi spesso si volsero verso il Parco della Chiusa di Casalecchio, da lui definito il Bois de Boulogne della città, e sul poggio di San Michele in Bosco che lo entusiasmò per la vista mozzafiato sul centro cittadino.

    Arduo dunque svelarla, anche attraverso le sue anime opposte. A complicare ancora il compito di chi si accinga a descriverla, si leva infatti l’evidenza che spesso i contrasti, anziché contrapporsi, concorrono a un fine comune. Si pensi a Bologna la grassa e Bologna la dotta, edonista e carnale la prima, spirituale ed elevata la seconda, che convergono invece verso la candidatura a patrimonio immateriale unesco della cultura gastronomica bolognese, in quanto bene appartenente a una comunità che si identifica con il suo territorio, ricca di prodotti della terra, di cibi, di mestieri, di una popolazione carica di giovialità, convivialità e accoglienza. Insomma, tutte le prerogative richieste dall’unesco.

    E quei contrasti poi non nascono forse da una storia che affonda nelle radici della civiltà, vissuta appieno e sofferta come il cammino stesso dell’uomo, costellato di scontri, cadute, rinascite e trionfi, di sudditanza e indipendenza, di fatali arresti e di impensate conquiste? Memorie vive nella sua gente e nelle sue pietre, di cui vale la pena accennare.

    Bologna delle memorie

    Sono molteplici i motivi per cui una città sorge. La posizione geografica scelta per i primi insediamenti bolognesi faceva già pensare che lì si sarebbe costituito qualcosa di straordinario.

    La presenza di acqua e di canali navigabili rendeva lo stanziamento appetibile per la comunicazione e il commercio fluviale. I terreni fertili assicuravano agricoltura fiorente e prosperità nell’allevamento del bestiame. Sotto il profilo strategico poi la sua posizione era perfetta: sguardo vigile sulla Pianura Padana e spalle protette dal primo versante collinare. E là in fondo, sopra a tutto, quel Colle della Guardia. Uno degli ultimi contrafforti appenninici sulla sponda destra del Reno, che permetteva di tenere d’occhio, a decine di chilometri di distanza, l’arrivo degli invasori annunciato dai nugoli di polvere sollevati dal loro passaggio.

    I primi insediamenti umani sono già presenti nell’età del bronzo, tra le colline più basse e la zona di pianura limitata dai due affluenti del fiume Reno, l’Aposa e il Ravone.

    Gli stanziamenti più organizzati risalgono però alla civiltà villanoviana, così chiamata quando gli scavi (condotti da Giovanni Gozzadini a Villanova di Castenaso tra il 1853 e il 1855) portarono alla luce una necropoli a incinerazione e inumazione, risalente alla prima civiltà del ferro, sviluppatasi tra gli inizi del i millennio e gli ultimi decenni dell’viii secolo a.C.: un’epoca preurbana, caratterizzata da insediamenti di capanne distanziate tra loro, per consentire lo sfruttamento agricolo e la pastorizia. E se il turista non vuole uscire dalla città per recarsi al muv (Museo della Civiltà Villanoviana) di Castenaso – che sorge proprio nel luogo di quegli scavi ed espone un completo sepolcreto ricco di cippi e stele, tra cui la pregiata Stele delle spade, di grande interesse per la complessità della decorazione a bassorilievo che caratterizza una delle due superfici, e un vasto assortimento di significativi reperti della locale età del ferro – può godersi, nel celebre parco cittadino dei Giardini Margherita, l’accurata ricostruzione di una capanna villanoviana a grandezza naturale, realizzata al vero dal Museo Civico Archeologico, sull’esempio di molti parchi didattici europei. Preziosa poi, dal momento che delle abitazioni di quella Bologna non rimane quasi nulla, essendo infatti costruite con legno, argilla e canne. Materiali fragili, che nel corso del tempo sono andati distrutti.

    I Villanoviani in seguito si fusero con gli Etruschi, giunti da Oltreappennino, a fondare quella che chiamarono Felsina, termine la cui etimologia non è tuttora individuata in modo certo. Potrebbe infatti derivare dal dio etrusco Velzna oppure da felzna, che significa luogo fortificato o terreno fertile. Fu un periodo caratterizzato dall’intensificarsi degli scambi commerciali, in particolar modo con la Grecia. Chi non è riuscito a visitare la grandiosa mostra Etruschi. Viaggio nelle terre dei Rasna che Bologna ha ospitato nel 2020, può scegliere tra il Museo Nazionale Etrusco di Marzabotto, a pochi chilometri da Bologna, che ospita quanto resta – dopo le distruzioni belliche – di un insediamento urbano fondato verso la fine del vi secolo a.C., e le sale del Museo Civico Archeologico in città, che accolgono le antichità emerse in zona durante gli scavi tra metà dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento. Oppure recarsi al sepolcreto della Certosa monumentale, peraltro scrigno di arte funeraria di ogni epoca, che accoglie ben 417 tombe.

    La discesa in Italia dei Celti vide l’invasione di Felsina da parte dei Galli Boi, verso la metà del IV secolo, e l’inizio di quasi due secoli cruciali per il dissolversi di molti dei solidi assetti politici del passato, che sfociarono in un lungo periodo di decadenza. Ai Galli Boi è però legata una romantica leggenda che riguarda il nome del torrente che oggi attraversa l’intera città sotto il livello stradale, l’Aposa, che porta il nome della principessa barbara amata dal re etrusco Fero, che annegò nelle sue acque per raggiungere l’amante. I sotterranei dell’Aposa e i suoi canali si possono visitare una volta l’anno, quando, per tre settimane, ne viene interrotta l’alimentazione idrica per consentire la manutenzione prima del periodo invernale.

    La dominazione dei Galli Boi si concluse, dopo alterne vicende, scontri, alleanze e controalleanze, con l’imposizione della pax romana. Intorno al 190 a.C., quando Bologna venne occupata dai Romani, con un insediamento – si dice – di 3000 uomini o 3000 famiglie. Già nota per le attività agricole e commerciali, la città fu rinominata Bona, termine forse di derivazione celtica che significa città fortificata. Dai Romani vennero aperte le importanti vie Flaminia ed Emilia. Nell’88 a.C., in seguito alla nomina a municipio romano, raggiunse i 20.000 abitanti. Ma i fasti non durarono a lungo e nel 53 d.C. venne distrutta da un terribile incendio. La reazione degli abitanti non si fece attendere e la città fu presto ricostruita. Proprio nell’88, per celebrare il passaggio della città da colonia di diritto latino a municipio romano, venne eretto il Teatro romano, il più antico di quell’architettura, visibile oggi sotto le fondamenta di un palazzo settecentesco della centralissima via Carbonesi. Dello stesso periodo è la basilica romana, i cui resti sono apprezzabili sotto il cristallo della piazza coperta di Sala Borsa.

    Per tutta l’età imperiale Bologna mantenne il suo prestigio ma, al declinare dell’impero, ne seguì la sorte e vide i suoi confini contrarsi a poco a poco.

    Già alla fine del iii secolo, infatti, i barbari imperversavano lungo la via Emilia, razziando le città da essa attraversate. L’alba del Medioevo trovò una Bologna in condizione di profondo decadimento, alla cui difesa non bastarono l’ancora parziale cerchia muraria di selenite, né le quattro croci erette in corrispondenza dei punti cardinali a protezione della città. Meritano una visita attenta, quelle croci: la Croce dei Santi (o di Porta Procula o di San Martino), la Croce delle Vergini (o di Porta Castiglione o dei Casali), la Croce degli Evangelisti (o di Porta Ravegnana) e la Croce dei Martiri (o di Porta Castello o dei Santi Fabiano e Sebastiano). Esse subirono diversi rifacimenti ma rimasero al loro posto d’origine, in cui la leggenda vuole che le ponesse il vescovo di Milano Ambrogio, dal iv secolo fino alla fine del xviii, per poi essere spostate nella basilica di San Petronio, dove si trovano tuttora.

    Nel v secolo, al tempo del vescovo Petronio, la città iniziò un lento percorso di rinascita. Petronio, tra l’altro, fondò il nucleo delle Sette Chiese di Santo Stefano e sistemò le zone limitrofe come ricostruzione simbolica dei luoghi della Passione di Cristo. Una Sancta Jerusalem Bononiensis (o piccola Gerusalemme) capace di attrarre i pellegrini, per i quali il viaggio verso la Terrasanta era irto di pericoli: guerre improvvise e proditori attacchi, di briganti in terra e di pirati in mare. L’attuale via Gerusalemme sorse così in ricordo della strada percorsa da Gesù alla volta della Città Santa, mentre un largo fossato, oggi distrutto, fu scavato tra Santo Stefano e San Giovanni in Monte a rappresentazione della Valle di Giosafat. San Giovanni in Monte si erge ancor oggi rialzato rispetto al piano della basilica, a simboleggiare il Monte Calvario.

    Bologna, dapprima baluardo dell’Exarcatus Ravennatis contro i Longobardi, da questi finì poi per essere conquistata divenendo, nel mezzo secolo del loro dominio, nulla più di un centro militare. Traccia del loro passaggio si può rinvenire in un gruppo di edifici fortificati, denominato addizione, proprio a ridosso del complesso di Santo Stefano. La chiesa del Crocifisso, una delle quattro chiese superstiti di quel complesso, è essa stessa di origine longobarda, edificata tra il 736 e il 744, ma largamente rimaneggiata nei secoli successivi. Ancora nell’ambito di Santo Stefano, una ulteriore traccia dell’occupazione longobarda di Bologna è attestata dal prezioso catino di Pilato, un bacile in pietra marmorea destinato in origine a raccogliere le offerte dei fedeli, fissato su un piedistallo di epoca successiva e visibile nell’atrio che collega la chiesa del Santo Sepolcro alla chiesa della Trinità.

    Bologna fu in seguito liberata dai Carolingi, che la restituirono alla Santa Sede, nelle mani di papa Adriano i. Carlo Magno, di passaggio in città nel 786, presenziò alle solenni celebrazioni religiose in onore dei Protomartiri Vitale e Agricola. Ma, nell’occasione, di quei santi pretese una reliquia, da custodire nella cattedrale di Clermont. Ulteriore traccia dei Franchi in città è il ciborio carolingio, di marmo bianco con pavoni, nel sepolcro del giurista Egidio de’ Foscherari all’esterno della chiesa di San Domenico.

    Con la scomparsa dei Carolingi, Bologna venne annessa al Regno d’Italia. Re Berengario concesse alla Chiesa bolognese il porto sul Reno e la selva di Pescarola. La libertà di navigazione dal Reno al Po, accordata nell’occasione, sanciva la funzione preminente dell’episcopato bolognese nell’ambito delle attività cittadine e testimoniava l’importanza primaria delle sue vie fluviali.

    Dal x secolo, Bologna si ripopolò. Iniziava l’età comunale che la vide all’avanguardia nel formulare i propri ordinamenti.

    Nell’xi secolo la città conobbe una nuova fase di prosperità e iniziò a espandersi assumendo l’abitudine di costruire, attorno alla residenza delle famiglie più influenti, i nuclei abitativi di quanti gravitavano nella loro orbita. Tali nuclei venivano disposti attorno a una corte centrale, sormontati da torri – elemento di difesa oltre che di prestigio – e protetti da chiese gentilizie e oratori. Nella centralissima Corte de’ Galluzzi, tra piazza Galvani e via d’Azeglio, si legge ancora un tipico esempio di area consortile strutturata a scopo difensivo, con la massiccia Torre dei Galluzzi, l’Oratorio dei Fiorentini e tracce della chiesa di Santa Maria Rotonda de’ Galluzzi, oggi trasformata in spazio commerciale. Sul luogo ancora aleggia l’ombra di un tragico episodio legato al nome della famiglia: l’uccisione di Virginia Galluzzi e Alberto Carbonesi, sposi in segreto per l’ostilità delle rispettive famiglie.

    Nel xii secolo lo sviluppo demografico ed economico condusse a un netto ingrandimento della città: nuovi quartieri e nuove Porte si aggiunsero a quelli esistenti. Ma già la nascita dello Studium nel 1088, prima università del mondo occidentale, aveva iniziato ad attirare in larga misura studiosi e studenti da tutto il mondo, valendo a Bologna l’appellativo di dotta. Un puntuale ritratto della vita universitaria dell’epoca si può scorgere nel bassorilievo di Liuzzo e Mondino de’ Liuzzi, insigni medici, che raffigura un docente dello Studium nell’atto di tenere una lezione ai suoi allievi. Si tratta in realtà della lastra tombale che copre il sepolcro dei due studiosi, posto a tre metri di altezza di fianco alla chiesa dei Santi Vitale e Agricola.

    Nel 1183, in seguito alla pace di Costanza, Bologna ottenne il diritto di coniare una propria moneta, mentre i mutamenti democratici successivi condussero nel 1257 alla formulazione del Liber Paradisus (Il libro del Paradiso), testo di legge che sanciva la liberazione dei servi della città e del contado. 5855 uomini, in precedenza legati a 379 padroni, liberati da lavori agricoli o da mansioni domestiche che per loro svolgevano, costretti in una condizione irreversibile che si estendeva anche alle loro famiglie. Un provvedimento epocale con cui Bologna, prima città europea, scrisse una pagina fondamentale nella storia dei diritti umani e nella storia delle libertà. Il Liber Paradisus è tuttora visionabile presso l’Archivio di Stato.

    Il xii e il xiii furono i secoli delle torri, delle case-torre e dei palazzi comunali. Una selva di oltre 100 torri svettava verso il cielo, una gara di prestigio tra le famiglie più influenti. Oggi, come si diceva in apertura, ne restano in piedi 22, sopravvissute a guerre, crolli, terremoti, incendi e alle risistemazioni urbanistiche del xix secolo. Le due più celebri, Asinelli e Garisenda, sono uno dei simboli della città, peculiari per altezza (97 e 47 metri) e per inclinazione. Grazie poi alla rete di canali di cui era dotata, Bologna all’epoca assistette a una rigogliosa fioritura di scambi commerciali, con conseguente esplosione demografica e urbana, che la costrinse a un ulteriore ampliamento della cerchia muraria. La cosiddetta circla fu la terza e definitiva e andò ad aggiungersi alla prima di selenite, costruita all’epoca delle invasioni barbariche, e alla seconda del Mille, iniziata nell’xi secolo e terminata nel xii, oggi ridotta ai quattro torresotti di Castiglione, Porta Nova, Piella e San Vitale. La circla, demolita in misura quasi radicale durante le risistemazioni urbanistiche del xix secolo, resta ancora visibile in brevi tratti delle Mura di Porta Castiglione, D’Azeglio, San Felice, Lame, Galliera, Mascarella e San Vitale.

    Il xiii secolo fu teatro degli scontri tra Guelfi e Ghibellini, che a Bologna piuttosto furono filopapali e antipapali, in un periodo di prosperità e di supremazia militare che vide prevalere i primi sui secondi. Nel 1249, le milizie cittadine avevano sconfitto a Fossalta l’esercito dell’imperatore Federico ii, catturando suo figlio Enzo, re di Sardegna. L’illustre prigioniero fu rinchiuso a Palazzo Nuovo, da poco costruito in ampliamento del Palazzo del Podestà, prima sede del governo cittadino. Vi rimase per ben ventitré anni, fino alla sua morte. Da allora l’edificio è divenuto Palazzo Re Enzo.

    Già a metà dell’xi secolo si iniziò ad assistere in città, come nelle maggiori dell’Italia centro settentrionale, alla nascita di un fenomeno di tipo corporativistico tra gli appartenenti alle medesime arti e mestieri, destinati a rappresentare ben presto la compagine più cospicua del tessuto urbano e ad assumere fondamentale rilevanza sociale, economica e politica. La nascita delle Società d’arti, come si chiamarono a Bologna, strette in un patto di mutua assistenza, fu la risposta alla latitanza del potere centrale, per lo sfaldamento dell’impero carolingio e il frantumarsi di quello feudale. Nell’ultimo decennio del xii secolo nacque a Bologna la Camera dei mercanti e nel xiii i rappresentanti delle societates entrarono nei più alti ranghi delle magistrature cittadine. Dall’inizio del xiii secolo, esse diventano il modello per altre associazioni, dette Società delle Armi che, senza esercitare attività produttive, collaboravano con le autorità per mantenere l’ordine pubblico.

    All’interno dell’attuale Palazzo della Mercanzia, eretto in epoca successiva e oggi sede della Camera di Commercio, sono visibili trecento stemmi delle corporazioni, mentre il fregio che orna all’esterno la sua sommità è arricchito da formelle in terracotta con i simboli delle arti.

    Si pensi che, già sul finire del xiii secolo, la prosperità di Bologna derivava in larga misura dal suo primato nel produrre e commerciare bozzoli e seta, che ben presto aveva elevato la città al rango di maggior centro tessile d’Italia. Bologna, in quegli stessi anni, fu anche la prima a emettere Statuti di regolamentazione. Il Comune d’altronde, già dal 1230, aveva incoraggiato l’immigrazione di artigiani con elevate capacità tecniche nella produzione della lana e della seta, assicurando loro due telai in regalo, l’uso gratuito di casa e bottega per otto anni, un mutuo senza interessi per un quinquennio, l’esenzione delle imposte per tre lustri e la concessione della cittadinanza. Fondamentale per quell’eccellenza fu comunque la ricchezza di acque, indispensabili per alimentare i mulini da seta e per trasportare i veli su barca lungo il Navile, da Bologna a Malalbergo, per poi raggiungere Ferrara e quindi Venezia, dove la seta veniva imbarcata e diretta alle varie mete europee. L’attività rimase fiorente per secoli, guidata dalla potente corporazione dell’Arte della Seta, e rappresentò a lungo il più importante settore economico della città, arrivando a impiegare fino al 40% della sua popolazione. Il nome del portico più celebre di Bologna, il Pavaglione, è collegato a questa produzione e forse deriva dal padiglione in legno, in dialetto bolognese pavajan, che veniva montato nella piazza antistante (oggi, piazza Galvani) per ospitare la fiera dei bachi da seta. Le tracce dell’antica ricchezza sopravvivono ancora nei nomi delle strade: via Val d’Aposa, del Porto, Avesella, e ancora Altaseta, de’ Tessitori, Drapperie. Il Comune di Bologna, di recente, ha deciso di acquisire il Museo del Tessuto e della Tappezzeria, ubicato nella settecentesca Villa Spada e intitolato a Vittorio Zironi, tappezziere e profondo conoscitore di manufatti tessili, che negli anni ha raccolto, oltre a una grande varietà di tessuti, strumenti di lavorazione e manufatti finiti quali abiti e oggetti ricamati, disegni, materiali d’archivio e una biblioteca di elevata specializzazione.

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    Veduta di Bologna in un’incisione ottocentesca.

    Oltre alle Società d’arti, molto influì sulla vita cittadina il fenomeno del monachesimo che, già presente a Bologna fin dal x secolo, all’inizio del xiii vide l’arrivo degli ordini mendicanti che senza posa percorrevano le vie per testimoniare un ideale evangelico di fede e povertà. Domenicani, Francescani, Carmelitani, Eremitani e Serviti, che si prodigavano anche in aiuti concreti ai poveri e ai malati, furono determinanti nel far sorgere gli hospitali, asili che offrivano ospitalità a pellegrini, viandanti e forestieri, in ciò coadiuvati dai membri di alcune confraternite laicali. Fu questo il caso della compagnia, della chiesa e dell’ospedale di San Giobbe, dedicato alla cura degli infermi di morbo gallico, di cui si trova traccia nelle cronache fin dalla seconda metà del xii secolo. Oggi resta la facciata a due portali di fine Quattrocento, visibile nell’omonimo vicolo, e l’Oratorio dei Guarini, al primo piano della Galleria Acquaderni.

    Negli ultimi decenni del xiii secolo, a Bologna venne sancita definitivamente la supremazia del potere temporale del papato, tanto che Niccolò iii arrivò a nominare il nipote, Bertoldo Orsini, conte di Romagna e governatore di Bologna.

    Dal xiv secolo assistiamo alla progressiva perdita della piena sovranità di Bologna, stremata da continui scontri con Modena e da lotte civili. La popolazione, già decimata dai conflitti, nel 1348 subì un ulteriore calo di ben 17.000 abitanti, quando venne colpita dalla peste nera, detta anche peste dei topi e dei pidocchi. Gli apparati pubblici si trovarono ben presto in ginocchio, non soltanto perché la morte di molti contribuenti aveva ridotto drasticamente le entrate, ma anche perché non si riusciva a raggiungere il quorum necessario per adottare delle decisioni. Lo stallo in cui cadde la città condusse addirittura a un tentativo di colpo di stato che fu poi represso con la forza. D’altra parte la necessità di limitare i danni dell’epidemia, isolando gli ammalati e tentando nuove forme di cura, portò alla creazione dei lazzaretti e alla nascita di nuove organizzazioni ospedaliere, in aggiunta a quelle già sorte su iniziativa di confraternite. Proprio poco prima di quella data sorse l’Ospedale di Santa Maria della Morte, sede dell’omonima confraternita, il cui stemma a tre teschi sormontati da una croce con flagelli pendenti è ancora visibile, seppure molto deteriorato, all’angolo tra il Pavaglione e via de’ Musei.

    Il terribile flagello accentuò un fenomeno già presente in città e nelle campagne limitrofe che nei secoli xvii e xviii avrebbe raggiunto la sua acme: il culto mariano espresso con monumenti o immagini devozionali, con i quali si chiedeva l’intercessione della Vergine quale potente intermediaria tra l’uomo e Dio. In certo modo trasfigurazione cristiana delle antiche dee pagane legate alla fertilità della natura, e alle proprietà guaritrici di sorgenti e fontanili. Cappellette, pilastrini, edicole, bassorilievi e affreschi, iniziarono così a ornare i muri cittadini, spesso lungo le vie che conducevano a chiese o monasteri, una testimonianza ancora oggi leggibile di un’espressione artistica forse minore, ma degna di un percorso intrigante e diverso.

    Scacciato il cardinal legato, Bologna vide nascere le signorie dei Pepoli e dei Bentivoglio, ben diverse tra loro perché Taddeo Pepoli si pose piuttosto come primo tra pari.

    Dopo anni tumultuosi in cui si erano avvicendati il dominio dei Visconti, il governo comunale e il ripristino della sovranità papale, l’alba del xv secolo vide nascere e affermarsi la supremazia della famiglia che avrebbe poi dominato, per oltre cento anni, la scena politica e culturale bolognese: i Bentivoglio – appartenenti in origine all’Arte dei Beccai come attesta la presenza della sega nel loro stemma gentilizio – che dominarono in città dal 1401 al 1506, anno in cui furono rovinosamente cacciati dalle truppe di Giulio ii e da una violenta rivolta popolare. Sotto i Bentivoglio, Bologna si distinse come uno dei centri focali del primo Rinascimento, non inferiore a Firenze. La loro Domus Magna infatti, eretta in Strada San Donato a partire dal 1460, rivaleggiava in magnificenza con le più sontuose dimore medicee. Artisti e maestranze furono richiamati alla corte dei Bentivoglio e Bologna si arricchì di straordinari capolavori: la Cappella Bentivoglio in San Giacomo Maggiore con le sontuose pale di Lorenzo Costa e Francesco Francia, il ciclo pittorico dell’Oratorio di Santa Cecilia con gli affreschi ancora del Costa e del Francia cui si affiancò Amico Aspertini, la Maddalena piangente di Ercole de Roberti, la Madonna del Baraccano di Francesco del Cossa. Anche il giovane Michelangelo fu qui attratto e lasciò prova compiuta della sua arte nell’Arca di San Domenico, dove eseguì la statua di San Procolo e un angelo porta-cero, il più robusto dei due presenti.

    Conquistata nuovamente dalla Chiesa nel 1506, la città rimase soggetta all’autorità dello Stato Pontificio fino all’unificazione italiana, fatto salvo il ventennio napoleonico e le brevi ondate insurrezionali. La fioritura culturale e industriale di Bologna dovette però fare i conti con altre terribili epidemie, prima fra tutte la peste, che si ripresentò puntualmente a distanza di decenni. Quella del 1630, così virulenta da causare quasi 30.000 morti tra urbani e del contado, fu portata in città dai Lanzichenecchi

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