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Istantanee temporali
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E-book383 pagine6 ore

Istantanee temporali

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Info su questo ebook


Persone, parole, pensieri, incontri tra libri e sentimenti come la paura.  Una raccolta di articoli che affrontano i nostri tempi. O forse semplicemente disegnano i contorni del tempo.
 
LinguaItaliano
Data di uscita15 giu 2020
ISBN9788832281484
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    Anteprima del libro

    Istantanee temporali - Raffaella Rizzi

    edizioni

    Copyright

    © Copyright Argot edizioni

    © Copyright Andrea Giannasi editore

    Lucca, giugno 2020

    1° edizione

    Tutti i diritti sono riservati. Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633).

    ISBN 978-88-32281-42-2

    I lettori che desiderano informazioni

    possono visitare il sito internet:

    www.tralerighelibri.com

    Introduzione Istantanee temporali

    Il tempo

    Il tempo scorre, fugge, si perde, si guadagna. Il tempo passa rapido oppure non passa mai. Il tempo trascorre, il tempo segna, il tempo insegna, il tempo si prende gioco di noi, il tempo non basta, il tempo è lento, il tempo è veloce, il tempo sembra infinito, il tempo finisce troppo in fretta. Il tempo: esiste, non esiste, è una invenzione dell’uomo. Il tempo si vede nei segni che ci lascia sul corpo, sulle rughe profonde che traccia sui nostri volti. Fermiamo il tempo sulla carta, nelle foto, nei dipinti, nei disegni, nei filmati. Il tempo. Si beffa di noi e ci illude.

    Dedica

    A Carla.

    PERSONE

    Ezio Bosso

    La barretta che invita a cominciare a scrivere sul foglio word bianco aperto sullo schermo del pc è come un cuore che pulsa e che ti indica che la vita è già cominciata, a te tocca farle prendere una forma. Parlando di inezie inaspettate, di programmi seguiti dalla massa e di poca originalità, devo dire una cosa: mercoledì sera ho visto la seconda serata del Festival di Sanremo 2016, o meglio, ho guardato alcuni sprazzi come faccio ogni anno non per mancata voglia di seguirlo per intero ma solo per impossibilità di farlo causa impegni vari e sonno. E sì lo confesso: guardo Sanremo da quando ero piccola, qualche problema? Poco originale, molto ordinario, programma soggetto a mille critiche, il canone si paga per ripagare questi balordi che ci rubano i soldi e vivono alle nostre spalle e bla e bla e bla. Beh, ragazzi fatevene una ragione: a me Sanremo piace.

    Sicuramente ci sono cantanti che non apprezzo, testi che non mi piacciono, musiche che ritengo di basso valore, ospiti inutili (sempre dal mio punto di vista), parodie esagerate, vestiti troppo elaborati e chi più ne ha più ne metta, ma rimane sempre un evento per me. Febbraio non sarebbe febbraio senza il Festival di Sanremo per me. E allora tutta questa premessa? Per dire semplicemente una cosa precisa: Ezio Bosso. Sono un’ignorante perché non lo conoscevo. Sono un’ignorante perché ci è voluto Carlo Conti (che ha acquistato punti nella mia scala di valutazione delle persone) a farmelo conoscere e per questo gli sarò sempre grata. Perché Ezio Bosso mi ha letteralmente folgorata. Perché Ezio Bosso è una persona da prendere ad esempio. Perché Ezio Bosso è un grandissimo artista, un pianista che sa emozionare, un uomo che sa VIVERE. E basta con la storia del disabile che va in prima serata e commuove inevitabilmente per il suo stato: Ezio Bosso è malato di SLA dal 2011 e sta mostrando al mondo come si può convivere con un mostro non voluto dentro di sé. Come tantissime persone fanno certo, ma avere la forza di mostrarlo al mondo col sorriso è un dono da non sottovalutare.

    Ezio Bosso incanta con la sua musica, strega col suo sorriso e insegna con le sue parole che se all’inizio sembrano pronunciate a fatica, andando avanti si mostrano come stelle brillanti da ammirare senza mai stancarsi. Ho subito comprato il suo ultimo lavoro, il primo CD da solo che ha realizzato The 12th room e consiglio a tutti di farlo.

    «La malattia non è la mia identità, è più una questione estetica. Ha cambiato i miei ritmi, la mia vita. Ogni tanto evaporo. Ma non ho paura che mi tolga la musica, perché lo ha già fatto. La cosa peggiore che possa fare è tenermi fermo. Ogni giorno che c'è, c'è. E il passato va lasciato a qualcun altro». Ezio Bosso.

    Ho scritto queste parole nel 2016. Oggi Ezio Bosso non c’è più. È morto ieri, 15 maggio 2020. E io ci sono rimasta male. Malissimo.

    Leo Longanesi

    Certe persone hanno il potere di cambiarti l’umore istantaneamente. Ti si forma un groppo nello stomaco grande come un melone e resta lì, piantato, fermo e stabile per un tempo illimitato. Eppure, appena un secondo prima, tutto appariva leggero e semplice. Tutto. Anche le cose complicate e insormontabili. Perché ogni elemento dell’esistenza è legato alla prospettiva con cui lo si affronta.

    Certi giorni ti si prospettano incontri e discorsi che potrebbero avere risvolti spaventosi. Ti prepari al peggio, ti carichi, vai pronta ad affrontare i draghi più pericolosi e invece poi ti trovi davanti un agnellino indifeso e condiscendente e ogni cosa va esattamente al suo posto. La speranza e la fiducia si riaccendono, i sogni ricominciano a crepitare sotto la cenere in scintille arancio acceso luminescente e, per qualche tempo, la vita ricomincia ad avere un aspetto piacevole. "(…) e come la vedi la vedi, è tutto in come la vedi (…)."

    Ripensi alle giornate da poco trascorse in cui hai abbandonato ogni pensiero e ti sei dedicata solo a ricongiungerti con la felicità libera, quella che ti regala soltanto l’incontro con la voce del tuo idolo. E chi non comprende o pensa che sia un’effimera esagerazione, beh che pensasse pure ciò che crede. Sta di fatto che per te non è così. E ciò che conta è come ti senti tu in quel preciso istante e come il tuo stato d’animo possa avere poi influenza e risonanza tutt’intorno. Almeno nei concerti la felicità è contagiosa: si diffonde a macchia d’olio, aleggia nell’aria di tutto lo spazio dedicato allo spettacolo, sovrasta ogni pensiero e unisce migliaia di cuori, ognuno a modo suo dilatato in un antro di completezza. Mercoledì 20 settembre, per la terza volta anche se non in anni consequenziali, hai trascorso il compleanno di tuo marito insieme a lui ma anche insieme a Luciano Ligabue, in occasione, in questa giornata, del recupero del concerto che avrebbe dovuto tenersi il 23 maggio scorso ma che, per l’intervento che ha subito alle corde vocali, è stato rimandato proprio a quella data. Ormai come dice tuo figlio Alessandro: che compleanno è senza canzone! e di canzoni ce ne sono state tante, ognuna cantata a squarciagola, tirata fuori a fiotti dall’anima e urlata con tutta la forza perché "è un po’ come sputare via il veleno" e, almeno in un arco di tempo limitato, sei riuscita a sputarlo quel veleno, ad alleggerirti e a provare a credere di potercela fare ancora. Gli avvenimenti si succedono in maniera sconclusionata e imprecisa nella vita che conduciamo. Così come i pensieri, gli stati d’animo, l’umore altalenante … nulla è consequenziale nella realtà. Ci sono momenti in cui sei occupata a fare qualcosa di importante per il lavoro per esempio e, casualmente, ti capita sotto lo sguardo una frase che ti rapisce per qualche secondo e che, sicuramente, dopo andrai a ricercare per analizzarla e scoprire significati e collegamenti reconditi che ti porteranno chissà dove, chissà in quale luogo o tempo lontani eppure così vicini. Il 27 settembre è l’anniversario della morte di Leo Longanesi. Un nome che hai sentito mille volte durante il tuo percorso di vita e di studi ma che non ti sei mai fermata ad analizzare. E invece ora hai deciso di approfondire, chissà per quale decisione sepolta in qualche anfratto remoto dello spazio tempo. E hai riscoperto un uomo, un giornalista, un editore, un pittore, un letterato così interessante e anche e soprattutto spaventosamente legato alla nostra attuale realtà. E in particolare una mente attenta, una penna sferzante, una voce più alta e possente all’interno del coro fascista. Una voce che sapeva discernere gli aspetti positivi del regime da quelli negativi, esprimerne le responsabilità, le forze e le debolezze. La piccolezza governativa a cui oggi siamo ridotti, la triste mancanza di profondità d’animo, la superficialità travestita a dovere per sembrare arte o cultura di spessore, la conoscenza reperita su Wikipedia, l’abitudine a vivere al di sopra delle proprie possibilità, sono facilmente riconoscibili nelle parole di Longanesi che mi sento in dovere di citare:

    "La miseria è ancora l'unica forza vitale del Paese e quel poco o molto che ancora regge è soltanto frutto della povertà. Bellezze dei luoghi, patrimoni artistici, antiche parlate, cucina paesana, virtù civiche e specialità artigiane sono custodite soltanto dalla miseria. [...] Perché il povero è di antica tradizione e vive in una miseria che ha antiche radici in secolari luoghi, mentre il ricco è di fresca data, improvvisato [...] La sua ricchezza è stata facile, di solito nata dall'imbroglio, da facili traffici, sempre o quasi, imitando qualcosa che è nato fuori di qui. Perciò quando l'Italia sarà sopraffatta dalla finta ricchezza che già dilaga, noi ci troveremo a vivere in un paese di cui non conosceremo più né il volto né l'anima."

    Io direi che l’ultima frase potremmo decisamente trasformarla al presente.

    Effetto alone

    Ci sono persone che hanno il potere di dar valore alle cose inutili. Persone che sanno presentare il nulla in modo da farlo apparire il tutto. Persone che sanno farsi credere di un certo spessore, di un certo livello, persone che hanno l’abilità di vendersi come fossero merce preziosa e invece non sono nulla se non aria fritta. Persone che danno valore alle cose futili, che sono capaci di rinunciare a se stesse (ammesso che sappiano chi sono…) per inseguire una qualunque cosa gratuita solo per il gusto di non doverla pagare, persone che sono in grado di mostrarsi erudite e preparate perché sono strafottenti e sfrontate. Il guaio è che il mondo in cui viviamo dà credito a questo tipo di persone, guarda con ammirazione gli scrocconi e con commiserazione chi ancora dà valore ai principi e prova a farcela senza sotterfugi.

    E poi ci sono persone nascoste, persone silenziose, discrete che custodiscono un sapere sconfinato, che hanno opinioni valevoli, che sanno discutere in ogni ambito ma che non sempre ritengono opportuno contrapporsi apertamente all’ostentazione e all’apparenza. E per questo sono spesso invisibili. Il vantaggio è che queste persone sono guardate con ammirazione esattamente da quelle di cui si parlava prima che, proprio per la loro capacità di dar lucore al nulla, sono consapevoli del valore reale del tutto legato a chi sa davvero, della sostanza delle idee basate sui sani principi e scrutano con riverenza ma a debita distanza le persone invisibilmente consce del proprio spessore ma per nulla interessate a sciorinarlo.

    E qui mi viene in mente un racconto di Gianrico Carofiglio in cui egli parla dell’effetto alone: L’effetto alone è una categoria sociologica che si può descrivere così: se una persona ha una qualità positiva molto evidente, questa influenza il modo in cui la persona è percepita dal prossimo."

    Ora, come qualità positiva ci si può sbizzarrire oggi: può essere positivo semplicemente saper accostare dei capi abbigliamento, o avere la capacità di parlare in modo saccente, o avere una peculiarità che rende unici come un particolare colore di capelli, o uno sguardo magnetico, o avere tanti soldi. Soprattutto questa è una caratteristica che viene considerata positiva e quanto mai degna di decoro. Questa qualità positiva è quella in assoluto più capace di far guadagnare rispetto alla gente che la possiede: è quasi come se il fatto di avere tanti soldi denoti un’innata capacità superiore dunque degna di ossequio e considerazione a prescindere. Sicuramente c’è tanta gente che i soldi se li è guadagnati con studio e lavoro e li merita, anche e soprattutto quando non li ostenta, sicuramente c’è tanta gente che li ha ereditati per stirpe o per lavoro dei propri antenati e sicuramente c’è gente che li possiede perché ha fatto qualcosa di illecito. La cosa che non sopporto è l’inevitabile riverenza che pare obbligatorio provare nei confronti di chi è ricco. Chi è ricco per suscitare rispetto deve anche essere colto, preparato, magnanimo e non deve ostentare.

    Io credo che la cultura e il sapere quando ci sono trasudino senza bisogno di cercare in tutti i modi di farli apparire.

    E poi ci sono le male interpretazioni che si estendono dalla cattiva comprensione di una frase, di un comportamento, di una intenzione, alla conseguente non chiarificazione necessaria a fugare un minuscolo dubbio che, come un tarlo, può arrivare a distruggere un’amicizia, una relazione, un qualunque rapporto. ma io pensavo che tu volessi… e allora non mi sono fatta sentire oppure io credevo che tu volessi stare sola e allora mi sono dileguato o ancora non avrei mai detto che quel tuo comportamento fosse indice di insicurezza, piuttosto il contrario. E potremmo continuare all’infinito. Quasi sempre una parola di traverso o una parola non detta, un’espressione del volto associata ad un pensiero, un gesto sconclusionato, un mal di pancia, una dimenticanza qualunque, possono provocare catastrofi inaspettate solo per la mancanza di un chiarimento che potrebbe consistere anche solo in una piccola parola.

    ... SORNIONE! (Daniele Silvestri) E allora non rispondo e sfodero il mio costante sorriso SORNIONE.

    L’importanza dei ritagli di tempo

    A volte la paura si presenta così, senza che nessuno l’abbia invitata. Tu stai tranquillamente vivendo la tua vita, quella a cui non pensi prima di viverla, quella che dai per scontato, quella in cui nascondi sotto il tappeto dei mille pensieri inutili, tutti i mostri che non vorresti vedere. E ci metti sopra il cielo di primavera, il calduccio che comincia a farsi strada nelle mattine di fine marzo, l’ora di luce in più del pomeriggio, le prospettive di incontri a breve termine, la possibilità di un cinema con un’amica, il libro che stai leggendo avidamente. Però. C’è sempre quel maledetto però. Quando proprio non ci stai pensando al punto tale che sembra che quel mostro indistinto non ci sia più, ecco che qualcosa te lo ricorda. Ed è anche molto strano che lo faccia una pagina sfogliata per caso in una rivista patinata di quelle che, proprio come i pensieri di cui sopra, apparentemente contengono solo corpi di donne bellissime e pubblicità di profumi o di gioielli, mentre invece nascondono una miriade di segreti non svelati, di racconti bellissimi, di storie di vita comune, quella vita spaventosa che non è, per fortuna/purtroppo, solo la tua. Hai già fatto abbastanza fatica a cercare di ricordare i particolari di quella zona della tua esistenza che vorresti tanto poter accantonare definitivamente ma che invece ormai è incastonata nel tuo cuore, per cui adesso quando ti trovi faccia a faccia con la realtà vista dagli altri (perché, diciamocelo, la realtà sembra vera soltanto quando la vediamo veramente guardando con gli occhi degli altri) diventa davvero difficile continuare a fare finta di niente. Eppure la tua tendenza a colorare tutto, a cercare sempre il lato buono nelle cose, oggi è stata aiutata -guarda caso sempre da una lettura fatta nella stessa rivista- da quello che ormai è diventato uno dei tuoi approdi di salvezza certa: Archivio General De Indias. Si chiama così, ne hai parlato già tante volte e sicuramente è una pagina molto conosciuta. Si trova sempre (o quasi) in quel punto della rivista (Vanity Fair n.d.a.) che si apre da solo, quello dove ci mettono quelle pubblicità dei profumi che hanno il foglio/cartoncino in modo che si distingua bene dalle altre pagine, quello che ti costringe ad aprirsi proprio lì per primo, in modo che non ti possa sfuggire. È la rubrica di uno dei tuoi maestri di vita, Alessandro Baricco che, con la sua decisione di archiviare ogni settimana una cosa da custodire come preziosa, allieta la tua (e sicuramente non solo la tua) giornata. Questa settimana in particolare ha chiamato (di nuovo) la pagina Colors. Questa pagina fa parte di quelle letture che ti lasciano sedimenti di detriti brillanti nell’anima, di quelli che devi custodire perché ti serviranno nei momenti di sconforto più cupo ma che, nel frattempo, nel momento esatto in cui li leggi, ti fanno ricordare di quanto possano essere utili e meravigliose quelle cose che ai più sembrano inutili. Le sfumature dei colori per esempio. Le sfumature dei colori che si possono trovare in natura pare siano intorno a 15.000 e questa settimana Baricco ha archiviato proprio la storia di quell’uomo, un certo René Oberthur, che nel 1899 durante una riunione dei crisantemisti (persone che coltivavano i crisantemi) alla quale aveva partecipato solo per la sua passione per il giardinaggio, visto che lui era un tipografo, si propose di cercare di risolvere un problema sollevato da alcuni presenti: l’incapacità di comprendere le varie sfumature di colore che i crisantemi potevano avere. Da questo proposito, dopo una lunga e attenta ricerca, nel 1905 venne fuori un libro pubblicato proprio dalla tipografia della famiglia Oberthur, dove si trovavano tutte le sfumature di colori che i fiori e le piante presenti sulla terra potevano avere: i rossi erano 41, i verdi 61 e così via. La cosa meravigliosa, a mio parere, sta proprio nel fatto che un uomo possa aver preso davvero a cuore l’idea di fare una ricerca di questo genere: classificare e dare un nome che potesse divenire universalmente (o quasi) noto di tutte le sfumature di colore presenti al mondo. Ora in un momento qualunque della giornata di una persona qualunque sulla faccia della terra, una persona che per esempio nello specifico fa l’operaio o il medico o l’avvocato o il commercialista o il barista o l’impiegato o lo spazzino o l’insegnate o l’attore… una persona qualunque, di qualsiasi estrazione sociale, penso che ti guarderebbe di traverso se in un momento preciso della sua giornata tu cominciassi a parlarle delle diverse sfumature di colori che ci sono in natura. Solleverebbe lo sguardo da ciò che è intento a fare per posarlo su di te guardandoti come se fossi un extraterrestre o una pazza isterica e poi scoppierebbe a riderti in faccia provando pietà per te che hai tempo da perdere a lambiccarti il cervello sulle miriadi di sfumature di colori che si possono incontrare. Però tu fai parte di quella schiera di persone che, come dice Baricco: "(…) quando la vita non concede, ci si vendica con l’arte, si sa." E tu ti vendichi praticamente ogni giorno. Con il libro che porti quotidianamente in borsa, con la musica che ascolti, con il riverbero del sole che vedi riflesso sul vetro che protegge un quadro, con un film che ti fa emozionare fino allo spasimo, con un panorama mozzafiato che fai di tutto per immortalare nella memoria. E potresti continuare all’infinito. Per far ben chiaro ciò che intendi citi ancora Baricco:

    "Siamo comunque gente molto strana. La cosa più utile da annotare (…) è che Oberthur e i suoi non solo fornirono i nomi di 365 colori, ma li tradussero in sei lingue (…) in modo che popoli diversi potessero ritrovarsi (…) al riparo da spiacevoli fraintendimenti. Non deve assolutamente sfuggirvi, vi prego, un dettaglio: la stessa civiltà che produsse nel 1905 quel libro spinse l’intera Europa, solo nove anni dopo, in una guerra che si sarebbe portata via, in un tempo analogo a quello che servì a Oberthur per fare il suo libro, qualcosa come 15 milioni di vite umane. Lo fece mettendo una contro l’altra persone che, all’occorrenza, potevano intendersi benissimo su microscopiche sfumature del colore di una petunia."

    Tutto questo non fa che riconfermare una mia convinzione: la vita è fatta di ritagli di tempo.

    Sono poche le persone che pensano, però tutte vogliono giudicare

    Re Federico il Grande

    La tragedia di Vasto: un uomo e una donna innamorati e un ragazzo spensierato. Un incidente. Le voci, le parole scritte, le manifestazioni. E la visione dai due punti di vista. Il marito di Roberta (Fabio) aveva ragione quindi ha fatto bene. Italo (il ragazzo omicida) non ha certo voluto uccidere intenzionalmente quindi era da capire e chissà come ha vissuto male da quel giorno. La solita storia: giudicare a distanza temporale, fisica e di emozione è sempre facile. Pretendere di sapere tutto, di avere la risposta o di dire io avrei fatto così è semplice. Arrogarsi il diritto di dire che aveva ragione uno o l’altro e difendere chi abbiamo scelto a spada tratta. Ma qui parliamo di sentimenti, progetti, emozioni, desideri, sogni infranti, colpe non espiate. Parliamo di persone vere. Chissà come si sentiva un ragazzo così giovane per aver partecipato ad una tragedia di tali proporzioni. E la strafottenza di cui parla l’avvocato difensore di Fabio magari è solo un mezzo per alleviare la pena di chi ha ucciso comunque guidato da una folle disperazione. Chissà come si sentiva, era un marito felice, da poco in attesa di un figlio, un marito che aveva una vita piena insieme ad una donna che amava, chissà come si sentiva ad avere improvvisamente perduto tutto senza poter fare nulla per evitarlo e, per quanto inavvertito e senza intenzione possa essere stato il gesto compiuto da Italo, comunque ha distrutto la realtà su cui contava tutta l’esistenza di Fabio. Nessuno ha torto. Nessuno ha ragione. Tutti hanno torto. Tutti hanno ragione. Però la verità non la sapremo di certo noi, a debita distanza mentre ascoltiamo le parole pronunciate attraverso gli schermi televisivi o quelle scritte dai giornali. Parole inevitabilmente viziate dall’opinione di chi le ha scritte o dette. Come tutto. Pretendiamo di conoscere nostra madre o i nostri figli come le nostre tasche. Ma a me capita spessissimo di infilare distrattamente una mano in tasca e trovarvi qualcosa che avevo completamente dimenticato o qualcosa che non sapevo potesse essere finita lì. Ecco. Non possiamo neppure dire di conoscere a fondo noi stessi, figuriamoci gli altri. Figuriamoci giudicare.

    E le vicende dei preti pedofili in Australia, i numeri esorbitanti di bambini abusati e i silenzi perpetrati per anni, in nome di cosa? La tendenza a giustificare in ambiti come la chiesa e la politica, mi fa orrore. I soldi per il golf nel decreto salva risparmio, per quanto operazione figurativa possa essere, così come la hanno poi giustificata, fa comunque spavento. Il grido soffocato delle persone colpite dal terremoto, non solo le ultime ma anche quelle che continuano a vivere nei prefabbricati da anni. Le colpe di tutto affibbiate ai soldi spesi per le trasmissioni televisive come Sanremo, i giudizi sulla De Filippi che invece di rifiutare il compenso avrebbe dovuto prenderlo e poi donarlo ai terremotati, i giudizi su Carlo Conti che invece ha detto che donerà interamente il suo compenso ai terremotati ma poi chissà se sarà vero, e Tiziano Ferro che canta Tenco e neppure dovrebbe permettersi di farlo perché non è capace, e troppi gay a Sanremo fanno propaganda e potrei continuare all’infinito. Qui al paese si dice "come la fai e fai, sbagli. E questo vale a tutte le latitudini. E la cosa più triste è che possiamo parlarne per tutto il tempo che vogliamo ma, parafrasando Noemi, sono solo parole. Non serviranno a cambiare nulla. E sebbene tante volte io abbia sottolineato il potere insito delle parole, il loro saper fare bene o fare malissimo, adesso sottolineo anche il loro essere effimere. Per quanto, come dice Mark Zuckerberg Quello che scriviamo in rete è scritto con la penna, non con la matita," ed è una sacrosanta verità visto tutto quello che succede quotidianamente parlando di cyberbullismo, di incitazioni alla violenza, di diffamazioni e chi più ne ha più ne metta, comunque le parole di denuncia, quelle che dovrebbero servire a ridimensionare gli animi, quelle che dovrebbero aiutare a capire che forse sarebbe il caso di smetterla di ergersi a giudici e cercare semplicemente di comprendere gli altri, sono parole che non hanno peso, parole che muoiono velocemente, parole che ripassano attraverso la testa come un vento leggero e che non lasciano traccia se non un vago ricordo.

    Mi rattrista leggere articoli che giudicano il mio idolo (Luciano Ligabue n.d.a.) tacciandolo di inutilità, mi intristiscono tante cose, tante storie, tanti pensieri. E so bene anche che queste mie parole rientrano nell’elenco di quelle che verranno (forse) lette e subito dimenticate. E allora vi lascio come sempre con le parole di una canzone di Fiorella Mannoia.

    "(…) A chi trova sé stesso nel proprio coraggio, a chi nasce ogni giorno e comincia il suo viaggio, a chi lotta da sempre e sopporta il dolore. Qui nessuno è diverso nessuno è migliore. A chi ha perso tutto e riparte da zero perché niente finisce quando vivi davvero, a chi resta da solo abbracciato al silenzio, a chi dona l’amore che ha dentro. Che sia benedetta, per quanto assurda e complessa ci sembri la vita è perfetta. Per quanto sembri incoerente e testarda se cadi ti aspetta. E siamo noi che dovremmo imparare a tenercela stretta, a tenersela stretta. Che sia benedetta".

    Se sono felice prima di morire lo farò anche dopo

    da Human

    Come tutte le cose, le migliori succedono per caso. E questa volta per caso, e in ritardo come capita sempre a me che vivo in differita, ho scoperto, a distanza di un anno, di questo film/documentario/opera d’arte o come preferite chiamarlo: Human del regista Yann Arthus-Bertrand un film finanziato contemporaneamente da due fondazioni no profit: la Bettencourt Schueller e la GoodPlanet. Il film è composto da 2.020 interviste raccolte in 60 Paesi. Una miriade di facce, espressioni, razze, emozioni, parole differenti che si mescolano. E poi

    esclusivi filmati aerei che alternano le storie, raccontate in prima persona davanti ad una macchina da presa. Uno straordinario affresco, che traccia un ritratto dell’umanità in cui ognuno di noi può riconoscersi. Le domande, che non si vedono né si sentono per tutta la durata del documentario, sono molto generiche e permettono agli intervistati di rispondere con grande libertà: "Qual è il significato della vitaQual è stata la prova più difficile che ha dovuto affrontare e che cosa ha imparato da essaQual è il suo messaggio per gli abitanti della Terra?"

    L’opera di Arthus Bertrand, fa parlare di temi molteplici come povertà, guerra, violenza privata, omofobia, amore, paura, felicità, dolore, pace interiore, diversità culturali, fuga. Le persone che si confrontano mostrano il pensiero di individui diversi, culture diverse con interventi brevi ma ben selezionati. Basta digitare Human su youtube e se ne può avere un’idea più precisa: facce che parlano ognuna nella propria lingua e accanto al volto sottotitoli per incidere le loro parole.

    Contro tutti i codici della cinematografia, senza una sceneggiatura prestabilita, Human pare si sia formato in corso d’opera. Un vero, autentico, intimo viaggio nel cuore dell’animo umano, intessuto di maestose vedute aeree da sogno.

    Con un orecchio rivolto al passato e un occhio verso il futuro, Human è un appello a tutti i cittadini del mondo. "Sono un uomo fra sette miliardi di altri uomini. Negli ultimi 40 anni ho fotografato il nostro pianeta e la diversità umana, e ho l’impressione che l’umanità non stia facendo alcun progresso – dichiara Arthus Bertrand –. Non sempre riusciamo a vivere insieme. Perché? Non ho cercato una risposta nelle statistiche o nelle analisi, ma nell’uomo stesso. Nei visi, negli sguardi e nelle parole trovo un potente mezzo per arrivare alle profondità dell’animo umano. Ad ogni incontro, ci si avvicina di un passo. Ogni storia è unica. Nell’esplorare le esperienze dell’Altro, ero in cerca di comprensione".

    Le storie sono tutte affascinanti, ma a me ha colpito soprattutto quella di Bruno. Per la sua pace, la sua semplicità. E allora lascio spazio alle sue parole che mi sono permessa di tradurre:

    Sono Bruno Lucio Dino Ferrato Hansen e vivo davvero in nessun posto, sono sempre giovane, per lo meno cerco di esserlo, ho sempre 39 anni. Non ho figli, sto andando in giro per il pianeta, scoprendo cose differenti, incontrando migliaia di persone, migliaia di vite diverse, dunque migliaia di persone diverse. Questo sono io. Prima di rimanere seduto in una sedia a rotelle, paralizzato, combattevo, ero cintura nera di karate, a volte ero abbastanza aggressivo non avevo paura di lottare. Spesso dicevo: ti spezzo in due. Molto ironicamente mi sono spezzato da solo in due. Forse quell’energia, quella negatività, quella forza proiettata all’esterno, torna sempre indietro su di noi in qualche modo. Forse. Credo di aver attratto quella situazione nella mia vita e mi sono spezzato in due. E la vita mi ha detto: Ok. Adesso impara. Perdere metà del mio corpo mi ha rafforzato ad equilibrare le altre aree della mia vita in un modo spirituale e mentale. Come essere umano che vive su questo pianeta, sento di essermi allenato per la MIA vita. Sono così forte mentalmente solo perché ho perduto le mie gambe fisicamente. La mia vista si è acuita, sento meglio. Questo da un punto di vista fisico. Mi sento fortunato perché non analizzo o non chiedo troppo alla vita. Posso percorrere la vita ed essere sempre nel posto giusto al momento giusto. Mi succedono cose fantastiche, sono fortunato per questo. Tutto ciò deriva dal credere nella fortuna, credere nel potere dell’attrazione del bene all’interno della propria vita e io credo che questa capacità possa essere definita fortuna. Perciò se ora Dio in persona venisse davanti a me e mi dicesse - ti ridò indietro le tue gambe ma ti tolgo tutto quello che hai imparato in tredici anni - io gli risponderei - tieniti pure le gambe. Perché attraversando il mondo in sedia a rotelle, ho imparato a vedere la vita in maniera diversa. Mi ha portato ad un livello spirituale, ad accettare e ad essere felice qualunque cosa succeda. Quando mi sono ritrovato ad essere paralizzato avevo una disabilità mentale. Dovevo venire a patti con qualcosa di fisico. L’oceano ha sistemato la mia parte mentale che mi ha permesso di accettare la limitazione fisica che ho, essere paralizzato, ma non mi ha impedito di sperimentare enormi quantità di gioia. Molta di più di quando camminavo o facevo surf sulle onde. Adesso quando surfo sulle onde come una tavola da surf, sono molto più felice di quanto lo fossi prima. Sono molto più felice quando sono nell’oceano di quanto non mi capitasse prima. Quanto questo possa avere un senso per il resto del mondo non lo so. Però mi ha guarito in senso fisico, spirituale ed emozionale. Ogni essere umano ha una disabilità di qualche genere. Può essere fisica, mentale, emozionale o spirituale. C’è qualche mancanza da qualche parte. Se non hai una qualche disabilità andrai alla deriva, lontano dal Pianeta Terra. Questa è la mia filosofia. Ognuno di noi è qui per imparare qualcosa, qualunque cosa quel qualcosa sia. E’ giusto che gli umani si rendano conto che siamo una gran quantità di casinisti, falliti, sbagliati, idioti alla fine della giornata. Non dobbiamo per forza essere perfetti, noi non siamo perfetti. E’ giusto commettere errori, inciampare sui nostri stessi piedi, nelle nostre stesse parole. Non dobbiamo essere dannatamente perfetti. Non lo saremo mai. Gli alberi non sono perfetti, sono tutti traballanti, storti. Non crescono dritti. Niente in natura è perfetto. Gli esseri umani si sforzano di essere perfetti, ma io non credo che la perfezione esista. Va bene avere una disabilità: affrontala qualunque essa sia. Mi sento fortunato ad avere una disabilità fisica, alla fine vengo alle prese con la mia disabilità mentale e spirituale, il pacchetto tutto intero. Ci sono momenti in cui mi sento libero e momenti in cui mi sento come un animale in gabbia. La mia personalità può ondeggiare fra queste due costrizioni. La libertà è in realtà una trappola. Molti esseri umani pensano di essere liberi ma la loro libertà è limitata. Sono stato molto più libero immobile in un letto di ospedale per sei mesi, con tubicini in tutto il mio corpo, quando la mia mente poteva vagare e trovare la libertà. Libertà è una parola strana: pensi di essere libero solo perché puoi passeggiare nel parco ma non è così. Non ho intenzione di farmi una famiglia. Non voglio bambini e non sento nessuna necessità di procreare. Sento che non è per me. Non sento nessuna necessità di lasciare qualcosa dopo di me. Quando morirò sarà finita e basta, non ci sarà più niente dopo di me. Lo vedo come una decisione karmica, forse un ciclo karmico. Le persone della mia famiglia sono fantastiche. Siamo una piccola famiglia ma io amo circondarmi di molte persone nel mondo considerandole la mia famiglia. Perciò i miei amici, a volte dei perfetti estranei mi sono stati vicini più che se fossero stati membri della mia famiglia. Mia madre e mio padre sono fantastici, sono molto fortunato per questo ma sono molto contento di essere l’ultimo della mia stirpe: una volta che me ne sarò andato non ci sarà nulla dopo di me.

    Ecco queste parole, il volto e gli occhi

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