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Il Codice di Santa Maria di Cluso: Una fonte preziosa su Cagliari e la Sardegna medioevale
Il Codice di Santa Maria di Cluso: Una fonte preziosa su Cagliari e la Sardegna medioevale
Il Codice di Santa Maria di Cluso: Una fonte preziosa su Cagliari e la Sardegna medioevale
E-book505 pagine4 ore

Il Codice di Santa Maria di Cluso: Una fonte preziosa su Cagliari e la Sardegna medioevale

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Info su questo ebook

Il codice di Santa Maria di Cluso è un prezioso manoscritto della prima metà del
XIII secolo prodotto dallo scriptorium della chiesa di Santa Maria di Cluso, ubicata
nel cuore della Cagliari medioevale, capitale dell’omonimo Stato giudicale. I suoi
contenuti spaziano dall’ecclesiologia alle istituzioni, dalla cultura alla politica,
ma su tutto svetta la testimonianza del grande progetto, voluto dall’Ecclesia Karalitana e dai giudici di Cagliari, di costruire un nuovo edificio di culto, la chiesa di Santa Maria di Cluso, così da esaltare la potenza e il prestigio di una metropoli di antichissima costituzione e dello stesso Giudicato. L’esame del codice, unito a quello delle fonti documentarie, archeologiche e urbanistiche, ci rivela l’organizzazione della Cagliari medioevale, caratterizzata da una spiccata cultura urbana, il cui apice venne raggiunto con la trasformazione dell’antico centro di Karalis nella nuova città di Santa Ilia. In essa vediamo muoversi i suoi governanti, i suoi chierici, ne riconosciamo i riti religiosi, i percorsi processionali. Emerge così il legame profondo tra il mondo giudicale sardo e la Sede Apostolica Romana, rinsaldato dalla costante azione di protezione esercitata dai pontefici e dai loro legati, i quali cercarono di contrastare la sempre più schiacciante potenza pisana
nell’isola.
LinguaItaliano
Data di uscita23 giu 2020
ISBN9788868512873
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    Anteprima del libro

    Il Codice di Santa Maria di Cluso - Corrado Zedda

    historica

    8

    corrado zedda

    Il codice

    di Santa Maria

    di Cluso

    Una fonte preziosa su Cagliari

    e la Sardegna medioevale

    © 2020 arkadia editore

    Collana Historica 8

    Prima edizione digitale giugno 2020

    isbn 978 88 68512 87 3

    arkadia editore

    09125 Cagliari – Viale Bonaria 98

    tel. 0706848663 – fax 0705436280

    www.arkadiaeditore.it

    info@arkadiaeditore.it

    Il codice di Santa Maria di Cluso

    A Rosa Maria

    Maria Chiara

    Stella Maria,

    Le mie tre Marie

    A Serenella ed Enrico

    Al loro coraggio

    In ricordo di Roberto Coroneo,

    Sandro Petrucci,

    Marco Tangheroni,

    Ugo Tucci,

    Padre Umberto Zucca

    Presentazione

    Maria Pia Alberzoni

    Le attente e appassionate indagini sulla storia della Sardegna e della Corsica in età medievale che Corrado Zedda da oltre un decennio sta conducendo hanno già offerto importanti contributi, ai quali si aggiunge ora il presente volume¹. In esso l’autore, a partire dall’esame di un manoscritto di grande rilevo per la storia della Sardegna medievale – il codice che prende il nome dalla chiesa cagliaritana di Santa Maria di Cluso dove esso fu prodotto – offre una sostanziale rivisitazione del medioevo cagliaritano. Il manoscritto non era ignoto ai ricercatori, ma esso non era ancora stato adeguatamente valorizzato in quanto fonte storica attestante la ferma volontà della Chiesa e del giudicato di Cagliari di mantenere un legame privilegiato con la Sede Apostolica, giacché essa costituiva l’unica forza in grado di contrastare le pressioni politiche pisane, particolarmente forti nei primi decenni del XIII secolo.

    Lo stesso Zedda puntualizza il valore della fonte qui considerata: «Con questo lavoro ho dunque inteso indagare la fonte puntando soprattutto sulla comprensione della sua unitarietà di fondo come oggetto di studio, nel desiderio di darne un’interpretazione quanto più articolata e globale possibile. Ciò consente di far emergere la valenza internazionale del Medioevo sardo che, organizzato istituzionalmente in quattro giudicati, fu un mondo molto più complesso e dinamico di quanto si ritiene comunemente; esso però risulta tuttora difficile da approcciare e approfondire anche per l’impostazione ideologica della storiografia, che fatica a riconoscere pienamente una capacità propositiva dell’Isola verso l’esterno».

    L’indagine prende dunque le mosse da un manoscritto di modeste dimensioni, paragonabile a un quaderno scolastico, miscellaneo e composto da testi di diverso genere: dagli statuti di un concilio provinciale della Chiesa sarda, tenutosi a Santa Giusta (Arborea) nel novembre del 1226, ad alcuni testi di carattere omiletico-penitenziale; dall’inventario degli oggetti liturgici conservati nella chiesa di S. Pietro de Piscatore e utilizzati nelle consacrazioni degli arcivescovi cagliaritani, alle formule dei loro giuramenti alla Sede Apostolica; da un carme celebrativo della edificazione della chiesa stessa alle lettere papali di Onorio III, soprattutto, e di Gregorio IX (i due papi durante il cui pontificato fu composto il codice di Cluso). Il lavoro volto a contestualizzare i testi e a proporne una lettura adeguata e consapevole delle più recenti acquisizioni storiografiche costituisce uno dei maggiori pregi di questo volume e, al tempo stesso, la sua novità e originalità.

    Zedda, infatti, dà prova di padroneggiare puntualmente e con acuta sensibilità sia le fonti sia la storiografia relativa al mondo tirrenico, in particolare quelle riguardanti la Sardegna e la Corsica nei loro rapporti con le città marinare, segnatamente con Pisa e Genova, nonché nel forte legame con il papato. Dall’XI secolo, infatti, la Sede Apostolica aveva sviluppato intense azioni diplomatiche per vedere riconosciuti i diritti che essa vantava sulle isole del Tirreno. È merito della recente storiografia l’aver richiamato l’attenzione sulle iniziative papali, volte a imporre un reale controllo sull’Isola grazie alla presenza di legati papali. Mi riferisco qui a lavori come quelli di Mauro Sanna, che hanno raccolto e pubblicato in veste critica la documentazione di Innocenzo III e di Onorio III per la Sardegna: è stato così messo a disposizione degli studiosi un ricco materiale utile non tanto e non solo per ricostruire la storia religiosa dell’Isola – come a un’osservazione superficiale si potrebbe pensare – ma anche per acquisire le fonti necessarie per lo studio della storia politica dei giudicati sardi.

    In particolare, per l’intrecciarsi della sua storia con quella del codice di Santa Maria di Cluso, viene qui considerato il giudicato di Cagliari nel periodo di debolezza che si verificò all’inizio del XIII secolo, a causa della forte pressione esercitata dal comune di Pisa, in accordo con la Chiesa di quella città che mirava a inglobare l’Isola nella propria provincia metropolitica. Il pisano Ubaldo Visconti, grazie a una politica matrimoniale decisamente favorevole alla sua città, riuscì a condizionare e indebolire il giudicato cagliaritano, allora governato dalla giudicessa Benedetta. Ella, infatti, dopo la morte del marito Barisone II d’Arborea prestò giuramento di fedeltà a Innocenzo III per potersi tutelare nei confronti dell’espansionismo pisano, ma ciò non fu sufficiente per scongiurare il matrimonio con Lamberto Visconti, già principe di Gallura e fratello di Ubaldo. Solo dopo la morte di costui, tra 1224 e 1226, la giudicessa fu in grado di recuperare il pieno controllo del suo giudicato e in quel periodo si affrettò a rinnovare nelle mani del legato apostolico Goffredo dei Prefetti il giuramento di fedeltà alla Chiesa romana – in questo caso a Onorio III –, unitamente alla promessa di corrispondere un censo annuo di 20 libbre d’argento.

    Lo strumento principale per assicurarsi un margine di autonomia da Pisa fu infatti il porsi sotto la protezione del papa, che a quel punto poté intervenire direttamente nella situazione sarda con l’invio di un legato, incaricato di garantire protezione alla giudicessa e di riorganizzare le istituzioni ecclesiastiche del giudicato cagliaritano. Merita di essere sottolineata la presenza, al fianco del legato Goffredo dei Prefetti, di un esponente di spicco della curia di Onorio III, il cardinale diacono di Santa Maria in Cosmedin Ranieri da Viterbo, noto per il suo impegno a sostegno della Sede Apostolica nel corso del lungo confronto con Federico II. La sua presenza in Sardegna in occasione del giuramento della giudicessa Benedetta era finora sfuggita all’attenzione degli storici e, come giustamente osserva Zedda, è un ulteriore dato che ribadisce la centralità del giudicato nella politica pontificia medioevale.

    Per procedere a una riforma delle istituzioni ecclesiastiche sarde, che rispondesse alle esigenze di maggior controllo da parte della Chiesa di Roma, nel novembre del 1226 a Santa Giusta in Arborea si riunì il sinodo provinciale, i cui atti furono trascritti nei primi fogli del codice di Cluso. Per la giudicessa Benedetta il rapporto privilegiato con la Chiesa romana costituiva dunque la garanzia per avere un proprio spazio di azione indipendente dal potere pisano².

    Come anche Zedda ricorda in apertura del libro, il codice di Santa Maria di Cluso, nella sua composita e apparentemente disorganica composizione, fu assemblato per conservare e trasmettere la memoria di una storia che traeva grandezza solo dal forte legame con la Sede Apostolica. È indubbio che la storia della Sardegna in età medievale presenti caratteristiche peculiari, in buona parte legate alla sua condizione geofisica, vale a dire al fatto di essere un’isola, di essere piuttosto distante dal continente e, soprattutto, di costituire un territorio indebolito dai contrasti interni e conteso tra le vicine e potenti città marinare di Genova e Pisa soprattutto, le cui pretese di controllo dovettero peraltro misurarsi con le rivendicazioni della Chiesa romana.

    Per questi motivi il materiale raccolto nel codice di Santa Maria di Cluso, lungi dall’essere disorganico, mira coerentemente a documentare i fondamenti della resistenza di Cagliari (con l’appoggio della sua Chiesa) alla dominazione pisana: all’origine della composizione del manoscritto Zedda individua dunque la volontà di dimostrare l’esistenza di uno spazio, che potremmo definire ecclesiastico, per affermare diritti dal nostro punto di vista ‘politici’.

    Da quanto fin qui messo in luce emergono alcuni dei pregi di questo lavoro.

    Innanzi tutto una rivisitazione della storia sarda in stretta comparazione con le vicende del continente e, soprattutto, con quelle di Pisa e di Genova nei primi decenni del XIII secolo. Si tratta di una scelta che consente di ridimensionare alcune letture eccessivamente tipizzanti, se non dichiaratamente ideologiche, di un’importante svolta politica del Medioevo sardo. In secondo luogo, dalla ricerca di Zedda emerge con prepotenza l’interesse della Sede Apostolica per il controllo delle coste laziali, ma anche del Tirreno, almeno per quella porzione che intercorre tra i porti del Lazio e le coste della Sardegna. Si trattava di un corridoio importante sia per i commerci sia per garantire spostamenti sicuri agli inviati papali, specialmente a quelli diretti verso Genova e i porti della Toscana, nonché a quelli che provenivano o si recavano in Provenza e nella penisola iberica. Il tentativo di controllare direttamente e non solo attraverso la struttura ecclesiastica la Sardegna era dunque sollecitato dalle mire universalistiche del papato duecentesco e dalle necessità a esso legate. La battaglia navale presso l’Isola del Giglio (1241) ben lo dimostra: le navi genovesi con a bordo numerosi prelati provenienti dai regni di Francia d’Inghilterra e di Germania, nonché dall’Italia settentrionale e diretti a Roma, dove Gregorio IX aveva convocato un concilio per deporre Federico II, furono intercettate dalla flotta pisana, comandata dal figlio di Federico, re Enzo, il quale grazie al matrimonio con Adelasia di Torres (1238) si intitolava re di Sardegna. I Pisani ebbero la meglio e catturarono almeno due cardinali e alcuni legati papali; l’apertura del concilio fu rinviata e poi addirittura sospesa, anche per la morte di Gregorio IX.

    Questo, come altri casi, mostrano quanto il controllo del Tirreno fosse divenuto una questione prioritaria per la Sede Apostolica. Ciò fu evidente quando nel 1244 Innocenzo IV per sfuggire al controllo di Federico II, con l’appoggio dei Genovesi suoi connazionali, si imbarcò a Gaeta e poté raggiungere Lione, dove nel 1245 convocò il concilio per proclamare la solenne scomunica e la deposizione dell’imperatore e dove si trattenne fino al 1251.

    Ho solo inteso richiamare l’attenzione su vicende note (o finora ignote) e su alcuni significativi spunti interpretativi che la lettura di questo volume offre. L’indagine di Zedda va oltre e riesce, per esempio, a proporre convincenti ipotesi in merito ai motivi che suggerirono la composizione del codice e all’autore dello stesso, individuato pur con la necessaria prudenza nell’arciprete di Santa Maria di Cluso Gontini Madellu, un ecclesiastico che alla metà del terzo decennio del Duecento svolse un ruolo di primo piano anche come amministratore del sistema ecclesiale giudicale cagliaritano. Non va poi dimenticata la cura che Corrado Zedda pone nell’edizione del Carme composto per celebrare la costruzione della chiesa di Cluso – la chiesa, consacrata nel 1212, non si è conservata –, mettendo in luce gli antecedenti letterari e teologici (laddove individuabili) che ispirarono quei versi.

    Certamente il lettore attento e interessato potrà cogliere altri tra i numerosi motivi di riflessione che qui non sono stati evidenziati, sia nella presentazione del codice sia nelle pagine con la sua edizione integrale, ricca di importante documentazione. Basti solo ribadire che, grazie a lavori filologicamente solidi e criticamente impostati, come quello di Corrado Zedda, si possono registrare progressi nella conoscenza della storia della Sardegna e dell’area tirrenica in età medievale, un ambito finora non considerato in tutte le potenzialità, ma che si rivela di notevole interesse per conoscere la storia non solo delle isole, ma anche delle città marinare.

    ¹ Richiamo qui alcuni dei numerosi contributi di Corrado Zedda, segnatamente quelli più vicini al tema del presente volume:

    Zedda C., Santoro G.

    , Orosei. Storia di una città medievale, Nuoro 1999;

    Zedda C.

    , Cagliari: un porto commerciale nel Mediterraneo del Quattrocento, Roma 2001 (Mediterranea, 2);

    Id

    ., Le città della Gallura medioevale. Commercio. Società e istituzioni, Cagliari 2003;

    Id

    ., L’ultima illusione mediterranea: il comune di Pisa, il regno di Gallura e la Sardegna nell’età di Dante, Cagliari 2006 (Quaderni di Agorà, 4);

    Id (

    con

    Pinna R.)

    ., La Carta del giudice cagliaritano Orzocco Torchitorio, prova dell’attuazione del progetto gregoriano di riorganizzazione della giurisdizione ecclesiastica della Sardegna, Sassari 2009 (Collana dell’Archivio storico e giuridico sardo di Sassari, 10):

    Id

    ., Dynamiques politiques dans la mer Thyrénienne du XIe au XIIe siècle. Le rôle de la Sardigne et de la Corse dans l’espace sous tutelle pontificale, Thèse doctorale, Université de Corse 2015;

    Id

    ., Il giudicato di Cagliari: storia, società, evoluzione e crisi di un regno sardo, Cagliari 2017 (Arkadia, Historica paperbacks, 17).

    ² Onorio III e la Sardegna (1216-1227), a cura di

    Sanna M.G.

    , Cagliari 2013 (Centro di Studi filologici sardi / CUEC), pp. 168-191 riporta le lettere papali indirizzate a Benedetta, nonché il suo giuramento di fedeltà alla Chiesa romana e gli atti del sinodo provinciale di Santa Giusta.

    Introduzione

    Il codice di Santa Maria di Cluso, prodotto dello scriptorium della chiesa di Santa Maria di Cluso in Cagliari, è un testo fondamentale per la conoscenza della Sardegna medioevale. Nonostante ciò è stato utilizzato finora per indagare solamente alcuni aspetti particolari che esso propone, senza correlarli fra loro, fornendo di conseguenza sempre un’immagine frammentata e poco chiara della società che produsse tale fonte.

    Non a caso il nome con il quale è correntemente indicato il nostro testo è quello di Codice di Santa Giusta, che assegna agli statuti conciliari di Santa Giusta, del 1226, in esso contenuti, il ruolo di composizione principale dell’intera opera, riducendo gli altri testi a un semplice contorno, quasi che fossero stati scritti in modo estemporaneo per riempire le pagine di un quaderno.

    La posizione di esordio degli statuti non è però fuorviante, perché essi furono la molla che spinse i chierici della chiesa di Santa Maria di Cluso a realizzare il vero e proprio codice, pensato come un percorso coerente, all’interno del quale gli altri contenuti – le epistole pontificie, i componimenti poetici, gli inni sacri, gli inventari delle antiche chiese cagliaritane e così via – assumono un ruolo fondamentale nel creare l’unitarietà della composizione.

    Tuttavia, non essendo stato compreso questo intento unitario, il nostro codice è stato di fatto trascurato o poco valorizzato, lasciando sul campo numerosi temi ancora aperti e tutti da esplorare relativi al Medioevo giudicale, nelle sue istituzioni, nella sua società, nei suoi aspetti culturali, nei fondamentali rapporti fra potere laico e potere ecclesiastico.

    Con questo lavoro ho dunque inteso indagare la fonte puntando soprattutto sulla comprensione della sua unitarietà di fondo come oggetto di studio, nel desiderio di darne un’interpretazione quanto più articolata e globale possibile. Ciò consente di far emergere la valenza internazionale del Medioevo sardo che, organizzato istituzionalmente in quattro giudicati, fu un mondo molto più complesso e dinamico di quanto si ritiene comunemente; esso però risulta tuttora difficile da approcciare e approfondire anche per l’impostazione ideologica della storiografia, che fatica a riconoscere pienamente una capacità propositiva dell’Isola verso l’esterno.

    In questo senso, i progressi storiografici che si potranno raggiungere in futuro dovranno a mio avviso passare per un efficace uso della comparazione fra realtà differenti, che permetta di cogliere meglio la reale natura di fenomeni sociali o esiti politici particolari che spesso si vogliono o si intendono figli di una specialità della Sardegna.

    Per comprendere meglio l’importanza dei giudicati sardi nel mondo cristiano medioevale, per esempio, credo che sia più opportuno valorizzare la condizione di province ecclesiastiche metropolitane vigente in ben tre giudicati su quattro (Cagliari, Torres e Arborea) quale fonte di prestigio e legittimazione internazionale.

    Meno utile, invece, insistere su princìpi quali la statualità dei giudicati o la presunta regalità dei giudici, temi che, pur possedendo un certo interesse, con la loro proposizione rigida, quasi dogmatica, hanno rallentato più che aiutato il processo di comprensione delle peculiarità isolane.

    L’inserimento del territorio sardo nel dibattito sulla riforma gregoriana e la Libertas Ecclesiae, è stato il primo passo verso il ricollocamento della Sardegna giudicale in un contesto storico (e ideologico) più corretto, fortemente interconnesso, fatto di realtà ricche di ramificazioni e saperi base che univano fra loro luoghi con storie e culture talvolta molto diverse, ma omogenee nei loro princìpi generali. Tali princìpi erano basati su un comune sentire e sul comune riconoscimento di un’autorità morale e religiosa, capace di orientare anche le politiche e le azioni dei signori laici di quella che ancora non era l’Europa come oggi la conosciamo, ma che ne accoglieva le tanto discusse radici cristiane; un valore chiave, quello della Christianitas, non sempre facile da comprendere nella società odierna, più attenta a ricercare le radici economiche, istituzionali, talvolta etniche del Vecchio Continente. Ma la Chiesa fu la vera spina dorsale dell’Europa medioevale, la bussola che ne regolava la vita quotidiana, le istituzioni, i rapporti di potere.

    I temi della Libertas, dei rapporti fra Chiesa e signori laici, della profonda interconnessione fra culture, emergono in tutta la loro complessità dalle pagine del codice di Santa Maria di Cluso. Il codice, un quaderno poco più grande di quelli che i ragazzi usano abitualmente a scuola, raccoglie materiale eterogeneo nei contenuti, ma legato a un filo comune, individuabile nella volontà di confermare la totale vicinanza fra l’arcidiocesi di Cagliari (l’Ecclesia Karalitana) e la Sede Apostolica, così da opporre una più solida resistenza alla politica di prevaricazione e sottrazione dei suoi possedimenti attuata dal Comune di Pisa che, a partire dal 1216, aveva invaso il giudicato cagliaritano e mirava all’annientamento dell’intero sistema giudicale.

    Oggetto di questo studio è la lettura interpretativa dei documenti del codice di Santa Maria di Cluso, capace di far emergere, insieme alla visione del mondo dei chierici cagliaritani, anche il loro intento di legare i diversi testi letterari contenuti nel codice, sacri, retorici e meditativi, insieme alle epistole pontificie, intercalandoli fra loro analogamente a quanto conosciuto per altre opere più note. Per i membri dell’Ecclesia Karalitana ciò significava raccontare la storia recente della loro istituzione e rafforzarne la memoria storica, uno degli obiettivi fondamentali per qualsiasi canonico o chierico di una chiesa medioevale.

    I contenuti del codice spaziano dalla dottrina alla politica, dalle istituzioni ecclesiastiche alla Scolastica. Fra essi riconosciamo la testimonianza del progetto, voluto dall’Ecclesia Karalitana e dai giudici di Cagliari, di costruire un nuovo edificio di culto, Santa Maria di Cluso, che si affiancasse alla cattedrale di Santa Cecilia, così da esaltare la potenza e il prestigio di una metropoli di antichissima costituzione e dello stesso giudicato.

    Infatti, la nuova chiesa, che dovette essere organizzata nei modi di una collegiata, era dotata di uno scriptorium e di personale, risorse e strumenti utili alla preparazione del clero diocesano e alla diffusione di testi sacri e letterari. Insomma, si trattava di una grande costruzione architettonica ed ecclesiologica allo stesso tempo e la redazione del codice di Cluso è la testimonianza di quel progetto e di quei saperi che lo avevano concepito.

    L’esame del codice è stato eseguito accostandolo a quello di numerose fonti documentarie, archeologiche, urbanistiche e territoriali. L’incrocio dei dati provenienti da queste diverse fonti ci rivela, fra le altre cose, anche l’organizzazione della Cagliari medioevale, caratterizzata da una spiccata cultura urbana, il cui apice venne raggiunto con la trasformazione dell’antico centro di Karalis nella nuova città di Santa Ilia. In essa vediamo muoversi i suoi governanti, i suoi chierici, ne riconosciamo i riti religiosi, i percorsi processionali.

    Quello che alla fine emerge è il legame profondo tra il mondo giudicale sardo e la Sede Apostolica romana, rinsaldato dalla costante azione di protezione esercitata dai pontefici e dai loro legati, i quali cercarono di contrastare la sempre più schiacciante potenza pisana.

    Il codice di Santa Maria di Cluso, insomma, è come una splendida finestra spalancata sulla Sardegna giudicale ma, allo stesso tempo, è la visione e testimonianza di un mondo in crisi, proposta da un punto di osservazione particolare, quello di un gruppo di religiosi assediati da forze che volevano sovvertire un ordine nel quale essi riponevano totale fiducia, ritenendolo l’unico possibile, in quanto voluto e creato da Dio.

    * * *

    Questo libro prevede una lunga lista di ringraziamenti, tutti doverosi, ma soprattutto piacevoli da esternare.

    Innanzitutto desidero ringraziare la casa editrice Arkadia, con la quale sono giunto a pubblicare il mio terzo lavoro in tre anni, segno di una stima e fiducia reciproca che si sono consolidate nel tempo. In particolare ringrazio l’editore, Riccardo Mostallino Murgia, per aver voluto affrontare con buona dose di incoscienza un’avventura editoriale rischiosissima, specialmente in un periodo incerto come quello attuale. Quindi l’amico e collega Gabriele Colombini che, seppur da lontano, continua a seguire con passione il mio lavoro.

    Non posso che sottolineare la splendida collaborazione fornitami dalla Biblioteca Universitaria di Cagliari in questi anni di lavoro, a partire dalla direttrice, Ersilia Bussalai, passando per le bibliotecarie, il personale del servizio di fotoriproduzione, le assistenti e gli assistenti di sala: tutti loro mi hanno supportato nelle fasi di consultazione del codice e in quelle per la ricerca della sua migliore riproduzione fotografica.

    Maria Pia Alberzoni, professore ordinario di Storia Medievale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha creduto profondamente nel mio lavoro sostenendolo concretamente e mostrando nei miei confronti serietà e attenzione come di rado ho riscontrato nella mia esperienza di ricercatore. Il suo apporto nello studio dell’attività dei legati pontifici è stato per me preziosissimo.

    Al suo fianco, altrettanto prezioso è stato Alfredo Lucioni, professore associato di Storia Medievale sempre dell’Università Cattolica, il quale mi ha fornito costantemente un cordiale e amichevole sostegno, oltre che importanti suggerimenti bibliografici relativi alla riforma della Chiesa e al Papato di fine XII secolo.

    Marco Petoletti, altro stimato docente dell’Università Cattolica, professore ordinario di Letteratura Latina Medievale, ha letto le parti relative ai testi letterari del codice, concentrandosi particolarmente sull’edizione del carme celebrativo per la fondazione della chiesa di Santa Maria di Cluso. Oltre a questo, mi ha fornito anche lui fondamentali riferimenti bibliografici su un tema per il quale non sono certo la persona più competente.

    Per quanto riguarda gli aspetti archeologici e territoriali sono debitore verso altri colleghi e amici.

    Donatella Mureddu, archeologa e Direttrice del Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, ha gentilmente letto e verificato quanto ho scritto sulla storia archeologica del territorio cagliaritano, mostrando sempre interesse e apertura verso quanto scrivo.

    Marco Cadinu, professore associato di Storia dell’Architettura della facoltà di Architettura dell’Università di Cagliari, ha concretamente sostenuto le mie ricerche in un momento in cui tutte le porte mi si chiudevano davanti nella città in cui avevo iniziato a formarmi. Il suo ruolo nella mia crescita professionale è stato determinante.

    Raimondo Pinna è il mio primo lettore, collaboratore da quindici anni e soprattutto amico fidato. Ancora una volta abbiamo discusso a lungo, rivisto le diverse sezioni del mio lavoro, con particolare attenzione per gli aspetti formali e di coerenza interna.

    Altro amico fidato da tantissimi anni è Carlo Patricolo che, come al solito, ha letto con scrupolosa attenzione quanto scrivevo, proponendomi via via osservazioni e spunti di approfondimento sempre interessanti.

    Un amico col quale è sempre bello confrontarsi e scambiarsi le diverse opinioni è Andrea Puglia, il quale ha fornito un contributo importante per lo studio dei rapporti fra il giudice Guglielmo di Cagliari e i suoi antagonisti pisani nel XII-XIII secolo.

    Ancora, non posso dimenticare Nicoletta Usai e Claudio Nonne, per le aperte e amichevoli discussioni, affrontate durante le pause dei convegni o in qualche pittoresca trattoria romana, su un tema che ci coinvolge e appassiona tutti.

    L’Università di Corsica e il professor Jean-André Cancellieri, ora professore emerito, hanno avuto un ruolo fondamentale in questi ultimi anni, dato che mi hanno permesso di proseguire la mia esperienza di ricercatore con la dovuta tranquillità, senza gli assilli di chi deve far quadrare professione, ricerca scientifica e necessità familiari. Li ringrazio di vero cuore, sapendo che la nostra collaborazione sta diventando sempre più fruttuosa per tutti.

    Ringrazio ancora il personale dell’Archivio Segreto Vaticano e della Biblioteca Apostolica Vaticana, per l’aiuto e l’assistenza prestatimi in anni di ricerche archivistiche e bibliografiche.

    Un grande ringraziamento va agli Archives Départementales di Marsiglia e al personale tutto, per la gentile e premurosa assistenza datemi nell’esaminare i documenti relativi ai rapporti fra l’abbazia di San Vittore e la Sardegna.

    Un particolare ringraziamento va poi all’Archivio Diocesano di Cagliari, al suo ex direttore, monsignor Tonino Cabizzosu e al suo personale, per la splendida collaborazione nello studio delle Carte Volgari Cagliaritane e dei loro sigilli.

    E infine Rosa, Maria Chiara e Stella, senza le quali niente potrei. La nostra è una continua e splendida avventura.

    Corrado Zedda

    1.

    Il codice di Santa Maria di Cluso e la sua composizione

    Il codice di Santa Maria di Cluso, manoscritto membranaceo del XIII secolo, entrato in possesso della Biblioteca Universitaria di Cagliari nel 1843, grazie alla donazione testamentaria del cavaliere Ludovico Baille (1764-1839)³, proviene da uno degli scriptoria dell’Ecclesia Karalitana dell’età giudicale (secoli XI-XIII)⁴, precisamente dallo scriptorium della chiesa di Santa Maria di Cluso, consacrata nel 1212 e oggi non più esistente.

    Il manoscritto (circa mm. 182 x 127) comprende testi di varia tipologia e provenienza, assemblati in più fascicoli⁵. Tale assemblaggio dovette avvenire dopo il 1228-1229 come è deducibile da una serie di dati estrapolabili dai contenuti del codice stesso⁶. I materiali, infatti, vanno dal carme celebrativo per la consacrazione della chiesa di Santa Maria di Cluso (1212), alla lettera di papa Onorio III con la quale annuncia alla Cristianità la sua elezione al soglio pontificio (1216), agli interventi dello stesso Onorio nelle questioni sarde – fra queste la consacrazione del nuovo arcivescovo di Cagliari, Mariano (1219-1220) e la scelta del nuovo metropolita arborense, Torgotorio (1223) –, al concilio provinciale di Santa Giusta (1226), a una lettera di papa

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