Cicytella, Ardo e il Natale di Felle
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Info su questo ebook
Fra monti sconfinati, piccoli villaggi in cui ogni tappa è un’insidia e una prova, e un focolare sicuro, attorno al quale sedersi e raccontarsi leggende, si snodano le vicende dei piccoli protagonisti nati dalla penna di Grazia Deledda.
In questi tre racconti c’è molto dell’infanzia dell’autrice nuorese: i paesaggi sardi che tanto amò, le storie che lei stessa sentiva narrare e i valori di un mondo ormai lontano ma che non smette mai di incantare.
Età: dai dieci anni in su.
Grazia Deledda
Grazia Deledda (Nuoro, Cerdeña, 1871 - Roma, 1936). Novelista italiana perteneciente al movimiento naturalista. Después de haber realizado sus estudios de educación primaria, recibió clases particulares de un profesor huésped de un familiar suyo, ya que las costumbres de la época no permitían que las jóvenes recibieran una instrucción que fuera más allá de la escuela primaria. Posteriormente, profundizó como autodidacta sus estudios literarios. Desde su matrimonio, vivió en Roma. Escritora prolífica, produjo muchas novelas y narraciones cortas que evocan la dureza de la vida y los conflictos emocionales de los habitantes de su isla natal. La narrativa de Grazia Deledda se basa en vivencias poderosas de amor, de dolor y de muerte sobre las que planea el sentido del pecado, de la culpa, y la conciencia de una inevitable fatalidad. Sus principales obras son Elías Portolu, La madre y Cósima. En 1926 recibió el Premio Nobel de Literatura.
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Anteprima del libro
Cicytella, Ardo e il Natale di Felle - Grazia Deledda
Grazia Deledda
Cicytella, Ardo
e il Natale di Felle
a cura di Chiara Livretti
illustrazioni di Eva Rasano
ISBN 978-88-7356-910-7
Condaghes
Indice
Una ragazza disobbediente
Premessa
Cicytella, Ardo e il Natale di Felle
Cicytella
Ardo
Il Natale di Felle
L'Autrice
L'Illustratrice
La collana Il Trenino verde
Colophon
Una ragazza disobbediente
Grazia Deledda fu una ragazza disobbediente. Quando a tredici anni espresse il suo desiderio di diventare una scrittrice, la sua famiglia si oppose. Erano gli ultimi decenni del 1800 e scrivere non era un’occupazione da donne. La giovane Grazia avrebbe dovuto poggiare la penna e dedicarsi magari a ricamare. E qualcosa, in effetti, ricamò: storie. All’inizio di nascosto, poi sfidando la sua famiglia e il paese intero, Nuoro, che non vedeva di buon occhio questa sua figlia un po’ eccentrica.
L’istruzione superiore era consentita solo ai ragazzi, così, dopo la quarta elementare, la Deledda continuò a studiare in privato e a leggere molti libri, tutti quelli che trovò nella biblioteca dello zio paterno. E poi si dedicò a scrivere, scrivere, perché proprio non poteva farne a meno. Dovette esercitarsi molto perché l’italiano era la sua seconda lingua. L’Italia era unita da pochi decenni e in famiglia, ovunque, si parlava solo il sardo.
Storie da raccontare ne aveva tante, come ci dice nella premessa di queste tre novelle. I contos de foghìle, i racconti che si narravano attorno al focolare, facevano parte della sua vita e della sua cultura. La Sardegna era ed è una terra ricca di leggende, esseri mitici, tesori nascosti. E quasi alla fine dell’Ottocento il tempo si trascorreva così, a tramandarsi storie. Erano soprattutto gli anziani a farlo, e i più giovani, in silenzio, ascoltavano con rispetto le storie che un giorno avrebbero a loro volta raccontato. Non solo vicende misteriose, intriganti, ma anche fatti realmente accaduti che trasmettevano saperi e valori senza tempo.
Abituata a queste narrazioni, fu naturale per la Deledda cominciare a scrivere storie brevi, novelle. Non solo per esercitarsi nella scrittura, ma perché era una forma che amava e che non abbandonò mai, pur essendo nota soprattutto per i suoi romanzi. Scrisse quasi venti raccolte di novelle, e molti altri racconti li possiamo trovare nelle numerose riviste a cui collaborò. Trattò tantissimi temi, l’amore ma anche l’odio, la giustizia e la salvezza.
Sebbene scritti in italiano, ritroviamo delle espressioni e delle parole in sardo, che l’autrice stessa evidenziava in corsivo e che si premurava di tradurre (oggi quanti di voi avrebbero capito?). Ambiva infatti ad avere un pubblico di lettori da tutta l’Italia, a cui far conoscere la ricca cultura della Sardegna.
Le prime novelle, Cicytella e Ardo, fanno parte della raccolta Nell’Azzurro (1890), dedicata a un giovane pubblico.Cicytella è una bambina misteriosa: abbandonata ancora in fasce in un bosco della Sardegna, viene trovata da un pastore che, invano, cerca i suoi genitori per tutta l’isola. Così zio Bastiano, che sempre ha vissuto solo, la accoglie come una figlia e la educa come meglio può. Bella e fiera, Cicytella riesce in tutto ciò che fa: cucina, accudisce il gregge, sa cucire e suonare le launeddas. Sopra ogni cosa, ama la sua terra, e per niente al mondo abbandonerebbe i monti in cui è cresciuta. Ma un giorno, quando ha dodici anni, nella sua tanca arriva un tormentato pittore romano. La vita di Cicytella cambierà per sempre e lei si troverà a dover prendere importanti decisioni…
Usanze, tradizioni, profumi e colori della macchia mediterranea si fondono a valori come quello dell’accoglienza e dell’ospitalità. Dei saperi che Cicytella non avrebbe forse potuto apprendere in nessuna scuola. Eppure questa bambina, proprio come la giovane Deledda, sente di volere qualcosa di più di questa vita silvana, agreste, a cui resterà comunque sempre grata.
La decisione di Grazia Deledda di trasgredire il divieto di scrivere fu una scelta coraggiosa, portata avanti per difendere un sogno e una grande vocazione. Ma se la disobbedienza è dettata da ragioni meno nobili, capita, come al protagonista della seconda novella, di doversela vedere con i peggiori incubi. In un piccolo centro della Gallura, Ardo viene incaricato dal padre di andare a comprare una forma di cacio nel villaggio vicino. Nonostante le raccomandazioni di fare presto, decide di trattenersi con i suoi amici. Così, neanche se ne accorge ed è già tramontato il sole. Mentre iniziano a cadere le prime gocce di pioggia, si incammina verso casa. La notte è scura, tempestosa, e Ardo si perde ed è costretto a chiedere ospitalità a delle strane donne raccolte attorno al fuoco in una casetta solitaria. Non tutto sarà salvo, ma Ardo riuscirà a sfuggire alle grinfie delle quattro streghe. Questa è solo la prima delle disavventure che lo vedranno protagonista di una terribile notte, fatta di tesori nascosti, tombe profanate, ladri e banditi. Dapprincipio ingenuo, dal tramonto all’alba intraprenderà un vero viaggio di crescita.
Dopo i paesaggi sconfinati e selvaggi di Cicytella e gli istatzos tra cui corre Ardo, la Deledda ci porta in uno spazio raccolto e sicuro: il cortile che condividono i protagonisti dell’ultimo racconto, Il Natale di Felle.
La novella appartiene a una raccolta, Il dono di Natale, pubblicata molti anni dopo in Nell’azzurro. Siamo nel 1930, Grazia Deledda vive a Roma e qualche anno prima (nel 1926) ha vinto il Nobel per la letteratura, il premio più prestigioso per uno scrittore. Ma non ha dimenticato affatto la Sardegna, sempre al centro delle sue opere. Ce la tramanda ancora attraverso racconti dal significato profondo che arrivano dalla sua infanzia e si muovono sempre tra fiaba e leggenda.
È la vigilia di Natale e Felle sta per festeggiare con i suoi fratelli il fidanzamento della sorella con un ricco pastore. Nella casa a fianco, la sua amica Lia, appartenente a una famiglia più povera, aspetta con ansia e trepidazione un dono che arriverà quella stessa notte, un dono misterioso di cui non vuole dire niente a Felle.
Adesso ci troviamo veramente attorno al focolare che, nella Nuoro di fine Ottocento, significava famiglia e rispetto di profondi valori. Felle e i suoi fratelli si stringono attorno alla loro unica sorella, come a volerla proteggere; il nonno occupa il posto migliore vicino al fuoco, e quando è giunta l’ora della messa, guida con autorità i ragazzi in chiesa.
Una magica atmosfera pervade il paese incantato sotto la neve, nelle vie i profumi tipici del porchetto arrosto e dei dolcetti di mandorle. E non manca un pensiero per l’anima di chi non c’è più, con un piatto di carne e del vino cotto lasciati nel cortile.
Felle consuma la sua cena di Natale, ride di gioia. Al contrario di Ardo, che si è trovato a dover fronteggiare diversi pericoli tutto solo, può contare sull’affetto e il calore della sua casa e della sua famiglia. Ma la sua gioia non è totale, non riesce a non pensare all’amica che nella casa a fianco è in pena per il dono che tarda ad arrivare. Così attraversa il cortile e si reca da Lia per scoprire finalmente cosa giungerà a mezzanotte.
L’ultimo racconto è una riflessione sul valore del dono, su ciò che si dà per il puro piacere di dare, perché la felicità non è autentica se non è condivisa. Una storia di un mondo contadino semplice e povero che si arricchisce però di grandi gesti di generosità.
Da Nuoro a Roma, la