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Come neve sugli scogli
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E-book190 pagine2 ore

Come neve sugli scogli

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Info su questo ebook

1928. Il transatlantico "Duilio" parte da Genova in direzione di Buenos Aires portando con sé i sogni e le speranze dei Conti Oldoini e di un orfano, il piccolo Luigi. Febbraio 1945. Sedici anni dopo quel fanciullo, ormai ragazzo, affronta il viaggio più importante della sua vita seduto su un treno che, dal ghetto-lager di Theresienstad, lo condurrà verso il suo incerto destino. Un romanzo coinvolgente dedicato a tutti quei bambini che, nella vita, hanno dovuto soffrire molto per diventare grandi e a quelli che, nonostante quell'immenso dolore, non ci sono mai riusciti.
LinguaItaliano
EditorePubMe
Data di uscita8 giu 2017
ISBN9788871631691
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    Anteprima del libro

    Come neve sugli scogli - Annarita Pizzo

    riusciti.

    Parte Prima

    Capitolo 1

    Una leggera brezza le accarezzava i lunghi capelli biondi, mentre, con lo sguardo, scrutava quell’immenso oceano che si perdeva davanti ai suoi occhi.

    Il sole caldo di quel tardo pomeriggio di Gennaio le avvolgeva il volto, come le tenere mani di una madre, e le infondeva una pace che non aveva mai provato prima.

    Stretta nel suo lungo abito color crema, in seta e pizzo, con uno scialle rosa che le cadeva distrattamente sulle spalle, Adelasia se ne stava seduta su una comoda poltroncina della passeggiata privata, allestita a veranda, del primo tra i quattordici appartamenti di lusso del transatlantico Duilio partito da Genova con destinazione Buenos Aires.

    Se ne stava lì a fissare distrattamente un punto indefinito e a respirare l’aria salmastra, riflettendo su quanto quei due mesi di viaggio fossero trascorsi velocemente e su come, nel suo cuore, fosse ancora vivo il ricordo della partenza dal porto dell’amata città con la lanterna, in cui era cresciuta e aveva vissuto i momenti più belli della sua giovane vita.

    Di buon grado, infatti, aveva accettato di accompagnare il marito Edoardo, di vent’anni più vecchio, in quello che doveva essere l’ultimo dei suoi viaggi d’affari; dopo aver ottenuto da lui la solenne promessa che, al ritorno, si sarebbe dedicato esclusivamente alla loro vita insieme e alla creazione di una vera famiglia, quella che le era sempre mancata e a cui agognava più di ogni altra cosa al mondo.

    Era, infatti, rimasta orfana a tre anni, per la morte prematura dei ricchi genitori, ed era stata allevata, come una figlia, dall’unica anziana zia ancora in vita, e dalla sua governante, la signora Duina, che, per lei, era come una madre.

    Quel pensiero consolatore albergava nel suo sguardo profondo, perso nell’azzurro di quel mare che aveva sempre amato e che, ora, le sembrava solo una distesa desolante perché la separava dalla sua città natale e dalla nuova vita che l’avrebbe aspettata lì, una volta ritornata a casa.

    Sei troppo malinconica le diceva sempre il marito e lei stessa sentiva tutta la veridicità di quelle parole che la ferivano come una lama appuntita: era un po’ come se racchiudessero tutta la fragilità dei suoi vent’anni e tutto il dolore per la salute cagionevole che l’accompagnava, amica fedele, da quando era bambina e che le aveva impedito di avere figli.

    Una verità crudele che aveva scoperto due anni prima, in quello stesso periodo dell’anno: solo che, allora, sapeva ancora cosa fosse la speranza, poi la visita dal dottor Edgar Smith, uno dei ginecologi più conosciuti in Europa, ultima di mille altre, che le aveva dato il medesimo verdetto senza appello segnandole l’anima per sempre.

    Sono molto dispiaciuto di dovervi comunicare che voi e vostro marito non potrete avere prole. Purtroppo siete troppo cagionevole di salute, a causa di una nefrite cronica che vi ha danneggiato anche il cuore, e soffrite di una malformazione chiamata ipoplasia uterina, più comunemente conosciuta come utero infantile…

    Stranamente si ricordava solo di quelle parole e poco dell’immagine di quell’uomo, che non sapeva nulla di lei e della sua vita, mentre la guardava dritta negli occhi, senza accennare alcuna espressione, come se fosse abituato ad affrontare simili situazioni o semplicemente avesse imparato a schermarsi dal dolore degli altri. Le aveva comunicato l’esito degli esami con voce metallica, portandole via la giovinezza con il suo carico di sogni ed aspettative.

    Anche Edoardo lo aveva ascoltato impietrito perché, sino all’ultimo, aveva sperato in un erede per il suo immenso patrimonio e aveva anche sposato una donna più giovane che amava e in cui aveva riposto ogni speranza.

    Quelle terribili parole gli avevano spezzato il cuore, facendolo sentire l’uomo più povero del mondo nonostante tutto il suo denaro, il suo potere e il suo prestigio. E lei non sarebbe mai riuscita a dimenticare la sua espressione delusa mentre la fissava pietoso, quasi paterno, facendola sentire ancora più triste ed inadeguata…

    Quel ricordo, rispuntato inaspettato sul filo dei suoi pensieri, le provocò di nuovo un dolore profondo, talmente insopportabile per la sua giovane età, ancora poco esperta della vita e dei suoi tranelli, da farla accasciare e sprofondare ancora di più nella morbida poltrona di velluto damascato.

    «Tesoro mio, sei qui?! Ti ho cercata dappertutto!» la voce matura di Edoardo la fece trasalire, riportandola, per un momento, alla realtà.

    Adelasia non rispose, restò in silenzio, cercando di nascondere il magone che le serrava la gola.

    «Mi sei mancata. Sei sicura che vada tutto bene?» aggiunse l’uomo, avvicinandosi e sedendosi nella poltroncina accanto alla sua.

    Adelasia si fece forza e «Sì, stavo guardando il mare» rispose sorridendogli e spostando delicatamente il capellino di raso con un’elegante passamaneria rosa in pendant con lo scialle.

    «Oggi è meraviglioso. Guarda che riflessi dorati crea il sole sull’increspatura delle onde» aggiunse indicando un punto preciso al di là della terrazza.

    Edoardo le prese la graziosa manina e si fermò ad accarezzarla, dicendole «Stavi pensando a Luigi, vero?!»

    La donna sorrise e annuì anche se non era vero, ma al solo sentire quel nome tutto quel dolore era, improvvisamente, svanito.

    Restarono alcuni minuti in silenzio a godersi quel meraviglioso spettacolo della natura poi Adelasia si alzò.

    «Meglio se andiamo a prepararci» disse e si diresse verso il guardaroba dell’ampia e lussuosa stanza da letto, seguita a ruota dal marito che la guardava affascinato dalla sua naturale eleganza e dal suo portamento regale che lo avevano fatto innamorare quattro anni prima in occasione di una festa dell’alta società genovese.

    Lei, bella come una dea, lo aveva scontrato inavvertitamente durante un giro di valzer e lui non aveva potuto far altro che accettare le sue scuse e chiederle di danzare insieme.

    Da quel momento aveva vissuto solo per poter incontrare di nuovo quei suoi meravigliosi occhi azzurri poi il destino, quasi un po’ crudele, aveva fatto il resto.

    Si erano sposati dopo pochi mesi e sarebbe stato tutto perfetto se avessero potuto avere degli eredi, ma, ancora una volta, Edoardo aveva ben compreso quanto tutto quello che possedeva richiedesse un prezzo da pagare e che la vita non faceva sconti a nessuno, neppure e soprattutto, a chi era ricco e potente come lui.

    «Pensi che questo mi stia bene?» chiese Adelasia, dritta davanti ad un prezioso specchio con la cornice dorata, tenendo in mano un’elegante abito di lino, scelto tra i tanti preziosi che si trovavano nell’armadio.

    «Preferisco quello nero, credo che ti valorizzi di più il viso» le rispose distratto ancora perso nei suoi pensieri, non poteva far a meno di guardarla e di immaginare come sarebbe stata la sua vita senza di lei.

    La donna accennò ad un sorriso poi prese la gruccia e estrasse il vestito più bello che aveva portato con sé in quel viaggio.

    Era di raso nero ricoperto da inserti di pizzo a forma di fiori e lunghe trecce di perle e pietre preziose che lo facevano brillare alla luce del lampadario come un diamante: aveva uno scollo a barca, che metteva ben in risalto il suo collo esile, due maniche bombate e un lungo scialle per ricoprirne le spalle tornite.

    Lo indossò mentre anche il marito procedeva con il cambio d’abito.

    Di lì a poco avrebbe avuto luogo la loro ultima cena sul transatlantico prima dell’arrivo a Buenos Aires, previsto per la mattina successiva, e volevano essere eleganti ed impeccabili come sempre per cui anche l’uomo si mise il frac nero, una camicia di seta bianca con il papillon e il doppio petto color crema.

    Poi si pettinò accuratamente e ancor di più i lunghi baffi castani, facendo attenzione alle punte che fossero ben rivolte verso l’alto. Infine, mentre lei metteva il rossetto ed un tocco di cipria, seduta sulla poltroncina della toeletta, lui si spruzzò con acqua di colonia.

    Appena pronti, uscirono dalla stanza, attraversarono il salotto e l’ingresso con bagagliera quindi scesero sul ponte Upper Promenade Deck e si diressero verso l’atrio centrale con le pareti rivestite di magnifici arazzi fiamminghi, e, dal cui soffitto, scendeva un maestoso lampadario in cristallo.

    In pochi minuti raggiunsero un’imponente scalinata in legno di quercia con decorazioni a foglia in bronzo dorato, lavorate in stile Luigi xv, e la scesero rapidamente per raggiungere la galleria con ampie finestre, quadri, arazzi e statue in stile rinascimentale fino ad arrivare al salone da pranzo superiore.

    Appena lì, si fermarono un attimo sulla loggia, sostenuta da quattro colonne di marmo con capitello ionico, per ammirare l’ampia stanza sottostante, sovrastata da una grande cupola in vetro dipinto in perfetto stile neoclassico: ogni volta quello spettacolo suscitava in Adelasia un profondo senso di piccolezza dinnanzi a tanta maestosità.

    I tavoli rotondi, apparecchiati con magnifiche tovaglie di seta color indaco, piatti di preziosa ceramica e posate d’argento, sembravano tanti piccoli fiori su un prato di marmo bianco. Anche le tende che decoravano le finestre erano della stessa delicata tonalità di viola e i cordoni, che le tenevano legate ai preziosi ganci dorati, fissi alle pareti, erano leggermente più scuri e intrecciati con fili d’argento.

    Per rendere l’atmosfera ancora più intima, erano state accese solo le lampade sui tavoli e le clip a muro, mentre i maestosi lampadari di cristallo erano spenti.

    Si diressero decisi verso il loro tavolo e si accomodarono sulle lussuose poltroncine in stile Luigi XVI.

    Erano i primi e la stanza era vuota.

    Il cameriere si avvicinò solerte, porgendo loro il menù insieme ad un elegante sorriso.

    Edoardo rispose distratto, fisso ad osservare il grande orologio a pendolo che si trovava accanto all’enorme specchio rettangolare con cornice dorata, posto sopra al prezioso camino in marmo di Carrara.

    Segnava le diciotto e trentacinque, la cucina aveva aperto da poco e per questo la sala era ancora deserta, anche se, di lì a poco, si sarebbe riempita del sordo brusio di inutili conversazioni. Per questa ragione avevano deciso di anticipare l’orario della cena, volevano rientrare nel loro appartamento e riposare tranquilli in vista del loro arrivo a Buenos Aires nella mattina successiva.

    «Madame, avete scelto?» chiese il cameriere, rivolgendosi a Adelasia che stava consultando il libretto del menù.

    «Sì. Gradirei delle tartine di caviale in crema di lime. Vi ringrazio» rispose.

    «E per voi, Monsieur?»

    «Una porzione di insalata di mare con bocconcini di aragosta in salsa di polpo marinato»

    Il suo interlocutore si allontanò con il libretto di velluto rosso che spiccava sui guanti bianchissimi per poi ritornare poco dopo con i piatti che avevano richiesto.

    Li appoggiò sul tavolo poi si diresse verso la scalinata che portava al piano inferiore, girò intorno ad una della quattro colonne in marmo, che sorreggevano il soppalco, e sparì.

    «Tesoro mio, la tue tartine mi sembrano davvero invitanti» sussurrò Edoardo, accarezzandole la mano.

    «In effetti, ho una gran voglia di assaggiarle»

    «Allora assaporiamo queste meraviglie!»

    Restarono un attimo in silenzio poi «Sono impaziente di ritornare a Genova. Mi manca tantissimo la nostra casa e il nostro piccolo Luigi» disse la donna con la voce commossa «Posso chiamarlo così, vero?!»

    Tacque con gli occhi speranzosi, fissi sul marito come se stesse aspettando una conferma definitiva.

    «Sì. Ormai ho deciso. Ho visto quanto ami quel bambino e quanto ti sei affezionata a lui. Anche io provo i tuoi stessi sentimenti e, anche se non lo abbiamo concepito noi, gli voglio bene come se fosse nostro. Quando torneremo saranno già ampiamente terminati i tempi dell’affido e potremo adottarlo legalmente»

    Gli occhi azzurri di Adelasia iniziarono a brillare mentre le lacrime le sgorgavano involontariamente fino a bagnarle le gote smunte.

    «Con lui saremo la famiglia che abbiamo sempre desiderato. Domani, prima di arrivare in porto, scriverò, e farò spedire dal personale della nave, una lettera a Rodolfo in cui gli comunicherò le nostre intenzioni e gli chiederò di dare inizio alla procedura. Sono certo che ne sarà felice. Come ti ho promesso, questo è il mio ultimo viaggio di lavoro, poi non ci sposteremo più da Genova se non per divertirci, e mai più senza Luigi, te lo prometto! Vedo quanto ti manca e quanto pensi a lui!» gli sorrise, asciugandole le lacrime con il fazzoletto.

    «Grazie! Riesci sempre a capire più di quanto io riesca ad esprimere e mi conosci meglio di me stessa. Ti amo!»

    «Anche io, per questo desidero che tu sia felice e so che ci tieni ad avere un figlio almeno quanto, se non più di me. Hai sempre sofferto, sin da piccola, per la tua poca salute e io non voglio che questo ingiusto destino debba perseguitarti per sempre. Farò tutto ciò che è in mio potere per cambiarlo, in fondo hai solo vent’anni…» le sussurrò all’orecchio.

    Adelasia era così commossa che non osò dire altro, si limitò ad ingerire il pasto anche se un nodo in gola glielo impediva, permettendole appena di respirare.

    Il marito la guardò orgoglioso del fatto che una così bella e sensibile creatura avesse acconsentito a diventare la sua compagna di vita e si sentì sempre più desideroso di proteggerla e custodirla come il suo bene più prezioso.

    Poco dopo finirono la cena, si alzarono e guadagnarono l’uscita, mentre altre due coppie ed una famiglia stavano attraversando il soppalco per accomodarsi.

    Li salutarono per cortesia, poi si divisero, dirigendosi l’una verso il proprio appartamento e l’altro alla fine del ponte Lower Promenade Deck, nel Fumoir, la

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