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Il Caso Tyler Cook
Il Caso Tyler Cook
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E-book713 pagine10 ore

Il Caso Tyler Cook

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Info su questo ebook


Uno strano caso da risolvere per l’agente speciale dell’FBI Paul Truman, a Juneau, in Alaska, ove scompare improvvisamente Tyler Cook, uno degli uomini più potenti degli Stati Uniti, proprietario di una casa farmaceutica. Ad assisterlo l’agente speciale Anna Clark, al suo primo caso, e gli agenti Rainey e Milner della polizia locale, il primo un uomo probo e integerrimo, il secondo istrionico e inebriato da alcool e droghe. L’indagine si rivela più complicata del previsto, sia per l’assenza di prove tangibili relative alla scomparsa di Tyler Cook, sia perché Juneau è una città infarcita di solitudine e abbandono (non è raggiungibile via terra e vi si può arrivare soltanto con navi o aerei), padroneggiata da due bande criminali rivali, quella di Luck Frost e Jess York, entrambi in grande fermento per il concomitante arrivo in città del gangster statunitense più pericoloso: Salino.
Contestualmente, nella città di Kalispell, Montana, in seguito a una singolare quanto futile minaccia, scompare Alexander Norton, un medico psichiatra. A indagare sul caso l’agente Joseph Utah, un trentenne con un irreparabile fardello di problemi sulla coscienza. Grazie a Elinor Williams, compagna di Alexander Norton, anch’essa psichiatra, Joseph Utah dissacra vari indizi dalla matrice occulta ed esoterica che lo porteranno addentro l’università di chimica della città (e fino a Juneau), ove un circolo ristretto di persone lavora a un piano di stampo alchemico, esoterico e massonico.
Simultaneamente, a Spokane, cittadina dello Stato di Washington, scompare un’altra persona: trattasi di Ronnie Bass, un ragazzo dalla vita apparentemente asettica, priva di qualsivoglia scheletro esiziale nell’armadio. Audrey Singh, la sua fidanzata, mediante intuizioni oniriche e trascendentali, subodora che Ronnie sia rinchiuso e tenuto prigioniero (?) nel vecchio manicomio cittadino. L’FBI invia sul posto l’agente speciale Andrew Craig, vecchio amico di Paul Truman, esperto di casi concatenati al paranormale. Esso scoprirà che nel manicomio si perpetrano dei rituali esoterici indorati di sacrifici umani e che la figura di Ronnie Bass è concatenata a quella di Tyler Cook e Alexander Norton.
Paul Truman e Anna Clark, in base a tutte le informazioni raccolte e alle prove inviategli da Joseph Utah e Andrew Craig, intuiscono ciò che si sta consumando nel triangolo Juneau-Kalispell-Spokane, e provano a smascherare colui che ha ordito un macabro e pericoloso disegno criminale. Ci riusciranno?
 
LinguaItaliano
Data di uscita4 lug 2020
ISBN9788835864646
Il Caso Tyler Cook

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    Anteprima del libro

    Il Caso Tyler Cook - Paolo Sanna

    paolomatteosanna@yahoo.it

    Il Caso Tyler Cook

    Paolo Sanna

    2020 © Paolo Sanna

    paolomatteosanna@yahoo.it

    Tutti i diritti riservati

    Non sono un patito delle dediche, le ho sempre trovate noiose, scadute e retoriche. Un po’ come osservare un tramonto o romanticherie simili. Non faccio, perciò, nessuna dedica in particolare, spero solo che il libro piaccia a tutte quelle persone, e sono tante, a cui ho tolto parte del mio tempo per dedicarmi alla sua stesura.

    Sommario

    Protagonisti 9

    Prefazione 11

    Ebefrenia 14

    Claustrofobia – Juneau (Alaska) 19

    Bordeline e Chiromanzia – Kalispell (Montana) 31

    Amore e Narcisismo – Spokane (Washington) 52

    Vaticini e Derealizzazioni 65

    Scariche Impetuose 73

    Risvegli e Scomparse – Juneau 78

    Paura e calma piatta - Kalispell 89

    Il caso Tyler Cook – New York 99

    Un’altra scomparsa - Spokane 105

    Un nuovo nemico: Salino – Juneau 109

    1803 117

    Prime scoperte – Kalispell 122

    Il Confine dell’Oblio - Spokane 129

    Luci e ombre – Juneau 143

    L’inganno – Kalispell 161

    Sala d’attesa – New York 175

    4 – 4 191

    Tracce Occulte – Juneau 196

    Retaggi – Juneau 206

    Amnesia Lacunare – Spokane 217

    Un’organizzazione in disarmo – Juneau 242

    Geometrie esistenziali – Kalispell 246

    Il Ragazzo 263

    Andrew Craig – Spokane 268

    Risguardi verso il nulla – Juneau 274

    Lo studio – Kalispell 294

    La fuga 306

    Il collegamento – Spokane 311

    Il secondo uomo – Juneau 324

    L’effrazione – Kalispell 336

    Sinergie – Juneau 375

    Il Triangolo – Spokane 391

    La partenza 414

    Il secondo Piano – Kalispell 419

    Transustanziazioni – Juneau 439

    Il Crepuscolo – Kalispell 469

    La resa – Spokane 477

    L’arrivo 488

    Un’altra città – Juneau 495

    1809 521

    La Confraternita del Triangolo d’Oro 527

    Il Sommo Inquisitore del Pensiero Occulto 552

    Biografia 564

    Ringraziamenti 564

    Protagonisti

    Prefazione

    Ebefrenia

    Claustrofobia – Juneau (Alaska)

    Bordeline e Chiromanzia – Kalispell (Montana)

    Amore e Narcisismo – Spokane (Washington)

    Vaticini e Derealizzazioni

    Scariche Impetuose

    Risvegli e Scomparse – Juneau

    Paura e calma piatta - Kalispell

    Il caso Tyler Cook – New York

    Un’altra scomparsa - Spokane

    Un nuovo nemico: Salino – Juneau

    1803

    Prime scoperte – Kalispell

    Il Confine dell’Oblio - Spokane

    Luci e ombre – Juneau

    L’inganno – Kalispell

    Sala d’attesa – New York

    4 – 4

    Tracce Occulte – Juneau

    Retaggi – Juneau

    Amnesia Lacunare – Spokane

    Un’organizzazione in disarmo – Juneau

    Geometrie esistenziali – Kalispell

    Il Ragazzo

    Andrew Craig – Spokane

    Risguardi verso il nulla – Juneau

    Lo studio – Kalispell

    La fuga

    Il collegamento – Spokane

    Il secondo uomo – Juneau

    L’effrazione – Kalispell

    Sinergie – Juneau

    Il Triangolo – Spokane

    La partenza

    Il secondo Piano – Kalispell

    Transustanziazioni – Juneau

    Il Crepuscolo – Kalispell

    La resa – Spokane

    L’arrivo

    Un’altra città – Juneau

    1809

    La Confraternita del Triangolo d’Oro

    Il Sommo Inquisitore del Pensiero Occulto

    Biografia

    Ringraziamenti

    Protagonisti

    FBI:

    Paul Truman: agente speciale;

    Anna Clark: agente speciale;

    Frank Columbo: ufficiale;

    Andrew Craig: agente speciale.

    Juneau:

    Will Charles: vicino di casa di Tyler Cook;

    Catherine: moglie di Will Charles;

    Florinda Person: vicina di casa di Tyler Cook;

    Marc Corso: portiere del condominio di Tyler Cook;

    Agente Milner: polizia dello Stato dell’Alaska;

    Tenente Rainey: polizia dello Stato dell’Alaska;

    Luck Frost: capo dell’omonima banda criminale;

    Frazier Stevens: boss della banda criminale di Luck Frost;

    Marvin Davis: boss della banda criminale di Luck Frost;

    Tyler Cook: imprenditore scomparso, proprietario della Casa Farmaceutica Nimmer;

    Salino: criminale;

    Christabella Cook: moglie di Tyler Cook;

    Joe Mason: portiere dello stabile di Cook e commesso dell’Enigmatic Shop;

    Sceriffo Bell;

    Ian Parker: reporter;

    Brian Ortega: dirigente della Casa Farmaceutica Nimmer;

    Silene Ortega: figlia di Brian Ortega;

    Jack Bauer: dirigente della Casa Farmaceutica Nimmer;

    Kalispell:

    Alexander Norton: psichiatra e responsabile della Winston Community;

    Elinor Williams: psichiatra, compagna di Alexander Norton;

    Oscar Maddison: un ragazzo vivace;

    Robert Lee: psichiatra, collega di Alexander Norton e Elinor Williams;

    Agente Joseph Utah: polizia dello Stato del Montana;

    Sofia: infermiera, amante di Alexander Norton;

    Agente Nina Ortega: polizia dello Stato del Montana;

    Agente Falk: polizia dello Stato del Montana;

    Capitano Smith: polizia dello Stato del Montana;

    Rettore della Montana University;

    Spokane:

    Audrey Singh: una brava ragazza, innamorata del fidanzato Ronnie Bass;

    Ronnie Bass: un ragazzo strano, fidanzato con Audrey Singh;

    John Green: ex fidanzato Audrey Singh;

    Agente Prince: polizia dello Stato di Washington;

    Robert Black: amico di Ronnie Bass;

    Agente Nelson: polizia dello Stato di Washington;

    Agente Turner: responsabile polizia scientifica;

    Robert Black: amico Ronnie Bass;

    Agente Booth: polizia scientifica;

    Agente Tracy Mills: polizia dello Stato di Washington;

    Prefazione

    In data 2 Febbraio 2017 scrivevo la prefazione del precedente romanzo, Hermon – I Lati Oscuri della Mente, e poco più di tre anni dopo mi ritrovo, fortunatamente, a scrivere quella del nuovo romanzo, Il Caso Tyler Cook. Scrissi quella prefazione in una casa crepuscolare di Padru, imbibita di muffa nelle pareti, di acredine nell’aria e di una marcescente tenzone sentimentale; tre anni dopo, scrivo nella mia nuova (vecchia) casa di Ossi, edulcorata da quadri alle pareti scintillanti come pailettes, da orchidee, kenzie e pachire che osservano la mia briga alata dall’alto della loro smisurata bellezza, da una bottiglia di whisky ancora chiusa – da Gennaio - e da un virus, il Covid-19, che mi conquide da quasi un mese (proprio questo pomeriggio effettuerò il secondo tampone: sarà negativo?).

    Tantissime cose sono cambiate in tre anni. Se mi riguardo bene, in quel lontano (e ormai dimenticato) 2017, mi vedo più teso, nervoso, insicuro, lorchiano nei rapporti, chiuso a qualsivoglia contingenza innovativa che avesse impattato la mia vita, totalizzato dagli agoni sentimentali e dalle lotte col vino; adesso ho rinunciato a quelle cose spettrali che mi rendevano inerte al mutare degli eventi (positivi s’intende) e ho aperto la mia vita a nuove avventure quali il giornalismo cinematografico, i seminari di letteratura e la radio, che non solo mi hanno permesso di conoscere un numero smisurato di belle persone, ma anche di essere tranquillo con me stesso – finalmente, dopo vari lustri – Insomma, mi sento abbastanza autonomo, e questo è bello, libero da quel fardello chiamato coscienza che mi conturbava troppo.

    In questi tre anni, volati alla stessa velocità dell’elaborazione di un pensiero, l’hobby della scrittura l’ho coltivato con la stessa dovizia con cui curo i miei affetti; l’ho edulcorato di nuove conoscenze, ingraziosito di concetti prima astrusi, rinvigorito di essenze filosofiche di cui ignoravo, tonto che ero, la loro esistenza e tangibilità; grazie a Hermon – I Lati Oscuri della Mente e ai premi letterari successivamente conseguiti, ho intrapreso varie collaborazioni con piattaforme digitali cinematografiche che mi hanno permesso di aggiungere una goccia di splendore al mio curriculum vitae di scrittore corsaro (ogni riferimento al sommo Pasolini è puramente casuale) e immolare il mio nome in pasto agli artigli acuminati del web, che tanto l’hanno vituperato ma anche parecchio idolatrato. Ad un certo punto, pensate, non sapevo più quale fosse il mio lavoro e quali i miei hobby. Sbagliavo: tutta colpa dell’egocentrismo sconfinato che s’asconde nelle tortuosità del mio carattere. Invero, la dimensione attuale, di infermiere a tempo pieno e scrittore corsaro part time è più comoda, confortevole, mi permette di non dover seguire ritmi e ritualità letterarie vincolanti e di decidere come e quando scrivere o pubblicare un romanzo o una recensione cinematografica. Una furberia spicciola e machiavellica da cui – conoscendo (?) la mia essenza caratteriale: sempre diversa – mi divincolerò alla prima occasione: sarà che la mia professione (infermieristica) è ancora (nel 2020!) soggetta a demansionamento da parte di carneadi ignominiosi, e sarà che noi infermieri siamo tutelati quanto il plancton nel momento in cui viene inghiottito dalle fauci di uno squalo, ma la voglia di ribaltare la comfort zone summenzionata è sempre illimitata. Esagerata, direi.

    Frattanto, sbatacchiato da un ospedale all’altro quasi fossi un palmizio in preda a un monsone, ho concepito una nuova creatura, diversa da Hermon – I Lati Oscuri della mente, tecnicamente migliore, il cui titolo, Il Caso Tyler Cook, lo decisi nel momento in cui scrivevo il primo capitolo, rifacendomi (solo per l’intitolazione, non per il contenuto) a due perle cinematografiche quali Il caso Spotlight e Il caso Thomas Crown. E’ un romanzo che ho coccolato, aspettato, vezzeggiato e ornato su misura, caratterizzandolo di una miriade di personaggi – alcuni conosciuti ai lettori di Hermon – I Lati Oscuri della Mente, come per esempio Paul Truman e Ian Parker, che ritornano sulla scena più temprati che mai – di connotati storici, di problematiche sociali e psicologiche, di degrado umano, misantropia e solitudine, di dicotomie della Gnosi, di dolori e malattie croniche e psicotiche, ove niente ha senso e tutto ha un senso, in cui tre città statunitensi (Juneau, Kalispell e Spokane), sono vittime di un delirio totalizzante, riferibile alla medesima congiuntura: la scomparsa di Tyler Cook, uno degli uomini più potenti degli Stati Uniti. Le città, designate come ghetti e agglomerati tossici, intrise di alluminio, perdizione e cenere, conglobano ed eruttano quello che Nietzsche chiamava nichilismo attivo, ove l’ordine non esiste e, giocoforza, deve essere (ri)fondato, in questo caso dall’Agente FBI Paul Truman, chiamato a dipanare il mistero: che fine ha fatto Tyler Cook?

    Paul Truman non è solo un semplice personaggio letterario, ma uno dei miei tanti alter ego letterari che, proprio come faceva l’inarrivabile Pessoa, ho disseminato con divertimento nel romanzo. Già, perché Il Caso Tyler Cook non è solo contraddistinto da pessimismo o nichilismo passivo ma contornato di divertimento, gaiezza e cultura, tutte cose che spero di riabbracciare presto grazie a una tampone, come me, negativo.

    Paolo 11/05/2020

    Ebefrenia

    Sedeva in una scranna antichissima, quella che suo padre acquistò quando la Ford lo promosse caposquadra nel settore verniciature; gran bell’incarico di responsabilità, ma purtroppo lontano da casa: novecento chilometri separavano Juneau da Arlington. Il vecchio signor Levinson, il giorno prima di intraprendere, in treno, il viaggio verso il nord degli Stati Uniti, in direzione dello Stato di Washington, acquistò da un ebanista di Franklin Street quella che nel tempo – soprattutto negli ultimi mesi – divenne il mobilio prediletto delle giornate che il figlio passava chiuso in casa. Da quando perse il lavoro agli Stabilimenti Farmaceutici Nimmer di Juneau la sua vita cambiò drasticamente, divenendo un commisto lacrimevole di misantropia, solitudine, odio, dappocaggine associativa, emarginazione psicologica e idiosincrasia sociale. Le serate di musica con Howard e Duke all’Old Caffè, le gare internazionali di scacchi, le corse allo snowboard nel centro sciistico di Thane e i pranzi con Rita, divennero un ricordo prossimo ad offuscarsi definitivamente, come il sole nelle giornate burrascose. Ma la burrasca non era metereologica: la tempesta ardiva le sinuosità della psiche come un incubo in sede di onirismo, turbini e vento ne laceravano l’immaginazione e lo spirito.

    Il dottor Cook. E’ lui che ha voluto il mio licenziamento!, pensava mentre con un’unghia graffiava il bracciolo in ciliegio della scranna del padre.

    Da quando seppe da alcuni colleghi – come lui impiegati nel ramo commerciale – che quell’allontanamento improvviso, quell’espulsione immediata, quel licenziamento subitaneo, fu dovuto ai rapporti tesi con il responsabile commerciale della Nimmer, quel tarlo si insinuò repentinamente nei meandri della mente, Il dottor Cook. E’ lui che ha voluto il mio licenziamento! , asfissiandolo di rabbia, soffocandolo di rancore, facendogli perdere il senno della ragione: chiuse le porte agli amici, rotto il rapporto con Rita, abbandonate le gare mondiali di scacchi.

    Un anchorman in tv ragliava circa i provvedimenti deleteri imposti dal Governo Obama e lui, svigorito da quel ciarpame dispotico, cambiò la stazione televisiva adagiandosi nella scranna e perdendosi nel crepuscolo sovrannaturale del salotto.

    La luce, questa radiazione luminosa cosi tediosa per i bui pensieri, lo infastidiva, sicché gli venne in mente di adoperarsi per sprangare l’odiosa finestra che, posta accanto alla mobilia pallida della cucina, fungeva da genesi cangiante di essenze luminose, edulcorate dalle trame del rosone stampato nella vetrata. Si mosse per il bugigattolo, ove avrebbe trovato l’occorrente per dissimulare il coacervo luminoso, ma l’idea venne abortita allorquando qualcuno suonò il campanello: ebbe un sussultò, lo stesso provato dai bambini allorché vengono messi davanti alle loro paure, si voltò di scatto per osservare il portone d’ingresso, guardò affrettatamente la sua immagine rifratta nella superficie lucida della porta del salotto, Dio…la camicia blu ti sta proprio bene , e si diresse incontro all’ingresso.

    Qualcuno avrà sbagliato, pensò di straforo.

    Circospetto e guardingo come una pantera nella giungla, danzò silenziosamente, muovendosi lentamente e gravando le pantofole dell’avversione nervosa contro il pavimento in maniera delicata e furtiva. Spostò l’altalena in plastica che copriva lo spioncino, si abbassò leggermente e conficcò l’occhio sinistro nell’accesso arcaico verso il cosmo essoterico: era Rita. Aveva lo sguardo corrucciato, forse preoccupato, erano settimane che sigillò ogni rapporto con il mondo esterno, e lei iniziava inevitabilmente a preoccuparsi. La vide prendere il telefono e comporre un numero.

    E’ inutile, meditò: la cornetta del telefono di casa era sollevata da giorni immemori, il cellulare abbandonato, spento, in una delle scatole del ripostiglio.

    La donna, snella come una sottiletta e con una frangia che le celava buona parte dell’occhio destro, suonò altre due volte.

    Invano.

    Non aprì.

    La vide sparire nelle ombre del piano inferiore e, confortato, tornò al salotto e alla scranna.

    Non aveva fame, una barretta al cioccolato e un succo d’arancio gli sarebbero bastati per cena, pertanto decise di continuare la gara contro se stesso a domino, un’altra delle sue pulsioni nervose, nevrotiche di quell’ombroso periodo. Solo un anno prima, quando la Nimmer credeva ancora in lui, comperò il gioco quasi per scherzo, per soddisfare i desideri faceti di Rita, e forse lo utilizzò con la vecchia amata solo un paio di volte. Non lo aggradava, ‘è un divertimento per bambini’ le strillava ogni qualvolta lei, con modi pacati e flemmatici, gli chiedeva anche solo di provare a scoperchiare la scatola del gioco. Ma l’eremitismo improvviso, la vita da anacoreta convinto, irremovibilmente persuaso dallo sprezzo verso il prossimo e dalla sicurezza dell’eremitaggio, sdoganò completamente ogni abitudine, ogni gesto consueto e quotidiano: l’amore per il domino, la passione per la nicotina, l’assuefazione dall’alcool, la libidine per i tarocchi e l’odio verso il dottor Cook erano le prove del cambiamento.

    Solo un goccio, rimuginò poco prima di iniziare il perverso scontro contro se stesso.

    Si avvicinò al frigo, prese un bicchiere dall’abituro di calici che teneva nel mobile accanto e vi versò tre dita di radis: tempo addietro, seppe che era il liquore preferito dei poeti maledetti, e quasi per gioco ne acquistò qualche bottiglia…divenne ben presto il compagno di viaggio dell’emarginazione psicologica.

    Si fottano…Rita e Cook. Si fottano!, pensò mentre trangugiava il radis tutto d’un sorso.

    Accese un mozzicone di sigaretta, Giuda di un cane, la scorta del fumo sta per finire!, si impoltronì nella scranna e si abbandonò al domino, il gioco delle coppie…il gioco dei doppi.

    Cosparse il tavolo di quattordici tessere: sette le tenne per sé e le altre sette le allontanò dinnanzi alla sedia vuota che giaceva inerte a pochi passi dallo scranno, come se accanto a lui, invisibile come uno spettro, vi fosse un’altra persona, un arcano giocatore.

    Un cane, forse lo stesso che qualche settimana prima vide nel cortile dei Crystal, prese ad abbaiare violentemente; l’insistenza del ruggito, pedante e tignoso come i brutti pensieri delle persone depresse, lo depauperò dell’insana tranquillità con cui si accingeva ad esaminare la prima tessera. Si inquietò, il viso magro di sorrisi e scarno di lucentezza si rabbuiò, come se il cane lo avesse messo in allarme, minacciato di chissà quale misterioso riverbero umano.

    Di chi cazzo è quel cane?, si domandò a denti stretti, serrando le mandibole della quiete.

    D’improvviso, il televisore si spense, il viso gaudente di una giornalista televisiva divenne buio fitto, come i lati oscuri delle mente, celando per alcuni istanti i suoi pensieri belluini, il domino e l’arcano concorrente. Ne seguì un crepitio elettrico, un esile rumore di elettricità che gli parve provenire dalla presa elettrica del televisore, ma che si propagò, nel tempo di un battito di ciglia, in tutta la stanza, irrorandola di brusii di interferenze, di mormorii di conduzione, corpi celesti protonici, acufeni sovrannaturali, riverberi magnetici, Ampere trascendentali. Assistette a tutto ciò persuaso dalla paura, immobile negli occhi, tremante nello spirito.

    Il cane smise di abbaiare, il corto elettronico arrestò il suo incedere alacremente, il televisore si riaccese e tutto ritornò alla difformità.

    Il campanello strillò nuovamente, per ben due volte.

    Questa volta mi sentirà! Deve sparire dalla mia vita!, meditò, mordendosi la lingua dalla tensione. Si avvicinò al portone d’ingresso.

    Stesso rituale: via l’altalena dallo spioncino e l’occhio attento a osservare il mondo là di fuori.

    La vista era nitida e chiara, ma della persona che suonò il campanello nessuna traccia. Chiunque fosse, si smaterializzò nei pochi secondi utili per arrivare alla porta.

    Maledetti rompicoglioni!.

    Fece per tornare indietro e si accorse che qualcosa si intrufolò tra i suoi piedi, come l’erba fluttuante in aperta campagna.

    Chinò il capo.

    Un foglio ingiallito, per aspetto e anatomia simile ad una cartapecora grinzosa ottocentesca, leggermente lacerato ai bordi, riportava a caratteri esponenziali quattro numeri: 7 – 16 – 25 - 34.

    Si genuflesse verso la strana pergamena, lesse confusamente i quattro numeri, la girò nel lato opposto e, mentre dabbasso risaliva verso le prosperità del salotto, impietrì improvvisamente, ammutolito dal contenuto del foglio. Si sedette con le spalle contro il portone e grazie alla luce che penetrava dalla finestra della cucina riuscì a scrutare e leggere quella missiva: la chiave dei pensieri è sparita, l’efflusso ebefrenico cammina con me. In un disgiunto mondo adiacente Tyler Cook è morto.

    Il dottor Cook. E’ lui che ha voluto il mio licenziamento!

    Chi era l’autore della frase? Chi mise il foglio sotto la fessura della porta?

    Tutte domande che vorticosamente rombavano nauseanti nelle corde dei pensieri. La cosa che più lo sconcertava, tanto che sudava freddo e percepiva le rapide palpazioni cardiache che giganteggiavano nel torace, fu il nome scritto nella lettera, Tyler Cook, il proprietario nonché medico responsabile della Nimmer per la preparazione dei farmaci antitumorali, colui che, forse, si prodigò per il suo allontanamento dalla casa farmaceutica.

    Il dottor Cook…la natura deve fare il suo corso celermente su queste bestie!, pensò digrignando i denti.

    Un qualcosa di vagamente misterioso sovrastò quel pensiero: nessuno, neanche Rita, sapeva del disprezzo morboso, dell’odio viscerale, dell’acredine ben celata – non nella sua psiche – nei confronti di Cook; dunque, chi lo informava della morte del dottore?

    Si mise a studiare la grafia dello scribacchiato, quella grafia dannatamente minuscola e lineare. Non l’aveva mai vista alla Nimmer, e sì che le conosceva tutte le calligrafie dei colleghi giacché si occupava lui stesso di vidimare tutti i verbali dell’azienda.

    Radis. Aveva voglia dell’ennesimo bicchiere di radis.

    Posò il foglio nel tavolo vetrina che acquistò qualche estate prima a New York, quando la storia con Rita scollinava cime passionali inaudite, si mosse verso il radis, ne trangugiò un bicchiere e tornò alla sfida a domino con l’avversario spettrale.

    Fanculo Cook. Il male non morirà mai.

    Tornò a sedere.

    Chiuse leggermente gli occhi, quasi rattrappito dalla morsa implacabile di un assopimento ridondante, come se l’uscio sibillino del sonno avesse teso i tentacoli e rapito il suo spirito.

    Ancora radis.

    Aveva il doppio più alto: 3 – 3. Mosse lui per primo.

    Il dottor Cook. E’ lui che ha voluto il mio licenziamento!

    Claustrofobia – Juneau (Alaska)

    La moglie lo mandò per l’ennesima volta a comperare le spatole per asciugare i vetri delle finestre.

    Mai un momento di relax, verrà il giorno che andrò via da questa casa, meditò mentre raccozzava alcune monete dal portafoglio della moglie, utili per trangugiare l’ennesimo decaffeinato della giornata.

    Uscì sbuffando, chiuse villanamente il portone dietro sé e iniziò a discendere i cinque piani del palazzo. Da quando il medico gli disse che la causa delle palpitazioni, delle gelide diaforesi, del senso di angoscia soffocante che lo conduceva in un vortice di ebbrezza psicologica, millantemente superiore a quella alcolica, che lo faceva diventare archetipicamente inerte allo scorrere degli eventi, aveva un nome ben specifico, la claustrofobia , l’ascensore divenne solo un luogo arcano.

    << Signor Charles, il portiere è nuovamente seduto nella panchina del giardino. Sa cosa fa? Indovini un po! >> Esclamò improvvisamente la vicina di casa, uscendo di soppiatto dalla porta dell’appartamento, facendolo sobbalzare dallo spavento.

    << Signora Person, così facendo lei darà il colpo decisivo alle mie già precarie coronarie. >> Rispose pacatamente Will Charles, sospirando di sollievo nel constatare che la causa dello spavento non era altro che Florinda Person, un’innocua vecchietta.

    << Il giardino non è più lo stesso da quando il portiere lo inquina. E’ come l’atomica, una bomba a orologeria per la natura ma soprattutto per la nostra salute. Il mio gatto, Oz, da quando lo ha visto avvelenare l’umanità, non è più lo stesso: non mangia, non beve, è sempre immobile nella lettiga. Brutto segno, signor Charles. Glielo voglio confidare: siamo tutti in pericolo, il portiere è un assassino. >> Mormorò la donna, celando le labbra con le mani.

    Charles, un quarantenne che insegnava al college di Juneau, pensava da tempo che la signora Person avesse le traveggole, ma non così abnormi dal poter indicare il portiere del condominio, Matthew Corso, come un ipotetico assassino. Invero, fumava come i miasmi tossici di una ciminiera: Corso stesso ammetteva che l’evolversi delle giornate veniva scandito dal ritmo continuo del suono dell’accendino, dalla formazione della fiamma tra gpl e piezoelettrico, dalla combustione dei primi rivoli di tabacco fino all’assuefazione completa delle meningi e dei vizi, ma era comunque un uomo onesto, privo di qualsivoglia pensiero aggressivo o violento. Cosi, perlomeno, teorizzava il professor Will Charles.

    << Signora Person, non voglio contraddire una persona anziana come lei, e se tra poco lo farò la prego di scusarmi, ma credo che il signor Corso sia una brava, bravissima persona. Non sarebbe in grado di far del male nemmeno a Oz…è vero, è un accanito fumatore, ma chi non ha mai avuto dei vizi in vita sua? >> Fece Charles, modellandosi con una mano i baffi contro le labbra.

    La donna non rispose e lo fissò negli occhi.

    Passarono interminabili secondi, durante i quali la donna pareva una gargolla imperscrutabile di una vecchia chiesa dispersa, immobile nella posa ieratica, muta e paurosa come una statua preistorica.

    Immantinente abbozzò un sorriso arcaico, pochi denti pendevano dalle gengive, la maggior parte di essi colorati di giallo e patinati di nero alle radici, gli occhi erano fessure di cataratte, circumnavigati da rughe profondissime, simili a voragini stradali dopo i terremoti; con una mano catapultò all’indietro i grigi capelli e con l’altra spalancò la porta dietro sé. La visione che ne seguì dell’interno della casa della signora Person fu per Charles rivoltante, invero disgustosa e nauseabonda: il gatto della vecchia giaceva sullo stoino grigio posto a pochi metri dall’ingresso, gli occhi traboccavano completamente dalle orbite, la lingua, color cenere, stretta nella morsa ormai tenue dei denti ancora aguzzi, il pelo arancione perlopiù diradato dalla collottola in giù, le zampe rigide come epistili di un tempio romano; il fetore era un’alabarda acuminata che trafiggeva l’olfatto, un miasma simile a quello emesso dalle carcasse putrefate dei topi, talmente forte che lo portò a turarsi il naso e chiudere graniticamente gli occhi, come se la mefite potesse essere inalata anche da cornea e cristallino.

    Mai un momento di relax, verrà il giorno che andrò via da questa casa .

    << Signora Person, questo tanfo è lancinante, straziante per qualsiasi persona. Come fa a convivere con questo fetore? >> Borbottò il signor Charles, sigillandosi le froge con una mano.

    << I vizi sono i viatici d’accesso per la perversione perpetua, un groviglio di spine impiantate e incastonate nei labirintici sentieri dell’immoralità, delle lodi infinite della depravazione morale, una sconfitta per la nostra coscienza spirituale. >> Esclamò la vecchia, ostentando un leggero sogghigno che si diffuse fin sopra le rughe della fronte.

    Charles, ancor stordito dal miasma puteolente, ottenebrato dalla tisi visiva, non riuscì a ribattere all’esclamazione: forse neanche ascoltò l’incesto di parole apparentemente insensate della signora Person.

    Fece per risalire al piano di sopra. Scartò subito l’idea: le urla disparate della moglie si sarebbero udite oltre il Douglas Bridge, fino al Molo Harbor. Troppo importanti per lei le spatole per le finestre, un rientro in casa senza siffatta aggeggeria le avrebbe scatenato gli ormai frequenti attacchi d’ira.

    Quando si conobbero, appena dopo il college, lei era una delle più belle ragazze della città, immensamente più affascinante ed elegante di Sara Wilkins, futura Miss Alaska. Timido nell’animo e inibito nelle gestualità, Will Charles arrossiva anche solo nel vederla, trepidava quando lei lo osservava leggere i trattati di geografia con cui preparava il concorso per divenir docente al College Miramar, spauriva nel momento in cui gli sguardi di lei mutavano da curiosità a passione. Ma Catherine Dormer riuscì comunque a disciogliere i capisaldi della ritrosia umana di Will Charles e, appena ventenni, iniziarono una storia caratterizzata da un romantico, meraviglioso periodo iniziale – quello del matrimonio, del viaggio di nozze a Parigi, delle vacanze in India e nel Tibet, dell’incontro con il Dalai Lama, della Meditazione Trascendentale, dei concerti degli Oasis a Londra e di Bob Dylan a Casablanca – da un ordinario, consuetudinario secondo periodo – quello in cui la relazione, dolente o nolente, entra nella delicata fase di plateau, ove a ogni minimo cangiamento d’umore seguono liti, asprezze, mormorii silenziosi di diversità, voglia di evasione, desiderio di libertà, smania di autonomia – e da un plumbeo, monotono terzo periodo – in cui le diversità sono marcate e solo uno volenteroso, solerte e zelante spirito di compassione riesce a tenere unite le trame di un amore utopistico, ormai assopito –

    Il terzo periodo fu per Catherine Dormer bastantemente delicato: iniziò ad essere esausta del lavoro di impiegata per le agenzie postali d’Alaska e decise, nonostante le divergenze di vedute con Will, di lasciare il posto e dedicarsi alla ricerca, catalogazione e vendita di libri rari. Un’inusitata passione che, inizialmente, le fece ritornare i toni umorali ai fasti di un tempo, in quanto viaggiava parecchio da una città all’altra dell’Alaska e i suoi pensieri venivano scanditi da buoni propositi e idee magnifiche…propositi e idee che riguardavano anche, soprattutto Will. Poi, durante l’ultimo inverno (quello del 2010, il più freddo degli ultimi 70 anni), le idee divennero turbe mentali, i pensieri affezioni psichiche: cominciò ad essere ossessionata dalla pulizia dei vetri e delle finestre, ‘Will hai additato tu i vetri delle finestre del bagno?!’, li controllava con zelo, con coscienziosa premurosità, in controluce o di sghimbescio, e ad ogni minima, infinitesimale traccia di sporco, ad ogni impercettibile inzaccherato, le lanche salivari venivano fuori con propulsione inaudita, le corde vocali divenivano fragili corde di cetra da cui eruttavano lamenti compulsivi, gemiti di anancasmo, guaiti nevrotici. L’assurda bellezza di Catherine era come svanita: per Will rimanevano solo urla, imprechi e richieste velate di aiuto per una patologia, DOC chiamata dalla psichiatra della moglie, che ormai aveva invaso ogni superficie neuronale dei pensieri. Non se la sentiva di abbandonarla: lasciarla in preda al DOC equivaleva ad arrendersi innanzi ai problemi della vita, svestirsi dai panni di uomo probo per agghindarsi di quelli di vigliacco, vivere il resto dei giorni in un sobborgo di pusillanimeria e non nella periferia della temerarietà e dell’ardore. Will, nonostante il carattere riservato, pauroso in alcune circostanze, inibito in altre, decise di tirar fuori dal serbatoio della forza dell’amore di e per Catherine tutte le energie necessarie per una lotta ardua, atroce, senza precedenti: quella della stabilità emotiva e affettiva.

    << Signor Charles, sua moglie soffre di una sindrome chiamata disturbo ossessivo-compulsivo. >> Gli disse la dottoressa Mathison durante il loro ultimo incontro. << Deve starle vicino e capire che tali ossessioni e compulsioni, di rifiuto verso lo sporco e di meticolosità nei confronti del pulito, non sono altro che le proiezioni della patologia; tali pensieri e immagini sono incontrollabili e ingestibili, e solo una grande forza di volontà da parte di entrambi potrà riallineare le oscillazioni patologiche. Nonchè le stesse immagini e gli stessi pensieri. I sintomi che sua moglie manifesta sono quelli tipici di un DOC da contaminazione: pulisce in continuazione ogni superficie lucida proprio per allontanare il logorio psicologico dei contaminanti, ovvero di sostanze, irreali perlopiù, che considera come dannose e deleterie per l’organismo. >>

    << Ma è polvere, dannazione. E’ solo polvere. >> Ribatté Will Charles.

    << Per i suoi occhi è polvere, per gli occhi di sua moglie sono sostanze letali…sostanze letali per voi due ma anche per il mondo intero. Proprio per questo spende le energie sui vetri: per salvare quello che le sta più a cuore: lei e il mondo che la circonda. Le stia vicino, l’aiuti a superare questo momento, non le faccia mai una colpa per il DOC, cerchi di immedesimarsi in lei, provi, non patologicamente, a vedere con i suoi occhi ciò che vedono gli occhi di sua moglie. >>

    La conversazione con la dottoressa Mathison era un tarlo imbizzarrito. Un’ossessione, una compulsione instillata meticolosamente dalla psichiatra per stare vicino alla moglie e non abbandonarla. Un DOC per curare un DOC, una patologia per curare una patologia.

    Senza osservare la signora Person, il suo carattere grullo e vile riemerse in pochi istanti, scese velocemente verso il secondo piano. Giunto nell’andito in cui il tappeto dei coniugi Muller (un orrendo orientale rosso guarnito da alcune strane figure color ocra) copriva quasi tutto il pavimento, il tanfo che proveniva dall’abitazione della signora Person pareva essersi diluito come un vecchio ricordo nelle sinuosità dell’oblio.

    Udì la porta socchiudersi. Il pensiero della signora Person rinchiusa in un appartamento con i sentori mistici di putredine e decomposizione fisica e olfattiva, ove i muri avrebbero amplificato il miasma, gli causarono un cardiopalmo a lui familiare, che si presentava allorquando gli spazi intorno a lui si facevano ridotti.

    << Non è un momento claustrofobico, Will. Respira, rilassati e vai a comprare le spatole per i vetri. >>

    Pochi minuti, il tempo di tirare il fiato e dimenticare la (dis)avventura con la signora Person e salutare cordialmente il vecchio Tim Muller che, nonostante l’età (quasi ottanta), portava con sé svariate buste della spesa senza sentirne il peso, e si trovò subito all’aria aperta, nel giardino ove ancora riposava il portiere dello stabile.

    Finalmente all’aria aperta.

    Udì un mormorio pesante di voci arrivare dall’interno del palazzo. Non si voltò a guardare ma capì che si trattava del vecchio Muller, ‘Dio, come fa quell’uomo ad avere ancora tutta quella forza, sarebbe capace di caricarsi in spalla un mulo’ , che non riusciva a far entrare tutte le buste nell’ascensore.

    << Professor Charles, come butta la giornata? >> Gli chiese Marc Corso, abbozzando un sorriso da pubblicità.

    << Niente di nuovo rispetto alla noia di sempre, eccetto la signora Person che, secondo il mio modestissimo parere, sta iniziando a delirare. >>

    << Lei dice? E’ diversi giorni che non esce dall’appartamento. Però… >> Fece Corso, voltando le spalle al palazzo, << …non guardi ora, ma credo ci stia osservando dalla sua stanza. E’ tutta la mattina che mi osserva, diritta e puntata verso me dalle 07.30. Cosa mai posso averle fatto? >> Domandò in tono ironico il portiere.

    Charles, che nel frattempo si mosse sotto il porticato in modo tale da non esser visto dalla vecchietta, ribatté con un sorriso e prese l’uscita secondaria di Warren Street, là dove al 96 v’erano i Magazzini Dekker, ove avrebbe comprato le spatole per la moglie.

    Corso rientrò all’interno dello stabile, sistemò velocemente la guardiola, raccattò alcuni incensi a olio utili per allontanare le zanzare, li sistemò sulla scrivania e si rilassò, immerso in una lettura del Juneau Street.

    I Magazzini Dekker erano il centro commerciale più grande della città: oltre al classico supermercato per alimentari, ospitavano librerie, copisterie, bar, ristoranti, caffetterie, bistrot, jeanserie, negozi di articoli sportivi, rivendite di abiti di moda…un conglomerato sfizioso. Charles prese le spatole nel reparto di materiali agricoli, virò poi nell’ortofrutta per l’acquisto di agrumi ibridi per il pranzo, ‘il colesterolo ti ammazzerà Will’, e poi passò per un decaffeinato al Bistrot Sartre, un simposio a quell’ora: pullulava di studenti freschi di vacanze che brindavano a ritmo di eagles e steam beer, autisti delle linee dei bus che si concedevano uno spam con mango e paté di salmone, dipendenti del centro commerciale che divoravano patatine fritte e carne di maiale. Trovò posto in uno sgabello, accanto a un vecchio che doveva essere sicuramente un pescatore: il vestiario in cerata blu ne era la prova.

    Mentre attendeva di ordinare il caffè, fissò un calendario pubblicizzato da un’agenzia funebre, così da allontanare i profumi mistici emanati dal pescatore.

    Oggi è la giornata degli odori sgradevoli, pensò nel momento stesso in cui la barista, una smilza sui vent’anni, gli chiese cosa volesse ordinare.

    << Un decaffeinato tiepido e un bicchiere sgorgante di acqua. >>

    Fissò nuovamente il calendario. Era il 17 di Giugno, l’anno scolastico aveva levato gli ormeggi da una settimana e da lì a poco, circa quindici giorni, iniziava la sua prima esperienza come commissario d’esame al College Miramar. Una gran bella soddisfazione divenuta al contempo sforzo psicofisico immane: regolamentare e ordinare un’intera sessione di esame e, contemporaneamente, penetrare nelle viscere del DOC di Catherine.

    Le stia vicino, l’aiuti a superare questo momento.

    Doveva fare un goccio. Si recò nei bagni siti dietro il banco rosticceria ove l’effluvio dei polli arrosto colorava di acquolina gli occhi dei clienti. Il servizio era un pertugio scomodissimo, con la turca che presentava varie tonalità di muffa e innumerevoli maldicenze scritte sui muri.

    QuellA troia della mia ex è una pompinara , recitava la scritta a lettere abnormi proprio sopra la turca, mentre in piccolo, nel muro laterale, alcuni versetti di un poema di Shakespeare venivano accompagnati da un disegno a forma di membro maschile.

    Chiuse la porta dietro sé e si perse in altre, variegate letture di quel buco di cesso. Appena consumato il bisogno fisiologico si accorse che un qualcosa per lui tremendamente spaventoso gli piombò addosso come un veleno: i battiti cardiaci divennero pesanti come colpi di mazza su un tronco d’albero e veloci come i battiti d’ala di un colibrì, la gola si strinse, la saliva fluiva via dalla bocca come un fiume in piena, i muri e tutte le scritte si avvolsero in un coacervo di moti uniformi, centripeti e poi ancora disomogenei e centrifughi, le mani tremavano come quelle di un neonato in fasce, il ritorno imminente di un nuovo, incessante bisogno fisiologico gli cosparse i calzoni di urina. Provò a tirare la maniglia della dannata porta in legno ma la contrazione muscolare andava via via scemando e la vista diveniva scura come una notte buia vista dal profondo degli abissi dell’oceano. Le gambe non ressero, sbatté la testa contro la porta e solo la limitatezza spaziale del bagno lo aiutò a non caracollare nella turca.

    << Signore, si sente bene? Signore, mi sente? >> Esclamò qualcuno in lontananza.

    Tutt’intorno un buio innaturale. La voce proveniva da un punto indefinito sito negli spazi lugubri delle vertigini.

    << Spazio signori, lasciatelo respirare. >> Ancora quella voce, questa volta più vicina e tangibilmente riscontrabile in un preciso punto, anche se ancor parecchio tenebroso.

    Alcune immagini si sovrapposero in un pertugio buio di un angolo della psiche, quello delle proiezioni e percezioni oniriche: il signor Muller che caricava in groppa non le buste della spesa ma un sacco nero trasudante di sangue che, disumanamente, si cospargeva nelle scale del palazzo; accanto al vecchio la signora Person che, tenendo in una mano i resti putridi di Oz, continuava a sghignazzare e ripetere ‘i vizi sono i viatici d’accesso per la perversione perpetua, i vizi sono i viatici d’accesso per la perversione perpetua…’; i due salirono le scale in simbiosi, Muller con il sacco nelle spalle e la Person con la carcassa di Oz tra le braccia, e si fermarono di fronte ad un portone, la cui targhetta recitava ‘dottor Tyler Cook’.

    << Secondo me è opera degli York. >>

    << Gli York ormai hanno messo le mani sulla cocaina e sul gioco d’azzardo. Non si sporcano più le mani per incendiare un’edicola. >>

    << Ma quest’edicola, tenente, è dei Frost, la banda rivale agli York. >>

    L’incendio fu domato dai vigili del fuoco e l’edicola all’angolo tra la Willoughby Ave e la Village Street era depauperata ad un cibreo di polveri, fumi, carbone, combustioni inerti e residui di pagine di giornale incenerite. Le esalazioni del rogo salivano verso il cielo di Juneau con flemma evidente, il sole che batteva ardentemente contro il miasma lo colorava di rosso avorio.

    I pensieri di Luck Frost, appena arrivato nel nocciolo dell’attentato, si colorarono di nero catrame.

    << Tenente, quello è Luck Frost. Uno come Luck Frost non si muove per una cosa di poco conto. >> Esclamò l’agente Milner con tono beffardo, quasi canzonatorio.

    Il tenente Rainey non rispose. Osservava attentamente i lavori degli agenti del Seward Fire Department, i vigili del fuoco di Juneau. Alcuni di essi, manichette alla mano, domavano le ultime fiamme presenti, altri ripiegavano con le autocisterne verso il dipartimento e il loro capo, uno zazzeruto sessantenne con l’aria da saccente, sventolava sotto gli occhi idrofobi di Frost la miccia dell’incendio: una bottiglia di champagne ormai frantumata intrisa di benzina.

    I curiosi si facevano sempre più numerosi, tante le persone che fermavano l’auto in doppia fila per ammirare la nube delittuosa, sicché l’epicentro del misfatto venne recintato con del nastro bicolore, ad eccezione della via di fuga per i mezzi del Seward, in direzione Village Street. Proprio da quel lato arrivarono Frazier Stevens e Marvin Davis, i due più stretti collaboratori di Frost. Il primo era uno spilungone dallo sguardo penetrante, serioso nel modo di essere, letale nel modo di fare; il secondo era più giovane, sui venticinque anni, elegante nel vestire, graffiante negli atteggiamenti e cinico nei momenti – criminali – importanti. L’anima, la mente e il braccio della Banda di Frost si trovavano a pochi metri dall’edicola ormai simile ad una tazza di caffè fumante.

    << Ho saputo di recente, da un informatore di Eastaugh Way, che i Frost hanno monopolizzato la gestione delle slot machine, delle piste sciistiche e dell’edilizia. Il loro business si estende fino allo Stato di Washington. >> Fece il tenente Rainey, mentre osservava con attenzione i tre malavitosi che, ostinatamente, confabulavano con il capo del Seward.

    << Quindi gli York, che qua in città gestiscono il gioco d’azzardo, stanno provando a rivendicare la loro posizione. O mi sbaglio? >> Rispose prontamente Milner.

    << Sbagli. Si vede proprio che un giovanotto come te, che proviene dalle foreste dell’Oregon, non conosce ancora bene l’Alaska e Juneau. >> Bisbigliò il tenente, mordendosi le labbra per moderare il tono di voce. << Gli York le ritorsioni le fanno con il piombo .>>

    Milner non rispose, si limitò a osservare lo sguardo corrucciato che il tenente nascondeva dietro il folto baffo scuro, rinchiuse le sue spalle e attese il prossimo suggerimento o ammonimento del capo.

    << Hey, tenente, ha visto la brutta piega che sta prendendo la nostra città? >> Chiese una voce alle loro spalle. << Dei poveri vecchietti assaliti di continuo per un ciuffolo di pane, mendicanti bastonati per il bicchiere di monete raccolto in giornata, persone che spariscono improvvisamente, edicole che saltano per aria… >>

    A parlare fu Martin Davis, frattanto dileguatosi nella folla per raggiungere i due agenti. Indossava uno sguardo strafottente, insolente il ghigno trapiantato in viso. I lunghi capelli gli cadevano appena sopra la camicia viola, le braccia erano coperte da alcuni tatuaggi, Silence Exile Cunning quello più evidente sull’avambraccio destro; le mani si ingentilivano di numerosi anelli, immancabile l’orologio d’oro, mentre i jeans chiari cadevano sopra delle Vans blu scure…un criminale firmato.

    << Non so ancora di cosa si occupi lei nella vita, dato che al momento è iscritto nel casellario dei disoccupati. Intuisco quali siano le sue attività, oltremodo delinquenziali suppongo, perciò le morali le sbatta in faccia agli amichetti suoi. >> Ribatté perentoriamente il tenente Rainey.

    << Caro tenente Rainey, lei purtroppo ha il brutto vizio di essere liso…consunto. Lei non è più al passo coi tempi…anche se dubito che lo sia mai stato: è sempre necessario perfezionarsi nella vita. Aggiornarsi. Non fosse stato per i suoi superiori, lei sarebbe ancora in giro con una lente d’ingrandimento, una pipa e un lungo cappotto che le arriva alle ginocchia, in perfetto stile Sherlock Holmes. Quest’edicola era la mia, l’edicola al molo Harbor è la mia, la rosticceria ai Magazzini Dekker è la mia. Perciò, al posto di mettere il naso e i baffi nelle solite litanie del suo zelo, veda di assicurare che Juneau non sia teatro di queste opere criminose. >> Rispose Davis, ridacchiando come uno scolaretto al primo giorno di scuola.

    << Io parlavo di un’occupazione seria, non quella dell’essere prestanome per le varie attività di Luck Frost. >>

    << Tenente. Caro il mio tenente. Si aggiorni. Guardi dove possa vedere. E’ inutile brancolare nel buio. Prestanome, attività di Luck Frost…come le dicevo: le solite litanie. Intanto Juneau cade in un baratro delinquenziale inaudito. E questo è merito del vostro dipartimento. >>

    Il sogghigno si fece più corrosivo del precedente, gli occhi ben indirizzati come dardi in battaglia verso quelli del tenente Rainey.

    << L’unico nostro merito è quello di stare con il fiato sul collo a delinquenti come voi. Il nostro demerito quello di non essere ancora riusciti a farvi marcire in una cella buia. >> Enfatizzò il tenente Rainey.

    << E difficile sbattere dentro una persona utilizzando lente d’ingrandimento, pipa e cappotto ottocentesco. Tenente…guardi dove si possa vedere. >> Esclamò Davis, ritornando verso l’edicola fumante.

    Rainey rimase in silenzio per qualche minuto.

    Le seppur derisorie parole di Martin Davis furono pungenti come un cespuglio di spine nel cuore di un malato d’amore. Davis non era malato d’amore, ma un malato di crimine. E di strada ne stava facendo il ragazzo: il modo di esprimersi e di ribattere colpo su colpo ad un veterano delle forze dell’ordine erano la prova dell’avanguardia della sua carriera criminale. Vicino a Luck Frost tutto era più semplice, ma Davis possedeva tutte le capacità per prenderne le redini. Così pensava il tenente Rainey.

    Si avvicinò il capo del Seward.

    << Tenente, l’incendio non è accidentale. Questa coppa di champagne intrisa di benzina è la miccia di deflagrazione. >>

    << Dottor McCormack, anche se distante dai suoi fitti colloqui con Luck Frost, avevo già intuito il motivo dell’incendio. V’è il dolo, senza ombra di dubbio. La prossima volta, prima di parlare con criminali di vario genere, pensi ad informare la polizia. >> Borbottò in maniera incandescente il tenente Rainey.

    Squillò la ricetrasmittente dell’automobile di servizio di Rainey. Rispose Milner.

    << Mah…Tenente… >> Balbettò McCormack, << ...Frost e Davis sono i proprietari dell’edicola, e ho pensato di informarli subito. >>

    << Lei non deve pensare cose insensate, ma applicare le norme legislative vigenti: devo essere io il primo a sapere di tutti i fatti inerenti il crimine! >>

    McCormack fece spallucce, quasi intimorito dal vigore con cui il tenente Rainey gli si scagliò contro. Non seppe ribattere.

    Il silenzio ridondante creatosi venne rotto da Milner: informava il tenente Rainey che li attendevano in commissariato.

    Codice della chiamata: 494.

    Persone scomparse.

    Bordeline e Chiromanzia – Kalispell (Montana)

    L’imminente arrivo dell’estate fece immergere Kalispell in una riva assolata e incandescente. Alle dodici del 19 Giugno i termometri segnavano quaranta gradi. L’estate del 2011 si prospettava lunga e arroventata come i pensieri astrusi di una persona in preda alla follia più assoluta. Come se non bastasse, una ditta appaltatrice del North Dakota iniziò a sostituire le tubature cittadine dell’acqua, sicché per buona parte della giornata case e cittadini vivevano al riarso.

    Alexander passò la serata alla Winston Community, la comunità di recupero fisico e psichiatrico di persone colpite da forme tumorali linfatiche molto rare e malattie psichiatriche in fase acuta. Alexander, di tale comunità, era il responsabile unico nonché il finanziatore. Finanze che, in gran parte, derivavano da case farmaceutiche che in cambio di sponsorizzazioni varie elargivano quantità di denaro sufficienti per poter tenere in piedi la Winston: psicoterapeuti, serate di beneficienza, cene tra gli iscritti, convegni e l’affitto del locale richiedevano circa diecimila dollari al mese. Denaro che gli iscritti non riuscivano a versare. Grazie ad Alexander Norton la Winston Community divenne una vera realtà sanitaria, totalmente gratuita. Lo faceva per l’amore del suo lavoro, medico psichiatra, ma anche per passione ed empatia verso le persone meno fortunate di lui, ma anche per meri riscontri, economici e carrieristici, personali.

    Prima di iniziare la riunione di gruppo delle 15.00, si trattenne per buona parte del tempo al Kalispell Regional Medical Center. Tante le pratiche da archiviare. Tanti i profili di nuovi pazienti da studiare. Forse troppi.

    La psichiatria e i malati psichiatrici, nell’ultimo decennio, sovrastarono in larga scala i malati e le altre varie forme di patologia. Al Kalispell Center lo avevano intuito da tempo, potenziando la forza lavoro del reparto di Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura. Proprio durante tale contingenza Alexander conobbe Elinor Williams, anch’essa medico, proveniente dagli Stati del sud.

    Alexander Norton era un marcantonio di un metro e novanta che viaggiava ormai sui quaranta, capelli mezza lunghezza laccati all’indietro in stile Clarke Gable, pizzo rado, spalle large come le roccaforti di Puivert e, ovviamente (per il fisico statutario), nomea da playboy che lo accompagnò fuori e dentro il Kalispell Center: avvocatesse, architette, dottoresse e donne in carriera le sue vittime preferite. Elinor, però, gli rapì il cuore: era allo stesso tempo una quintessenza di passione, desiderio, impulsi concupiscenti, amplessi psicomotori di ardore, etere di rapimento d’amore e di eccitazione; in quanto a bellezza toccava vette invalicabili, una fata dallo sguardo magnetico, un archetipo di irresistibile charme, gli occhi di ghiaccio, i lineamenti delicati, il corpo seducente, vergine come Atena, vulnerabile sentimentalmente come Persefone. Invero, si fece sedurre da Alexander, concedendosi come Teodora del Bisanzio.

    Erano fidanzati ufficialmente da quasi un anno, dal Giugno del 2010 più mite e indulgente, e sovente volavano in Alaska per visitare Juneau, città della costa sudoccidentale dell’Alaska che si estendeva lungo il canale di Gastineau; una parte di essa – centro storico, zona industriale e il porto – si trovava sulla terraferma, mentre la zona bene, West Juneau, sull’isola di Douglas. Peculiarità di Juneau era l’isolamento: pur essendo sul mare, l’entroterra era contraddistinto da rilievi e ghiacciai, perciò non la si poteva raggiungere via terra, soltanto mediante navi, aerei o idrovolanti.

    E’ proprio a Juneau che Alexander Norton conobbe ed entrò in affari con il dottor Tyler Cook, responsabile della Nimmer. In cambio di solidi versamenti per la Winston Community – che, di rimando, aumentava l’afflusso di clienti nello studio privato di Norton – la Nimmer vantava l’esclusiva al Kalispell Hospital per ciò che concerneva fornitura, distribuzione e somministrazione dei propri farmaci, con conseguente diniego dei farmaci distribuiti dalle case farmaceutiche concorrenti. Un mix di aggiotaggio e peculato ben sortito e ordito da Cook – la mente di tale operazione – che vide accrescere i fatturati della sua azienda. Un duo medico-farmaceutico cinico e blasfemo a scapito di tutti i malati e del vecchio Ippocrate.

    Il tema del dibattito di quella sera alla Winston fu la capacità di reazione psicologica a fronte degli enormi stress causati da varie forme di malattie. All’incontro presenziarono tutti i membri iscritti, con la sola eccezione di Oscar Maddison, un ventenne affetto da disturbo borderline marcato. Senza preavviso, non si presentò alla seduta di gruppo.

    Elinor aspettava Alexander al Taco Bell, sulla Chaplin Street, alle 19.30. Era un locale piccolo ma confortevole, frequentato perlopiù da medici e avvocati che si scolavano un paio di bourbon prima del meritato rientro nelle proprie abitazioni.

    Era più incantevole che mai: il rossetto rosso fuoco forniva al viso un’iridescenza soave, indosso solo una t-shirt aderente alle splendide, prosperose forme e una minigonna corta ma non volgare. Si salutarono con un lungo, intenso abbraccio intervallato da alcune effusioni…carne su carne. Bevettero un martini e una coca, scambiarono opinioni e impressioni sulla giornata trascorsa e dopo aver lasciato il locale, prima di salire nelle rispettive automobili, s’imbatterono in una strana, enigmatica signora: sedeva in una delle panchine di Clinton Ave, il viale che costeggiava il Taco Bell, vestiva di abiti più simili a vecchi stracci e un cartello che le ammantava il collo recitava Leggo La Mano Senza Nulla in Cambio. Niente Soldi, Niente Elemosina. Solo Fiducia in Ciò che Dico .

    << Che strana persona… >> Osservò Elinor.

    << Cara, non crederai mica alla chiromanzia? >>

    << Mi incuriosiscono tali pratiche. E poi, non a caso le chiamano pseudoscienze. >> Rispose, avvicinandosi alla signora.

    Alexander, titubante, seguì Elinor.

    << Buonasera signora, sono Elinor Williams e mi piacerebbe che lei mi leggesse la mano. >>

    << Non mi trovo qui per caso. >> Fece la chiromante, esibendo un sorriso povero di denti e colmo di luridezza orale.

    Alexander, che di povertà economica, fisica e morale ne discerneva quotidianamente, non fu per nulla turbato dal coacervo mistico di illuvie.

    << Benissimo. >> Ribatté Elinor, << Però, quando avrà finito con la lettura, promette che accetterà un piccolo pensiero da parte mia? E’ pur sempre un’arte, la lettura della mano. E come tutte le arti deve essere ricompensata. >>

    << L’arte non è economia. Ogni forma d’arte trova la sua massima dimensione quando è lontana dalle ipocrisie morali del nostro mondo, come costi, denaro e consumismo. L’arte prescinde da tali scostumate immoralità. >> Bisbigliò la chiromante, con tono di voce via via crescente.

    << Non posso darle niente in cambio? >>

    << Inopinabilità e nessun dubbio. Tutto qua. >>

    << D’accordo. >> Rispose Elinor, tendendo la mano alla chiromante.

    La donna afferrò la mano destra di Elinor, la guardò attentamente, chiuse gli occhi, alzò il viso verso il cielo. Poi le strofinò la mano con la sua, palmo contro palmo, dorso contro palmo. Alexander osservava quasi noiosamente.

    Nello stesso istante una Chrysler 300 grigia si fermò sulla Chaplin Street.

    << Hey, Alexander, che ci fa un gladiatore come te in un bar di buiaccari come questo? >>

    << Stavo aspettando che passasse uno stronzo a portarmi via da questa Babilonia. >> Rispose briosamente Alexander, dirigendosi verso l’auto.

    Era il dottor Robert Lee, collega al servizio psichiatrico.

    << La mano destra è quella del futuro. A noi interessa il futuro non il passato. Nella mano sinistra le ombre del passato, nella mano destra l’idillio del futuro. Su questa mano andremo a scoprire l’inopinabilità. >>

    << Come va Robert? Novità dal servizio dei matti? >>

    << Nessuna novità. Ho passato la maggior parte del pomeriggio nell’ufficio schedario, a chiudere e archiviare vecchie cartelle cliniche. Queste cose dovrebbero farle gli infermieri. >>

    << Così ci ritroviamo i sindacati di categoria sotto il culo, a menarci la storia della subalternità come reato. Si lamentano per tutto: demansionamento, sfruttamento, turni di lavoro. Ci mancano solo le lamentele per sovramansionamento. >>

    << Il Monte di Giove: la spianata che si trova sotto l’indice. Crescita, espansione, buona sorte. Immensità. Nell’astrologia medica indica sangue, fegato, ipofisi e distribuzione del tessuto adiposo…lei ha una distribuzione di tale tessuto direi magnifica. Il monte di Giove morbido, simile alla seta, pronunciato come pochi, indica una futura predisposizione per ruoli importanti e di rilievo, nonché

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