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Salinger
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E-book643 pagine9 ore

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La misteriosa vita dell’autore de Il giovane Holden

La vera storia di un genio

Il giovane Holden, pubblicato quasi 60 anni fa e con oltre 60 milioni di copie vendute nel mondo, è uno dei romanzi più famosi della storia della letteratura mondiale. Ma il suo autore, al culmine del successo, scelse di ritirarsi a vivere sulle colline del New Hampshire, rifiutandosi di rilasciare interviste, apparire in pubblico e dare notizie di sé, smettendo anche di scrivere dal 1980 fino alla fine della sua vita. Ma chi è stato davvero Salinger? Kenneth Slawenski ha ricostruito, con passione e rigore, la storia mai raccontata di J.D. Salinger, una vita avvolta nel mistero, portando alla luce l’immagine di un ragazzo brillante e sarcastico, dettagli della sua vita sentimentale e il tormentato ricordo della partecipazione alla seconda guerra mondiale. Una biografia ricca di nuove informazioni e rivelazioni raccolte in innumerevoli interviste, lettere e documenti che ha ispirato il biopic hollywoodiano con Kevin Spacey e Nicholas Hoult. Un libro straordinario che nessun amante della letteratura può permettersi di non leggere.

Pubblicato in 20 Paesi, finalmente anche in Italia il bestseller internazionale sulla vita dello scrittore de Il giovane Holden

«Sincero, empatico e preciso… [Slawenski] ha scritto un libro evocativo che tratteggia l’evoluzione dell’opera e del pensiero di Salinger.»
The New York Times

«Sorprendente… ricca di spunti… una biografia letteraria impressionante.»
USA Today

«Nessun altro autore riuscirebbe a eguagliare l’impresa di Slawenski: ha catturato la gloria della vita di Salinger.»
The Wall Street Journal

«Grazie a esaustive ricerche biografiche (soprattutto sugli inizi) e grazie a dettagli sconosciuti e inediti, Slawenski illumina in modo affascinante ciò che ha trasformato Salinger in uno straordinario fenomeno letterario.»
The Sunday Times

«Ricco di notizie inedite, è scritto in modo eccellente: emerge così un quadro realistico della vita
di Salinger.»
The Times

«Un lavoro prezioso che fa luce sulla vita dell’affascinante e misterioso autore de Il giovane Holden.»
Publishers Weekly

Kenneth Slawenski
nato e cresciuto nel New Jersey, ha conseguito due lauree ed è l’autore del bestseller Salinger, vincitore del Humanities Book Award 2012 e pubblicato in 20 Paesi. Rileggendo Il giovane Holden ha accresciuto il suo interesse per la figura artistica e umana di J. D. Salinger, su cui ha cominciato a compiere delle ricerche fino a creare il sito deadcaulfields.com, riconosciuto dal «New York Times» come la miglior risorsa su Salinger in Internet. Negli ultimi anni, ha lavorato con registi di Hollywood come consulente storico.
LinguaItaliano
Data di uscita14 lug 2017
ISBN9788822712844
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    Anteprima del libro

    Salinger - Kenneth Slawenski

    1. Sonny

    La Grande Guerra aveva cambiato tutto quanto. All’alba del 1919, la gente si svegliò in un mondo tutto nuovo, pieno di promesse ma anche di incertezze. Il solito modo di vivere, le convinzioni e le idee che per decenni erano rimaste immutate venivano adesso messi in dubbio, o spazzati via. I fucili avevano smesso di sparare da appena qualche settimana. Il Vecchio Mondo giaceva ora in rovina. Al suo posto sorgeva una nuova nazione pronta ad assumersi il ruolo di grande potenza. E, in questa nazione, non c’era città più pronta e ansiosa di New York.

    Nel primo giorno del primo anno di pace, Miriam Jillich Salinger partorì un bambino. Aveva già una figlia, Doris, nata sei anni prima. E, dalla nascita della piccola Doris, Miriam aveva avuto diversi aborti spontanei.

    Aveva rischiato di perdere anche questo bimbo. Quindi fu con un misto di gioia e sollievo che Miriam e Solomon Salinger accolsero la piccola creatura. Gli diedero il nome di David, ma lo chiamarono Sonny sin dal primo giorno.

    Sonny nacque in una famiglia della borghesia ebraica che nutriva grandi ambizioni e andava contro norme e consuetudini sociali. La stirpe dei Salinger affondava le sue radici nel paesino di Sudargas, un minuscolo insediamento ebraico (shtetl) lungo il confine polacco-lituano dell’Impero russo, luogo in cui, stando ai documenti storici, la famiglia viveva almeno dal 1831. Ma i Salinger non si curavano di tradizioni o sentimenti nostalgici. All’epoca in cui nacque Sonny, il loro legame con quel passato si era sciolto già quasi del tutto. Il padre di Sonny era un uomo robusto e motivato, fermamente deciso a emanciparsi dal mondo in cui erano nati i suoi genitori, un mondo che lui considerava arretrato. Per quanto all’epoca Solomon non lo sapesse, questa sua ribellione era in realtà una tradizione di famiglia. I Salinger andavano per la loro strada da sempre, di rado si guardavano indietro e ogni nuova generazione prosperava più della precedente. Come avrebbe detto lo stesso Sonny in futuro, i suoi antenati avevano una stupefacente propensione «per i tuffi da enormi altezze entro piccoli recipienti d’acqua» e per fare centro ogni volta¹.

    Hyman Joseph Salinger, il bisnonno di Sonny, si era trasferito da Sudargas alla fiorente cittadina di Taurage per sposare una donna appartenente a un’importante famiglia locale. Nei suoi scritti, J.D. Salinger avrebbe poi immortalato il bisnonno nella figura del clown Zozo, onorandolo come patriarca della famiglia e confessando di essersi sempre sentito vegliato dal suo spirito. Hyman Joseph rimase in Russia per il resto dei suoi giorni e morì nove anni prima che nascesse il suo bisnipote. Salinger lo conosceva solo tramite una fotografia, un’immagine che gli offriva lo scorcio di un altro mondo. Ritraeva un anziano contadino circondato da un’aura di nobiltà, dritto nel suo soprabito nero e con una lunga barba fluente, contraddistinto da un naso di notevoli dimensioni, caratteristica cui Salinger ammise di aver guardato con un brivido di apprensione².

    Anche il nonno di Sonny, Simon F. Salinger, era un uomo ambizioso. Nel 1881, un anno segnato dalla carestia (che però non colpì Taurage), lasciò casa e famiglia per emigrare negli Stati Uniti. Subito dopo l’approdo in America, sposò Fannie Copland, anche lei migrante dalla Lituania, nella città di Wilkes-Barre, in Pennsylvania. I due si trasferirono poi a Cleveland, in Ohio, dove trovarono un appartamento in uno dei tanti quartieri di immigrati e dove, il 16 marzo 1887, Fannie diede alla luce il padre di Sonny, Solomon, il secondo dei cinque figli sopravvissuti al parto³.

    Nel 1893 i Salinger vivevano a Louisville, nel Kentucky, dove Simon frequentava la facoltà di Medicina. La formazione religiosa ricevuta in Russia gli tornò comoda, poiché gli permise di diventare rabbino e finanziarsi così gli studi⁴. Una volta laureato, Simon dismise le vesti di rabbino e, dopo un breve ritorno in Pennsylvania, portò la famiglia alla sua destinazione finale, nel centro di Chicago, dove aprì uno studio medico poco distante dal Cook County Hospital⁵. Sonny conosceva bene il nonno, e lo avrebbero conosciuto anche i lettori di Il giovane Holden. Il dottor Salinger si recava spesso a New York per far visita al figlio, gettando così le basi per il nonno di Holden Caulfield, l’adorabile personaggio che avrebbe imbarazzato il nipote con la sua abitudine di leggere a gran voce i segnali stradali quando viaggiava in autobus. Simon Salinger morì nel 1960, a un passo dal centesimo compleanno.

    * * *

    Nelle prime frasi di Il giovane Holden, il personaggio principale si rifiuta di condividere col lettore il passato dei suoi genitori, facendosi beffe dell’idea di raccontare «cosa facevano e non facevano i miei genitori prima che nascessi, e altre stronzate alla David Copperfield». «Ai miei», spiega, «verrebbero un paio di ictus a testa, se andassi in giro a raccontare i fatti loro»*. Questa apparente elusività dei genitori di Holden era tratta direttamente dalle personalità della madre e del padre dello stesso Salinger. Sol e Miriam parlavano raramente del passato, soprattutto coi figli, e questo proiettò una cappa di segretezza sulla famiglia Salinger, tanto che, crescendo in quell’atmosfera, Doris e Sonny divennero due persone assai riservate.

    L’insistenza dei Salinger nel salvaguardare la loro intimità diede anche adito ad alcune dicerie. Nel corso degli anni la storia di Miriam e Sol è stata più volte imbellettata. A cominciare dal 1963, quando il critico letterario Warren French riportò in un articolo per la rivista «Life» che Miriam era di origini irlandesi. Nel tempo, questa diceria si trasformò nell’affermazione secondo la quale la madre di Salinger era nata a County Cork, in Irlanda. E questo, a sua volta, generò quella che è forse la storia più volte ripetuta riguardo i genitori di Salinger: la famiglia di Miriam, in virtù di un’ipotetica fede cattolica irlandese, si oppose così duramente al matrimonio con Sol, essendo questi ebreo, che alla coppia non restò altra scelta se non fuggire insieme. E, una volta venuti a sapere di quel gesto di sfida, i genitori di Miriam non le rivolsero più la parola.

    Queste storie non hanno alcun appiglio con la realtà, eppure persino Doris, la sorella di Salinger, al momento della propria morte, nel 2001, era ancora convinta che la madre fosse nata in Irlanda e che a lei e a Sonny fosse stato volutamente negato qualsiasi rapporto con i nonni.

    Le circostanze relative alla famiglia di Miriam e al matrimonio con Sol erano già abbastanza dolorose senza alcun bisogno di ricamarci sopra. Tuttavia, i genitori di Salinger finirono con l’esacerbare quel dolore nel tentativo di celare il proprio passato. Così facendo, non solo esposero il fianco a fittizie reinvenzioni della loro storia, ma confusero anche i figli stessi. Pur di porre un freno alla naturale curiosità di Doris e Sonny, Miriam e Sol diedero credibilità a un passato irreale che li avrebbe accompagnati per il resto della vita.

    La madre di Salinger era nata come Marie Jillich l’11 maggio 1891, in un paesino del midwest chiamato Atlantic, nello Stato dell’Iowa⁶. I suoi genitori, Nellie e George Lester Jillich Jr, avevano rispettivamente venti e ventiquattro anni quando la misero al mondo, e i documenti mostrano che fu la seconda dei sei figli rimasti in vita⁷. I nonni di Marie, George Lester Jillich Sr e Mary Jane Bennett costituirono la prima famiglia Jillich che si stabilì nell’Iowa. Nipote di emigranti tedeschi, George si era spostato dal Massachusetts all’Ohio, dove aveva conosciuto e sposato Mary Jane. Durante la Guerra civile prestò brevemente servizio nel Centonovantaduesimo reggimento dell’Ohio, e dopo il suo ritorno a casa, nel 1865, la moglie mise al mondo il padre di Marie. George Sr alla fine divenne un facoltoso mercante di grano e, nel 1891, era ben saldo nel suo ruolo di capofamiglia, con i figli George Jr e Frank che ne seguivano le orme professionali.

    Anche se in seguito Marie avrebbe dichiarato che sua madre, Nellie McMahon, era nata a Kansas City nel 1871, figlia di immigrati irlandesi, ben quattro voci nel registro del censimento federale (per gli anni 1900, 1910, 1920 e 1930) paiono indicare che con ogni probabilità la donna era originaria dell’Iowa. La tradizione di famiglia vuole che Marie avesse conosciuto Solomon agli inizi del 1910 durante una fiera nei pressi della fattoria della famiglia Jillich (versione poco verosimile, non essendo mai esistita tale fattoria). Gestore di una sala cinematografica a Chicago, Solomon, detto Sollie in famiglia e Sol per gli amici, era alto un metro e ottanta e aveva l’aria sofisticata di chi vive nella grande città. Marie, appena diciassettenne, era di una bellezza mozzafiato, con lunghi capelli rossi e la pelle chiara, in netto contrasto con la carnagione olivastra di Sol. La loro storia d’amore fu immediata e intensa, e Sol decise di sposarla fin dal primo istante.

    Quell’anno, il 1910, una rapida serie di eventi, alcuni dei quali anche strazianti, terminò col matrimonio di Sol e Marie in primavera. Mentre i Salinger avevano stabilmente continuato a migliorare le loro condizioni, gli Jillich avevano incontrato alcune improvvise difficoltà. L’anno prima era morto il padre di Marie⁸. Incapace di mantenere la famiglia, la madre aveva preso con sé il figlio minore e si era trasferita nel Michigan, dove si sarebbe poi risposata. Marie non l’aveva seguita, per via dell’età e della sua relazione con Sol. Il fulmineo fidanzamento con conseguente matrimonio si rivelò quindi provvidenziale, soprattutto se si considera che, all’epoca della nascita di Sonny, nel 1919, Nellie era ormai defunta⁹. La perdita di entrambi i genitori fu con ogni probabilità motivo sufficiente per indurre Marie a non voler parlare di loro neppure coi propri figli. Invece di restare aggrappata al passato, si dedicò alla nuova vita insieme al marito. Ora che i Salinger erano la sua unica famiglia, ne cercò l’approvazione convertendosi alla religione ebraica e cambiando il proprio nome in Miriam, come la sorella di Mosè.

    Simon e Fannie pensavano che Marie, con la pelle color latte e i capelli ramati, sembrasse una «irlandesina»¹⁰. In una città con diecimila giovani ebree in età da matrimonio, non avrebbero mai immaginato che Sollie potesse portare a casa una gentile dell’Iowa con i capelli rossi, ma accettarono Miriam come nuora, e presto la giovane si trasferì nella loro casa di Chicago.

    Miriam andò a lavorare con Sol presso la sala cinematografica, alla biglietteria o al piccolo chiosco. Malgrado il loro impegno, l’attività non aveva successo e dovette chiudere, costringendo il fresco sposo a cercarsi un nuovo impiego. Lo trovò in fretta, presso la J.S. Hoffman & Company, una ditta che importava formaggi e carni dall’Europa e li vendeva poi con il marchio Hofco. Dopo la delusione del cinema, Sol si ripromise di non fallire mai più negli affari, e si dedicò anima e corpo alla nuova azienda. Questo impegno venne ripagato, e dopo la nascita di Doris nel dicembre del 1912, Sol venne promosso a direttore generale della nuova filiale di New York, diventando, come lui stesso dichiarò con freddezza, «il gestore di una fabbrica di formaggi»¹¹.

    La nuova posizione di Sol rese necessario il trasferimento della famiglia nella città di New York, dove i Salinger si sistemarono in un accogliente appartamento al civico 500 della Centotredicesima Ovest, vicino alla Columbia University e alla cattedrale di Saint John the Divine. Sebbene ora si occupasse della compravendita di prosciutti, alimento tutt’altro che kosher, oltre che di formaggi, Sol era riuscito a tener viva la tradizione di famiglia, portando il nome dei Salinger più in alto rispetto alla precedente generazione, cosa della quale andava assai orgoglioso. Ma il lavoro finì col diventare tutta la sua vita, e arrivato al trentesimo compleanno, nel 1917, aveva ormai tutti i capelli color «grigio ferro»¹².

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    Fino ai tredici anni, Sonny frequentò la scuola pubblica nell’Upper West Side. Questa foto, risalente al 1929 circa, lo ritrae insieme ai compagni di classe sui gradini dell’istituto.

    Gli anni Venti furono un periodo di inaudita prosperità per l’America, e nessuna città arrivò a risplendere al pari di New York. Era diventata la capitale economica, culturale e intellettuale della nazione, forse anche del mondo in generale. Idee e valori venivano trasmessi in tutto il continente grazie alla radio, e la stampa permetteva di raggiungere milioni di lettori. Le sue strade influenzavano la vitalità economica di nazioni intere, e i mercati e le pubblicità dettavano gusti e desideri a tutta una generazione. Trovandosi al posto giusto nel momento giusto, i Salinger continuarono ad arricchirsi.

    Tra il 1919, anno di nascita di Sonny, e il 1928, Sol e Miriam traslocarono tre volte, ciascuna in un nuovo e più signorile quartiere di Manhattan. Quando Sonny venne al mondo abitavano al 3681 di Broadway, in un appartamento di North Harlem. Entro la fine dell’anno erano già tornati al loro quartiere originario, nella casa sulla Centotredicesima Ovest. Nel 1928 ci fu un trasferimento ancor più ambizioso, e la famiglia affittò un appartamento a pochi isolati da Central Park, al 215 dell’Ottantaduesima Ovest. L’abitazione era provvista anche degli alloggi per la servitù, e Sol e Miriam assunsero subito una governante, una donna inglese di nome Jennie Burnett. Solly stava crescendo in un mondo di agi e comodità, protetto dall’indulgenza dei genitori e dalla loro crescente prosperità.

    Negli anni Venti, la religione seguita e la nazione di provenienza divennero elementi sempre più importanti per chi era in netta ascesa sociale. Soprattutto a New York, le origini americane e la fede protestante erano considerati simboli di rispettabilità. Man mano che i Salinger acquisivano rilevanza e si spostavano verso il centro pulsante della città, si ritrovarono sempre più avvolti da una sgradevole atmosfera di intolleranza.

    Di conseguenza, allevarono Sonny e Doris secondo tradizioni etniche e religiose assai vaghe e variegate. Non li costrinsero mai ad andare in chiesa o alla sinagoga, e la famiglia festeggiava sia il Natale che la Pasqua ebraica. In futuro, Salinger avrebbe attribuito un retroterra simile a gran parte dei suoi personaggi. Tanto i Glass quanto i Tannenbaum avrebbero senza difficoltà riconosciuto il proprio retaggio per metà cristiano e per metà ebreo, e Holden Caulfield avrebbe dichiarato che il padre era stato «cattolico, una volta. Poi però [aveva] smesso»**.

    Miriam adorava suo figlio. Forse perché il parto era stato difficile, o come reazione all’essersi sentita abbandonata in gioventù, prese presto a viziarlo. Ai suoi occhi, Sonny non faceva mai nulla di sbagliato. Questo metteva Solomon nella precaria posizione di provare a dare una disciplina al figlio, tentando al contempo di non incappare nelle ire della moglie, che potevano essere notevoli. Quasi tutti i resoconti concordano nel dire che, quando in famiglia scoppiava una crisi, a prevalere era di solito l’opinione di Miriam, cosa che lasciava Sonny per lo più privo di limitazioni.

    Salinger fiorì sotto le attenzioni della madre, e le fu molto legato per tutta la vita, tanto da dedicarle Il giovane Holden. Miriam era convinta che il figlio fosse destinato a grandi cose, convinzione che lui finì col condividere. Di conseguenza, tra i due vi era una rara tipologia di reciproca comprensione. Ancora in età adulta, Salinger avrebbe scambiato con la madre lettere di aneddoti e pettegolezzi, godendo nel raccontarle le piccanti storie delle persone che conosceva. Anche durante la guerra Miriam si divertiva a ritagliare gli articoli dalle riviste sulle star del cinema per inviarli al figlio, con tanto di commenti personali annotati a margine. Salinger passava ore, al fronte, a leggere queste missive, continuando a sognare Hollywood e il ritorno a casa. Legati sempre più uno all’altra, Miriam e Jerome erano uniti dal medesimo senso dell’umorismo e da una forma di intimità che spesso finiva per escludere gli altri. Poiché la madre lo capiva così bene e aveva completa fiducia nel suo talento, Salinger giunse al punto di aspettarsi la stessa reazione da tutti, e aveva poca pazienza o considerazione per chiunque dubitasse di lui o non condividesse le sue opinioni.

    A dubitare di lui c’era, tra gli altri, suo padre. Conquistata una posizione sociale di gran rilievo, Sol si identificava ormai con il mondo dei suoi vicini, che erano per lo più facoltosi uomini d’affari e agenti di borsa, e lasciò che il suo retaggio di immigrato ebreo svanisse discretamente sullo sfondo. Nel 1920, quando si definì gestore di una «fabbrica di formaggi» con gli ufficiali del censimento, ammise che i suoi genitori erano nati in Russia. Nel 1930 presentò in maniera differente la propria situazione, dichiarando di lavorare nel settore alimentare come venditore a commissione e di provenire da una famiglia dell’Ohio. Chiaramente per Solomon non c’era nulla di male a volersi integrare per arrivare al successo. Anche se alcuni potrebbero vedere in questi episodi un talento per le invenzioni narrative che il figlio avrebbe presto ereditato, Sol finì col rappresentare quegli stessi valori che Jerome disprezzava, tratti che i suoi futuri personaggi avrebbero condannato come ipocrisia, condiscendenza e avidità.

    Peggio ancora, Sol non riuscì mai a capire le ambizioni del figlio, e si chiedeva spesso perché non fosse più pragmatico. Quando Salinger, in giovane età, espresse il desiderio di diventare attore, Sol si oppose all’idea malgrado la tacita approvazione della moglie. Poi, quando in seguito il ragazzo annunciò di voler fare lo scrittore, Sol di nuovo lo sminuì. Non sorprende, quindi, che Salinger fosse cresciuto considerando il padre come una persona miope e insensibile, cosa che influì negativamente sul loro rapporto. Anni dopo, il migliore amico di Sonny, Herb Kauffman, avrebbe rammentato una cena da adolescente a casa dei Salinger in cui Sonny e Sol cominciarono a litigare: «Sol proprio non voleva che il figlio diventasse uno scrittore», commentò, aggiungendo che spesso Jerome trattava il padre in maniera irrispettosa.

    Forse su insistenza di Sol, ogni estate Sonny veniva spedito a Camp Wigwam, lontano dalla città di New York, nel fitto dei boschi del Maine. Ma se Sol sperava che quelle esperienze potessero insegnare il conformismo al figlio, allora si sbagliava. Fondato nel 1910, Camp Wigwam era un modello di diversità, che poneva grande enfasi tanto nelle discipline atletiche quanto nelle arti creative. In quest’atmosfera, Sonny poté sbocciare. I documenti mostrano che eccelleva negli sport e nelle altre attività di gruppo, ma era in particolar modo attratto dal corso di teatro. Nel 1930, all’età di undici anni, Jerome (al campo estivo lo chiamavano sia Sonny sia Jerome) prese parte a diverse recite, in due delle quali ottenne il ruolo del protagonista principale, e venne eletto «attore preferito del campo»¹³. Questo riconoscimento avrebbe dato vita a una passione per il teatro destinata a durare anni. Salinger spiccava anche dal punto di vista fisico. Era più alto degli altri bambini, e nella foto di gruppo del 1930, con indosso una camicia strappata per somigliare a Tarzan, torreggia sul resto dei compagni.

    Potendovisi crogiolare in tante attenzioni, a Salinger piaceva Camp Wigwam, e i ricordi di quelle estati nei boschi ai tempi dell’infanzia sarebbero rimasti per sempre vividi e felici. Più in là negli anni, questi stessi ricordi l’avrebbero spinto a cercare rifugio in un ambiente simile, e a tornarvi anche tramite le sue storie, mandando i suoi personaggi uno dopo l’altro in una qualche forma di campeggio***.

    * * *

    Nel 1930 l’America si ritrovò stretta nella morsa della Grande Depressione. New York non era più la città delle grandi occasioni. Le luccicanti scene di commercio e ottimismo vennero sostituite dalle file per il pane e dalla disperazione. Se il percorso verso l’alta società seguito da Miriam e Sol nel decennio precedente era stato notevole, ora divenne sbalorditivo. Sfidando la marea di dilagante miseria, i Salinger continuarono ad accumulare ricchezza e migliorarono ancora la loro posizione sociale. Nel 1932 fecero quello che si sarebbe rivelato l’ultimo trasloco: oltre Central Park, nel maestoso Upper East Side. Sol trasferì la famiglia in un lussuoso appartamento nel distretto di Carnege Hill, al 1133 di Park Avenue sulla Novantunesima Strada. In una città di quartieri in forte contrasto, dove l’ubicazione era fondamentale nel definire il ceto, la nuova dimora dei Salinger rappresentava l’epitome del successo. Lussuoso e accogliente, il prestigioso palazzo aveva una vista su Central Park ed era a breve distanza dallo zoo e dal Metropolitan Museum of Art. I Salinger erano a tal punto fieri della nuova abitazione che per molti anni usarono carta da lettere personalizzata, nella cui intestazione non c’era il nome di famiglia ma compariva l’indirizzo di Park Avenue.

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    Il 1133 di Park Avenue. Salinger visse in questo agiato condominio di Manhattan, nell’Upper East Side, sin da quando aveva tredici anni, e si giovò di tale lusso fino ai ventotto. Ispirazione per la casa della famiglia Glass in Franny e Zooey, rimase la dimora dei Salinger fino alla morte dei suoi genitori, nel 1974 (Ben Steinberg).

    Fino al momento dell’ultimo trasloco, Sonny aveva frequentato la scuola pubblica nel West Side. Ma i figli dei grandi uomini d’affari di Park Avenue non andavano alla scuola pubblica. Ricevevano invece un’istruzione privata, di solito in prestigiosi collegi lontano da casa. I Salinger volevano qualcosa di simile per il loro rampollo, ma non erano disposti ad averlo troppo distante, e così scelsero di mandarlo nel già noto West Side, iscrivendolo alla McBurney School sulla Sessantatreesima Ovest.

    La McBurney era senza dubbio un passo avanti rispetto alla scuola pubblica, ma era ben lungi dalle impressionanti istituzioni scelte dai nuovi vicini dei Salinger. Cosa ancor più sorprendente, la McBurney era gestita dall’adiacente YMCA, e questo implicò che Sonny, all’epoca tredicenne, passasse direttamente dal bar mitzvah all’associazione dei giovani cristiani.

    Alla McBurney, rinsaldò il suo crescente interesse per il teatro esibendosi in due recite scolastiche. Era anche capitano della squadra di scherma, le cui attrezzature dichiarò poi di aver smarrito in metropolitana.

    Cominciò anche a scrivere e collaborò col giornale della scuola, «The McBurnian». In classe, però, appariva distratto e annoiato dalle lezioni, e passava le giornate a guardare Central Park dalle finestre o a visitare il vicino Museo di Storia naturale. Di conseguenza, i suoi voti erano a malapena accettabili e lo collocavano tra gli alunni peggiori. Chiuse l’anno scolastico 1932-1933 con un 66 in algebra, 77 in biologia, 80 in inglese e 66 in latino. L’anno seguente andò anche peggio: 72 in inglese, 68 in geometria, 70 in tedesco e 71 in latino¹⁴. Alla scuola pubblica se la sarebbe anche cavata con queste medie, ma in una istituzione privata, dove la media dei voti incideva sui finanziamenti, il suo rendimento era inaccettabile. Pur frequentando la Manhasset School durante l’estate nel tentativo di recuperare i voti bassi, l’amministrazione della McBurney gli chiese di non tornare per le iscrizioni all’anno 1934-1935.

    L’espulsione da quella scuola recise anche il suo legame con la YMCA, che si sarebbe rivelato per l’infanzia il suo ultimo rapporto con una organizzazione di tipo religioso. Con l’ascesa sociale dei genitori, Sonny e Doris crebbero in un contesto sempre più secolare finché, a metà degli anni Trenta, la famiglia non abbandonò qualsiasi sembianza di affiliazione religiosa. Quando Doris si sposò, nel 1935, in una cerimonia che si svolse nel soggiorno di casa, il matrimonio non fu celebrato da un prete o da un rabbino, ma dal famoso riformatore umanista John Lovejoy Elliott, leader della New York Society for Ethical Culture.

    * * *

    Nel settembre del 1934 Sonny aveva quasi quattordici anni. I genitori sentivano che la sua vita era giunta a un crocevia. Pur controvoglia, si resero conto che il ragazzo aveva bisogno di una disciplina più rigida di quella che regnava in casa. Con una madre troppo indulgente e un padre frenato dall’intensità della moglie, divenne chiaro che Sonny doveva andare in un collegio. Il ragazzo voleva studiare recitazione, ma Sol si rifiutò: con la Depressione ancora incombente, nessuno dei suoi figli sarebbe diventato attore. Sonny doveva frequentare invece un collegio militare.

    È facile immaginare che quella scelta fosse una forma di punizione per essersi fatto estromettere dalla McBurney. Eppure tutto lascia pensare che i Salinger avessero scelto l’accademia militare di Valley Forge tutti insieme, come famiglia. È verosimile anche che lo stesso Sonny accettò di iscriversi in quella istituzione senza il broncio o le proteste che potremmo associare al personaggio di Holden Caulfield. La logica alla base di un tale assunto è semplice: Miriam non avrebbe mai costretto il figlio a fare qualcosa che non voleva, e Sol non osava sfidare le ire della moglie.

    Dopo aver contattato l’accademia, Sol decise di non accompagnare il figlio al colloquio di iscrizione. La mancata presenza è stata citata spesso come prova di un rapporto ormai deteriorato tra i due, ma alla base c’era in realtà un motivo più inquietante. La Depressione ebbe un terribile effetto sulla vita degli ebrei in America. Gli anni Trenta furono un periodo di antisemitismo, negli Stati Uniti come altrove. Molti americani davano la colpa del tracollo economico all’avidità dei banchieri, e guardavano con rancore agli ebrei, molti dei quali occupavano posizioni di rilievo in quel settore. Questa animosità finì col radicarsi nella coscienza collettiva, e gli ebrei si ritrovarono emarginati, esclusi dalla società sotto molti aspetti. Compreso quello dell’istruzione. Quasi tutte le università e le scuole private applicarono quote di ammissione mirate a ridurre al minimo il numero di ebrei iscritti. Sol era senza dubbio al corrente di questa politica. Quando arrivò il giorno del colloquio di Sonny presso Valley Forge, lui rimase a casa. Mandò al suo posto la moglie, con la pelle chiara e i capelli rossi. Non ci sono indicazioni del fatto che Sol tentò mai di rinnegare la propria fede. Ma in questa circostanza decise di non sottoporsi a uno scrutinio che poteva mettere a repentaglio il futuro di Sonny. Nel corso di tutta la loro turbolenta relazione, nulla più di questo giorno di assenza avrebbe testimoniato il grande amore che Sol nutriva per il figlio.

    Quando Sonny, sua sorella e sua madre arrivarono a Valley Forge, martedì 18 settembre, cercarono di fare la migliore impressione possibile. Con le iscrizioni previste per il sabato successivo era importante superare quel vaglio, soprattutto dal momento che la McBurney aveva inviato all’accademia i documenti relativi al ragazzo, insieme a una breve descrizione che definiva «confusa» la sua attenzione e lo posizionava quindicesimo in ordine di merito in un corso di diciotto alunni. Avevano anche misurato il suo quoziente intellettivo a 111, commentando che malgrado l’abbondanza di talenti e capacità, non conosceva il significato del termine impegno. «In quest’ultimo semestre presso di noi, è stato colpito in pieno dall’adolescenza» (sic), concludeva il rapporto. Per fortuna, Valley Forge era una scuola giovane, in competizione con accademie più ricche e in voga. Che il candidato fosse «confuso» o meno, la scuola era restia a rifiutare una matricola pagante, e così la richiesta di Sonny fu accolta. Due giorni dopo, dal suo ufficio di Franklin Street a Manhattan, un sollevato Sol Salinger spedì all’accademia i cinquanta dollari dell’iscrizione insieme a un biglietto col quale ringraziava il responsabile del colloquio per la cortesia. Con il rapporto della McBurney ben presente nella memoria, in una lettera datata 20 settembre 1934 assicurò anche al direttore della scuola, Chaplin Waldemar Ivan Rutan, che «Jerome si comporterà in modo consono e… troverete encomiabile il suo spirito scolastico».

    * * *

    Quando Jerome entrò ufficialmente a Valley Forge, nel 1934, si unì agli altri trecentocinquanta cadetti che seguivano un regime di severa disciplina, addestramento militare e rigida routine. I cadetti si svegliavano alle sei del mattino per cominciare una giornata di corsi, lezioni, discorsi e marce interminabili. Le attività si svolgevano in gruppo e seguivano un programma fisso. I cadetti dormivano in stanze condivise, mangiavano insieme nella sala da pranzo e di domenica dovevano presenziare ai riti religiosi. Di sera, alle dieci in punto, si spegnevano le luci, mettendo così fine alla giornata. Tutti questi rituali si svolgevano sotto stretta sorveglianza, ed erano immersi in un’atmosfera soldatesca che poneva enfasi su dovere, onore e obbedienza. Le infrazioni alle regole venivano duramente punite; e di regole ce n’erano tante, a Valley Forge. Ciascun cadetto doveva sistemare i propri oggetti personali in un ordine ben preciso. Doveva indossare sempre l’uniforme, che andava tenuta immacolata. Uscire dai terreni dell’accademia senza permesso rappresentava un reato grave. Le ragazze non potevano accedere al campus. Fumare era tollerato solo dietro permesso scritto dei genitori, ed era comunque proibito nei dormitori.

    Viziato dalla madre per una vita intera, disinteressato allo studio e sprezzante delle poche regole che mai gli fossero state imposte, per Jerome fu un duro colpo entrare in questo mondo di inflessibile rigore militare. A rendere la transizione ancor più complessa, molti cadetti non lo vedevano di buon occhio. Salinger era un adolescente alto e dinoccolato (le foto scolastiche lo ritraggono impacciato in un’uniforme di gala troppo grande per lui, sempre in ultima fila), con un atteggiamento che alcuni studenti consideravano arrogante e tipicamente newyorchese. Altri invece lo detestavano perché si era iscritto direttamente al terzo anno, evitandosi le umiliazioni imposte alle matricole. Solo, e per la prima volta senza il sostegno della famiglia, Sonny cercò rifugio nel sarcasmo e si finse altezzoso, cosa che di sicuro non contribuì a renderlo popolare.

    Ma si adattò rapidamente. Si liberò del nomignolo Sonny, e scelse di non farsi chiamare Jerome. Conosciuto ora come Jerry Salinger, cominciò a mostrare una pungente arguzia che gli valse la simpatia di molti cadetti, alcuni dei quali sarebbero poi diventati suoi grandi amici. Diversi allievi più grandi di età, tra i quali William Faison e Herbert Kauffman, sarebbero rimasti legati a Salinger anche ben dopo il diploma. Entrambi i suoi compagni di stanza, Richard Gonder e William Dix, divennero suoi intimi amici. Decenni dopo, Salinger avrebbe ricordato che Dix era «il migliore e il più gentile»¹⁵, mentre Gonder ripensava con gioia alle sue imprese col giovane Jerry, descrivendolo come «presuntuoso ma adorabile»¹⁶.

    È evidente che quando scrisse Il giovane Holden Salinger si ispirò a Valley Forge per la scuola di Holden Caulfield, e sin dagli esordi del romanzo i lettori hanno provato a riscontrare il carattere del personaggio principale in Jerry Salinger. I due condividevano in realtà molti aspetti, come il sarcastico spregio per le scuole ipocrite che frequentavano e per i palloni gonfiati che ne gestivano le routine. Come Holden, Salinger adorava infrangere le regole, fosse anche solo per qualche fuga dal campus di poche ore o una sigaretta fumata nel dormitorio. Entrambi apprezzavano la mimica, l’umorismo amaro e le freddure. Eppure, malgrado i tanti punti di somiglianza con Holden mostrati da Salinger a Valley Forge, c’era in particolare un aspetto assai dissimile da quello del suo personaggio.

    Di tanto in tanto, Salinger veniva invitato a prendere il tè del pomeriggio dal suo insegnante di inglese, incontri che senza dubbio avrebbero ispirato le visite al professor Spencer di Il giovane Holden, ma che sicuramente non prevedevano lunghi sermoni sulla vita o saggi sugli antichi egizi.

    C’era poi per davvero un cadetto di nome Ackley a Valley Forge, che frequentò l’accademia insieme a Salinger. Tanto tempo dopo la pubblicazione del romanzo, il miglior amico di Ackley si levò in sua veemente difesa, dichiarando con rabbia che il suo amico non aveva nulla a che vedere col personaggio del libro.

    Anche la sfortunata storia di James Castle sembra avesse fondamenta nella realtà. I compagni di corso di Salinger gli raccontarono che appena l’anno prima della sua iscrizione un cadetto era morto precipitando da una finestra dell’accademia. A quanto pare c’erano alcuni dubbi su come il ragazzo fosse caduto, e la tragedia era diventata subito una sorta di leggenda locale.

    Il colonnello Baker, fondatore di Valley Forge, e la sua controparte letteraria, il preside della Pencey, erano a loro volta simili sotto diversi aspetti. Entrambi avidi raccoglitori di fondi, costruirono ciascuno una versione di villaggio Potëmkin per le famiglie dei cadetti in visita alla domenica. Fin troppo azzimato e tirato a lucido nella sua uniforme militare, il colonnello Baker sembra il bersaglio perfetto per la caustica ironia di Jerry. Eppure, anni dopo, Salinger si sarebbe rivolto a lui in tante occasioni per chiedergli aiuto e consiglio, e nessuno avrebbe elogiato tanto il carattere di Salinger quanto lo stesso Baker.

    Salinger si trovò bene a Valley Forge. Per quanto accesa fosse la sua ribellione interiore contro le autorità dell’accademia, il posto gli fornì la disciplina di cui aveva bisogno per potersi impegnare. I voti migliorarono sensibilmente. Si costruì una piccola cerchia di amici stretti. Prese parte alle attività del campus, compresi gli sport al chiuso e, cosa curiosa, il coro. I gruppi e le associazioni ai quali Salinger si unì a Valley Forge gli sarebbero tornati utili negli anni futuri. Il club di francese, quello dei sottufficiali cadetti e quello riservato agli ufficiali, il club dell’aviazione e i due anni di servizio prestati nei corpi di addestramento per gli ufficiali di riserva avrebbero contribuito alla sua carriera militare nella seconda guerra mondiale e, per quanto poco gli piacesse ammetterlo, forse lo aiutarono anche a sopravvivere in quegli anni.

    Sebbene soddisfacesse tutti i requisiti imposti a un cadetto****, a Salinger interessavano soprattutto recitazione e letteratura. Oltre alle attività obbligatorie, si iscrisse a due gruppi la cui importanza, per lui, eclissava quella di tutti gli altri: il club di teatro «Maschera e Sperone», e la redazione dell’annuario accademico «Crossed Sabres», sciabole incrociate.

    Dopo che le sue prestazioni nelle recite della McBurney gli erano valse la riluttante stima di un’amministrazione scolastica per il resto piuttosto ostile, la recitazione era diventata una sorta di zona franca per Salinger, ed era ben deciso a seguire quel percorso anche durante l’esilio a Valley Forge. Quindi, laddove molte attività furono da lui svolte probabilmente sotto costrizione, fu per scelta che si unì al gruppo di teatro. Tra gli altri diciotto aspiranti attori del club, nessuno lo superava in bravura, e così Jerry partecipò a tutte le opere messe in scena. Popolare o meno che fosse tra gli altri cadetti, tutti riconoscevano il suo talento naturale. Un suo compagno di corso ricordava che anche lontano dal palco «parlava sempre in maniera pretenziosa, come se stesse recitando una qualche parte presa da Shakespeare». Negli annuari dell’accademia spiccano numerose foto in cui è ritratto un Salinger chiaramente felice, in costume teatrale, che si mette gioiosamente in posa davanti all’obiettivo.

    Salinger ha più volte dichiarato di essere diventato uno scrittore proprio a Valley Forge. Gli amici ricordano di averlo visto scarabocchiare sotto le lenzuola alla luce di una torcia ben dopo il coprifuoco delle dieci.

    Fu il direttore letterario dell’annuario per entrambi gli anni in cui frequentò l’accademia, e vi compariva spesso anche come protagonista. È in effetti quasi impossibile girare una pagina delle annate 1935 e 1936 di «Crossed Sabres» senza imbattersi in Jerry Salinger. È ritratto in quasi tutti i club, in ogni recita, nonché come membro della redazione dello stesso annuario. La sua foto personale per il 1936 è molto grande, occupa mezza pagina. Viene il sospetto che ci fosse lo zampino di Jerry anche nell’impaginazione della rivista, che potrebbe quasi passare per un supplemento visivo a Il giovane Holden. Ci sono le foto della cappella, le folle che applaudono alla partita di football, e persino un giovane in sella a un cavallo immortalato durante un salto. Ma il maggior contributo a «Crossed Sabres» Salinger lo diede con la scrittura. La sua voce risuona da quasi ogni pagina: ironica, acuta e bonariamente sarcastica. Nel fare previsioni sul futuro dei suoi compagni di corso in una rubrica chiamata «Profezie di classe», Salinger immaginava un cadetto «giocare a strip poker con Mahatmi Ghandi» (sic), mentre lui stesso era destinato a scrivere una grande opera per il teatro¹⁷.

    * * *

    Quando dopo due anni, nel 1936 si diplomò a Valley Forge, parve aver trovato la propria strada. Quali che fossero le sue ansie quando era entrato in quell’accademia, aveva potuto esplorare i propri talenti con una portata e una profondità che a New York sarebbero state impossibili. Malgrado l’ingegno precoce e la pungente ironia, Jerry diede ampia dimostrazione del proprio legame con la scuola. Nelle pagine di «Crossed Sabres» lasciò un dono all’accademia, in occasione del proprio diploma, che davvero rappresenta il suo contributo all’istituzione, un lascito di sincero affetto e velato sarcasmo. Salinger scrisse l’inno del corso del 1936, che viene cantato ancora oggi a Valley Forge:

    Non celar le lacrime in quest’ultimo giorno.

    Sia senza vergogna il tuo rimpianto:

    Niente più marce col grigio intorno,

    Né più parate con gli altri accanto.

    Quattro anni son passati, momenti felici.

    Non vuoi serbar cari i tuoi tanti ricordi?

    Allora gioisci in questi giorni fugaci

    Mentre per poco ancor qui soggiorni.

    L’ultima sfilata, e il cuore si stringe

    A noi di fronte e poi all’intorno

    I futuri cadetti, la nostra effige,

    E presto verrà per loro il giorno.

    Ancor distante, ma non troppo lontano,

    Son pochi anni, lo sai, in fondo.

    E poi sapran perché piangiamo

    Nell’ultimo nostro giro in tondo.

    Le luci fioche, le trombe squillanti,

    Note che nella memoria serbiamo.

    E ora un gruppo di giovani ridenti:

    È con rammarico che via andiamo.

    Si scambiano i saluti, la marcia continua

    Ora si va a cercar successo.

    I nostri corpi abbandonano Valley Forge

    Ma il cuore resta dov’è adesso.

    Nell’autunno del 1936, Salinger si iscrisse alla New York University di Washington Square, con l’intento di prendere una laurea in discipline artistiche. Washington Square, all’interno del Greenwich Village, segnò per Salinger un ritorno alla familiare Park Avenue e a quell’esatta atmosfera che Valley Forge avrebbe dovuto costringerlo a evitare. Lontano dalla disciplina dell’accademia militare, andò subito alla deriva verso la noia e la distrazione.

    A un primo sguardo, Washington Square sembra il posto perfetto per Salinger. All’avanguardia per i gusti estetici e i fenomeni di costume, questa grande succursale dell’università di New York era famosa per il modo in cui vi si mescolavano spirito artistico e accademico. C’erano tutti i presupposti perché Salinger raggiungesse l’eccellenza, e forse era questo il suo intento. Ma l’aria bohémienne del Village fu con ogni probabilità un diversivo più che l’occasione di mettere a frutto i suoi talenti. Il college era circondato da teatri, sale cinematografiche e locali, un ambiente che forse si rivelò troppo più attraente delle aule di facoltà. Non è ben chiaro quanti corsi riuscì a frequentare, tra tutti quelli ai quali si iscrisse. Quando nel secondo semestre arrivarono i voti di metà anno, divenne lampante che non avrebbe superato l’esame finale, e così decise di punto in bianco di abbandonare gli studi.

    Quando Salinger lasciò la New York University, suo padre provò a mostrargli la retta via. Da sempre molto pragmatico, Sol sperava di coinvolgere il figlio nell’importazione di carni e formaggi che aveva positivamente segnato il suo destino. Jerry, da par suo, non aveva alcuna intenzione di seguire le orme paterne, e così Sol addolcì e al contempo camuffò la propria richiesta. Dopo aver comunicato al figlio che la sua «istruzione formale era formalmente finita»¹⁸, Sol gli offrì una «non meglio definita»***** occasione di girare per l’Europa col pretesto di migliorare la conoscenza di francese e tedesco. Nella speranza che lungo il tragitto il ragazzo si interessasse al settore delle importazioni, Sol gli organizzò un viaggio in Polonia e Austria come interprete per un socio d’affari della Hofco, con ogni probabilità un esportatore di prosciutti che rispondeva al nome di Oskar Robinson, uno degli uomini più ricchi della Polonia, famoso in tutta Europa come «il re del bacon». Salinger accettò. In realtà, non c’erano grandi alternative. Qualsiasi voce potesse avere in capitolo, era zittita dai suoi pessimi voti. E così, agli inizi di aprile del 1937, partì alla volta dell’Europa per trascorrervi un anno.

    Dopo una breve sosta a Londra e a Parigi, andò a Vienna. Ci restò dieci mesi, vivendo nel quartiere ebraico della città con una famiglia che arrivò presto ad amare, compresa la giovane figlia con la quale visse la sua prima vera esperienza romantica. Si sa poco della famiglia austriaca di Salinger, se non che lui ne idealizzò i membri tanto da vederli come simboli di purezza e integrità per il resto della propria vita. Li avrebbe spesso ricordati con un sentimentalismo sempre maggiore, paragonando la sua reale famiglia biologica alla benedizione domestica di cui aveva goduto a Vienna. Anni dopo confidò a Ernest Hemingway le proprie memorie riguardanti l’innocente bellezza della giovane austriaca. Quando dopo la guerra si ritrovò in preda all’avvilimento tornò in Austria nel vano tentativo di rintracciarla. Nel 1947, immortalò lei e il resto della famiglia nel racconto A Girl I Knew.

    Mentre lui viveva l’austriaco amore, il polacco Oskar Robinson moriva di infarto in un casinò di Vienna, a quanto si dice durante una vincita al tavolo della roulette, e così Salinger venne spedito a nord, in Polonia, nella città di Bydgoszcz, dove alloggiò in un appartamento riservato agli ospiti della fabbrica di Robinson, specializzata nel confezionamento delle carni; lì Salinger poté conoscere la parte più materiale degli affari in cui era coinvolto suo padre******. Questo significava anche alzarsi prima dell’alba e lavorare con gli altri abitanti nel mattatoio cittadino. Ogni mattina Salinger si trascinava sul posto per macellare i maiali destinati al mercato americano come prosciutto da picnic in scatola. Era accompagnato dal capo «mastro mattanza», che adorava sparare alle lampadine, sopra la testa delle scrofe urlanti, e a qualsiasi uccello osasse incrociare il suo cammino. Jerry si rese rapidamente conto che qualunque cosa potesse riguardare la vita di un esportatore di carni, ruotava tutto intorno ai maiali. La sola cosa che imparò davvero in Polonia era che il settore in cui lavorava suo padre non faceva per lui.

    Nel 1944 dichiarò che, nel tentativo di avviarlo agli affari di famiglia, i genitori l’avevano «trascinato» a «macellare maiali» in Polonia¹⁹. Nel 1951 il direttore del «New Yorker» William Maxwell concluse che per quanto Salinger avesse odiato la soluzione proposta dal padre per i suoi problemi, «non esiste esperienza, piacevole o meno, che non sia preziosa per uno scrittore di narrativa»²⁰. Inoltre, è impossibile valutare l’anno trascorso da Salinger in Europa senza tener conto del contesto dell’epoca. La sensazione di minaccia così diffusa in Austria e Polonia nel momento in cui si trovò in quei Paesi ebbe di sicuro un profondo effetto sul giovane aspirante scrittore, e avrebbe intriso di dolore anche i suoi ricordi più cari di quei posti.

    La permanenza di Salinger coincise con un periodo dalla cruciale rilevanza storica. Nel 1938 l’Europa stava per precipitare nella seconda guerra mondiale. Nei mesi che lui trascorse a Vienna, i nazisti austriaci erano nel pieno della loro violenta ascesa al potere, e i criminali da loro scarcerati malgrado i gravi reati commessi erano liberi di seminare terrore nelle strade della capitale. Chiunque fosse a passeggio, se sospettato di discendenza ebraica, veniva costretto a pulire i canali di scolo tra le risate e la derisione degli astanti, mentre le case e i negozi appartenenti agli ebrei erano regolarmente saccheggiati da bande di predoni. Al cospetto di questo incubo, i timori di Salinger riguardo alla propria incolumità erano superati dall’apprensione per la sua famiglia adottiva. Lui poteva sempre fuggire da quel posto ormai pericoloso, loro invece non avevano dove altro andare. Prima che Salinger tornasse a casa a New York, le armate tedesche entrarono a Vienna e l’Austria cessò di esistere come nazione indipendente. Entro il 1945, tutti i membri della sua adorata famiglia austriaca avevano ormai perso la vita nell’Olocausto.

    Giunto in Polonia, Salinger si ritrovò in un Paese carico di tensione come l’Austria lo era stata di pericoli. Circondata da potenze nemiche, la Polonia viveva un disagio che lui non poté evitare di percepire dopo gli episodi ai quali aveva assistito in Austria. Poche delle persone che Salinger conobbe durante il lavoro al mattatoio sarebbero sopravvissute agli anni che seguirono.

    Il 9 marzo 1938 Salinger partì da Southampton a bordo della Île de France per tornare negli Stati Uniti. Di nuovo al sicuro nell’appartamento dei genitori a Park Avenue, lontano dalle tensioni dell’Europa, era felice di ritrovarsi a casa. La dichiarazione che avrebbe poi rilasciato Maxwell, tuttavia, corrispondeva per gran parte al vero. Forse la vita di Salinger non era stata condizionata dall’Europa nel senso in cui si era augurato suo padre, ma dopo aver trascorso tanto tempo tra persone le cui esistenze erano così differenti dalla sua, sottoposte a costanti fatiche e pericoli, il ragazzo imparò ad apprezzare individui coi quali in precedenza non aveva nulla in comune. Negli anni a venire, quando Salinger combatté in Germania nella seconda guerra mondiale, questo suo nuovo atteggiamento divenne in particolar modo evidente. Durante il suo soggiorno in Europa tra il 1937 e il 1938, Salinger arrivò ad apprezzare la cultura e la lingua tedesca, nonché i tedeschi stessi intesi come popolo, e imparò a distinguere tra quelli degni di ammirazione e quelli invece votati al nazismo.

    * * *

    Quell’autunno, Salinger si iscrisse all’Ursinus College, sito nella rurale Pennsylvania e non molto distante dall’accademia militare Valley Forge. Se si esclude la collocazione familiare, quell’università era una meta improbabile per il futuro scrittore. L’Ursinus era sponsorizzato dalla Chiesa tedesca riformata, e molti dei suoi compagni di corso discendevano dai primi olandesi arrivati in Pennsylvania. Chi studiava all’Ursinus doveva portare una targhetta col proprio nome e salutare cordialmente i compagni di corso ogni volta che li incrociava nel campus. Piccolo e isolato, quel college era tutto un altro mondo rispetto alla variegata complessità dell’Upper East Side in cui Salinger era cresciuto.

    La presenza in questa piccola realtà di un giovane privilegiato di stirpe ebrea proveniente da New York dovette avere un effetto sbalorditivo. Sebbene molti dei suoi colleghi in seguito avrebbero dichiarato di ricordarsi a malapena di lui, altri lo rammentavano con amaro risentimento. Questi erano soprattutto i compagni di corso di sesso maschile. Ad avere care memorie di Jerry erano invariabilmente le donne (cosa che potrebbe spiegare il rancore degli altri studenti). Quando si iscrisse all’Ursinus, Salinger aveva quasi vent’anni ed era diventato un giovane affascinante con un sorriso malizioso. Alto quasi un metro e novanta e di corporatura slanciata, spiccava tra la folla. Le dita erano lunghe, anche se macchiate di nicotina e con le unghie smangiate. La pelle era di colore olivastro, i capelli quasi neri. La caratteristica saliente, però, pare fossero gli occhi, che erano profondi, penetranti e scuri. Tutto questo sfociava in un aspetto quasi esotico per l’Ursinus del 1938, e le donne lo adoravano. Quarantasette anni dopo, una ex alunna del college ancora ricordava:

    Jerry non era un personaggio facilmente dimenticabile. Era un newyorchese affascinante, garbato ed elegante, con un cappotto chesterfield nero […] non avevamo mai visto nulla del genere. Eravamo incantate dal suo umorismo pungente e caustico […] Le ragazze impazzirono per lui quasi tutte insieme.²¹

    Oltre ad affascinare le donne, Salinger perseguì i suoi altri interessi con rinnovato entusiasmo. Degli otto corsi ai quali si iscrisse, quattro erano collegati a linguistica e scrittura: letteratura inglese e francese, e due diversi corsi di scrittura creativa. Unitosi al giornale del college, «The Ursinus Weekly», ebbe presto una sua personale rubrica. Chiamata agli inizi «Riflessioni di un discente: il diploma mancato», non passò molto tempo prima che il titolo diventasse: «Il diploma mancato, di J.D.S.». Questi articoli contenevano i commenti di Jerry su un ampio spettro di argomenti collegati al campus, da trafiletti leggeri sulla vita del college a lunghe e inevitabilmente sarcastiche recensioni teatrali. Aveva già preso l’abitudine di criticare i romanzi che reputava «ipocriti».

    In un’occasione in particolare, si scagliò contro la scrittrice Margaret Mitchell: «Per il bene di Hollywood, l’autrice di Via col vento dovrebbe riscrivere il tutto dando alla signorina Scarlett O’Hara un occhio un po’ storto, un dente cariato o al limite i piedoni»²². In un’altra recensione per la categoria libri fu parimenti sdegnoso nei confronti del suo futuro amico Ernest Hemingway: «Hemingway ha completato la sua prima, vera opera teatrale. Speriamo sia degna di lui. È nostra impressione che Ernest si sia rilassato troppo e abbia sbevazzato troppo sin dai tempi di Fiesta, Gli uccisori e Addio alle armi».

    «Il diploma mancato» non è in alcun modo considerabile un esempio di letteratura, ma rappresentò comunque un vero esordio sulla stampa pubblica, ed è letto ancora oggi dai suoi ammiratori, anche se spesso con un misto di delusione e condiscendenza. L’unico passaggio in tutta la rubrica che ha un vago legame con la situazione personale di Salinger o che quanto meno riguarda la sua decisione di frequentare l’Ursinus è contenuto in uno dei primi articoli, intitolato Storia e datato 10 ottobre 1938: «C’era una volta un giovane che si stancò di provare a farsi crescere i baffi. Questo stesso giovane non voleva andare a lavorare per il suo paparino, o per qualsiasi altro uomo irrazionale. Così tornò al college».

    Disposto o meno che fosse a lavorare per «paparino», Salinger restò al college per un semestre soltanto prima di tornarsene a New York. Anche se i voti all’Ursinus non erano buoni, apprezzò molto l’esperienza e spese belle parole per la scuola e il periodo che vi aveva trascorso. Tuttavia, aveva trovato una direzione chiara da seguire nella vita: il desiderio di diventare uno scrittore. Era una decisione che richiedeva sicurezza di sé e determinazione, ma anche il sostegno degli altri.

    Dopo aver lasciato il college, Salinger non cercò l’approvazione dei genitori per il percorso che aveva scelto di intraprendere. Si limitò invece ad annunciare la propria intenzione di diventare uno scrittore, mettendoli davanti al fait accompli. La madre, ovviamente, gli diede pieno appoggio, ma Sol ne fu meno entusiasta. Nel 1938 gli Stati Uniti avevano appena cominciato la lenta fuoriuscita dalla Grande Depressione. Sol aveva impiegato gli ultimi nove anni a proteggere la famiglia dalla povertà e dalla disperazione che circondavano tutti loro. Aveva visto brillanti uomini d’affari finire stritolati sotto il peso delle incertezze di quel periodo, e sapeva che la vita non offriva più alcuna garanzia. Per lui, la scelta di Sonny era azzardata e pericolosa. Se davvero c’era un divario tra padre e figlio, in questo frangente divenne di sicuro più ampio. Negli anni futuri, Salinger avrebbe faticato a perdonarlo per quella che percepiva come una mancanza di sicurezza e di speranza.

    All’epoca, comunque, trovò appoggio da una fonte più obiettiva di quanto non lo fossero i suoi genitori.

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