Testamento a sorpresa: Harmony Collezione
Di Emma Darcy
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Beau si sta rassegnando ad accettare la scomparsa di quella fantastica persona che era suo nonno, ma i problemi non sono finiti. Nel testamento gli ha lasciato in eredità il suo ranch, e di questo non può che ringraziarlo.
Peccato che una clausola esiga...
Emma Darcy
La vita di Emma Darcy è stata caratterizzata da tanti colpi di scena, esattamente come succede ai protagonisti dei suoi romanzi. Nata in Australia, al momento abita in una bella fattoria nel Galles.
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Testamento a sorpresa - Emma Darcy
successivo.
1
Una tata?
Quella domanda era tornata ad affacciarsi a più riprese alla mente di Beau Prescott durante le quattordici ore di volo da Buenos Aires a Sydney. La prima volta era stato quando lui aveva aperto la busta contenente il testamento di suo nonno che gli aveva inviato l'avvocato di famiglia. Ora che il viaggio verso casa era quasi giunto al termine e che presto la sua curiosità sarebbe stata soddisfatta, lui non riusciva quasi a pensare ad altro.
Perché mai suo nonno aveva assunto una bambinaia, negli ultimi due anni della sua vita? E perché lei era inclusa nel testamento insieme al personale di famiglia di cui Beau avrebbe dovuto farsi carico?
Non aveva senso la presenza di una tata. Nella casa di suo nonno non c'erano bambini. Sembrava assurdo che una bambinaia andasse a fare parte del personale che per disposizione testamentaria lui avrebbe dovuto tenere alle dipendenze almeno per un anno dopo la morte del nonno.
Per gli altri era diverso. Beau era assolutamente d'accordo nel doversi prendere cura della signora Featherfield che, in qualità di governante, era praticamente diventata un'istituzione. Sedgewick il maggiordomo e Wallace l'autista avevano quasi la stessa anzianità di servizio. E per quanto riguardava il signor Polly, il capo giardiniere, era inconcepibile la sola idea di allontanarlo dalle sue amate aiuole. Ciascuna di quelle persone meritava considerazione, ma... come poteva essere lo stesso per una bambinaia assunta di recente e senza neppure che esistesse un bambino al quale badare?
Beau ripeté mentalmente il suo nome: Margaret Stowe. Margaret era un nome un po' fuori moda, che chissà perché gli richiamava alla mente l'idea di una zitella. Probabile che fosse una vecchia bambinaia rimasta senza lavoro e senza casa. Non era la prima volta che il nonno offriva il suo tetto a qualche strano personaggio in difficoltà dandogli la possibilità di rimettersi in sesto. Due anni di ospitalità e la menzione nel testamento, però, sembravano decisamente troppo.
«Atterreremo all'aeroporto di Mascot in perfetto orario» annunciò il pilota. «Il cielo è sereno e la temperatura è di diciannove gradi. Le previsioni per oggi...»
Beau guardò fuori dall'oblò e avvertì una stretta allo stomaco mentre veniva assalito dal dolore che aveva tentato di tenere sotto controllo dal momento in cui aveva ricevuto la notizia della morte del nonno. Dall'alto si vedevano già chiaramente le caratteristiche fisiche di Sydney con la sua predominanza di tetti rossi, il porto, il ponte, e l'imponente Teatro dell'Opera.
Quella veduta aveva sempre significato per lui tornare a casa. Ma a casa voleva anche dire tornare da Vivian Prescott, l'uomo che l'aveva accolto in casa sua quando a otto anni lui era rimasto orfano e che aveva praticamente steso il mondo intero ai suoi piedi.
Vivian era suo nonno, sì, ma soprattutto era una persona eccezionale, una persona che aveva sempre vissuto in grande stile, e Beau avvertiva un enorme senso di vuoto al pensiero di averlo perso così all'improvviso.
Vivian...un nome che avrebbe fatto rabbrividire la maggior parte degli uomini. Il fatto era che da generazioni nella famiglia Prescott c'era questa strana abitudine di dare nomi eccentrici ai figli. Beau stesso aveva avuto qualche problema ad accettare il proprio. Ma non nonno Vivian, anzi, lui era contento di avere un nome così unico. «Significa vita» aveva spiegato una volta al nipote. «E io amo la vita e voglio godermela fino in fondo.»
Aveva portato quel nome con una baldanza tale da renderlo perfettamente accettabile, come una naturale espressione della sua personalità così vivace e ricca. Beau non riusciva quasi a credere che se ne fosse andato davvero e provava un cocente rammarico per non essergli stato vicino prima che lui morisse.
Accidenti! pensò con un moto di rabbia. Il nonno non aveva il diritto di morire a ottantasei anni. Aveva sempre detto che sarebbe campato fino a cent'anni, senza rinunciare ai suoi sigari preferiti, al miglior champagne francese e alle brillanti feste di beneficenza alle quali partecipava accompagnandosi sempre a belle donne.
Beau trasse un sospiro per alleviare la morsa che gli stringeva il petto e si disse che era stupido e soprattutto inutile sentirsi defraudato per non aver potuto godere della compagnia del nonno ancora per un po' di tempo. La colpa era tutta sua, dato che aveva lasciato passare quasi tre anni senza tornare a casa neppure una volta. Serviva a poco giustificarsi dicendosi che l'America del Sud si era rivelata un vero paradiso dell'esploratore: una capatina a casa di tanto in tanto non sarebbe stata un'impresa così difficile. Il fatto era che non gli era proprio venuto in mente che lo stato di salute dell'anziano nonno, che per anni era rimasto ottimo, sarebbe potuto peggiorare.
Nelle sue lettere, almeno, il nonno non ne aveva mai fatto cenno. Del resto, non aveva mai menzionato neppure la presenza di una bambinaia. Beau tornò ad accigliarsi per quella sorta di rebus. Se suo nonno fosse stato malato avrebbe assunto un'infermiera, non una bambinaia. A meno che... No, non poteva assolutamente credere che negli ultimi tempi il nonno fosse rimasto vittima di una forma di demenza senile.
Doveva esserci un'altra spiegazione.
Appena l'aereo ebbe toccato terra e si fu fermato, Beau balzò in piedi e senza perdere neppure un attimo si allungò per prendere la sua borsa dall'apposito vano sopra ai sedili.
«Posso aiutarla, signor Prescott?» chiese la hostess, una ragazza carina che per tutto il volo si era mostrata desiderosa di soddisfare ogni sua necessità.
Beau le sorrise. «No, grazie, faccio da me.» La ragazza era un vero splendore, ma lui non era interessato all'invito che le si leggeva negli occhi. La sua mente era occupata da faccende molto serie e non c'era posto per certe frivolezze.
Malgrado ciò, notando lo sguardo ammirato che l'hostess gli lanciava mentre lui le passava accanto per dirigersi verso l'uscita, provò una lieve fitta di rimpianto. Era da un po' di tempo che non godeva della compagnia di una donna, occupato com'era stato a mappare un nuovo percorso di trekking nella Foresta Amazzonica.
Per lui non era mai stato un problema attirarne una ogni volta che ne avesse avuto il desiderio. Essere alto e muscoloso sembrava renderlo appetibile per la maggior parte delle donne, persino quando il suo aspetto era un po' trasandato, come adesso, a causa di una lunga permanenza in zone abbastanza selvagge.
Era la sua maledizione, soleva dirgli il nonno.
«È troppo facile per te, ragazzo mio. Se continui a saltabeccare da una ragazza all'altra però, finirai per non conoscere mai le gioie di un matrimonio con una brava donna.»
«Non mi interessa il matrimonio» aveva risposto Beau.
Adesso, tre anni dopo, benché continuasse a pensarla così, la risposta del nonno gli risuonava ancora nella mente.
«Beau, hai trent'anni. È ora che tu pensi ad avere dei figli. Al momento attuale sei l'ultimo della nostra famiglia, e a me non piace il pensiero che la nostra stirpe finisca qui. Avere una discendenza che continui dopo la nostra morte è l'unica forma di immortalità che ci è concessa.»
«Nonno, non c'è limite di tempo perché un uomo possa avere dei figli» aveva ribattuto Beau. «Guarda Charlie Chaplin. Non ha avuto dei figli a novant'anni? Scommetto che tu stesso potresti ancora averne uno.»
«Quello che conta non è metterli al mondo, ma stare loro vicini. E lo si può fare solo da vivi. Pensaci, Beau. I tuoi genitori non erano molto più vecchi di te quando sono morti in quell'incidente aereo nell'Antartide. Per loro non c'è stata una seconda possibilità. Se non ti prendi una pausa dai tuoi viaggi per sposarti e mettere su famiglia, alla fine potresti accorgerti che è troppo tardi.»
Troppo tardi... Una profonda tristezza gli riempì il cuore. Troppo tardi per dire addio a quell'uomo meraviglioso che gli aveva dato così tanto. Troppo tardi per poterlo ringraziare un'ultima volta. Troppo tardi persino per poter partecipare al suo funerale, celebrato mentre Beau si trovava nel fitto della Foresta Amazzonica, fuori dalla portata delle moderne forme di comunicazione.
L'unica cosa che ora poteva fare era esaudire le ultime volontà del nonno, anche se significava tenere alle proprie dipendenze ancora per un anno una bambinaia che non serviva a niente. E abitare a Rosecliff, la residenza dei Prescott, per lo stesso periodo di tempo.
Forse quest'ultima disposizione era la soluzione che anche il nonno aveva intuito per far sì che quel girovago di suo nipote si stabilisse in un luogo fisso quel tanto che bastava per sposarsi e mettere su famiglia. Beau scosse la testa a quell'idea. Non si sentiva ancora pronto per quello. Non ne sentiva la necessità.
Il suo prossimo obiettivo era di compiere un giro d'ispezione in Europa e dato che non aveva alcuna intenzione di rinunciarci, sarebbe stato irresponsabile da parte sua mettere su famiglia quando sapeva già che l'avrebbe subito abbandonata.
L'agile falcata gli permise di superare gli altri passeggeri e di presentarsi per primo al controllo dei passaporti. Espletata quella formalità e ritirato con eccezionale rapidità il bagaglio, Beau si diresse subito verso la sala arrivi.
Mentre scendeva la scala mobile, individuò subito Wallace, l'autista di suo nonno che, con indosso l'impeccabile divisa di cui era così orgoglioso, convinto com'era che lo facesse apparire più alto di quanto non fosse, sembrava deciso a mantenere un corretto standard di servizio.
Il senso di vuoto che aveva accompagnato sino ad allora Beau fu colmato da un impeto di affetto. Wallace gli aveva insegnato tutto quello che lui ora sapeva sulle automobili. Wallace gli aveva fatto da padre confessore nei momenti difficili. Wallace era molto più che un autista. Era uno di famiglia, e lo era stato da quando Beau era andato ad abitare col nonno a otto anni.
«È bello rivederla, signore» disse Wallace accogliendolo con gli occhi lucidi.
Beau lo abbracciò, mosso dall'affetto e da un senso di protezione, come se ora fosse lui il bambino bisognoso di conforto. Wallace doveva sentire la mancanza di Vivian Prescott quanto Beau, se non di più. Vicino ormai alla sessantina, malgrado fosse ancora pieno di energia e di certo competente nel suo lavoro, probabilmente era troppo vecchio per incominciare daccapo con un nuovo datore di lavoro. Il futuro doveva apparirgli abbastanza incerto, e Beau si ripromise di provvedere a lui in un modo o nell'altro.
«Sono molto rammaricato per non essere stato qui» disse Beau, ritraendosi.
«Non avrebbe potuto fare niente