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Invisibile
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E-book97 pagine1 ora

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Info su questo ebook

Viviana, erede di uomini provenienti dalle steppe asiatiche, riesce a guarire con l’imposizione delle mani anche le malattie più gravi. Non solo facoltà particolari che sembrano venire dal remoto, ma doni di elezione a cui si è predestinati, tale è la responsabilità del suo ruolo nel mondo e anche causa del suo destino di solitudine.Una scrittrice laica dopo averla conosciuta non può più credere soltanto a ciò che vede, sente «come si stesse dissolvendo la rassicurante consueta misura delle cose». Con discrezione ne segue le vicende e ne racconta la storia, la sua natura altra, traccia mappe avventurose oltre la realtà sensibile.Le due donne si confrontano sui grandi temi comuni del dolore e del destino, attraverso le parole dell’una che nella narrazione appaiono risonanze dell’energia immateriale dell’altra.Un viaggio nel silenzio fatto con le parole di una grande scrittrice che usa la spontaneità per ottenere l’eleganza, quel silenzio dell’anima che perfino al giorno d’oggi conserva intatto il suo mistero.
LinguaItaliano
Data di uscita11 set 2020
ISBN9788898848645
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    Invisibile - Carla Vasio

    quisiscrivemale

    INVISIBILE

    Carla Vasio

    Invisibile

    di Carla Vasio

    Collana quisiscrivemale

    © 2017 – Edizioni

    Via Fabrizio Luscino 73 – Roma

    Tutti i diritti riservati

    www.exormaedizioni.com

    Progetto editoriale Orfeo Pagnani

    Impaginazione omgrafica, roma

    ISBN 978-88-98848-64-5

    Egli era stato assai competente

    in fatto di Cose che non esistono.

    Giorgio Manganelli

    Non oso avanzare verso l’oscurità raccolta sotto gli alberi, dove mi trascinerebbe questo nuovo desiderio di andare oltre la presente tranquillità, oltre la bordura delle hoste, forse oltre la cancellata del giardino.

    Se scendessi i due gradini della pedana avrei sotto le suole la terra battuta, scura per l’umidità della notte, macchiata da zolle di muschio che so colorate di un verde cupo e spento ma nell’oscurità sono diventate nere. Su tutto scivolano veloci le ombre pallide della Luna: attraverso gli interstizi fra rami e foglie la luce bianca stampa mutevoli e mobili segni privi di consistenza, e questo mi inquieta. Sono frammenti senza corpo, eppure visibili, di cui temo il significato.

    Può darsi che sia questa l’inspiegabile ragione per cui non vado oltre la soglia e rimango col piede sollevato nel passo che mi porterebbe al di là del margine di luce proiettato dalla lampada accesa alle mie spalle, fuori dalla stanza comoda e ben ordinata dove le nitide ombre dei mobili non hanno misteri. Con gli occhi percorro l’oscurità del giardino, scrutando negli angoli con lo sguardo attento di chi sta sulla difensiva. Perché, dopo l’incontro non casuale, anzi programmato, e tuttavia stupefacente, avvenuto poche ore fa in riva al mare, non posso più credere soltanto a ciò che vedo, sospettosa che ogni stato apparente sia l’involucro di mutazioni non ancora manifeste e che perfino questo piccolo giardino, così noto, così gradevole, così tranquillo, in cui inspiegabilmente esito a scendere, contenga alberi e persone presenti come possibilità e non come esistenza.

    Camminavamo, io e Viviana, sulla striscia di spiaggia dove la sabbia è compatta, non più asciutta ma non ancora bagnata dall’acqua del mare. Osservavo la donna appena incontrata: bella, sana, giovane, rideva volentieri e parlando si è voltata verso di me. Per un attimo ho visto i suoi occhi: aperti grandi e scuri, come se il nero della pupilla e dell’iride dilagasse nella cornea cancellandola. Lo sguardo è affiorato da quella profondità. Per un attimo. Un attimo in cui ho sentito come si stesse dissolvendo la rassicurante consueta misura delle cose e la mia stessa presenza in quel posto, evaporata nei soffi d’aria che mi sfioravano il collo venendo dalla parte di terra, sciolta nella pozza d’acqua che non avevo saputo evitare, svanita insieme alla ragionevole certezza che avrei calpestato trentacinque centimetri di suolo a ogni pressione del piede per terra lasciando nella sabbia un’impronta non tanto presto cancellata, non così presto, no, non immediatamente.

    Mio malgrado mi trovavo a frequentare pensieri inconsueti, affascinata e insieme diffidente, circondata da presenze estranee a cui sarei indifferente e tuttavia in quel momento sembrava mi riguardassero.

    Intanto mi accorgevo che Viviana non si avvicinava volentieri alle piccole onde nervose che insidiavano i nostri piedi, non le piaceva toccare l’acqua, cercava di deviare verso l’interno. Mi sono scusata di averle proposto per il nostro incontro un luogo che forse le dispiace.

    – Non scusarti – mi dice, – a me piace guardare il mare, mi calma, mi distende; se è in tempesta mi ricarica. Ma nell’acqua si sciolgono le energie, si sciolgono e se ne vanno. Quando sono troppe è un sollievo, altrimenti…

    Non mi è chiaro che cosa voglia dire. Camminiamo in silenzio verso la Rotonda.

    Il rovinoso passare del tempo ha ridotto il vecchio salone dei tè danzanti a un rudere che non ha più le grazie effigiate sulla cartolina venduta dal tabaccaio in piazza. Il corpo centrale, rimasto in equilibrio precario sopra le palafitte immerse nelle onde, conserva la dignità di una vecchia solida costruzione che resiste al decadere della forma, al degrado degli ornamenti, alla pericolosità delle strutture logore.

    Ci precede un gabbiano che ogni sera – ma forse non è sempre lo stesso – al tramonto percorre zampettando il lungo intervallo dal molo alla passerella, prima di arrivare torna indietro e solo a poca distanza dalla scogliera, dove altri gabbiani becchettano le conchiglie abbandonate dalle onde, improvvisamente si alza in volo verso l’alto mare e scompare confondendosi con le macchie di schiuma.

    Quando la Rotonda è a pochi passi sostiamo nell’oscuro lento addensarsi della sera. Le sagome degli ombrelloni chiusi si allungano a terra in forma di freccia, entrano nel mare e si sciolgono. Le ombre delle reti appese alla balaustra in alto ricadono sulla sabbia dove tracciano una tessitura incostante di fili mossi dai soffi del vento. Le ombre delle palafitte tremano nell’acqua. Ma sotto il pavimento della passerella sospesa giace un’unica oscurità compatta in cui ci stiamo immergendo. In lontananza vedo scivolare via l’ombra di qualcuno che passa, che è appena passato, forse di qualcuno che passerà – chi può saperlo?

    Mi chiedo che cosa mi metta a disagio mentre passeggio al tramonto su una nota spiaggia marchigiana con una compagna così interessante. Forse comincio a chiedermi se nell’oscurità imminente arriverò a decifrare i segni illeggibili che uccelli e onde lasciano sulla sabbia, se anche i miei occhi acquisteranno una imperfetta percezione delle cose nascoste, se da questo colloquio nascerà la prima trama di una storia improbabile.

    Forse mi inquietano tutte queste ombre e riflessi.

    Quali ombre? Le temibili ombre che impersonano paure e tristezze o le ombre protettive venute a schermo di paure e tristezze. Quali ombre Viviana riconosce in queste vaganti presenze che ci sfiorano mentre sostiamo ai piedi della Rotonda? Quali la seguono, la precedono, la circondano, incontrate in varie forme e densità e non una sola volta?

    Mi sta raccontando che in una notte d’inverno in cui si è sentita sopraffatta dalla pena per i mali propri e altrui, ha afferrato l’ombrello ed è uscita singhiozzando sotto la pioggia. Camminava per le strade buie del paese, fra le alte pareti di mattoni, davanti alle finestre oscurate, alle porte chiuse, sentendo un’agitazione, una disperazione: troppe sofferenze, non si può fare abbastanza, non si può rimediare né guarire né confortare, non quanto si vorrebbe, è inutile continuare…

    Così piangendo è arrivata al porto. Sul molo il vento soffiava a raffiche violente rovesciando l’ombrello, strappandolo via, spingendola verso le onde

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