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L'ombra Ed Il Male: I Racconti dei Drui
L'ombra Ed Il Male: I Racconti dei Drui
L'ombra Ed Il Male: I Racconti dei Drui
E-book731 pagine9 ore

L'ombra Ed Il Male: I Racconti dei Drui

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Info su questo ebook

Un'avventura esilarante e piena di colpi di scena. Si legge tutto d'un fiato il primo capitolo della saga dei Racconti dei Drui, L'Ombra ed il Male. E dalle scene noir di drammaticità struggente, alle avventurose battaglie, tra colpi d'ascia, spade sguainate, magie e incantesimi mossi dalla misteriosa energia del Seidr, sarà la regina degli elfi oscuri, Kallan, a guidarvi in questo mondo spettacolare di pietre preziose, oro e cieli disegnati. Ambientato in un antico mondo scandinavo non potrà che trasportarvi in quello che è il sogno appassionante di un passato, forse in parte dimenticato, ma per molti sempre presente. Autentico, diretto, da non perdere.

LinguaItaliano
Data di uscita18 set 2020
ISBN9781071566466
L'ombra Ed Il Male: I Racconti dei Drui

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    Anteprima del libro

    L'ombra Ed Il Male - Angela B. Chrysler

    Dedica

    Al mio più grande amore, il mio Isaac, che è il mio amico, la mia musa ed il mio compagno. Perché mi hai portata con te sin dalle caverne più oscure, e perché quando nessun altro lo avrebbe fatto, hai creduto in me, anche dopo aver letto la prima stesura...e di quello mi dispiaccio..

    Al mio dolce Tribble, che è stato un dono così grande per ben diciassette anni e che se n’è andato poco prima che pubblicassi questo libro.

    Ai popoli della Norvegia, poiché innamorandomi così profondamente del loro paese e della loro cultura, ho trovato l’ispirazione per ricreare la loro eredità culturale. E poiché spero che mi perdonino, semmai l’avessi male interpretata.

    Riconoscimenti

    Sono passati sette anni. Da una parte fa male contattare le organizzazioni e le persone che hanno reso il mio viaggio memorabile. A voi desidero porgere una mano, per dirvi grazie a gran voce.

    Un grande ringraziamento allo staff di Google, che mi ha dato Steve: l’omino giallo su Google Maps. Quando si passa molto tempo con un qualcosa, per quanto sia inanimato, gli si attribuisce un nome. Far cadere Steve sulle mappe e farlo entrare nei mondi in un batter d'occhio ha reso possibile la creazione di gran parte delle mie illustrazioni. Grazie al tuo lavoro mi hai permesso di camminare per le strade di Trondheim, di seguire il fiume Glomma e di guardare i fiordi, il tutto senza mai mettere piede in Norvegia. Grazie.

    Ed anche al prezioso staff di Wikipedia, per la storia accumulata, le liste di letture consigliate che offre, e per avermi spianato la strada tra i collegamenti ipertestuali delle fonti, che mi hanno permesso di viaggiare indietro di millenni. Grazie a voi ho potuto trovare John Lindow e Snorri Sturluson. Grazie a voi sono stata in grado di entrare nel mondo che avevo così disperatamente bisogno di creare. Grazie per essere gli scrivani del nostro tempo.

    I miei più sinceri ringraziamenti ai norvegesi, la cui passione nel riprendere gli spazi aperti  mi ha mostrato quella che è la loro casa, tramite YouTube, Flickr, e Google. Ad ognuno di voi, grazie per aver portato la Norvegia da me.

    Un eterno grazie al mio consulente scientifico e cartografo Isaac Gooshaw. Senza i tuoi innumerevoli corsi random sulla divisione cellulare, l’idrogeologia, il vulcanismo, la metallurgia, le arti marziali e, in generale su tutte le cose più fenomenali, nel mondo di Kallan sarebbe mancato un significativo senso di realismo.

    La mia immensa gratitudine va inoltre alla mia redattrice, Mia Darien, che ha rifinito il mio manoscritto fino a farlo brillare. Hai fatto un lavoro coi fiocchi! Un sincero ringraziamento a Indigo Forest Designs per la bella copertina. La amo tutt’ora!

    Un sincero ringraziamento ai miei lettori beta per il vostro prezioso contributo e a tutti voi a bordo dell'HMS Slush Brain. Meritano un grazie anche la bellissima C.L. Schneider e Stanislava D. Kohut. È il vostro capitano che vi parla: avete fatto entrambe tantissimo per me, nei miei giorni più bui. Sarò sempre in attesa di notizie sulle vostre folli avventure. Grazie.

    Grazie a tutti quelli di Scribophile. In così tanti di voi hanno impiegato del tempo libero per leggere e contribuire alla formazione di Dolor and Shadow. Ce ne sono davvero troppi per nominarvi tutti, ma devo riconoscere Benjamin Scheinfieldo, Jennifer Sugie Peltier, Jaselyn B. Taubel, Elizabeth Schyling e Michael Wisehart. Non è possibile ribadire abbastanza quanto avete fatto per me. Grazie.

    Grazie, Angi Dukes, mia cara amica, per i pezzi più ampi che hai considerato decorativi. E alla mia amata sorella, Alicia, che per prima ha amato Bergen. Grazie. Ti amo, Pea-Brain.

    Prologo

    "Quanto sono lontani gli dei? | Quanto gli elfi?

    Jotunheim è tutta un gemito, | gli dei sono al concilio;

    I nani gridano forte | alle porte di pietra,

    I signori della roccia: | vorresti saperne ancora?"

    - La 48a stanza dell’Edda Poetica

    Ripensate all’era più antica che la vostra mente sa concepire, al di là di tutto ciò che possiamo ricordare, quando ancora gli dei erano uomini, e fino ad allora non avevano vissuto le azioni che li avrebbero resi divini. Gli occhi dorati di Gudrun sbirciarono da dietro il sipario dei suoi lunghi capelli argentei. Ripensate ad ancora prima di quel tempo, in cui gli Aesir e i Vanir erano popoli stabiliti qui, fino ad allora, sull'antica Terra, negli anni che precedettero la guerra.

    Quando la Terra era nuova? Chiese Kallan, alzando lo sguardo dal rotolo di pergamena davanti a lei sul tavolo. La punta delle orecchie affusolate spuntò tra i capelli castani che aveva legato per evitare le fiamme della candela.

    Lo era? Le ombre tremolavano sul viso di Gudrun e sugli scaffali pieni di barattoli. Barattoli pieni di ogni sorta di insolite polveri e radici esotiche, stipati in ogni angolo disponibile. Anche dalle travi pendevano erbe secche. La luce della candela e del piccolo fuoco nel camino si mescolarono, e l’aria nella stanza si fece densa, di un odore di erica bollita e salvia. La Terra era comunque molto vecchia quando gli dèi la trovarono, disse Gudrun. "Ormai era già un terreno antico, in movimento, sotto i loro piedi. Riuscite a vederlo, Kallan?

    La ragazza chiuse gli occhi, un blu cangiante come la pietra di lapislazzuli, e ripensò al primo ricordo che aveva, prima della Grande Migrazione, quando gli dei vivevano nei Deserti Meridionali e nella Terra dei Fiumi. Ancora prima della Grande Guerra tra gli Aesir e i Vanir.

    Ci riesco disse Kallan.

    La vecchia, con voce secca, continuò severa. Queste sono le storie antiche che precedono gli imperi degli Uomini. Abbiamo studiato i Vanir e le loro usanze, i loro rimedi e le loro erbe. Ora pensate alle divinità dei nostri stessi dei, talmente vecchie che non se ne ha più memoria. Esse un tempo insegnavano ai loro giovani. Pensate alle loro antiche storie, ai loro miti, alle leggende che una volta veneravano prima di diventare miti loro stessi. Pensate a tutto ciò che ormai è perduto nel tempo.

    Kallan annuì. Lo vedo.

    Il Seidr è ancora più vecchio, disse Gudrun. Fluiva come una vena dal Grande Burrone, diffondendosi attraverso tutti gli elementi della Terra, allungandosi, riversandosi nelle acque, nell'aria e nel suolo.

    Quando lei disegnò il nodo della catenina che aveva appesa al collo, un legame di tre punte racchiuso in un cerchio, Kallan aprì gli occhi. Gudrun sorrise, confermando così la conclusione a cui lei era giunta.

    Il ciondolo di vostra madre, disse. Il Na Tríonóide: l’unione dei Tre. Il Seidr si fuse con gli elementi, fino a quando non si perse all'interno della Terra. Diventava parte di essa, scorreva tra le acque, agitando le terre e cavalcando il vento con l'aria. Il Seidr è ancora lì dormiente, in attesa del nostro ricordo.

    Da seduta, Kallan si protese in avanti.

    I Vanir riconobbero il Seidr quando lo trovarono. Lo affinarono e lo domarono in segreto. Lo accumularono, tenendolo nascosto agli Aesir. Il tono di voce di Gudrun era pervaso di tristezza. I Vanir si rifiutarono di rivelare il loro segreto, temendo che gli Aesir venissero a conoscenza del loro tesoro e li sopraffacessero al potere.

    Cosa successe ai Vanir? chiese Kallan.

    Senza nascondersi Gudrun ingoiò le aspre lacrime pungenti. Perirono. La voce era ridotta a un filo. Destinati all’oblio, a vivere solo nelle antiche storie ormai quasi estinte.

    Kallan si morse un angolo della bocca come per impedirsi di far domande.

    Nelle profondità della terra, oltre il mare d’occidente, trovarono la loro fine, continuò la vecchia.  Alcuni dicono che perirono ben oltre i confini più occidentali del mondo, dove le origini presero forma. Là dove il Seidr emerse dalla fonte della vita, e si fuse con gli elementi e la vita stessa. Il Seidr ora risiede dormiente in ognuno di noi. Ad ogni modo per la maggior parte di noi rimane tale, a disposizione per essere usato da chi ne è ospite, ma mai risvegliato. Chi ne è custode è ignaro della sua presenza.

    Ma non crediate che il suo potere sia andato perso, aggiunse Gudrun. Anche il Seidr più dormiente, strappato dal suo ospite, distruggerà la linea della vita che si è formata attorno ad esso. Giace dormiente in ogni uomo nato nel Midgard. Proprio come lo hanno le razze degli Uomini, ce l'abbiamo noi Elfi...

    Elfi? ripeté Kallan.

    Alfar, precisò Gudrun, dimenticando che la parola fosse straniera oltre l'Isola dell'Oceano dove lei aveva vissuto negli ultimi trecento anni. Gli Dvergar, gli Svartálfar. Persino i Ljosalfar...

    Ce l’hanno? la interruppe Kallan. Re Tryggve?

    Gudrun annuì. re Tryggve e re Eyolf...

    Il nome del padre accrebbe l'attenzione di Kallan. Mio padre ce l'ha?

    Gudrun continuò, non osando incoraggiare le interruzioni della principessa.

    Così come le renne che migrano attraverso le valli di Re Raum, a nord, e gli uccelli dalle corna d’alce che volano attraversando i regni meridionali di re Gardr Agdi. I vermi marini che nuotano e i pini, che crescono alti in queste terre. In mezzo a tutti noi, tra gli Uomini e le tre razze degli Alfar, tuttavia solo un manipolo è ancora consapevole della sua esistenza. Tra quei pochissimi, solo alcuni sanno risvegliarlo, e sono ancora in meno quelli tuttora capaci di padroneggiarlo.

    Dopo aver concluso la sua lezione, Gudrun parlò più velocemente, più severamente, abbandonando il misticismo del narratore.

    Padroneggiare il Seidr è tirare la cima di salvezza sui confini del nostro cuore. Dominare il Seidr è tendere i fili intrecciati degli elementi. Trovatelo!

    Come rendendosi improvvisamente conto della stanza soffocante, Kallan socchiuse gli occhi per vedere meglio il Seidr che in qualche modo era sospeso nell'aria. A quel punto il sorriso di Gudrun si estese sul suo volto rugoso.

    Iniziate poco alla volta, disse. Il Seidr intorno a noi non ha seguito un percorso prestabilito e va dove gli elementi lo portano. Cercate di trovare il Seidr dentro di voi, in profondità. È lì dormiente. Quel Seidr vi conoscerà e sarà il primo ad obbedirvi.

    Piegandosi, Kallan annuì e chiuse gli occhi. Poi spostò la sua attenzione verso il centro del suo corpo.

    Una volta dominato il vostro, potrete raggiungere il Seidr che è negli altri. Non vorrà obbedirvi al pari del vostro, ma si sarà adattato anch’esso ai confini di un essere vivente.

    Kallan aprì gli occhi, desiderosa di apprendere le conoscenze che sempre sembravano scaturire da Gudrun. Si trova nel fuoco che avete acceso?

    La vecchia Seidkona scosse il capo.

    Il fuoco non è un elemento, ma una reazione. Come quando un cuoco mescola due stufati. O come quando unisco più incantesimi.

    Come l’acqua che bolle, o il tè in infusione?

    Esattamente, disse Gudrun.  Il fuoco si presenta solo quando altre azioni lo provocano, mentre il suolo, il vento e l'acqua ci sono sempre e mantengono uno stato permanente che delimita il Seidr. Mentre elencava ogni elemento, Gudrun indicò ogni punto del ciondolo che Kallan aveva al collo. Quando finì, passò il dito sul cerchio che avvolgeva il nodo. Agli elementi non serve essere alimentati. Comunque il Seidr è qualcosa di vivo, è una forma di vita fatta di pura energia. Comprimetelo a sufficienza e rilascerà calore. Comprimetelo ancora di più e diventerà caldo a sufficienza da produrre fiamme.

    E più caldo ancora vi crea il fulmine. Kallan fece un gran sorriso.

    Proprio così.

    Parte Prima

    Capitolo 1

    Lorlenalin

    Aaric, il capitano delle guardie del re, nel farsi strada attraverso le sale illuminate dalla luna, torreggiava sui rifugiati nella fortezza di Lorlenalin. Le famiglie addormentate avevano fatto del loro meglio per riuscire a rannicchiarsi sul pavimento di pietra per poterci passare la notte. Ogni corridoio e ogni scala traboccava di Alfar. Non c’era spazio per nessuno per potersi allungare. Considerate le circostanze, i suoi soldati si erano comunque comportati egregiamente.

    Novantamila.

    Diede un'occhiata in una delle innumerevoli stanze riempite con quasi cinquanta persone ciascuna. Solo quella mattina aveva usato la maggior parte delle stanze come deposito. In quel momento i bambini dormivano seduti, appoggiati alle loro madri.

    Novantamila.

    Non era riuscito a credere ai resoconti quando li aveva ascoltati due settimane prima. Lui e i suoi soldati erano ben preparati, ma in quelle circostanze, per scioccarlo era bastato vedere così tanti rifugiati arrivare ai gradini del mastio senza casa né cibo. Il mastio soltanto non poteva ospitarli tutti. Fuori, lungo la merlatura esterna, le sue truppe eressero accampamenti di migliaia di tende. Accanto al fiume e persino alla cascata avevano piantato file su file di tende che sarebbero servite da alloggi permanenti per gli Svartálfar. Almeno finché i soldati non avessero costruito strutture adeguate.

    Fino ad allora non era stato ancora sicuro di dove li avrebbe messi tutti. Le notti primaverili  potevano essere fredde.

    Aaric si fermò a una porta chiusa nell'atrio, dove una luce aranciata filtrava attraverso la fessura sul pavimento e si rifletteva sulla pietra. Il piagnucolio dall'altra parte gli arrivò come  una spinta sull’ampio petto. Spostò a disagio la spada sul fianco e spalancò la porta.

    La stanza era occupata da quei pochi mobili di cui il comandante potesse avere necessità: una scrivania, un tavolo senza decorazioni. Sul muro, accanto a una porta che dava su un balcone, era appeso un arazzo ricamato con il sigillo Svartálfar: un martello intrecciato con un nodo a tre punte. Lo stesso sigillo che i fabbri avevano inciso sui braccialetti indossati da tutte le guardie del re. Sul letto, Kallan sedeva singhiozzando piano sulle ginocchia di Re Eyolf, e il rossore degli occhi della bambina, disidratati, gli aveva strappato fuori altre lacrime per sua moglie.

    Kallan lo fissò con occhi spalancati. Erano occhi di lapislazzuli. Arrossati. Come quelli di suo padre. La bambina giaceva con il pugno premuto in bocca, disinteressata a tutto ciò che aveva da dire.

    Daggon è pronto disse Aaric.

    Eyolf lo fissò negli occhi e annuì. Nonostante avesse raggiunto l’elding[1] ormai da ere, solo un grigiore gli striava il nero della folta barba e dei lunghi capelli che gli arrivavano alle spalle. L'eterna giovinezza del re era calata dall'ultima volta che si erano incontrati. Lo sfinimento lo attanagliò e lo fece apparire molto più simile a un essere di mezza età invece che ad un re Alfar, in possesso come il suo popolo della vita eterna.

    Eyolf riportò la mano sulla schiena di sua figlia. Come stanno tutti? chiese. I Dokkalfar si sono sistemati?

    Aaric corrugò la fronte. Dokkalfar?

    Gli ultimi Svartálfar iniziarono a chiamarsi così, disse Eyolf. Non sono sicuro di quando, davvero. Penso abbiano iniziato durante il loro cammino. Il nome è rimasto con loro.

    Sono tutti a letto. I soldati stanno ancora lavorando alle latrine. Ho un altro gruppo che lavora all'approvvigionamento dei viveri.

    Eyolf annuì stanco.

    E gli altri? Domandò Aaric. Avete sentito qualcosa?

    No. Gli Svartálfar che sono rimasti indietro non erano contenti della mia decisione.Aaric guardò Eyolf che stringeva la bocca. Il labbro aveva iniziato a tremargli. Li ho esortati a venire con noi, ma non avrebbero abbandonato la battaglia.

    Quanti? Chiese Aaric.

    Eyolf si strofinò la faccia. Più di metà. Centoventi forse.

    La nausea fece capolino nello stomaco di Aaric. Centoventimila sono rimasti a Svartálfaheim? Tentò di immaginare il numero degli Alfar che avevano scelto di rimanere indietro, mentre la città finiva nella fiamma del Seidr. Soltanto lui e Gudrun sapevano che erano fiamme di Seidr. Era sicuro che sarebbero rimasti gli unici. Aaric scosse la testa. Non ce la faranno.

    Non avrebbero ascoltato. Aaric sentì il dolore gonfiarsi nella voce di Eyolf. E se fossi restato a combattere quella battaglia...

    Kallan tirò su col naso e Aaric osservò la lacrima che le scivolava sul viso. Non avevo altra scelta che proteggere quelli che potevano essere salvati, aggiunse Eyolf.

    Lei come sta? Domandò Aaric, facendo un cenno col capo verso la bambina.

    Tornando a pensare a lei, Eyolf si sforzò di massaggiarla di nuovo. Stanca, spaventata e colpita quasi quanto tutti noi.

    Ho del tempo a disposizione, disse Aaric. Posso prenderla io se lo desiderate.

    Eyolf annuì e le mise una mano sulla testa. Kallan. Aaric guardò i suoi occhi vagare e poi concentrarsi. Devo andare.

    No. Si sedette, guardando suo padre con labbra tremanti. No...Non...

    Aaric è qui, disse Eyolf. Ti controllerà lui.

    No, per favore... E se...

    Tornerò subito. Per sua figlia, Eyolf si sforzò di fare il suo miglior sorriso. Dovete essere forte.

    Non sono forte. Kallan scosse il capo. Non lo sono.

    Eyolf le stampò un bacio sulla nuca e si alzò dal letto. Tornerò subito, sussurrò e annuì ad Aaric prima di uscire dalla porta in fondo al corridoio.

    Aaric guardò la principessa avvicinarsi le gambe al petto nel raccogliere le pellicce attorno a sé, e lasciarsi cadere con il viso sulle ginocchia. I suoi lunghi capelli castani ricaddero sul letto, proteggendole il viso dalla luce.

    Kallan. Aaric andò verso il letto.

    Mi manca Ori. Le pellicce le smorzarono la voce.

    Aaric si sedette sul letto di fronte a lei.

    Lo so, Kallan. Provò a sorridere. Ma starà bene.

    E nonna, continuò Kallan.

    Aaric annuì. Presto Gudrun sarà qui.

    Mi manca la mamma.

    Un fremito gli pervase il corpo. Kallan sollevò lo sguardo dalle ginocchia.

    Voglio la mamma.

    Aaric serrò i denti finché non fu certo che si sarebbero spezzati, e trattenne il respiro finché il dolore non si calmò abbastanza da permettergli di parlare.

    Lo so. Si inghiottì il nodo in gola. La vorremmo tutti.

    Non non ho potuto salvarla.

    Nessuno avrebbe potuto, disse.

    Ma non ci sono proprio riuscita. Kallan inclinò la testa, insistendo. Un raggio di luce attirò il suo sguardo, illuminando gli anelli d'oro che racchiudevano le sue iridi cangianti. Aaric si trattenne dal parlare.

    Non sono stata forte, disse Kallan. Mio padre dice che lo sono, ma non è così. Un'altra lacrima. Neanche la mamma era forte.

    Kallan seppellì la faccia tra le ginocchia e pianse.

    Lei non deve saperlo.

    Aaric le si avvicinò. Non erano più soli.

    Kira era forte, Kallan. Lo era. Gli bruciavano gli occhi. Molto forte.

    Non come papà, disse Kallan, alzando il viso verso quello di Aaric. Non come te e Daggon...

    Aaric prese delicatamente tra le mani il mento di Kallan, che appariva minuscolo in confronto alle sue dita.

    Spiccava quell’inconfondibile anello d’oro... Se non avesse pianto, se Eyolf non avesse sofferto, chiunque altro glielo avrebbe visto.

    Kira aveva forza, Kallan.

    Allora perché è morta? I suoi occhi gli scrutarono il viso come se potessero trovarvi le risposte. Se era forte, allora perché?

    Una lacrima gli sfuggì e Aaric chiuse gli occhi, maledicendo Eyolf. Non avrebbe mai dovuto lasciarla. Non quando sapeva che Danann gli stava dando la caccia. Era stato un pazzo ad obbedire al suo re.

    Kallan staccò il mento e lasciò ricadere il viso sulle ginocchia.

    Voglio andare a casa.

    Doveva dimenticare.

    E cosa fareste una volta lì? Hm? Domandò Aaric.

    Lei doveva dimenticare.

    Potevo trovarla. Kallan tirò su col naso. Ori ed io l'avremmo trovata.

    Aaric guardò volare i suoi pensieri silenziosi e Kallan cadde in un altro attacco di pianto.

    Se dimentica, il suo dolore finirà. Venite qui, principessa. Aaric fece un cenno e, sollevando la bambina dal suo letto, se la prese in grembo dove lei si rannicchiò appallottolandosi.

    Fa molto male, disse. Voglio solo che smetta...che non ci sia più. Se fossi stata più forte...

    E se foste più forte?

    Aaric la dondolò.

    Allora potrei tornare indietro a prenderla. Avrei potuto salvarla.

    Non tutti i suoi ricordi, decise Aaric. Solo alcuni. E la Vista. Sicuramente la sua Vista deve sparire. Se vede, allora saprà. E se è qualcosa come sua madre... Aaric continuava  a dondolarla avanti e indietro.

    Ci sono cose che non può sapere. Sa già abbastanza per capire le cose, quando sarà vecchia. Se ricorda. Ma lei non ricorderà.

    Aaric?

    Sì, principessa.

    Le principesse non sono forti, disse. Pensate che sarò forte?

    Sì, principessa, disse Aaric. Sarete forte.

    Come voi, Daggon e papà? Sentì i suoi capelli sfiorargli il mento.

    Sì, principessa. Proprio come Daggon e Eyolf.

    E voi? chiese lei.

    Aaric le appoggiò una mano sulla fronte.

    E io sussurrò Aaric. Fili dorati, come la sabbia, presero a scorrere dalla sua mano e avvolsero la testa di Kallan. Attraverso il suo corpo raggiunse il suo Seidr fino a quando lo ebbe individuato, e ne ebbe collegato i fili d'oro all'interno che ne ospitavano il potere. Uno ad uno, tirò i fili e spinse il proprio Seidr tra di loro, fino a quando furono un tutt’uno. Lo attrasse e ne cambiò la direzione.

    E Gudrun, disse Aaric. Proprio come Gudrun.

    Ritirò il suo Seidr, lasciando l’altro da solo a fluire nella nuova direzione. La bambina già dormiva. Con cautela, la distese sul letto, le sollevò le pellicce attorno al collo e le baciò la fronte.

    Buonanotte, principessa mormorò.

    Più volte si passò una mano sul viso e si diresse verso il balcone.

    Aveva bisogno d’aria.

    Il mare si frangeva sulle rocce frastagliate che costituivano la base del mastio, scavata nel fianco della montagna. Le acque nere lo salutarono, ghiacce come in un freddo inverno tardivo. Aaric respirò profondamente l'aria di mare, distendendo il petto fino in fondo. Prima di rilasciare quel respiro sapeva che lei era lì.

    Che cosa le avete fatto? Domandò Fand.

    Lentamente, Aaric girò la testa verso la donna appoggiata troppo comodamente al suo balcone. Le iridi dorate le brillavano di quella stessa disinvoltura che lo avrebbe spinto ad attaccarla.

    Ho sigillato i suoi ricordi, rispose con un tono di disgusto e distolse la sua attenzione dalla dea.

    Fand si nascose una ciocca di capelli neri dietro l'orecchio bianco e affusolato.

    Non funzionerà, gli rispose, troppo felicemente rispetto alla tristezza che c’era nel mastio.

    Aaric fissò le generose curve del suo corpo.

    Che ci fate qui, Fand?

    Non l'avete uccisa.

    Aaric si voltò a guardarla. Non aveva più alcuna nonchalance. C’era invece rabbia nei suoi occhi dorati. Secondo il nostro accordo dovevate ucciderla.

    Non ero d'accordo, me lo avevate proposto, disse Aaric. Non ho intenzione di uccidere una bambina.

    Non lo sarà per sempre.

    Aaric fece un passo verso la ringhiera, aggiungendo diversi piedi di spazio tra di loro.

    È nascosta, le disse. Danann non la troverà. Non sa nemmeno dell’esistenza di Kallan.

    Pensate che Danann non la scoprirà? Fand abbandonò la ringhiera. È la nipote del Grande Drui, pensate che Danann non riesca a trovarla?

    Fand entrò, restringendo lo spazio che Aaric aveva mantenuto tra loro.

    Kira è morta, disse Fand in modo irritante, spingendo il suo viso vicino ad Aaric. Danann sta dando la caccia a voi e a Gudrun.

    La gola di Aaric si strinse al suono del nome di Kira.

    Kira non ce l'ha fatta, disse e serrò il pugno quando Fand alzò la mano e finse di provare pietà.

    Oh, mi dispiace tanto.

    Abbiamo bloccato la visione di Danann, disse Aaric. Le abbiamo bloccato la Vista. Danann non può trovarci.

    Fand scrollò le spalle con un sorriso che incoraggiò Aaric a saltare dal balcone.

    C'è ancora Volundr, sibilò Fand.

    La schiena di Aaric si irrigidì mentre tratteneva il respiro. Volundr è...

    Imprevedibile. Fand sorrise. Alla luce della luna le si illuminò bene il viso. Aaric dovette sforzarsi di distogliere lo sguardo.

    Non sa dove sia Kallan, disse, pur sapendo quanto poco importasse.

    È Volundr, precisò Fand. Lo scoprirà.

    Gudrun e io siamo entrambi con lei.

    Gudrun non lo è. Fand inclinò leggermente la testa. La ciocca di capelli neri le ricadde in faccia. Dov'è Gudrun, Aaric?

    Non lo so.

    Sentì i suoi occhi raschiarlo.

    State dicendo la verità, riprese. Poteva percepire il suo sorriso che se ne cadeva giù. Non lo sapete davvero.

    La tensione nell'aria tra loro si placò quando sentì Fand allontanarsi.

    Quella bambina è meglio morta che viva per quanto mi riguarda, disse Fand da sopra la spalla. Se Danann sospettasse persino che ci fosse una bambina...

    Non ucciderete la figlia di Kira, disse Aaric, incontrando gli occhi stretti di Fand.

    Non vi avrebbe mai avuto.

    Fand si girò e si diresse verso il bordo del balcone. Il vento le agitava i capelli neri.

    Dove state andando? le gridò Aaric.

    Se l'umore le si addice, Danann potrà seguirmi, rispose Fand, fissando il mare. Se rimarrò troppo a lungo, sorgeranno delle domande. Una volta che Danann avrà ritirato le sue truppe dallo Svartálfaheim, inizierà a cercare sia voi che Gudrun. Quando questo accadrà, se mi avvicinerò a quella bambina, Danann l’avrà trovata.

    Non ucciderete la figlia di Kira.

    Potete avere la vostra preziosa principessa, disse Fand e ridacchiò. Ma nel momento in cui Danann la troverà, nel momento in cui la bambina lo saprà...io verrò per lei.

    Aaric non fece nemmeno caso a Fand, quando ella prese la forma di un corvo. Con piume nere come i suoi capelli, volò nella notte, lasciando Aaric solo con la sua principessa.

    Capitolo 2

    Gunir

    Dieci anni dopo...

    Swann aprì la pesante porta di quercia che portava alle stanze di Rune. I cardini si lamentarono e i suoi occhi argentati scrutarono attraverso la crepa. Il salotto era vuoto.

    Più coraggiosa di quanto fosse stata un momento fa, la ragazza aprì la porta, si infilò nel pergolato di suo fratello e la chiuse piano dietro di sé con la schiena premuta contro la quercia.

    L'orlo della sua sottoveste di seta le accarezzò le dita dei piedi. Le ciocche dorate, che le arrivavano fino alle ginocchia, le incorniciavano il viso snello. Quando si allontanò dalla porta, un lieve sorriso le sollevò le labbra e si portò le mani davanti, stringendo la scatolina che conteneva il suo nuovo tesoro.

    Saltando leggermente, camminò sul tappeto orientale che attraversava la lunghezza del grande salotto. Tinto di rosso e oro, il tappeto riempiva la stanza di un calore regale e le accarezzava le punte dei piedi, mentre si dirigeva verso il comò per frugare tra le cose di suo fratello.

    Il legno pregiato decorava ogni angolo e ornava l'armadio, i tavoli e il mantello. La scrivania, le sedie, persino le cornici in legno delle porte e di ciascuna delle quattro finestre era adorna del mestiere dei taglialegna Ljosalfar. Pochi potrebbero dirsi al loro pari.

    Canticchiando soavemente, Swann arrivò alla scrivania di suo fratello e si mise a sfogliare, a  pettinarsi e rigirare ogni manufatto.

    Canta e salta i tumuli di Faerie, cantava, mentre ispezionava un pezzo di vetro verde massiccio proveniente dai mercati del deserto. Oltre la collina e attraverso le valli.

    Swann si avvicinò alla finestra centrale e accolse la prima luce mattutina. Un arco ricurvo e una faretra che riposavano su una sedia non le interessavano. Né la collezione di spade affilate apparecchiata su un tavolo d'angolo.

    Con un respiro profondo, si sporse dalla finestra. Ignorando il cortile sottostante, guardò al lago Wanern dove lunghe barche scricchiolavano nel porto. Swann allargò il sorriso alla luce del sole e alla brezza mattutina mentre volgeva lo sguardo verso est, oltre la fine della città e attraverso il fiume, verso il bosco di Alfheim.

    Un gemito della camera da letto la fece allontanare dalla finestra, e Swann sorrise di gioia  per l'eccitazione. Spingendosi dal davanzale della finestra, corse in camera da letto come se stesse per esplodere dalla notizia che desiderava raccontare.

    * * *

    Rune, carico di sonno, giaceva sepolto sotto una montagna di coperte, pellicce e cuscini.

    Rune, disse Swann cantilenando.

    Conosceva la sua voce, ma non poteva muoversi per rispondere. Un peso nel sogno lo teneva fermo.

    Svegliatevi, disse.

    Ma Rune non si era svegliato. Invece, la voce penetrò nel suo sogno e ne divenne parte.

    Rune, disse, mentre cantando si arrampicava sul suo corpo come fossero i gradini di Jotunheim. La sua voce era croccante come la neve fresca quando cade sul ghiaccio:

    "Canta e salta i tuoi tumuli di Faerie,

    Sulla collina e attraverso le valli,

    Dove il giovane sonno fa roteare i sogni.

    Lì la luce della luna trova il suo raggio."

    Stringendo la sua piccola scatola, Swann scivolò sul fianco di Rune e vi si appoggiò prima di entrare nel secondo verso.

    "Canta e salta i tuoi tumuli di Faerie,

    Sulle colline e attraverso le valli,

    Dove gioca il ruscello che va rotolando,

    Oltre le colline e in un luogo lontano."

    Senza esitare Swann fece piroettare la voce nell’aria mattutina che era entrata col vento dalla finestra della camera di Rune. Mentre Swann si arrampicava cantando, le sue ciocche si stendevano sulle coperte come la luce del sole. Swann riuscì ad arrampicarsi su Rune e gli spinse il viso così vicino che con la punta del naso sfiorò la sua.

    Rune, gridò, strappandolo dal suo sogno.

    Con un ululato, Rune spinse un cuscino in faccia alla sorella, facendola cadere di schiena, con tutto il cuscino, la scatola e le trecce d'oro. Imperterrita, Swann balzò in piedi e lo lanciò di nuovo a Rune, che si era tirato le coperte sulla testa. Prima che potesse gemere, Swann proruppe in un altro verso.

    "Canta e salta i tumuli di Faerie,

    Oltre la collina e attraverso le valli,

    Là dove giacciono le antiche pergamene.

    Pensa a quei loro remoti segreti."

    Ruuuuuuuuune, disse Swann, lasciando perdere il cuscino.

    Che c'éééééé? La voce di Rune era attutita dalle pellicce che aveva fin sopra la testa.

    Swann sorrise.

    Che bello! Siete sveglio.

    Seguì un altro gemito.

    Con un salto, Swann disse: Rune, venite, dovete vederlo. Dovete vederlo. Ne ho trovato uno!

    Quando balzò in ginocchio accanto a lui Swann strillò.

    Cosa avete trovato? chiese Rune, rifiutandosi di uscire da sotto le coperte.

    Un tumulo delle fate, gridò Swann e cantò:

    "Canta e salta i tumuli di Faerie,

    Oltre la collina e attraverso le valli.

    Ti ci porterà la canzone di Faerie,

    Alle loro belle sale di sole illuminate"

    Proprio come diceva la mamma, esclamò Swann appena ebbe finito di cantare. E splendente come se la luce del sole uscisse dalla terra, proprio come quelli che vide nella terra di Eire.

    Sbuffando, Rune lanciò indietro le coperte socchiudendo per la luce gli occhi color argento bluastro.

    Avete trovato un tumulo Fae? chiese, alzando dubbioso un sopracciglio.

    Swann annuì forte.

    Swann. Rune sbatté le pellicce. La sua mancanza di entusiasmo non le tangeva minimamente l’umore. Immagino di dover venire a vedere.

    In piedi, disse Swann alzando le braccia per saltare giù dal letto coi capelli che la seguivano come una pioggia dorata.

    Non subito, Swann. Rune fece ciondolare le gambe sul lato del letto. Ho lezione tutta la mattina con Geirolf. E se la salto di nuovo ci lascerò le penne. Per non parlare del putiferio che dovrò subire da papà.

    Swann scrollò le spalle e si accovacciò con la scatola ancora nascosta in mano.

    Ma la vacanza, disse Swann allungando il labbro inferiore. È Austramonath.

    Manca ancora qualche giorno. I Dokkalfar non sono ancora arrivati , rimproverò Rune e guardò sua sorella piegare ulteriormente il labbro inferiore. Più tardi verrò.

    Swann non si mosse.

    Rune emise un gemito lanciandosi sul letto e mettendosi a fissare il soffitto.

    Quando volete che venga? le chiese.

    Ora, rispose Swann, tornata improvvisamente felice.

    Swann, disse Rune, mentre lei era di nuovo sul letto e tenendo il viso a testa in giù sopra il suo sorrideva costantemente con occhi spalancati.

    Rune le colpì una ciocca di capelli.

    Andate voi per prima, le disse. Fate quel che volete nella vostra valle. Ci vedremo prima che il sole sia alto nel cielo.

    La sua giovialità si affievolì di nuovo. Però fece del suo meglio per nascondere la delusione.

    È quello che ha detto Bergen. Swann si sedette a gambe incrociate e fece di tutto per non apparire arrabbiata.

    Rune aggrottò le sopracciglia. Bergen è tornato?

    Swann annuì sorridendo.

    Quando è tornato?

    Poco fa, cantilenò, contenta di sapere qualcosa di cui il fratello era ignaro. Guardate cosa mi ha portato da Râ-Kedet, disse mettendogli sotto il naso la sua preziosa scatolina.

    Rune si mise a sedere, si voltò e ne sollevò il fermo. Le cerniere scricchiolarono. All'interno, incastonato nella rossa seta orientale, un uovo brillava nella luce.

    Dei cerchi color giallo oro ricoprivano ciascuna estremità, in cui delle linee simili a dei raggi del sole si riversavano sullo sfondo nero per incontrare delle cime di montagne di uno scuro rosso sangue che circondavano l'uovo. Le loro basi si fermarono dove un'ampia striscia di nero ne avvolgeva il centro. Lì, sulla striscia di nero, un cerchio rosso attirò l'attenzione di Rune.

    È un verme, disse Rune quando scorse l'immagine di un serpente, attorcigliato in un sigillo fino a tal punto da formare un cerchio. Due fessure nere, come degli occhi, sbirciavano dall’interno del corpo del serpente. Un solo occhio giallo univa la testa con la coda. Rune capovolse l'uovo.

    A due teste, esclamò Rune, vedendo che la coda con l’occhio era in realtà un’altra testa. Capovolse  il fragile gioiello per trovare un secondo serpente attorcigliato che rispecchiava il primo. Dove l'ha preso?

    Swann saltò come se fosse esplosa. Bergen ha detto che era un regalo.

    Rune girò nuovamente l’uovo, chiaramente incapace di smettere di guardarlo.

    Ve l’ha detto ora?

    Ha detto che è il regalo di una regina che regnava nelle terre oltre il Mar Bianco ripeté Swann riportando parola per parola quello che Bergen le aveva detto con aria mistica e guardando pensosa il soffitto. Poi si appoggiò alla spalla di Rune ed aggiunse con voce normale. Ha detto che arriva da un vascello degli Sclaveni

    Gli Sclaveni ripeté Rune. Conosceva troppo bene quel nome.

    Ve l’ha regalato Bergen? Rune scrutò Swann. Un motivo in più per cui dovreste dare ascolto alla sua richiesta di andare a giocare nella valle. Rune sorrise e Swann sospirò, riprendendo il suo uovo alzando gli occhi al cielo e roteando il capo. Con cura restituì l’uovo alla sua seta e chiuse il coperchio come fosse prezioso tesoro.

    Siete il più grande, disse Swann. Speravo che avreste ignorato le istruzioni di Bergen.

    Rune sorrise. Sono solo poco più grande.

    Abbastanza per essere un erede.

    Forse, ammise Rune. Inoltre, nessuno può davvero dire a Bergen quel che deve fare. Nemmeno papà.

    Prima che il sole sia alto nel cielo? chiese, alzando lo sguardo dalla sua scatola.

    Rune annuì.

    Promettetelo, lo esortò Swann, e che porterete anche Bergen.

    Va bene, lo farò, disse Rune.

    "Hala!" annunciò Swann e scivolò giù dal letto. Mentre correva via dalla stanza riprese a cantare:

    "Canta e salta i tumuli di Faerie,

    Oltre la collina e tra le valli,

    Dove giocano i mistici Spriggan,

    Oltre le colline e in un luogo lontano."

    Costretto a staccarsi dal letto, Rune inciampò nel suo baule ed iniziò a prepararsi per la giornata.

    Il regalo di una regina che regnava nelle terre oltre il Mar Bianco.

    L’Austramonath non era una buona scusa per saltare le lezioni, ma il ritorno di Bergen da Râ-Kedet sì. Se avesse fatto in fretta avrebbe avuto abbastanza tempo per cacciare un orso e per mettere qualcosina nel letto di Bergen.

    Capitolo 3

    Alla fine di una strada desolata c’era una stalla fatiscente. Un posto abbastanza segreto per chi avesse cercato un nascondiglio. Il tetto spiovente era ricoperto da uno strato di muschio ed erba alquanto massiccio. I rumori della città erano cessati da tempo e qui, accanto alla figlia di un pescatore, giaceva  Bergen, con le spalle rese larghe dalle ore trascorse brandendo la spada. I pensieri che lo avevano seguito da Râ-Kedet fino a Gunir riguardavano un paio di profondi occhi neri, una risata inebriante e il bagliore d'una pelle color rame.

    Un dolore gli strinse il petto e spostò la testa verso ragazza addormentata accanto a lui, la cui schiena brillava candida sotto un raggio di luce solare. Le ciocche di capelli biondo chiaro le ricadevano sulle spalle nude per riversarsi sulle pellicce.

    Lui per un attimo se li immaginò neri. Poi scosse la testa per dimenticare

    La sua pelle del Nord non aveva mai visto il sole di Râ-Kedet che non perdona. Se avesse vissuto nelle terre del deserto, avrebbe quasi avuto lo stesso bagliore di Zab...

    Bergen si pizzicò il naso. Non poteva più rimanere lì. Un'altra volta e ci avrebbe ripensato ancora  poco. Un'altra volta, e non avrebbe permesso alla ragazza di riposare. Quel giorno era stato uno sciocco a provarci.

    Facendo molta attenzione a non disturbare Helga, o Hilda, Bergen si spostò da sotto le coperte e si infilò i pantaloni. I suoi capelli neri lunghi fino alle spalle caddero in avanti, impedendogli di vedere la ragazza. Ne fu grato.

    Venire qui, tentare di dimenticare...

    Per due anni aveva fatto poco altro.

    Bergen raccolse la sua tunica e se la infilò dalla testa.

    Hey, Bergen.

    La ragazza emise un gemito.

    Prendendo la sua borsa, Bergen si voltò verso la porta prima che suo fratello potesse...

    Bergen!

    Bergen uscì barcollando dalle stalle, lasciò cadere la borsa ai suoi piedi e guardò Rune, che era alto quanto lui.

    Ssssssh! sibilò Bergen, allacciandosi la cintura. I suoi minacciosi occhi blu-argento, così come quelli di suo fratello, colpiti dalla luce del sole, lo fecero apparire più minaccioso del solito.

    Rune sorrise. Nemmeno rientrato da mezza giornata, che avete già attirato alla capanna una delle vostre amanti in attesa.

    Rune diede una pacca sulla schiena di suo fratello, l'abbracciò brevemente e lo lasciò andare.

    Bergen abbandonò la sua finta irritazione per un far spazio a un ampio sorriso e restituì a Rune uno schiaffo sulla spalla.

    Era lì sul molo quando è entrata la mia nave, raccontò Bergen. Ora, caro fratello, cosa vi spingerebbe a disturbarmi mentre faccio l’amore?

    Rune appoggiò la schiena contro ciò che rimaneva di una recinzione esposta all’impatto dell’aria. Un'altra fanciulla sta chiedendo di noi, aggiunse Rune.

    Una fitta di sollievo pungeva il petto di Bergen, accogliendo ogni ritardo nel tornare a casa, dove la solitudine aspettava di tormentarlo.

    Swann, disse Bergen, facendo del suo meglio per apparire infastidito. Guardò di nuovo verso le stalle. Senza proferir parola né protestare, prese la sua borsa e se la mise sulla spalla.

    Ma lei...? Rune fece un cenno alle stalle mentre si alzava dal recinto.

    Bergen si voltò a guardare la porta, poi scrollò le spalle. Mi perdonerà, disse e raggiunse Rune lungo il sentiero sterrato verso il ponte di pietra che li avrebbe portati da Gunir, nella foresta a valle.

    Che notizie? Domandò Rune, una volta che la stalle furono ben lontane.

    Bergen fissò la fine della strada che si snodava dietro un boschetto di betulle mentre affondava di nuovo nei ricordi degli ultimi cinque anni. Rifletté su come iniziare.

    A poco a poco le parole cominciarono a descrivere la bellezza di Râ-Kedet, con le sue sabbie bianche diventate d'oro al sole e i palazzi di alabastro circondati dal mare di edifici di mattoni di sabbia, irti di mercati frenetici che prosperavano sulle navi mercantili che in arrivo al porto sul Mar Bianco. Le statue scolpite in pietra calcarea ed alabastro color ebano, e grandi colonne bianche adornavano ogni sala. Papiri e oasi di palme esplodono di vita lungo le rive della città e all'interno dei giardini del Serapeo.

    C’era di tutto, qualsiasi cosa si poteva trovare in quei mercati, come animali domestici tartarughe d’acqua e ragni del deserto, sete orientali e sottili lame curve provenienti dalle montagne di Khwopring. I porti traboccavano delle ultime innovazioni e delle teorie sorprendenti che venivano dai Deserti.

    "La città dell'oro, l'aveva spesso chiamata Bergen. Hm" grugnì.

    Rune corrugò la fronte e rivolse uno sguardo sospettoso a Bergen. Sono passati cinque inverni e tutto ciò che avete da raccontare è un grugnito.

    Non c'è molto da dire, disse Bergen, battendo su un ramo basso e ancora gocciolante di fresca rugiada mattutina. Sono felice di essere lontano dal caldo del deserto.

    Bergen sentì che Rune scrutava il suo comportamento freddo, come se decidesse un approccio diverso prima di cambiare argomento.

    Come è andata all'Accademia? Domandò Rune, calpestando una radice sul suo cammino.

    Espulso, rispose Bergen. Tre anni fa.

    Rune inciampò sui suoi stessi piedi.

    Espulso tre anni fa e state tornando a casa solo adesso? continuò Rune. Cosa vi ha trattenuto?

    Bergen ci pensò un attimo prima di rispondere. Obblighi.

    Quando un nodo gli si formò in gola, Bergen ebbe un attimo d'esitazione, quanto bastava per poter celare i propri segreti. 

    Obblighi, disse Rune. Il suo tono confermò che dubitava delle mezze verità di Bergen. Non avrà mica nulla a che vedere con una ‘regina delle terre oltre il ​​Mar Bianco‘, vero?

    Bergen si fermò come morto lungo il sentiero. Le labbra gli si strinsero per il ringhio che represse. Immediatamente, i suoi pensieri si spostarono su un paio di occhi neri e su una pelle dorata come il sole. Non si era accorto di aver serrato i pugni.

    Zabbai.

    Un uccello cinguettò, rompendo il silenzio.

    Dove avete preso l'uovo, Bergen? Domandò Rune.

    L'angolo della bocca di Bergen si piegò. Riprese a camminare. Non ve l'ha detto Swann? chiese con un pizzico di umorismo che fece capire a Rune che era in cerca di un diversivo che, se l’avesse trovato, avrebbe ritardato l'argomento di una quindicina di giorni.

    Rune si strinse nelle spalle. Non importa. Sono sicuro che a nostra madre piacerebbe sapere che sareste potuto essere già tornato da quasi tre inverni se una certa signora non vi avesse trattenuto.

    Siete un cucciolo.

    Rune sorrise. Lo sono.

    Bergen inspirò l'aria fredda e acuta dei venti nordici che arrivava dal largo del lago Wanern. Emise un respiro lungo e tranquillo. L'Accademia non era un luogo qualunque. Era un santuario. C’erano dei dannati giorni in cui sembrava ricoprisse quasi tutta la città di Râ-Kedet. Aveva una sua comunità che rispondeva alle sue leggi interne. C'erano strade piene di dormitori, giardini, mercati, aule, teatri, un museo...

    Rune inarcò la fronte. Un museo?

    La Sala della Musa, era l'ala dedicata allo studio del discorso metrico.

    Musica , disse Rune.

    Bergen annuì. Tra le altre aree di interesse. E una biblioteca, la più grande di questo ramo delle Strade della Seta.

    Continuarono il loro cammino verso il ponte di pietra che li portava sul fiume Klarelfr.

    La biblioteca è ciò che mi ha trattenuto, aggiunse Bergen.

    Rune non rispose.

    Dalla sua costruzione, l'Accademia è cresciuta come centro di formazione a Râ-Kedet, continuò  Bergen. Con le Muse e l’ampliamento degli insegnamenti di Pl ...

    State perdendo il vostro pubblico, caro fratello, intervenne Rune. Ho già saltato le mie lezioni della giornata.

    Gli studiosi hanno raccolto tutto ciò che è entrato in porto, disse Bergen. E tutto ciò che è entrato in porto è stato aggiunto al loro crescente Serapeum. Tutto ciò che poteva essere utilizzato per lo studio è stato preso. Ogni manufatto è stato confiscato e collocato nel museo, ogni parola scritta è stata presa e copiata nella biblioteca. Quando la mia nave è entrata in porto cinque anni fa, arrivavano anche i miei manoscritti.

    Rune lanciò a Bergen uno sguardo solenne.

    Hanno preso tutto, aggiunse Bergen. Anche le lettere. Ci hanno dato del denaro per evitarci di avere problemi e alla fine gli scritti ci sono stati restituiti, ma... Scosse la testa. ... avrebbero restituito solo le copie fatte dagli scrivani. Si sono tenuti gli originali per aggiungersi alla loro biblioteca.

    Anche i vostri appunti?

    Andati, disse Bergen, incapace di incontrare gli occhi di Rune. Tutti.

    Naturalmente volevate che ve li restituissero.

    Beh, sì, lo derise Bergen. Quindi, ho reagito come al mio solito.

    Avete causato della confusione, disse Rune.

    ...Che ha attirato l'attenzione della donna che gestiva il posto. sorrise Bergen raggiante.

    Non l'avete fatto, continuò Rune con uno sguardo finto di sorpresa.

    Mi state forse prendendo in giro?

    Mi dispiace, disse Rune mentre Bergen osservava atterrare sulla strada un paio di passeri maschi dal becco serrato. Agitarono le ali, sollevando un piccolo soffio di terra e, quando furono di nuovo in volo, il loro umore si placò.

    Allora, cos'è successo? Domandò Rune.

    Bergen si strinse nelle spalle. Ho trovato la scuola, mi sono iscritto e ho recuperato i miei manoscritti nella biblioteca in cui ho trovato lavoro come scrivano.

    E la donna che gestiva il posto?

    Bergen fece finta di essere interessato agli alberi davanti a sé mentre raccoglieva il coraggio per parlare. Si è rivelata essere la regina di Râ-Kedet. Gli tornò il nodo in gola.

    E l'uovo?

    Bergen si strinse nelle spalle. Non ho avuto modo di portarmela a letto. La sua mascella si serrò.

    "L'uovo, Bergen", disse Rune.

    Un oggetto comune a Râ-Kedet, al pari delle tartarughe in vendita al mercato.

    Bergen.

    Bergen sospirò.

    La donna, che ha preso i miei manoscritti...

    ...la regina...

    ...Ha trovato l'uovo su una nave sclavena. Bergen schivò il ramo che aveva davanti.

    Come avete avuto l'uovo?

    Bergen riconobbe quella tensione nel tono di Rune e si rese improvvisamente conto di quanto gli fosse mancato. Rune non avrebbe creduto a nessuna frottola che gli avrebbe raccontato, ma ci avrebbe provato.

    Me l'ha regalato.

    E basta? La credibilità del suo tono di voce faceva acqua da tutte le parti.

    Appena tornati dalla caccia, dopo aver bevuto, disse Bergen, sorridendo menzognero.

    Rune sollevò un sopracciglio dubbioso verso Bergen.

    La regina di Râ-Kedet è andata a caccia, e a bere, scandì Rune, con voi.

    Bergen annuì. Almeno quella parte era vera.

    L’ha fatto, insisté, ancora sorridendo.

    Rune lanciò a Bergen uno sguardo che dimostrava che ne sapeva di più, ma Bergen guardò il sentiero davanti a sé.

    Lo sanno tutti che i manufatti sclaveni sono maledetti, purtroppo, disse Rune.

    Gli ritornò alla mente un vecchio ricordo e Bergen non riuscì a reprimere un sorriso.

    Ho avuto la mia parte di esperienze con gli sclaveni, proruppe Bergen. La  maledizione è in serbo solo per coloro che se ne impossessano. E per di più... Bergen agitò la mano. Ad oggi ho con me quel coso da tre anni, e non mi è successo niente.

    Come avete avuto l'uovo, Bergen?

    Bergen si prese un lungo momento, ricordando la brezza che soffiava dal mare quella notte. La luce della luna nel deserto aveva riempito le camere di Zabbai. Le sue guance brillavano di un rosso che le colava lungo il collo di bronzo, arrossato anch’esso dal troppo vino. Conveniva che per i suoi occhi, neri come l’abisso, fosse fin troppo facile attrarlo. Le sue labbra ... Non c'era stato un giorno in cui non si fosse pentito di non aver baciato quelle labbra.

    Bergen si strinse la mano e fece del suo meglio per ignorare il senso di oppressione al petto. Se avesse saputo allora che i suoi due anni con Zabbai erano finiti ...

    Me l'ha dato in cambio di una promessa.

    Prima o dopo che ve la portaste a letto? Domandò Rune.

    Bergen fisso Rune cupo, attirandone lo sguardo. Non ci sono andato a letto. Non con lei. Bergen riportò la sua attenzione sulla strada. Nessuno l'ha fatto.

    Rune fece un lungo passo oltre una radice fuoriuscita.

    Râ-Kedet ha sempre... attratto...molta attenzione da quando il commercio è stato istituito secoli fa, continuò Bergen. La guerra è sempre lì all'orizzonte, con la crescente minaccia occidentale che i Gutar avevano portato con sé, attraverso il fiume Danu.

    I Gutar? Domandò Rune. C’erano loro?

    Bergen annuì. Un'ombra era caduta sul suo viso.

    Hanno distrutto il Grande Tempio meno di tre inverni prima del mio arrivo.

    Rune si fermò e afferrò il braccio di Bergen, quasi tirandolo a terra. Era sbiancato. Il Grande Tempio?

    Bergen annuì. Distrutto.

    Ci fu una pausa mentre Bergen aspettava che Rune si fosse ripreso.

    La tensione sulle rotte commerciali era alta, disse Bergen una volta che ebbero ricominciato a camminare lungo la strada. Lo è ancora. Due anni dopo il mio arrivo l'Impero del Sud invase Râ-Kedet. Saccheggiò la città e incendiò l'Accademia. Siamo riusciti a spegnere le fiamme, ma la biblioteca era irrecuperabile.

    L'improvvisa puzza di cammello si riversò su Bergen, portando con sé ogni dettaglio di quella notte. Ebbe la sensazione che gli sarebbe caduto addosso mentre ricordava come gli sfiorava il braccio il seno di Zabbai nell’aiutare la sua signora - non la mia Signora, mai la mia Signora - a salire sul suo cammello. La luna dall’alto sembrava averle riempito gli occhi neri. Era ancora arrossata dal vino e alticcia quando iniziarono ad addentrarsi tra le infinite dune verso il fiume Ufratu. Fu lì sulle rive dell'Ufratu che se ne andarono. Lì, che gli donò l'uovo, e lì che lui le fece sua promessa.

    Fu lì che la lasciò. Morta.

    La punta del naso di Bergen prese a bruciargli mentre stringeva la mascella e come spingendo un boccone amaro verso il fondo della gola. Stava nascondendo troppe cose, erano troppe quelle che non poteva dire.

    Quando finì, raccolsi l'ultimo dei sopravvissuti e spostammo ciò che era rimasto nella nuova biblioteca, Bergen aveva forzato la sua storia per farla finire prima.

    E i vostri manoscritti? gli domandò Rune.

    Persi nel fuoco, disse Bergen.

    Ci fu un momento di silenzio, come se fosse in lutto per la perdita delle sue opere.

    Cos'è successo alla vostra regina?

    Uno sguardo inquieto coprì il viso di Bergen. L'ultima volta che la vidi, l'imperatore l'aveva fatta camminare lungo le strade della Città Imperiale.

    Indossando nient'altro che catene d'oro. Bergen non riuscì a dirlo a se stesso e rimase in silenzio mentre ricordava l'oro luccicante nel sole del deserto e la sua pelle scura e bronzea. I capelli ricadevano sulla schiena come una pioggia nera che le copriva a malapena il sedere rotondo.

    Lei camminava a testa alta anche allora, ricordò.

    E così siete rimasto, concluse Rune per Bergen, tirandolo fuori dal confuso intontimento in cui si era annodato.

    Bergen annuì. Per prendermi cura di quel poco che restava.

    Ci fu

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