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Quest - Un’avventura di Dane Maddock
Quest - Un’avventura di Dane Maddock
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E-book310 pagine4 ore

Quest - Un’avventura di Dane Maddock

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Info su questo ebook

149 a.C.- Fuggendo appena in tempo dagli invasori romani, un soldato cartaginese porta con sé un antico segreto in un luogo sconosciuto.

1925- Percy Fawcett parte per la sua ultima spedizione nell'Amazonia, ma qual è il suo vero obiettivo?

Dane Maddock è tornato. Nelle profondità dell'Amazonia, un gruppo di ricerca universitario si imbatte in un orrore oltre ogni immaginazione, e scompare senza lasciare traccia. Coinvolti in una pericolosa missione di salvataggio, Dane e Bones dovranno scoprire la vera destinazione di Percy Fawcett nella sua ultima spedizione, ma quel segreto potrà rivelarsi perfino più pericoloso dei nemici che cercano di impossessarsene. Dalle strade di Londra a remote isole dell'Atlantico, per finire nelle letali giungle dell'Amazonia, Dane e Bones dovranno risolvere un mistero custodito sin da tempi immemorabili, nella loro impresa più pericolosa.

LinguaItaliano
Data di uscita14 ago 2018
ISBN9781547542550
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    Anteprima del libro

    Quest - Un’avventura di Dane Maddock - David Wood

    Quest

    Un’avventura di Dane Maddock

    di

    David Wood

    Prologo

    149 a.C.

    Perché mi ha convocato? In questo momento dovrei trovarmi a difendere le mura, non qui. Asdrubale aveva gli occhi in fiamme e la mano tremante, stretta sull’elsa della spada. La sua ira era comprensibile, considerando chi fosse. Nonostante tutto, si era subito precipitato al tempio, appena convocato.

    C’è bisogno di Lei per cose più importanti che stare lì ad aspettare la morte. Aderba’al posò una mano sulla spalla di Asdrubale, ma lui la spinse via immediatamente. In altre circostanze, un affronto del genere sarebbe stato punito con la morte, ma non c’era tempo da perdere. Ogni momento era prezioso. Mi ascolti, prima di decidere su due piedi cosa sia meglio fare.

    Molto bene, ma non mi rallenti senza motivo. Asdrubale si guardò intorno come se i nemici avessero potuto prendere d’assedio il tempio in qualsiasi momento.

    È Lei che mi rallenta, sbottò Aderba’al. Ciò che sto per fare è l’ultima speranza di sopravvivenza per la nostra gente. E Lei è stato scelto per un compito sacro.

    Asdrubale si incuriosì. Parli. C’era una certa circospezione nella sua voce, ma almeno Aderba’al aveva stuzzicato il suo interesse.

    È esattamente quello che stavo cercando di fare. Mi segua, ascolti e non interrompa.

    Attraversarono il tempio, immerso in un buio quasi totale, in quanto non potevano più permettersi di sprecare olio per accendere le torce. Stavano usando ogni risorsa nel tentativo di difendere la città. Aderba’al si inginocchiò dietro l’altare, facendo scorrere le dita sulla superficie intagliata, la pietra liscia e fredda al suo tocco. Si fermò davanti all’immagine di un campo allagato, racchiuso in un riquadro. Aretsaya, sussurrò, premendo l’immagine di pietra.

    Si udì uno scatto, e la luce fioca rivelò l’apertura di un passaggio buio alla base dell’altare.

    Che... Asdrubale s’interruppe e serrò la bocca, ricordando l’avvertimento di Aderba’al contro eventuali interruzioni. Senza fiatare, continuò a seguire l’uomo nelle profondità del sottopassaggio.

    Aderba’al sembrava conoscere l’ambiente circostante così bene da non avere bisogno di luce. Camminavano in silenzio completo, totale, come il buio. I loro passi riecheggiavano nel corridoio deserto, rendendo la presenza del nemico alle porte della città distante. Asdrubale non proferì parola per tutto il tragitto, seguendo Aderba’al nell’oscurità imperscrutabile, nonostante si chiedesse dove stessero andando, e perché.

    Quando gli giunse alle narici l’odore salmastro e pungente della brezza marina, Aderba’al seppe che erano quasi giunti a destinazione. Si ritrovarono in una grotta che si affacciava su una baia protetta. Si trattava di uno dei settori nascosti del tempio, ben poca cosa rispetto ai segreti che stava per rivelare. Sotto di loro, alcune barche a vela venivano caricate e si preparavano a salpare.

    Offeso da quella vista, Asdrubale si rivolse ad Aderba’al pieno d’ira, con il volto paonazzo e gli occhi saettanti. Vuole che fugga, come un codardo? Non lo farò. Conosce il mio nome e gli obblighi che ne derivano. Come può chiedermi di fuggire?

    Quello che le chiedo di fare richiede più coraggio di qualsiasi altra impresa compiuta prima. Le sue parole stuzzicarono l’attenzione di Asdrubale, e lo fecero cadere in un silenzio inquieto.

    Aderba’al estrasse un involucro di tela cerata dalla tunica e glielo consegnò. Come sa bene, i nostri antenati furono i più grandi navigatori della storia. Ci hanno trasmesso la conoscenza di una terra selvaggia e mai conquistata dall’uomo civilizzato. È lontana, dall’altra parte delle grandi acque, oltre le rocce bianche. Queste mappe le mostreranno la via.

    "Oltre le rocce bianche? Dall’altra parte delle acque?"

    Aderba’al annuì gravemente. Non c’è altra scelta. È lì che deve andare, fuori dalla portata del nemico.

    Asdrubale soppesò l’involucro tra le mani, guardandolo tristemente. Sicuramente ci saranno altri navigatori disposti a prendere il comando. Altri uomini...

    Ma c’è solo un uomo con il suo sangue. Solo un uomo che possa navigare, combattere e creare una nuova, solida alleanza con successo. Lei.

    E dunque, dovrei trovare questa terra lontana e fondare una nuova colonia? La sua voce tradiva un profondo rimpianto; quanto avrebbe voluto combattere fino alla morte sulle mura della città, piuttosto che abbandonare la sua terra!

    Questa è solo parte della sua missione; c’è molto di più. È un dovere sacro che risale ai tempi dei nostri antenati. Pochi lo conoscono, e se la nostra città dovesse cadere, come temo che accada, Lei sarebbe ne l’unico a conoscenza.

    Aderba’al ricordò il giorno in cui gli era stato rivelato quel segreto. All’inizio non ci aveva creduto, ma quando l’aveva visto con i propri occhi, la rivelazione era stata straordinaria. Si chiese come avrebbe reagito Asdrubale a ciò che stava per dirgli. Fece un respiro profondo e cominciò a narrare.

    L’imbarcazione sulla quale viaggerà, porta un carico di...

    148 a.C.

    Asdrubale scese dalla barca e mise piede su sabbia bianchissima e ardente. Il colore verde scuro della foresta dava una sensazione piacevole alla vista, dopo mesi di inesorabili mari turchesi sotto cieli blu. Negli ultimi giorni avevano avvistato terra più di una volta, e l’equipaggio l’aveva supplicato di sbarcare, ma Asdrubale si era rifiutato. Le mappe indicavano che si trattava di piccole isolette, completamente inadeguate al suo scopo. Dovevano penetrare più in fondo, in quel mondo nuovo. Asdrubale li avrebbe condotti nei suoi più oscuri recessi, fin quando gli dèi in persona non gli avessero rivelato che aveva trovato la loro nuova terra. Quando avessero raggiunto quel luogo, avrebbero, letteralmente, piantato i semi della loro nuova civiltà...  

    Un uomo emerse dall’oscurità della foresta. Era di bassa statura, con la pelle scura e i capelli neri e lucidi, uno sguardo privo di ostilità e gli occhi curiosi. Portava con sé solo una lancia primitiva; nessun’altra arma. La mano di Asdrubale fremeva, cercando di raggiungere la spada, ma rimase calmo. Passo dopo passo, l’uomo si avvicinò esitante, fino a trovarsi a pochi centimetri da Asdrubale, tanto vicino da poter usare quella lancia.

    Aleggiava un silenzio pieno di tensione, mentre ognuno degli uomini rimaneva in attesa, immobile. Il ruggito delle onde che si infrangevano sulla costa riecheggiava nelle orecchie di Asdrubale e la brezza fresca gli scompigliava i capelli. Non sarebbe stato un brutto momento per morire, ma in qualche modo sentiva che la sua ora non fosse ancora arrivata. Non aveva ancora completato la sua missione.

    L’uomo dalla pelle scura lo guardò con gli occhi sgranati per la meraviglia. Il tempo sembrò fermarsi. Poi, senza indugi, il nativo gettò a terra la lancia e cadde a faccia in giù accanto ad essa.

    Per un momento, Asdrubale pensò che l’uomo fosse morto, ma poi notò altre figure emergere dalla giungla. Come il primo uomo, anche loro abbassarono le armi e si prostrarono al suolo. 

    Sembrano credere che siamo degli dèi, sussurrò Shafat. Un buon marinaio, la sua era una delle sole quattro navi che erano sopravvissute al viaggio. 

    Fanno bene, rispose Asdrubale, forse ci saranno utili in qualche modo, mentre cerchiamo la nuova terra.

    "Ma... dove la troveremo?" La voce di Shafat non tradiva mancanza di rispetto, solo curiosità.

    Quando l’avrò trovata, lo saprò.

    1922

    Colonnello! Venite, subito! Adam infilò la testa nell’apertura della tenda, gli occhi che brillavano di eccitazione, in contrasto con il viso sporco. Qualcuno è venuto all’accampamento!

    Percy Fawcett distolse lo sguardo dal libro che stava leggendo e corrugò la fronte. Dimmi, Adam, sei solito entrare a casa di qualcuno aprendo la porta e urlando? O forse bussi prima? Adam chinò la testa. E lavati il viso. Sei imbarazzante. Scusandosi profusamente, l’uomo si ritirò.

    Furioso, Fawcett si infilò gli stivali. Gli uomini deboli, che riuscivano a malapena a mantenere la loro umanità nella giungla, erano per lui un affronto, un insulto. Perché mai era così difficile trovare uomini con orgoglio, dignità e un po’ di spina dorsale? Erano tutti una delusione, ognuno di loro.

    Scostò un lembo della tenda, chiedendosi che assurdità li avesse spinti a chiamarlo a quell’ora tarda. Nonostante fosse notte, il clima era ancora caldo e afoso. Gli altri avevano tenuto il fuoco da campo acceso ed erano radunati intorno ad esso, trovandovi forse conforto. Che patetici rammolliti! Sicuramente lo avevano convocato per qualcosa di ridicolo. Forse un insetto gigante, o qualcosa del genere. Tuttavia, non appena vide l’estraneo, sdraiato sotto una coperta vicino al fuoco, si rivide. 

    Fawcett si inginocchiò accanto al ragazzo e gli scostò i capelli dal viso, per vederlo meglio. Non sembrava un nativo della regione. Al contrario, aveva un’apparenza distintamente mediterranea.

    Chi è questo tizio? Da dove è spuntato?

    Non lo sappiamo, rispose Adam. È entrato nell’accampamento barcollando e poi è collassato. Non ha smesso di farneticare sin da allora. Albert capisce qualche parola, ma non ha la minima idea di cosa stia dicendo.

    Fawcett ascoltò attentamente. Era una lingua strana. Alcune parole erano riconoscibili, forse un dialetto simile a quello dei nativi della regione. Il resto era...

    Fawcett spalancò la bocca, facendo cadere la pipa. Si rese conto di capire gran parte di quello che diceva il ragazzo, ma la sua lingua... parlava... non era possibile!

    Adam, fammi un favore: prendimi penna e taccuino. Con il cuore che gli batteva all’impazzata, prese a fissare con eccitazione ed incredulità lo strano giovanotto che si era imbattuto casualmente nel suo accampamento. E, ammesso che Fawcett capisse davvero le sue parole, quel giovane poteva essere proprio la chiave che aveva cercato per tutti quegli anni.

    Capitolo 1

    Thomas non aveva mai sentito tanto caldo in vita sua. Era un calore soffocante e spietato; sotto la volta degli alberi si levava a malapena un filo d’aria. Liane e piante rampicanti si accanivano contro di lui ad ogni passo. E gli insetti! Una nube implacabile, che lo mordeva e lo pungeva, invadendo ogni suo orifizio. Il miglior repellente per insetti del mondo civilizzato aveva miseramente fallito.

    Si sta facendo tardi. Denesh, con il collo contratto in quel suo fastidioso tic nervoso, diede un’occhiata ai brandelli di cielo visibili tra le chiome degli alberi. Lo sa che la notte scende rapida nella giungla. Non voglio rimanere bloccato qui dopo il tramonto.

    Lo so. Thomas diede un’altra occhiata al taccuino. Aveva trovato tutti i punti di riferimento fino a quel punto, ma l’ultimo continuava ad eluderlo. Forse doveva andare solo un po’ più avanti. Si era ripetuto quelle parole per buona parte dell’ultima ora, senza successo. Rinfilò il taccuino in tasca con un sospiro. Erano vicini. Lo sapeva. La sua ricerca si era rivelata esatta fino a quel punto. Tutti i punti di riferimento erano precisamente dove si aspettava che fossero; non c’era motivo di credere che le cose sarebbero cambiate. Erano sul punto di fare una scoperta che avrebbe sconvolto il mondo.

    Ha sentito? Denesh spostò il peso da un piede all’altro, guardandosi intorno. Sembrava un uccello all’erta, con la testa che scattava avanti e indietro e gli occhi fissi in perlustrazione della giungla.

    Non ho sentito niente. In realtà, Thomas era così preso dai suoi pensieri che non si sarebbe neppure accorto se gli fosse arrivato un camion addosso. Torniamo indietro. Domani cominciamo prima e vediamo fino a che punto possiamo arrivare. Potremmo persino smontare le tende e portarci l’equipaggiamento. In quel modo arriveremo ancora più lontano.

    Il viso di Denesh, normalmente color caffè, impallidì al suggerimento, ma il ragazzo annuì comunque. Un brillante neolaureato, Denesh trovava la spedizione a dir poco complicata, ma l’aveva affrontata senza lamentarsi. Il ragazzo aveva potenziale, supponendo che Thomas fosse riuscito a riportarlo sul campo dopo quella spedizione. Impietrito, teneva stretta l’impugnatura del machete, le nocche bianche per lo sforzo. Non sono pazzo, Professor Thornton, giuro che ho sentito qualcosa. Era un suono stranissimo. Come un foglio di carta vetrata gigantesco, che grattava sul terreno.

    Sì, probabilmente si trattava proprio di questo. Congratulazioni. Hai risolto il mistero. Il professore diede a Denesh una gomitata sulle costole, abbozzando un sorrisino. Molto bene, è tempo di mettere alla prova il tuo senso di orientamento. Pensi di poterci riportare all’accampamento senza farci perdere del tutto?

    Denesh accettò la sfida, ma riuscì solo a farli andare fuori strada per ben due volte. Entrambe le volte, tuttavia, aveva ritrovato il sentiero senza l’aiuto di Thomas. Quando l’accampamento era finalmente in vista, affrettò il passo. La promessa di cibo, per quanto esiguo, e un sacco a pelo coperto da una zanzariera, sembravano un lusso di pochi in quella parte del mondo.

    Appena raggiunto l’accampamento, Thomas si accorse immediatamente che c’era qualcosa che non andava. Fece una rapida ispezione, che non rivelò nulla di strano, e tuttavia neppure poteva escluderlo. C’era tensione nell’aria: il mondo intero era teso come una corda di violino.

    Derek ed Emily emersero dalle ombre dalla parte opposta dell’accampamento e si precipitarono verso di lui. Sembravano entrambi agitati.

    Dottor Thornton, non mi sono unita a questa spedizione solo per essere abbandonata nel mezzo del nulla. Il viso di Emily, spruzzato di lentiggini, era rosso vivo, ma se dalla rabbia o per una scottatura, era difficile dirlo.

    Aspetta, ma che dici? Non siamo stati abbandonati. A volte, i viaggiatori crollavano sotto la pressione psicologica di posti come quello. Sperava che non fosse il caso di Emily, la quale, nonostante l’apparenza delicata, era stata un vero e proprio soldato fino a quel momento.

    Victor se n’è andato. Le tremava la voce, e sembrava essere sull’orlo delle lacrime. Ha detto che sarebbe tornato alla laguna, che avrebbe preso una delle barche e che se ne sarebbe andato a casa.

    Le parole colpirono Thomas come un pugno allo stomaco. Se la loro guida se n’era andata, significava che era rimasto da solo, a riportare i tre studenti alla civiltà. Credeva di poterlo fare, ma questo significava una cosa sola: la spedizione si era conclusa. Dannazione. Gli sarebbero bastati solo un giorno o due in più. Con uno sforzo visibile, il professore si ricompose. In quelle circostanze e davanti agli altri studenti, non sarebbe stato saggio sembrare scosso.

    "Ma abbiamo ancora l’altra barca, non siamo stati abbandonati". Fissò gli alberi in direzione della laguna, come se potesse penetrare con la vista i grovigli di vegetazione per chilometri e chilometri, e vedere la barca rimanente, l’unico mezzo per tornare alla civiltà, che li attendeva lì accanto alle acque scure.

    Ma perché Victor se n’è andato così, di punto in bianco? Ha detto qualcosa?

    Emily lanciò un’occhiata a Derek, come per dire Te lo avevo detto, e Derek annuì.

    Credo che ci stesse già pensando da diversi giorni, professore, intervenne Denesh. Non gli piaceva stare qui, e continuava a dirci che è un brutto posto e che non dovremmo rimanerci. Sapeva che dirlo a Lei non avrebbe risolto nulla. Lei è così... concentrato su quello che sta facendo, qualunque cosa sia. Si mise le mani sui fianchi, confuso. Penso che Victor avesse ragione. C’è qualcosa che non va in questo posto, e siamo tutti spaventati.

    Superstizioni assurde. Thomas era imbarazzato; era tanto concentrato sulla sua ricerca che non aveva notato che parte del suo team era sul punto di gettare la spugna. Vi ha messo l’idea in testa, ecco tutto. Vi ha raccontato delle storielle spaventose, e vi ha influenzati. Non lasciatevi sopraffare.

    Non è solo questo, professore, disse Derek. Oggi ho dovuto uccidere un opossum.

    Striato, intervenne Emily, dimostrando di aver prestato attenzione alla loro guida.

    Un opossum ripeté Thomas, incapace di nascondere l’incredulità nella sua voce. Non riusciva neanche ad immaginare dove fosse diretto Derek, con quelle parole.

    So che sembra strano, protestò Derek. "Doveva essere qui presente, immagino, ma il problema non è che l’ho ucciso. Ho dovuto ucciderlo. È arrivato marciando verso accampamento nel bel mezzo del giorno, che già di per sé è strano. È andato dritto alle riserve di cibo. Mi ha completamente ignorato quando ho provato a spaventarlo. Poi gli ho dato un calcio e... inghiottì. Mi ha attaccato. Mi si è rivoltato contro, ha fatto questo verso assurdo, e mi è saltato addosso come un puma o qualcosa del genere. Mi ha strappato la gamba del pantalone, ma sono riuscito ad afferrarlo dalla coda prima che potesse mordermi. E continuava a ringhiare".

    Un opossum ringhiante. Thomas non capiva. Forse era tutto un piano elaborato per fargli lasciare baracca e burattini e andarsene. O forse era uno scherzo.

    "Ha ringhiato, aggiunse Emily. Come un predatore feroce".

    L’ho lanciato e si è andato a schiantare in quell’albero lì. Derek accennò all’albero, un kapok con un tronco di quasi tre metri di diametro. Se ne sarebbe dovuto andare via strisciando, invece si è rialzato e mi si è lanciato di nuovo contro. Gli ho dato un calcio ed ha continuato a venirmi incontro. Alla fine, l’ho dovuto calpestare a morte. Derek abbassò lo sguardo, chiaramente turbato dal ricordo.

    E così hai avuto un incontro con un opossum rabbioso e adesso credi nelle storie di Victor sull’Uomo Nero. Sono deluso da te.

    Non aveva la rabbia. Ogni parola di Derek trasudava frustrazione. Lei non capisce. Non sembrava affatto impazzito. Le sue azioni erano intenzionali e, non lo so, era quasi come se credesse di essere un enorme predatore e che io fossi un animaletto in mezzo ai piedi. Non è mai sembrato spaventato, nemmeno un po’, o perlomeno in guardia. Solo determinato. Era come se nulla potesse impedirgli di raggiungere le provviste, e che io non rappresentassi alcun rischio.

    Ogni estate lavoro presso lo studio di un veterinario, aggiunse Emily. Sin dai primi stadi della malattia compaiono alcuni sintomi, come disorientamento, tremiti, perdita di coordinazione dei muscoli. Non ho visto niente di tutto ciò. Quell’animale era diverso. Abbiamo messo da parte il corpo, se vuole dargli un’occhiata.

    Lo condussero dall’opossum. Thomas si abbassò, esaminando con calma i resti sfigurati del piccolo mammifero, anche se, in realtà, dubitava di essere in grado di riconoscere i segni di un caso di rabbia. Mantenne la calma, lasciando che il silenzio e la sua tranquillità calmassero i nervi degli studenti turbati. Infine, pronunciò la sua diagnosi: forse e si rialzò.

    Abbiamo finito di prendere appunti; i quaderni sono pieni, Dottor Thornton. Lo sono già da due giorni. Victor si è preso metà delle provviste. Torniamocene a casa disse Emily sull’orlo delle lacrime, con la voce spezzata.

    Quel tono di supplica gli dava sui nervi. Dovevano andarsene, lo aveva capito, ma non ne era affatto felice. Ci era andato così vicino e aveva comunque fallito. Sarebbe passato almeno un altro anno prima che fosse potuto tornare lì, sempre se i suoi sponsor avessero finanziato un altro viaggio. Aveva promesso dei risultati, e non sarebbero stati felici quando lo avessero visto tornare a mani vuote. Va bene, disse, alzandosi in piedi. Raccogliete tutto quello che potete. Partiamo domattina.

    Il volto di Derek e quello di Emily si rasserenarono. Uno per uno, i membri del gruppo lo ringraziarono immensamente, assicurandogli che quella fosse stata la miglior ricerca ecologica sul campo di tutti i tempi, e che non vedevano l’ora di tornare a casa per parlarne con le famiglie.

    Denesh non sembrava condividere la loro gioia. Corrugò la fronte, gli occhi fissi su un punto, nel profondo della giungla.

    Ma che ti prende? Emily lo spinse. Cerca di rilassarti un po’.

    Shhh. Fu il tono della sua voce a mettere il gruppo a tacere. C’è qualcosa... che si avvicina.

    Thomas si girò nella direzione indicata da Denesh appena in tempo, e vide tre figure avanzare a falcate decise. Erano basse e tozze, con i capelli neri e lucidi tagliati nello stile Yanomami. Avevano i corpi dipinti di colore bruno e arancio con macchie nere sparse, come pelle di giaguaro. Ognuno era armato con una lancia corta a punta di pietra e un’ascia, anch’essa di pietra. Si mossero direttamente verso l’accampamento, con visi senza espressione e passi risoluti.

    Chi sono? sussurrò Derek. Non ci dovrebbero essere nativi in questa zona.

    In realtà, si sapeva ben poco di quella regione. L’area era così remota che era rimasta inesplorata fino a quei giorni. Le immagini satellitari che Thomas aveva analizzato non avevano rivelato nulla, eccetto un inesorabile manto di verde.

    Non ne ho idea. Devono appartenere a una tribù non ancora scoperta. Thomas scosse la testa. Quegli uomini avevano l’aspetto generale e la corporatura dei nativi della regione, ma notò anche delle differenze sottili. Avevano il viso stretto e nasi più lunghi. A quella distanza, non riusciva a distinguerne il colore degli occhi, ma era chiaro che non fossero del castano tipico della regione. Curioso, fece un passo in avanti, ma Denesh lo fermò, afferrandolo per l’avambraccio.

    Ci penso io. Conosco un paio di lingue di questa regione. Forse riesco a farmi capire. Se questa tribù ha davvero evitato il contatto con l’esterno, e riusciamo a comunicare con loro, potrei scriverci un bel saggio.

    Camminò verso di loro con le mani aperte lungo fianchi, e parlò loro in una lingua che Thomas non conosceva. I nativi non riconobbero le sue parole, e tantomeno fermarono l’avanzata. Denesh provò di nuovo in altre tre lingue sconosciute a Thomas, e poi in portoghese. Niente.

    Gli uomini continuarono ad avvicinarsi silenziosamente, i visi ancora privi di emozione. I loro movimenti non erano esattamente robotici, ma erano fermi e misurati, quasi militari, nella loro regolarità.

    Sono come zombie, mormorò Emily.

    Thomas si agitava sempre più ad ogni passo che facevano. Forse anche lui si era lasciato spaventare dai sospetti di Victor, ma c’era qualcosa che non andava affatto bene. La sua mano fremeva, resistendo a stento alla tentazione di afferrare il machete che gli pendeva dalla cintura, ma non osò fare alcun movimento brusco. Le conseguenze potevano essere fatali.

    Denesh rinunciò ai suoi tentativi di comunicazione verbale. Cadde su un ginocchio, si sfilò l’orologio dal polso e lo porse ai nativi, in segno di omaggio.

    I nativi si fermarono davanti a lui. L’uomo al centro del gruppo fissò l’orologio e poi, con la nonchalance di un uomo d’affari che spazza via un pelucchio dal suo completo costoso, alzò l’ascia e l’abbatté sulla

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