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La Lalla
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E-book230 pagine2 ore

La Lalla

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Info su questo ebook

Milano, anni Sessanta. Dopo la morte del marito, Lalla riesce finalmente a concedersi un po’ di libertà. I figli, però, preoccupati dall’emorragia economica, riescono a confinarla in una casa di riposo per attempati benestanti. Lei, però, mette in atto mille bizzarre strategie per tentare l’evasione. Ci riuscirà? Viva la vita!
di Stefania Suvero
Nella Milano degli anni Sessanta, Lalla, al secolo Mafalda Malinverni, un’attempata signora ancora piena di vita e vitalità, vive una seconda giovinezza dopo la dipartita del marito marito, uomo oppressivo e dispotico. Lalla è una pittrice, una donna intelligente e piena di voglia di vivere che, finalmente, può concedersi la libertà di condividere con chi le piace un viaggio, un vernissage, un soggiorno nella sua amata Costa Azzurra. Preoccupati dall’emorragia di denaro dal conto corrente, i suoi figli, Pierfederico e Carlotta, riescono con l’inganno a convincerla a ritirarsi a Villa Cozzi, una residenza nobiliare sul lago di Como riadattata a casa di riposo per attempati benestanti. Il carattere ribelle di Lalla non l’aiuta nella convivenza con gli strampalati coinquilini e lei, con la sua inarrestabile verve, mette in atto mille bizzarre strategie per tentare l’evasione, portando lo scompiglio nella vita tranquilla e abitudinaria degli ospiti. Ci riuscirà? Viva la vita!
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2020
ISBN9788833284682
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    Anteprima del libro

    La Lalla - Stefania Suvero

    Celestina.

    Prologo

    Milano. Piazza Lega Lombarda, il 10 di marzo 1960.

    La pioggia sottile ha cessato di cadere sulla città e uno sbadiglio di sole si fa largo tra le nuvole.

    Con l’ombrello azzurro sottobraccio, Lalla cammina corrucciata verso Parco Sempione. Abitare vicino al parco è una vera fortuna quando niente va per il suo verso e lei oggi non è certo di buonumore: quattro passi nella quiete della natura la aiuteranno, come tante altre volte, a riprendere il filo dei pensieri, a ritrovare la serenità dopo una giornata storta. Le bastano pochi metri dal portone di casa per raggiungere l’ingresso di via Legnano; il vecchio cancello di ferro si apre come una parentesi di pace e silenzio nel chiasso della città e Lalla lo varca, impaziente di lasciarsi alle spalle i suoi crucci.

    Dopo aver camminato a lungo per i viali, lontano dal frastuono del traffico, lo sferragliare dei tram e la frenesia della gente, si ferma al Ponte delle Sirenette e si siede sulla sua panchina preferita, quella sotto l’ippocastano. Osserva con un sorriso le audaci Sorelle Ghisini, il loro sguardo ironico, le forme prosperose e i seni nudi che facevano abbassare gli occhi alle signore benpensanti di una volta. Lalla sta sempre dalla parte degli audaci, dalla parte di quelli che non hanno paura di sfidare regole assurde e convenzioni per difendere le proprie idee e, soprattutto, la propria libertà; per questo affida la pace della sua pausa alla guardia delle quattro sirene. Le piace concedersi un po’ di tranquillità, prendersi il suo tempo senza che nessuno le metta fretta. Stamani la panchina è tutta per lei: si siede, appoggia la schiena alla spalliera, distende le gambe e si abbandona alla quiete del parco, lo sguardo perso nel verde.

    Assorta nei suoi pensieri, non si accorge del grosso spinone che le si è avvicinato e con il naso umido le annusa le caviglie. Lalla sobbalza per lo spavento: «Ossignur

    Il cane le rivolge lo sguardo languido dei suoi occhi dolci color castagna e lei, passata la paura, lo accarezza sulla testa: «E tu chi sei, bel crapone

    Lo spinone risponde scodinzolando, la grossa coda che mena colpi all’aria come frustate.

    Lalla sente un fischio venire da lontano e vede un giovane correre verso di lei. Raggiunta la panchina, l’uomo si scusa, contrito: «Mi spiace tanto, signora!»

    Afferra il cane per la collottola e aggancia il guinzaglio al collare: «Rocco è un vagabondo: nonostante il mio impegno, trova sempre il modo di sfuggirmi per una passeggiata per i fatti suoi, ma non abbia paura, è un cane buonissimo e non farebbe male a una mosca.»

    Lalla accarezza il pelo ruvido sul dorso di Rocco e rassicura il suo padrone: «Non ho paura dei cani e amo tutti gli animali, non si dia pensiero.»

    L’uomo le porge la mano e si presenta: «Ernesto Fumagalli, molto lieto.»

    Lalla la stringe e risponde: «Mafalda Malinverni, lieta anch’io di fare la sua conoscenza e quella del suo bellissimo amico.» Poi sposta lo sguardo sul cane: «Che magnifico spinone! Lei va a caccia?»

    Il Fumagalli scuote la testa: «No, no, ho ereditato Rocco alla morte di uno zio. Nessuno voleva tenerlo e alla fine lo ho adottato io, ma non ne sono pentito, è un compagno eccezionale.»

    «Ne sono certa! Lo spinone è un cane docile e paziente, dotato di grande dignità e intelligenza. Conosco bene la razza: mio padre ne aveva uno bianco e arancio, proprio come il suo, un amico fedele che ha fatto parte della nostra famiglia per molti anni.»

    Un ritmico scalpiccio di passi alle spalle dei due interrompe la conversazione. Si voltano e poco lontano vedono un giovane bruno, in tuta e occhiali da sole, correre lungo il sentiero.

    Lalla lo osserva con attenzione e commenta: «Io l’ho già visto da qualche parte, quel ragazzo lì…»

    «Senz’altro! È l’atleta che rappresenterà l’Italia alle Olimpiadi di Roma.»

    «Livio Berruti, ecco chi è!» esclama Lalla, sorpresa.

    «Proprio lui», replica il Fumagalli. «Tutte le mattine si allena all’Arena Civica e spesso fa un giro di corsa nel Parco Sempione; mi è già capitato di incontrarlo, quando porto Rocco a fare una passeggiata prima di andare in ufficio.»

    «Un ragazzo eccezionale: alle Olimpiadi, farà risplendere i colori della nostra bandiera», conclude Lalla con ammirazione.

    Rocco dà segni di impazienza, vuole continuare a gironzolare nel parco e il suo padrone deve congedarsi: «Alla prossima, signora Malinverni. Tra poco mi aspetta l’ufficio e Rocco ha diritto ad altri dieci minuti di passeggiata.»

    «Diritto sacrosanto! Arrivederci, Ernesto.»

    Una stretta di mano e Lalla osserva Rocco allontanarsi trottando davanti al suo padrone. Torna alla quiete solitaria della panchina e si guarda attorno: la meraviglia della natura che la circonda riesce sempre a stupirla.

    La primavera sta tornando, glie lo dicono le gemme sui rami, il verde nuovo dei prati, il colore del cielo.

    Il colore del cielo. È proprio questo il cruccio che la tormenta da giorni. Non riesce a riprodurlo sulla tela: ci ha provato e riprovato, ma il risultato non la convince; lo sfondo del suo paesaggio è senza vita, come se qualcuno lo avesse spento per farle un dispetto.

    Alza gli occhi al cielo, lo osserva con attenzione, fisso fisso, fino a perdercisi dentro e… Alizarina! Esulta. Ecco che cosa ci manca. Sì sì, ci vuole un tocco di alizarina, appena appena, un pizzico, un velo leggero, come l’interno prezioso di una conchiglia, c’è uno sbuffo di luce rosata, morbida, la promessa del bel tempo che verrà, alizarina, ecco sì, alizarina, alizarina!

    Lalla si alza di scatto: deve tornare alla sua tela il più presto possibile, prima che le sfugga dalla mente quel punto di colore che ha cercato invano per giorni. Alizarina, alizarina… Esce dal parco e attraversa la strada, sempre tenendo d’occhio il suo cielo, neanche potesse scapparle via.

    Arriva trafelata in piazza Lega Lombarda. No no, oggi niente caffè dal Giorgio, non posso mica fermarmi al bar, figuriamoci, con tutto quello che ho in testa, proprio ora che ho l’idea giusta. Alizarina. Alizarina. Devo correre a casa… correre si fa per dire, con questa maledetta sciatica, accidenti a lei!

    Oltrepassa il giardinetto in mezzo alla piazza e si ferma sul bordo del marciapiede, in attesa di attraversare la strada e raggiungere casa sua, proprio lì di fronte, al numero uno di piazza Lega Lombarda.

    Di fianco al portone, le serrande del negozio di antiquariato della Nenè sono ancora abbassate. La Nenè, la sua amica più cara, conforto prezioso nei momenti bui, ma anche complice di commenti ironici, pettegolezzi e risate. Nel suo negozio non manca mai un mazzolino di fiori freschi e da poco ha messo sulla soglia di marmo, davanti alla vetrina, un vaso di primule gialle per dare il benvenuto ai clienti. Che gusto!

    Tuttavia, le sembra di vedere, c’è qualcuno davanti al negozio. Lalla si aggiusta gli occhiali sul naso: un ragazzetto sta… non ci può credere! Sta calpestando i fiori nel vaso della Nenè! Infuriata come un’Erinni, attraversa la strada e, agitando minacciosa l’ombrello azzurro, strepita: «Ehi tu, barlafùs, cosa diamine stai facendo?»

    Prima che il malcapitato abbia il tempo di voltarsi, Lalla lo raggiunge con l’ombrello sguainato come una spada. «Te la insegno io l’educazione!» e gli assesta tre ombrellate di piatto sulla schiena.

    Il ragazzo, sorpreso da tanta inaspettata veemenza, tenta di ripararsi dai colpi e si mette a strillare come un’aquila per fermare l’assalto. Le sue urla attirano l’attenzione della piazza e subito si avvicina un gruppetto di curiosi. Silvio, il portinaio del palazzo, esce dalla guardiola, tenta di disarmare Lalla e la trattiene per un braccio.

    «Signora Malinverni, ma cosa fa? Sta picchiando il figlio dell’assessore Brambilla!»

    «E allora?» gli risponde Lalla, indignata. «Che gli insegni l’educazione a questo incivile, l’esimio Assessore!»

    Il ragazzetto fugge via tra il cicaleccio del gruppetto di ficcanaso che commenta e condanna le gesta di Lalla. Lei si volta e si guarda attorno. Ossignur, ci sono proprio tutti! Anche quella pettegola del primo piano, la Mantovani, e Mimì del chiosco dei fiori, e Gilda la sarta e la prestinaia di Via Maggi, e… ma non hanno niente di meglio da fare, questi perdigiorno?

    Lalla si libera dalla stretta del portinaio, si ricompone e si congeda con un inchino.

    «Buona giornata, signori miei! Spero troviate qualcosa di meglio da fare che impicciarvi dei fatti degli altri», esclama, poi varca il portone del palazzo e attraversa l’atrio, dritta come un fuso.

    Contegno, ragazza mia! Mica che lo spettabile pubblico di ficcanaso pensi che tu sia una vecchia pazza! Questa pletora di rompiscatole non ci mette nemmeno un minuto a bollarti per sempre per una stupidaggine. E se lo vengono a sapere i cari figlioli, ricomincia la solita litania: gli anni passano, non sei più quella di prima, alla tua età non puoi più vivere da sola, eccetera, eccetera, eccetera.

    Il gruppetto di curiosi, attonito, la guarda allontanarsi, poi si disperde nella piazza.

    E per Lalla cominciano i guai.

    Capitolo 1

    Pierfederico e Carlotta. Milano. Nella cucina di Lalla, loro madre. Il 24 di marzo 1960.

    Pierfederico misura il pavimento con passi nervosi, poi si ferma davanti alla sorella, seduta vicino al tavolo; la sovrasta, e sentenzia: «Non si poteva fare altro, Carlotta, fattene una ragione. La mamma ormai è fuori controllo e noi non abbiamo né il tempo né il modo di contenerla.»

    Carlotta è seduta al suo posto sulla panca di noce della cucina, come quando viveva nella casa di famiglia: papà, mamma, Pierfederico e lei, una vita insieme.

    Era una bambina giudiziosa, una bambola, lo dicevano tutti. Gli occhi azzurri e le treccine bionde, che la nonna materna intrecciava tutte le mattine tirando i capelli con tanta energia da farle spalancare gli occhi. Un percorso scolastico decoroso dalle Marcelline, le amicizie giuste e poca autonomia: in poche parole, una vita comoda, senza tanto colore. Poi si è sposata, Pier si è sposato e la mamma ha vissuto come una vestale all’ombra del marito fino alla sua scomparsa, tre anni fa.

    Ora Carlotta si stringe nel golfino beige di cachemire come per proteggersi dalle parole del fratello: da sempre non è in grado di opporsi alla sua volontà.

    Per distrarsi da un fastidioso senso di colpa segue con gli occhi bassi il disegno delle marmette sul pavimento e dice: «Sì, capisco… alla sua età andare sempre in giro può essere pericoloso, ma lei è sempre stata uno spirito libero.»

    «Questo non è del tutto vero», ribatte Pierfederico, «diciamo che ha iniziato con queste follie dopo la scomparsa del povero papà.»

    Carlotta non demorde: «Mi sembra logico. Lui le ha sempre impedito qualunque cosa fosse fuori dal suo controllo. E lei ne ha sempre sofferto.»

    Pier si adombra: «Papà pretendeva soltanto che facesse la moglie, il che mi pare una richiesta più che legittima.» Si aggiusta il nodo della cravatta e incalza: «E adesso? Si sente un’artista! Con tutta la sconveniente eccentricità che ne consegue. E le ombrellate al figlio dell’Assessore sono state la goccia, ne converrai! Nella mia posizione di direttore di banca, non posso più tollerare questi suoi atteggiamenti: sono… imbarazzanti e potrebbero nuocere alla mia carriera.»

    «Dall’alto della tua posizione di direttore di banca potresti anche infischiartene, in fondo non mi pare abbia fatto nulla di così grave», azzarda Carlotta.

    «Fosse solo questo! E che cosa mi dici delle frequentazioni con i suoi amici artisti, che definire strampalati è un eufemismo? E le crociere? I vernissage? I soggiorni in Costa Azzurra e, soprattutto, il Casinò: ti rendi conto di quanto ci costano? Hai mai fatto i conti, tu? Se va avanti così sperpererà nel giro di pochi mesi il patrimonio accumulato da nostro padre in anni e anni di lavoro.»

    Ecco il vero problema: il vil denaro! Carlotta si limita a pensarlo, non ha il coraggio di contraddire Pierfederico, pur disgustata dalla sua avidità.

    Lei è la primogenita, ma lui è il maschio, il delfino, l’Aiglon e, dalla morte del padre, il capofamiglia. Il prototipo della perfezione: mummificato nel completo grigio di Tasmania… e che cosa si può dire della cravatta Regimental e dei gemelli ai polsini della camicia Oxford? Che tristezza! Ecco che cosa si può dire.

    «Insomma», conclude Pierfederico, «sono sicuro che il trasferimento della mamma a Tremezzo sia la soluzione migliore per tutti: l’aria del Lago di Como non potrà che farle bene e noi staremo finalmente tranquilli.»

    «Come hai potuto pensare di mettere la mamma in mano a degli sconosciuti?» ribatte Carlotta, amareggiata.

    Pier le lancia un’occhiata di fuoco: «Che cosa stai dicendo? Sei fuori luogo, come sempre. Il direttore di Villa Cozzi, il dottor Guidalberto Bernasconi, era un mio compagno di liceo al Gonzaga e siamo ancora in ottimi rapporti. Veglierà su di lei con la massima cura, puoi stare tranquilla.»

    Carlotta non ha mai condiviso il pensiero libertario della madre, ma lo ha sempre rispettato e non approva l’idea di confinarla sulle rive di un lago per proteggere il patrimonio di famiglia. D’altra parte, è sempre stata abituata a subire le scelte e i dettami della famiglia senza contestare, e ne ha sofferto. Col tempo, ha finito per adagiarsi: in fondo, è anche comodo non doversi sobbarcare responsabilità e ormai la decisione è stata presa, la sua opposizione, certo debole, non ha cambiato di una virgola i piani di Pierfederico.

    Avvilita per la propria codardia, Carlotta si chiude in un ostinato silenzio e tormenta il filo di perle che le

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