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Il doppio volto di Isabella Gluck
Il doppio volto di Isabella Gluck
Il doppio volto di Isabella Gluck
E-book269 pagine3 ore

Il doppio volto di Isabella Gluck

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Info su questo ebook

La metamorfosi di Isabella Gluck da semplice ballerina del Roxy-Bar ad attrice di successo: ecco che cosa narra questo intenso romanzo di Maria Volpi Nannipieri, meglio nota al grande pubblico con lo pseudonimo "Mura". In una Hollywood anni Trenta, che faceva sognare le lettrici dell'epoca, ma che seduce ancora oggi col suo fascino retrò, si avvicendano personaggi a tutto tondo, a volte meschini, ma capaci anche di slanci di grande umanità. Un'opera sempre attuale, quindi, che non mancherà di stupire, commuovere ma anche – come la grande letteratura impone – semplicemente di intrattenere... -
LinguaItaliano
Data di uscita22 lug 2022
ISBN9788728411001
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    Anteprima del libro

    Il doppio volto di Isabella Gluck - Maria Volpi Nannipieri

    Il doppio volto di Isabella Gluck

    Immagine di copertina: Shutterstock

    Copyright © 1939, 2022 SAGA Egmont

    All rights reserved

    ISBN: 9788728411001

    1st ebook edition

    Format: EPUB 3.0

    No part of this publication may be reproduced, stored in a retrievial system, or transmitted, in any form or by any means without the prior written permission of the publisher, nor, be otherwise circulated in any form of binding or cover other than in which it is published and without a similar condition being imposed on the subsequent purchaser.

    This work is republished as a historical document. It contains contemporary use of language.

    www.sagaegmont.com

    Saga is a subsidiary of Egmont. Egmont is Denmark’s largest media company and fully owned by the Egmont Foundation, which donates almost 13,4 million euros annually to children in difficult circumstances.

    All’angolo della strada, prima di entrare nel portone oltre il quale il Roxy-Bar apriva il suo ingresso di servizio, Isabella si voltò e fece per tornare indietro, con lo slancio di chi vuole affrontare qualcuno. Poi si pentì del suo gesto e scomparve nel corridoio.

    L’uomo col berretto a visiera che la seguiva ormai da quasi una settimana, e che aveva notato la sua ribellione e il suo pentimento, si appostò nei pressi del bar e accese una sigaretta. Egli possedeva la prerogativa di sapere aspettare, rinunciando a dormire e a mangiare, pur di non perdere di vista la persona alla quale si interessava. Isabella lo incontrava sempre, in qualunque ora del giorno uscisse dal Roxy-Bar: appoggiato alla porta d’ingresso della casa di fronte, o immobile sul cantone, egli attendeva senza alcun segno di stanchezza.

    Bisognerà che avverta la Polizia… pensò Isabella un giorno, ma rinunciò al suo progetto. L’uomo non si mostrava pericoloso. Forse non aveva nulla da fare e si era creata un’occupazione innocua. La seguiva, l’aspettava, la riseguiva, scompariva. Ma lei non poteva metter fuori il naso dal portone che l’uomo era là, miracolosamente presente.

    Ti permetti il lusso di avere una ‘guardia del corpo’? le chiese una sera Gip, la meno bella e la più sfortunata delle sue compagne di lavoro.

    Pare… e gratis. Dev’essere un volontario. Forse mi segue per vocazione.

    Chi è?

    Non lo so.

    Perché non glielo chiedi?

    Perché dopo sarei costretta a salutarlo e magari a far conversazione con lui lungo la strada. Rise, infilandosi i guanti. Non è il mio tipo.

    Ma in verità non lo aveva mai guardato attentamente e non avrebbe saputo dire se lo sconosciuto era giovane o vecchio, biondo o bruno.

    Uscivano, nelle prime ore del mattino, molto stanche dopo un pomeriggio e quasi una notte di danze, ed avevano un solo desiderio e una sola necessità: dormire. Erano otto ragazze scritturate dal Roxy-Bar per vestire con eleganza e danzare con leggerezza, senza sbagliare i passi, anche con ballerini inesperti. Erano danzatrici di lusso, taxi-girls senza scontrino e senza uniforme, ma da quelle, in sostanza, poco diverse. Appartenevano quasi tutte a famiglie borghesi, conoscevano e parlavano almeno due lingue straniere oltre l’inglese, e non ignoravano il segreto di intrattenere con spirito e con intelligenza tutta una clientela cosmopolita e quasi sempre annoiata. Ma soprattutto erano ragazze che speravano di venire un giorno notate e scoperte da uno dei grandi produttori cinematografici, ragazze che nonostante le delusioni avevano fiducia nella loro stella e nella fortuna, ragazze che non volevano confondersi con le comparse per non affogare nel mare dell’anonimato, e riuscivano a vivere in una dorata miseria, rinunciando a qualche pasto per avere sempre freschi, eleganti e all’ultima moda, due abiti: uno da pomeriggio e uno da sera. Fra il tè danzante delle cinque e il trattenimento serale, placavano il loro appetito nello spogliatoio con gli stravaganti avanzi dei vassoi di tartine e salatini, e con la zuppa di verdura che veniva portata su dalle cucine sotterranee, non sempre ben riuscita e non sempre calda.

    Sulla soglia del portone di Gip, le due ragazze si separarono.

    "Davvero non hai paura?

    Della mia guardia? Oh, no… Buona notte.

    E proseguì sola, senza voltarsi. Ma si sentì subito meno tranquilla del solito. Il passo dell’uomo col berretto a visiera si era affrettato ed ora le risonava alle spalle, un po’ affannoso e sempre più vicino, sempre più vicino… Respirò di sollievo quando vide sull’angolo la solita guardia notturna che faceva la ronda.

    Ben tornata, signorina Gluk. Stanca?

    Abbastanza… Buon lavoro.

    Buon riposo.

    Isabella fece un cenno di saluto e proseguì. Ormai era arrivata. Le luci di Hollywood nel primo schiarire dell’alba si spegnevano a una a una con le stelle.

    Signorina Gluk.

    La voce implorava, ma il tono era imperioso. Ella si volse di scatto. Era un po’ pallida, ma poiché aveva imparato a sorridere anche nei momenti peggiori della sua vita, sorrideva. Non disse nulla, e guardò lo sconosciuto con occhi interrogativi.

    Mi perdoni, signorina Gluk, se mi permetto di rivolgerle la parola senza conoscerla… Io appartengo all’Agenzia Job, mi chiamo Clive, Eddy Clive, e se la osservo da qualche giorno ho le mie giustificazioni.

    Non capisco perché debba giustificarsi a quest’ora, disse Isabella, diffidando per istinto nonostante il nome magico di Job.

    "D’accordo. Ma domani, nel pomeriggio, qualcuno verrà al Roxy-Bar. Per vederla. Lo sapeva, signorina Gluk?"

    Isabella si strinse nelle spalle. Non sapeva nulla. Ma pensava che l’ometto modesto fosse un maniaco col quale era opportuno fingere di intendersi e di approvarlo.

    "Verrà domani, alle sei, con Elleanor e con Clark. Mi ubbidisca: finga di non conoscerlo, finga di non accorgersi della sua presenza. E se la fortuna la assisterà, si ricordi che sono stato io a persuadere Marsch della necessità d’una visita al Roxy-Bar. E l’ho fatto per lei."

    Me ne ricorderò, disse Isabella togliendo la chiave dalla borsetta.

    E cambi pettinatura, domattina…

    Isabella, che stava ormai per entrare, si volse di scatto. Cambiare pettinatura, perché? Come dovrei pettinarmi, secondo lei?

    Con i capelli divisi sulla tempia destra, lisci sul cranio e ondulati all’altezza delle orecchie. Provi.

    Lei guardò ora con attenzione il volto illuminato dell’uomo che parlava sottovoce: dimostrava una cinquantina d’anni, ma ne poteva avere di più; magro, bruno, con gli occhi febbrili dell’uomo insonne. Si sentì attraversare da un brivido che poteva anche essere di paura.

    Va bene, disse; seguirò il suo consiglio. Buona notte.

    L’altro non insistette; si toccò il cappello con la punta delle dita, mormorò qualche parola che Isabella non comprese e rimase immobile dinanzi alla porta che s’era richiusa lentamente. Poi infilò le mani nelle tasche, e si allontanò senza voltarsi indietro.

    Il cielo pallido, disadorno e trasparente, pareva una cupola Fortuny distesa sul più grande teatro del mondo.

    Così tardi, stanotte, signorina Gluk?

    Può dire ‘così presto, stamani’, signora Poll! Sono stanchissima. Non ha telefonato nessuno, per me?

    Nessuno, signorina Gluk. Buon riposo.

    Isabella chiuse la porta della camera che abitava da quasi un anno e sedette sulla prima sedia contro la quale urtò con le ginocchia: distese lentamente le gambe indolenzite e sfilò i piedi dalle scarpette, facendo schioccare le giunture alle caviglie.

    Un miagolio sommesso la salutò dal fondo della stanza nell’incerto chiarore dell’alba, e la fece sorridere.

    In un angolo, formato dalla porta a vetri che guardava sul balcone e la piccola finestra sui tetti, in mezzo ai vasi di piante verdi, era sistemata una cuccia morbida e accogliente fatta di soffici cuscini. Da quella, ora, due gattini bianchi salutavano il ritorno della padrona.

    Isabella si alzò con fatica, si tolse il cappello e si avvicinò ai suoi piccoli amici.

    Come stanno i miei piccini? Avete fame? Ora penserò anche a voi. La signora Poll non è venuta a tenervi un po’ di compagnia?…

    I micetti la guardavano e la seguivano scodinzolando pieni di gioia. Isabella li accarezzò, mise latte e carne nei loro piattini, chiuse la finestra, e finalmente poté spogliarsi. Soltanto quando fu in pigiama ebbe la sensazione di riprendere possesso di se stessa. Allora spalancò una specie di armadio a muro dal quale discese come un ponte levatoio uria ottomana-letto. Si coricò pesantemente con l’abbandono di tutta la sua stanchezza fisica e spirituale. Nel dormiveglia, che di solito rappresentava per lei il lusso della vita, il momento delle illusioni, delle fantasticherie, delle aspirazioni ai futuri successi, alla fortuna e alla gloria, non ebbe il tempo di sognare: il sonno la colse di colpo.

    Fuori, la città cominciava a svegliarsi: la signora Poll lucidava le scarpe e la miseria scuoteva i suoi stracci prima che si levasse il sole. L’odore del tè e quello della cioccolata filtrava dalle porte ancora chiuse insieme col profumo dell’acqua di Colonia e del sapone a buon mercato. Odore di pensione di terz’ordine, dove le stanze si trasformano, secondo le ore della giornata e le occupazioni degli inquilini, in salotti per ricevere, in sale da pranzo e in camere da letto. Fornelli elettrici e cibi in scatola. Ma ogni stanza aveva il suo bagno, su ogni pianerottolo c’era il telefono; e l’ascensore arrivava fino alle soffitte: parvenza di benessere e di ricchezza che riusciva qualche volta a consolare delle sconfitte e della miseria.

    La signora Poll risalì i dieci piani della pensione, distribuì ad ogni porta la bottiglia del latte e qualche giornale. Quando giunse all’ultima porta dell’ultimo piano, il sole si levò, irradiando una sventagliata di luce d’oro.

    Isabella voltò le spalle alla finestra e i due gattini si agitarono. Poi tacquero, accucciati, uno accanto all’altro, nutriti, grassi e soddisfatti, come due favorite orientali.

    Verso mezzogiorno Isabella si svegliò, già sazia di sonno e di riposo. La sua giovinezza possedeva risorse vigorose di energia e di ripresa come un buon motore ben lubrificato.

    Spalancò la finestra sul balcone e uscì nel sole a guardare la distesa di terrazze e di tetti e di verde limitata dal recinto sempre più vasto dell’assurda città-miraggio, nella quale ella seppelliva ogni giorno qualcuna delle sue aspirazioni, qualcuno dei suoi progetti, restringendo il campo delle sue ambizioni, soffocando la sua giovinezza.

    Isa, disse a se stessa, prendendosi un’orecchia fra due dita, Isa, su, al lavoro… La signorina Bella ha appetito.

    Aveva diviso il suo nome per creare un’ipotetica cameriera e mentre Isa brontolava sbrigando le faccende, Bella spaziava con la fantasia verso conquiste impossibili. La giovinezza era in lei sorgente di vigore e di risolutezza coraggiosa: si sentiva invincibile, armata com’era della sua volontà caparbia contro tutto e contro tutti.

    Ruppe delle uova nell’acqua bollente, le rivoltò nel bianco due o tre volte, fece scaldare il latte e apparecchiò una piccola tavola davanti alla finestra spalancata. Preparò la teiera e fece colazione lentamente, nel sole che entrava di sbieco nella stanza, gustando quel suo pasto solitario come un banchetto.

    La signora Poll, con la falsa cautela delle sue mani magre e sciupate, bussò ed entrò senza attendere l’invito.

    Non ha bisogno di me, signorina Gluk? Ha pensato lei ai gattini? Signorina Gluk, sono faccende che riguardano me, queste dei gattini… Le si sciuperanno le mani.

    Non importa, signora Poll.

    C’è la posta: una lettera, un giornale, una fattura… Del calzolaio, credo… i sopratacchi, disse, guardando Isabella come se fosse colpevole di chissà quale delitto. Lei consuma un paio di sopratacchi la settimana.

    Isabella si alzò gettando in un angolo il tovagliolo di carta.

    Grazie della posta, signora Poll. Pagherò il calzolaio. Non ho bisogno di nulla.

    L’altra se ne andò senza salutare, ma quando ebbe richiusa la porta si mise a cantare un po’ stonata.

    Isabella sbrigò le faccende di tutti i giorni, rialzò il divano-letto-ponte levatoio, richiuse l’armadio a muro, sistemò i suoi gattini, e si occupò scrupolosamente e a lungo della sua persona.

    Ogni giorno dedicava due ore alla sua toeletta, alla ginnastica, allo studio di nuovi passi di danza, e per mantenere snodate e flessibili le caviglie ballava per una mezz’ora al suono del grammofono. Ungeva i piedi con olio profumato e li massaggiava a lungo, lucidava le piccole unghie con una polvere indiana che le rendeva splendenti, ed era la sola fra le sue compagne di lavoro che non usasse lo smalto colorato che qualche volta, ballando, si staccava come una piccola foglia di rosa. Tante cure per il suo corpo, cure da cortigiana o da gran signora, stonavano con la frugalità della sua tavola e con la modestia della sua esistenza e dei suoi abiti.

    Ogni mattina, appena si vedeva nello specchio, si salutava con un sorriso e con un augurio: Buon giorno, Isabella… buona fortuna. Chissà che, proprio oggi, la sorte non ti sia favorevole!… ed era sempre pronta a sorridere, sempre pronta a sperare nonostante la sua intelligenza ammaestrata dalla vita; e pur conservando in fondo al cuore un certo scetticismo alimentato dalle delusioni, non appena apriva gli occhi e ricominciava la sua giornata era fiduciosa e serena e lieta come una bambina.

    Il ricordo del breve colloquio con l’uomo sconosciuto occupava tutti i suoi pensieri, mentre, dinanzi allo specchio, studiava la nuova pettinatura. I capelli elettrici e ribelli sfuggivano al pettine scintillando: dovette bagnarli un po’ per stenderli e farli aderire bene; poi arrotolò pazientemente i bigodini fino all’altezza delle orecchie. Così pettinata, somigliava a qualcuno che conosceva bene: una somiglianza imperfetta, ma esistente e più profonda di quanto sembrasse. Ma ancora non sapeva a chi.

    Uscì sul balcone per asciugare al sole la messa in piega dei capelli, e cominciò a lavorare con lime e pinzette attorno alla bianca lunetta delle unghie.

    Dal balcone accanto, la signora Poll, che aveva terminato la pulizia di una delle tante camere affidate alle sue cure, la salutò con una esclamazione di sorpresa:

    Oh, signorina Gluk, se non la conoscessi come la conosco, direi che è la sorella di Fabia Faber, la diva della G.C.H.! È tanto tempo che cerco in lei una somiglianza con qualcuno che s’è visto molte volte… Ora, finalmente, ho trovato. Fabia Faber… Forse è la nuova pettinatura che ha cambiato la sua fisionomia e la sua espressione…

    Ecco, forse… fece Isabella con uno slancio di riconoscenza. È vero, signora Poll, somiglio proprio alla Faber… E anch’io non me n’ero accorta… Crede che questa somiglianza mi giovi?

    "Se le riuscirà di amministrarla bene, può rappresentare una fortuna per lei e per chi si prenderà l’incarico di sfruttarla.

    Anche per l’arte? Una fortuna anche nell’arte?

    E nella vita, aggiunse la signora Poll. Nell’arte o nella vita, che importa? Non bisogna chiedere più di quello che il destino può dare e bisogna accettare quello che il destino offre… C’è chi è andato a fondo perché non ha voluto aggrapparsi a tempo ad un rottame con la scusa che non gli pareva solido, senza pensare che è dai gradini malsicuri che si arriva a quelli più solidi che aiutano a salire in alto.

    Non è incoraggiante, signora Poll.

    Perché? Perché dico che, nella vita, per salire, bisogna sapersi qualche volta piegare a tempo? Le dico una grande verità, purtroppo, e le consiglio di non dimenticarla.

    Isabella esitò un momento, considerò le unghie lucenti, raccolse la limetta che le era caduta, poi chiese, abbassando il tono della voce:

    Ha sentito parlare di Clive? Eddy Clive?

    Dell’Agenzia Job?

    Isabella alzò il capo sorpresa. Con una mano riparò gli occhi dal raggio diretto del sole e guardò bene in volto la signora Poll. Le pareva straordinario che quella donnetta insignificante conoscesse l’uomo misterioso, emanazione segreta della più potente agenzia di Hollywood.

    Dell’Agenzia Job, sì. Sa chi è?

    Non sono molti quelli che egli chiama suoi amici, ma lo conosco bene. È un uomo che viene spesso a trovarmi.

    A trovare lei?

    Sì, signorina Gluk, proprio a trovare la vecchia Poll. Non cerchi il perché. Se non lo indovina subito, lo indovinerà in seguito.

    "Sa se frequenta il Roxy-Bar?"

    "Non è mai entrato nel Roxy-Bar, ma si trattiene spesso nelle sue vicinanze. Non per curiosità o per perdere tempo, ma per ragioni di lavoro. Le ha parlato stanotte per la prima volta, se non sbaglio."

    Non sbaglia, signora Poll.

    Può dirsi fortunata, allora, ragazza… Clive avvicina raramente qualcuno che non gli sia stato presentato o raccomandato. È un uomo costretto a difendersi dalle donne e dagli uomini…

    Mi sa dire perché non ho mai sentito parlare di lui in questi mesi di permanenza a Hollywood?

    Perché è un uomo del quale tutti preferiscono non parlare. Parlare di lui, se lo si conosce o lo si è conosciuto, vuol dire perdere la sua amicizia e, quel che è peggio, la sua protezione. Vive a Hollywood quasi di nascosto, per ragioni… di lavoro.

    Non capisco.

    Non importa. Tacque un momento, riaccomodò con un gesto lento e studiato una piega del grembiule, poi aggiunse piano: È lui che ha scoperta Fabia Faber per la G.C.H.!

    È un segreto? chiese Isabella, sorridendo.

    Non è un segreto per chi lo sa. Ma se tutti fossero informati, le innumerevoli Fabie Faber del mondo gli sarebbero d’attorno… Ed è invece un uomo che vuole scegliere da solo, guidato dal suo istinto e dalla sua abilità, le future stelle dello schermo. Comincia a capire, signorina Gluk?

    Mi par di sì. Poiché è così al corrente di queste misteriose faccende, mi sa dire perché Clive si occupa tanto di me, ora?

    Non lo so con precisione, signorina, ma so che sarebbe opportuno ascoltare un altro consiglio: gli ubbidisca, senza rivolgere domande a nessuno, nemmeno a se stessa. Verrà il momento in cui egli le darà tutte le spiegazioni che desidera. Gli ubbidisca passivamente e finga di non accorgersi di molte cose che accadranno intorno a lei.

    Isabella lasciò ricadere le braccia, spaziò con gli occhi inondati di sole verso i verdi giardini di Beverly Hills, mèta di tutte le aspiranti attrici, e rimase assorta in una visione che pareva le promettesse la realizzazione di tutti i suoi sogni.

    Signora Poll, disse poi, sorridendo appena, le sono grata per le sue parole.

    La signora Poll sorrise e con un cenno della testa la salutò, poi richiuse le persiane e se ne andò.

    Isabella rimase dinanzi al mistero del suo domani chiudendo nel cuore una specie di esaltazione; cominciava a scoprire, attraverso uno spiraglio sottilissimo, la strada dell’avvenire lastricata di promesse.

    Rientrò in camera, sfece i bigodini, si pettinò leggermente i capelli per riempirli d’aria, e fissò nello specchio una Isabella che somigliava alla grande attrice. Ora si accorgeva che era diversa da lei specialmente nell’arco sopraccigliare e nel disegno della bocca quando non sorrideva.

    Uscendo per recarsi al Roxy-Bar il cuore le tremava come se fosse diretta al primo appuntamento d’amore. Tutti i suoi sogni, tutte le sue speranze, tutte le sue attese, stavano per essere ammessi all’esame che poteva lanciarla nel mondo dell’arte, della gloria e della ricchezza, o da quello respingerla per sempre.

    Ma era bastato questo primo accenno a possibilità nuove, perché la sua giovinezza trepida e incerta cominciasse a sentirsi più sicura: ora le sue speranze non erano del tutto campate in aria. Ella era una di quelle creature che il destino aveva scelto nella folla innumerevole delle aspiranti al regno del cinema, quindi era già qualcuno. Erą una piccola ombra che poteva diventare gigantesca. Camminò speditamente, a testa alta, alla conquista della sua fortuna e le parve che, ad ogni passo in avanti, i suoi sogni si facessero più grandi e più esigenti, quasi non fosse possibile a lei e agli altri realizzarli tutti. Gli occhi inquieti le splendevano di curiosità nuove e di nuove impazienze. Aveva tanto atteso, che ora urgeva dentro di lei il bisogno di correre.

    Passando dinanzi all’ingresso principale del Roxy-Bar si voltò: l’uomo misterioso che per qualche giorno era stato la sua ombra e del quale nessuno parlava, Eddy Clive, non c’era. Si sentì sola, improvvisamente, come se la protezione di lui l’avesse abbandonata.

    Entrò nello spogliatoio con le gambe che le tremavano: si tolse il cappello e sedette davanti al suo specchio, cominciando a spogliarsi per indossare l’abito da pomeriggio. Nonostante il rossetto, era pallida d’una emozione che non riusciva a superare, e della quale si rendeva conto con angoscia. Come nei momenti più duri della vita, faceva mentalmente un esame di coscienza.

    Hai cambiato pettinatura? le chiese Mary, guardandola con gli occhi sospettosi di chi è costretto a star sempre in guardia per difendersi dall’ambizione o dalla fortuna altrui. "Che

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