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Quella strana morte in via di Santa Dorotea: Un cold case datato 6 aprile 1520
Quella strana morte in via di Santa Dorotea: Un cold case datato 6 aprile 1520
Quella strana morte in via di Santa Dorotea: Un cold case datato 6 aprile 1520
E-book430 pagine5 ore

Quella strana morte in via di Santa Dorotea: Un cold case datato 6 aprile 1520

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Info su questo ebook

Lui, Gìa Fort Shoping, per gli amici Jey, è uno scrittore-giornalista e disegnatore di comic- books, un po’ sfigato, un po’ scettico e impudente, dedito più al rum che al lavoro ma sempre alla ricerca di uno scoop. Lei, Heleonor, è una restauratrice che lavora con contratto a termine in una importante Galleria d’Arte Antica di Roma.
Heleonor durante un intervento conservativo sul famoso ritratto della Fornarina, opera di Raffaello Sanzio, intravede sullo sfondo della tela leggerissimi tratti di un viso che le pare di aver già visto su un cartone conservato negli archivi del British Museum. In quel cartone la mano sembrava chiaramente di Raffaello. Ma, aspetto inquietante, quel cartone portava la data del 1756! Vale a dire 216 anni dopo la sua morte!
Heleonor vuole rintracciare il cartone per chiarire questa assurdità e coinvolge Jey in una difficile se non irrazionale ricerca che li porta prima a Londra e poi a Edimburgo dove resteranno coinvolti in due delitti. Un viaggio suggestivo tra medium capaci di provocare e gestire fenomeni paranormali, regressioni ipnotiche… Reincarnazioni… Perché nella mente di Heleonor si fanno strada vaghe ma insistenti sensazioni di avvenimenti passati.
E alla fine una scioccante rivelazione sulla prematura, improvvisa morte del grande pittore.
LinguaItaliano
Data di uscita21 apr 2020
ISBN9788835812760
Quella strana morte in via di Santa Dorotea: Un cold case datato 6 aprile 1520

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    Anteprima del libro

    Quella strana morte in via di Santa Dorotea - Gìa Fort Shoping

    gfs

    GUIDA ALLA LETTURA

    I Capitoli che riguardano la vicenda Jey e Heleonor [giorni nostri] sono contrassegnati da

    NUMERAZIONE ARABA

    I Capitoli contenenti squarci di vita rivissuti come reali [in rivivificazione ipnoregressiva]

    sono contrassegnati da

    NUMERAZIONE ROMANA

    LAGUZ (Runa)

    Testo in Corsivo

    Riguarda il Percorso della medium per condurre Jey attraverso lo stato di trance, al recupero di ricordi e situazioni vissuti nella vita passata

    OTHILA (Runa)

    È il richiamo alle radici, alla terra natale; sperimentare la sensazione di aver fatto conoscenza con

    la vera identità personale.

    Rivivificazione ipnoregressiva

    ENTRATA

    Jey è entrato in uno spazio di rivivificazione ipnoregressiva e rivive pienamente le esperienze della vita precedente con una percezione sensoriale ed emozionale diretta, quindi con pieno coinvolgimento.

    USCITA

    Jey esce dalla trance, rientra in sé e ritorna alla realtà

    *

    IL TESTO ROMANESCO È STATO ITALIANIZZATO PER FACILITARNE LA LETTURA

    ... è possibile aprire le porte dell'aldilà

    e rivivere una vita in un'altra vita?

    Quando la sua anima

    apparirà davanti a te

    accoglila come una sorella…

    lasciati avvolgere da lei

    perchè quell'anima conosce

    il mistero del mondo,

    l'ordine dell'universo.

    Lei ti prenderà per mano

    e ti condurrà,

    passo dopo passo,

    verso l'altra vita.

    (Gìa Fort Shoping)

    1

    Accidenti a me. Eppure mi dovrei conoscere bene ormai. Il rum non mi ha mai aiutato nelle situazioni difficili. Anzi.

    Per l’impresa di stanotte avevo ingoiato anche due pastiglie di betabloccante. Sono un iperteso. Non mi sono servite. Il cuore batte a 150 come un metronomo da disco dance e il buio totale che mi circonda m’inchioda al pavimento come il martelletto di un Pleyel picchiato da Petrucciani.

    Ho paura a respirare, potrebbe sentirmi qualcuno. Ma qualcuno chi? Il custode, al piano terra, o dorme o se ne è andato in giro per Roma e per le sale non c’è anima viva. Beh, qualcuno potrebbe anche esserci se è vero, come dice Heleonor, che di notte tutti questi personaggi…

    Stamane, facendo il giro (la guida era scoglionata e insofferente), mi ero stampato in testa il percorso per raggiungere la saletta. Mi ero anche disegnato - senza farmi vedere dal personale di sorveglianza, magari mi prendono per un ladro o un sabotatore - una piantina. Faticaccia inutile perché è pubblicata su internet.

    Ingresso, scalinata, primo piano, porta a vetri a sinistra, bookshop, a destra biglietteria, prima stanza a sinistra. Lei è sulla parete di fronte, lato destro.

    Non l’hanno valorizzata neanche tanto bene. Eppure vale un patrimonio. Il duca di Mantova l'aveva puntata già alle soglie del '600 tant’è vero che aveva incaricato Ludovico Cremasco (un furbone, cacciatore di opere d’arte), di acquistargli il ritratto ‘ senza mirare al prezzo!’.

    Poi ho scoperto che da una delle abitazioni di salita S. Nicola da Tolentino, attraverso un piccolo cortile, si può accedere al giardino della Galleria e da qui alle sale museali. Un cancello semi arrugginito come unico, debole baluardo. È l'ingresso usato dagli operai dell'impresa che sta reastaurando la facciata del museo. Tutto incustodito.

    Me lo poteva dire Heleonor!

    Ho scelto questa strada ma ora, nel buio totale, non mi ci raccapezzo più. Oltretutto la torcia elettrica si sta per scaricare. Accidenti a me!, avrei dovuto comprare le batterie anziché il rum per riempire la fiaschetta! Però il rum mi dà la carica.

    Visto di giorno il ritratto emana solo un senso di pacioso distacco. Paffutella, sguardo un poco statico, sornione ma, a voler essere generosi, amabilmente ambiguo. Non mi sono sentito particolarmente elettrizzato. Tanto meno vi ho scorto l'immagine di meretricola attribuitole da Fabio Chigi nel 1618. A me non sembra neppure sexy.

    Eppure questo ritratto esercita una forte attrattiva sul pubblico. E, mi accorgo mio malgrado, anche su di me: ha catturato la mia attenzione, mi parla d’altro …sensazioni …sentimenti …stranezze…

    Comunque mi ha coinvolto di più quanto raccontato da Heleonor. O forse è stato l’effetto del Gaja & Rey del 2001, ottima annata, che ci siamo bevuti da Romolo, nel giardino di Raffaello e della Fornarina a Porta Settimiana. Anche Heleonor fortunatamente non disdegna del tutto un buon vino. Quando cala le difese. O forse è stato il desiderio di condividere qualcosa con lei, così, tanto per starle ancora vicino. Risultato, ripeto: mi sono fatto coinvolgere.

    Non è male Heleonor. A prima vista ti dà l’impressione di una squallidona presa solo dal suo lavoro di restauratrice. Ce la mette tutta per nascondersi agli sguardi maschili. Se però la osservi più attentamente …non è male Heleonor, anzi. Liberala da quegli occhialoni fuori moda (ma perché li porta?) e anneghi nei suoi occhi verde giada. Liberala da quella crocchia anni venti e, i capelli finalmente sciolti, ti trovi di fronte la Flora del Tiziano, quella splendida rossa ricordata anche dalle Poste Italiane con un francobollo da 150 lire. Dico: 150 miserabili lire! Si sono rovinati.

    Slanciata, morbida, tutte le curve al posto giusto, nelle quantità giuste ma accuratamente, anzi: puntigliosamente, nascoste dentro l'enorme gonna fuori misura anni sessantottofemminarrabbiata. Per me ha un solo difetto Heleonor: quei suoi benedetti anni che mi fanno sentire vecchio. Troppo pochi rispetto ai miei.

    Comunque anch’io, tutto sommato, mi difendo bene: aspetto piuttosto gradevole, direi attraente, sorriso accattivante, occhi verde mare, un metro e ottanta di muscolatura dono di madre natura, intendo dire non palestrata, perché mi sono sempre rifiutato di fare un solo minuto di attività sportiva. Leggermente sovrappeso.

    Il primo momento di grande tensione emotiva, mi racconta Heleonor, l’ha provato nella fase intermedia della pulitura del viso. Si è sentita improvvisamente sprofondare in un vortice irreale. La dieta ipocalorica? Troppe ore di concentrazione?

    È un’impressione o sotto ci sono tratti di un altro disegno?

    Quella sera si era attardata a lavorare oltre l’orario di chiusura del museo. I suoi colleghi se n’erano andati, stanchi di una monotona ed estenuante giornata di lavoro, senza neanche salutarla.

    Lei era impegnatissima sul viso, voleva finire quel delicato passaggio e lavorava con la massima attenzione per fare emergere, senza danneggiarlo, l'incarnato dipinto con impasti di colore a base di biacca e cinabro. E mentre ravvivava le piccole aggiunte di azzurrite e lapislazzuli usate per gli occhi... un’impressione o si sono mossi? La maliarda gradisce il maquillage sul suo viso?

    «E quando mai una femmina non è sensibile al lavoro di un visagiste che le sistema gli occhi?» intervengo tanto per stuzzicarla un pochino «Passano i secoli, nuove generazioni si susseguono una dopo l’altra ma l’istinto di ogni donna è rimasto tale e quale da Nefertiti a Cleopatra a Madame Jeanne e Georges Van Muyden...»

    «Non fare ironia di bassa lega, non mi sembri il tipo.» Risponde lei piuttosto piccata perché non si sente presa sul serio. «Ho pensato invece che ero stanca. Comunque sono rimasta immobile a osservarla. No, gli occhi non si muovono più. Poi, improvvisamente, ho visto, o forse sarebbe meglio dire, mi è sembrato di vedere sullo sfondo della tela dei tratti di disegno. Un segno molto leggero, carboncino, pastello Terra d'Umbria bruciata o sanguigna. Non distinguo bene, dovrei dire più precisamente che li intuisco. Li fa emergere il riflesso della lucetta di servizio sistemata sulla porta d'ingresso della saletta. Cielo! o do di testa o… qui sotto c'è un altro disegno!»

    «Tombola!» esplodo io a mo’ di incoraggiamento.

    Non ne ha bisogno, continua immersa nel suo immaginario.

    «Mi sarebbe servita una riflettografia. Sembrava una specie di abbozzo o un disegno parziale e mi ricordava qualcosa che avevo intravisto molto tempo prima, un cartone che avevo srotolato casualmente mentre facevo delle ricerche, o uno stage all'Archivio di Stato di Roma o a Londra al British Museum. Non ricordo più dove.»

    «Fammi capire,» intervengo io un po' accondiscendente e un po' più incuriosito «sotto il ritratto della maliarda c'è un altro ritratto. Un'altra maliarda? In carboncino o pastello o come diavolo li chiami tu?»

    «Non ho detto nulla di così preciso, non farmi giungere a conclusioni strampalate. Mi è sembrato… ho avvertito. Avrei dovuto fare un approfondito esame con gli ultravioletti ma non avevo gli strumenti utili e poi mi sarebbe servita un'autorizzazione. Difficile da ottenere. Posso assicurarti però che di giorno non si nota.»

    «Possibile che i tuoi capi non siano a conoscenza del fatto che sotto il dipinto c'è n'è un altro? Mi sembra strano.»

    «Non so che dirti.» Chiude lei.

    Ormai intrigato dal racconto di Heleonor, cerco di marcarla stretta. Chissà mai? Qualcuno, penso tra me e me, potrebbe già aver notato quel particolare e stare zitto per chi sa quale scopo successivo.

    «Ma non potrebbe trattarsi di una traccia,» insisto «una di quelle tracce che usualmente fanno i pittori avviando un nuovo lavoro? E poi, se così non fosse,» sono sempre più incalzante «la figura sotto traccia è diversa da quella che vediamo esposta? Due figure, due persone diverse? Sono collegate fra di loro? Sono la stessa persona ritratta due volte o… Le ha dipinte la stessa mano? Sono…»

    «Basta! Basta con queste domande inquisitorie! mi stai dando l'ansia. Non avrei dovuto parlartene.»

    «D'accordo ma ormai me ne hai parlato. Dimmi di questo secondo ritratto. Cercherò di seguirti.»

    La cosa mi intriga sempre più.

    «A partire dal Rinascimento» riprende Heleonor «molti artisti usano il gessetto, perchè lo trovano in natura e se lo possono preparare da soli. Michelangelo e Andrea del Sarto ad esempio usano il gessetto nero naturale. Nel settecento, poi, lo trovi abbinato alla sanguigna.»

    «Lascia perdere questi dettagli, dimmi qualcosa di più attinente a quello che ti ha colpito.»

    Heleonor esita, forse vuole chiudere il discorso, è evidente che non le va più di parlare. È indecisa. Mi guarda fissa in viso, riflette?, e poi improvvisamente sbotta come per liberarsi di un peso. Un peso che l'opprime.

    «La traccia che c'è sotto il ritratto non raffigura una donna, ma un uomo. Un uomo dallo sguardo cattivo, malvagio.»

    Accidenti, penso io, che storia! Inutile dire che sta accendendo in me una certa aspettativa.

    Quando sono arrivato a Roma, Trastevere e i personaggi che nei secoli l'hanno animata mi hanno subito intrigato. Non so bene perchè ma mi sentivo come… a casa mia.

    Ero alla ricerca di una storia, una storia vera: passione, amore, scandalo. Sì, una storia scandalosa. Vuoi vedere che tra una sbornia e l’altra l'ho trovata? Un po’ di fatti reali, un po’ di fantasia per aiutare la trama... Se metto insieme altre notizie attingendo alle fonti giuste mi sa che ci tiro fuori uno scoop giusto per comprarmi un treno di bottiglie di rum.

    Non che ci capisca molto su radiografie, riflettografie, indagini agli ultravioletti, sono marchingegni moderni fuori dalla mia cultura, ma se c'è sentore di mistero la cosa mi intriga. Non sono in cerca di qualcosa che mi dia uno spunto?

    Oggi io, Gìa Fort Shoping, per gli amici Jey, scrittore fallito, giornalista freelance, cartoonist a tempo perso, costretto tutti i giorni a fare i conti con il rischio, con pochi quattrini nelle tasche e con una fama di perdigiorno e attaccabrighe incollata come una seconda pelle , ebbene oggi io potrei finalmente aver trovato una storia da raccontare. I presupposti mi sembra ci siano. Sempre che abbiano un briciolo di fondamento.

    Innanzitutto però vorrei capire perchè Heleonor mi abbia adottato sin dal primo incontro. Sembrava mi aspettasse, aspettasse me, proprio me.

    Casualità o impatto casuale di due schegge casuali di cui si ignora la causa?

    [come mi esalta il tuffarmi in paludi ontologiche che poi finiscono per introdurmi nel nulla…]

    Meglio che attivi la mia mente per individuare qualcosa di più realistico. Formuliamo quindi una ipotesi attendibile come suggerisce il mio background sponda ‘giornalista’.

    Allora: lei è una zitellona a caccia di affettuosità e sofferente di disturbo dipendente del Gruppo C: ha bisogno cioè di qualche concreta affettuosità… [prego, nessun commento, so già di essere uno spudorato maschilista].

    Qualcuno, mezzano di matrimoni, vuole appiopparle un lui che riempia il vuoto della sua vita. Questo qualcuno mi conosce, o mi ha conosciuto. Le parla di me, che sono un uomo interessante, creativo e singolare, che sono un giornalista di successo, che che che… [non c’è una parola di vero in questo quadretto biografico]. Single per scelta, quindi libero da vincoli. Lei non aspetta altro. Scatta il contatto.

    Prendiamo però in considerazione anche un’altra ipotesi meno rozza: mi vuole agganciare semplicemente per la mia attività di giornalista interessato all’arte rinascimentale, aspettandosi qualche articolo sul suo lavoro di restauratrice, un poco di battage intorno al suo nome per rendersi più visibile nel suo ambiente, chiedere un aumento di stipendio e via dicendo.

    Mi sta bene tutto, tutto o quasi tutto. In questo momento però ritengo prioritario andare a fondo sulle presunte stranezze di questo dipinto. Stiamo con i piedi per terra. Verifichiamo se c’è trippa per gatti. Tra le mie supposte qualità ce n’è una concreta: sono un pragmatico.

    Intanto, da buon giornalista e, perché no?, scrittore, ho già raccolto qualche elemento per inquadrare almeno il macro fil-rouge del periodo in cui Raffaello ha dipinto il quadro: manifestazioni artistiche, tendenze sociali, personaggi.

    Ora devo approfondire quali personaggi mi possano fare da trama, quali siano in grado di bucare l’immaginario collettivo; devo svilupparne i contorni, documentarmi sui luoghi in cui farli muovere, beccare qualcuno dei loro momenti topici.

    Nella libreria del mio amico Rafele Porsio, grande cultore di vecchie pubblicazioni, posso trovare materiale. Ne sono sicuro. La libreria è piccolissima, un buco in un vicoletto dietro piazza Cavour, vicino a una famosa pizzeria che sforna la migliore margherita di Roma. È piccolissima ma ultra fornita e poi, Rafele, è una vera enciclopedia. Certamente mi può essere d’aiuto.

    Su internet, smanettando tra le pagine che parlano di Raffaello e Fornarina, pochissime su di lei, ho già trovato quanto basta per stimolare la mia fantasia e imbastire una traccia di storia.

    Un Pittore eccelso, noto gaudente, persona molto amorosa et affezzionata alle donne, e di continuo presto ai servigi loro scrive il Vasari nelle sue memorie parlando di Raffaello. Una modella-amante, una sventola da togliere il fiato con una turbolenta e scandalosa carriera fatta tra le lenzuola dei potenti che incrociava sul suo percorso. Una corte di alti prelati sullo sfondo di un Vaticano di costumi libertini ma impegnato nel mondo artistico. Un cardinale che con il consenso del papa, tacito o presunto?, vuole appioppare in moglie a Raffaello una sua nipote. E un mecenate, illustre banchiere e noto puttaniere, che nel privato della sua magione se la spassa alla grande.

    Se i fumosi, confusi accenni di Heleonor avessero un seppur piccolo fondamento: un secondo ritratto, o disegno o bozzetto, che sembrano della stessa mano e che nessuno si è mai accorto che esistano, una faccia cattiva... Accidenti che storia che ci tiro fuori!

    La prima volta che Heleonor mi aveva accompagnato lungo le sale di Palazzo Barberini fino al ritratto, non mi aveva fatto cenno di nulla. Mi sembrava anche un pochino scontrosa nei miei confronti, diffidente e scettica. Un’accozzaglia di percezioni che non riuscivo a decifrare.

    Cercando di non farsi notare mi sbirciava di sottecchi con espressione incerta. Mi studiava, mi anatomizzava, mancava poco che mi dissezionasse, come fanno le femmine predatrici.

    Quel giorno, per l’appunto, pensai che avesse l’intenzione di accalappiare lo scapolone incallito e stesse cercando di capire se io ne valevo la pena. Sennò, cosa stava cercando? Per quale ragione mi stava studiando? Uno sconosciuto e neanche tanto bene in arnese, incrociato per uno dei tanti casi strani della vita. O, o, o… sono fuori strada?

    Non devo però sottovalutare le mie grandi risorse di affascinatore che riescono sempre a far breccia, a smuovere le sensibilità, ad aprire dialoghi sinceri.

    Ora di fronte a un piatto di Mozzarella alla Fornarina per me, e alle Animelle al prosciutto per lei, tutto si distende sulla bianca tovaglia di lino.

    Heleonor mi sommerge con le sue emozioni e quello che mi racconta, piano piano, accende sempre più la mia fantasia di scrittore. Presunto.

    Heleonor, divaga o segue un pensiero preciso?

    2

    Una parte del mio cervello la segue con attenzione, l’altra sta costruendo un teatrino mettendo a fuoco le figure e i luoghi che hanno visto le gesta dei miei possibili personaggi. Ne delimito i contorni secondo le regole classiche del teatro che, per me, vanno bene anche per un romanzo: ‘isso’ ce l’ho, è il grande pittore; ‘ issa’ pure, chi meglio della favolosa modella? Per ‘ o malamente’ non ho che l’imbarazzo della scelta. Forse ne ho troppi. Il banchiere? Il cardinale? Papa Leone? Uno spasimante di Fornarina? Devo fare una selezione.

    Heleonor intanto continua a parlare.

    «Tu credi nella metempsicosi?» Mi chiede a bruciapelo mentre assapora una forchettata di animelle.

    «Veramente non mi ci sono mai soffermato.» Rispondo preso alla sprovvista. Cosa c'entra ora la metempsicosi? Mi sta scombinando il teatrino…

    «Parlo della trasmigrazione dell'anima che, a ogni successiva morte del corpo in cui è ospitata, passa via via a un altro corpo umano, animale, vegetale o minerale, finchè non si è liberata da ogni vincolo con la materia.»

    «Perchè ora introduci questo argomento?» Chiedo disorientato ma ancor più incuriosito. Heleonor non è una stupida e quando parla lo fa a ragion veduta.

    «Perchè ho la netta sensazione, attraverso note di cronaca raccolte, spezzoni di documenti in cui mi sono imbattuta e altro materiale, che intorno a Raffaello e Fornarina, la donna ritratta nel quadro di cui parliamo, ci sia stato qualcosa di più di una semplice seppur vulcanica storia d'amore conclusasi repentinamente, in modo tragico, in un venerdì santo del lontano 1520.»

    «Mi risulta che siano consueti, anzi scontati, rapporti hot tra pittore e modella; lo spazio che li separa, un cavalletto e una tela, sono piuttosto esili… è facile saltarli. Ed è facile farsi del male.»

    Non raccoglie la mia battuta. Non apprezza mai le mie battute. Prosegue nel suo ragionamento.

    «I tratti di matita intravisti nel ritratto di Fornarina e il bozzetto che mi è capitato tra le mani non mi ricordo più dove, hanno un rapporto.»

    Heleonor si accalora. Splendido!

    «Ho la sensazione che in quel lontano venerdì santo del 1520, quando Raffaello muore improvvisamente, le cose non siano andate come raccontano le cronache d’epoca. Ho la sensazione che Raffaello e Fornarina siano stati al centro di un avvenimento drammatico. E ho la sensazione che un’altra drammatica vicenda si sia ripetuta quasi uguale a distanza di 216 anni. E di quella circostanza sia rimasto un segno, un segno perchè noi potessimo rendere giustizia. È una sensazione netta.»

    «Fermati! Fermati per l’amor di dio! Sto annegando nelle tue ‘sensazioni’! Che casino!» Riesco finalmente a inserirmi in questo fiume in piena. «Ora cosa c'entrano i 216 anni? Cosa c’entra un secondo avvenimento?»

    «Sei un ignorante! Possibile che tu non conosca la teoria dei numeri magici della scuola pitagorica? Il 216 è un numero magico essendo il cubo del numero 6.»

    Non mi va di scoprirmi, voglio vedere fin dove arriva. Decido di fare la figura dell’ignorantone anche se l’argomento non mi è sconosciuto. Per chi mi ha preso?!

    Mi sono imbattuto nella teoria dei numeri magici quando avevo si e no tredici anni e il la me lo diede un film di Stanlio e Ollio, I diavoli volanti, in cui discutevano sulla metempsicosi. La loro scenetta, con il balletto che ne seguiva, mi divertirono molto. Ma quello che mi fulminò fu proprio il riferimento alla metempsicosi. Ne restai affascinato e mi buttai a capo fitto a leggere tutto il possibile, spesso capendo poco.

    Il passo fu breve per incappare poi nella teoria dei numeri e delle loro misteriose proprietà. A quei tempi mi sarebbe piaciuto far parte della scuola dei pitagorici, acusmatico sulle spiagge di Crotone, assetato di sapere, impegnato a risucchiare ogni respiro dell’Uomo Profeta, l’uomo leggenda, l’ ipse dixit che non da spazio al dubbio. E dissertare con Fibonacci, con Mersenne, e parlare di numeri palindromi, il mistero del 196, del triangolo di Tartaglia… Ero un ragazzino.

    «E allora?» rispondo deciso a fare la parte della persona incolta. «Heleonor mi fai venire il mal di testa. Pitagora mi ricorda solo Bin Laden, potrebbe essere la sua reincarnazione? E veramente non capisco il nesso, mi sembra di saltare di palo in frasca.»

    «È una teoria notissima e mi sorprende che uno scrittore e giornalista non la conosca. Ma sei veramente uno ‘scrittore e giornalista’?»

    «Boh, adesso che me lo chiedi me lo domando anch’io.» Altra battuta sprecata.

    Lei continua come se non avessi aperto bocca. Però ho lanciato l’amo.

    «Brevemente.» Attacca con vigore. «Pitagora sembra si sia reincarnato più volte in corpi diversi e il ciclo delle sue reincarnazioni era di 216 anni. L'ultima volta si è reincarnato nelle vesti di Alco una bellissima prostituta.»

    «Sono felice per Pitagora che ha goduto di momenti particolarmente piacevoli su ambo i fronti ma, scusami, continuo a non capire cosa c'entrino Pitagora e Alco con Raffaello e Fornarina.»

    «Te lo spiego subito. Pitagora non c'entra nulla ma la sua teoria si. Il bozzetto o secondo ritratto che ricordo di avere visto - e lo ricordo bene, ho solo dei dubbi sul dove l'ho visto - portava una data: 1754 e una sigla

    Hai capito?»

    «No.»

    Capisco solo che questa femmina ha un pensiero preciso in testa, un piano basato su una qualche teoria. E un obiettivo. E mi manovra a piccoli passi.

    «Uff, che fatica! Il bozzetto evidenzia la stessa tecnica e mano di Raffaello. E la sigla è quella con cui si firmava Raffaello da giovane. Tutto uguale. Me ne intenderò di queste cose, no?»

    Heleonor sta alzando il tono della voce sempre più spazientita. Poi riprende.

    «Ricapitoliamo. Nel 1501 Raffaello, all’età di 18 anni, pone la sua prima firma su di un’opera il chè documenta la sua qualifica di pittore ormai autonomo dall’apprendistato a quel punto concluso. Si tratta della Pala del Beato Nicola da Tolentino commissionatagli dalle monache del monastero di Sant’Agostino. Mi sono documentata e ho trovato il contratto in cui viene menzionato come Magister Rafael Johannis Santis de Urbino. Facciamo due conti se riesci a seguirmi.»

    «Facciamo due conti, cercherò di seguirti.»

    Heleonor mi guarda con sguardo incazzoso, non gradisce il mio tono. Si domina e riprende con calma.

    «Raffaello è morto nel 1520, aggiungi 216 e arrivi a 1736, aggiungi 18 e arrivi alla datazione del disegno: 1754! Sintesi per subnormali.» È passata agli insulti «Nel 1736 Raffaello si è reincarnato in un pittore che a 18 anni ha voluto richiamare l’attenzione del mondo sulla sua tragica fine.»

    «Sei pazza.»

    «E tu sei una persona scortese e impertinente. Oltre che ignorante e cretino.»

    Accidenti come si è incavolata la mia seducente Helly! Cerco di placarla prima che mi scaraventi un piatto.

    «Helly» la sollecito dolcemente «posso chiamarti Helly?»

    «Perché dovresti chiamarmi Helly?» È incazzata.

    «Scusami ma in certi frangenti il tuo nome è troppo lungo.»

    «Ti vorrei far notare che Helly è un nome maschile» si sta calmando ma sempre pronta a riaffilare le armi «e se vuoi estendere il discorso, si tratta del nome o cognome di un matematico sfigato, l’eponimo dei due teoremi di Helly; ed è anche il nome di uno che produce giacche e brache di tela cerata. Non ho nulla in contrario comunque. Chiamami come ti pare.»

    «Grazie Helly» un grazie espresso volutamente con tono sciropposo per tenerla sempre gasata, mi diverte quando si eccita «allora abbiamo stabilito che il disegno è datato 1754. Oro colato.»

    Mi guarda nuovamente di traverso indecisa se aggredirmi o lasciar perdere. Lascia perdere. Lascia perdere per fortuna.

    «Tracciamo un percorso.» Continuo. «I tratti di viso crudele del bozzetto dell' Archivio di Stato o British Museum sono identici a quelli nascosti nel ritratto su cui stavi lavorando.»

    Mi interrompe e, tutta d’un fiato «Ma il bozzetto porta la data del 1754: è stato eseguito 216 + 18 anni dopo la tragica improvvisa morte di Raffaello. C’è la sua mano! C’è la sua firma! Sono sicura. Hai capito testone? La mano e la firma di Raffaello!»

    «Mi sembra che stai montando una favola confusa e pasticciata.» Rispondo cercando di non far notare l'interesse che, comunque, sta aumentando sempre più.

    «Fornarina che muove gli occhi, un dipinto parziale o una traccia che si vede e non si vede, o forse si intravede e che per evidenziarlo bene hai bisogno dei raggi ultravioletti o altra diavoleria; un altro bozzetto quasi uguale su cui incocci spulciando tra i polverosi ripiani dell’Archivio di Stato o chissà in quale altro posto, sempre di mano di Raffaello, che raffigura... un brutto ceffo?»

    «Ma come posso risponderti? Ti ho detto che sono solo impressioni, impressioni che certamente andrebbero approfondite, studiate, collocate nelle cronache dell'epoca.»

    E poi, decisamente impermalita, pensando di non trovare argomenti per schiodarmi dal mio [finto] scetticismo e, gelida in ogni vena come scrive Vivaldi, mi sfida velenosetta «Se non credi nella mia professionalità potresti almeno accettare le impressioni dettate dal mio istinto femminile. O non credi neppure nell'istinto femminile?»

    Dio me ne scampi! E chi le dice di no? Però qualcosa in più glielo devo strappare.

    «Continuo a non afferrare. Non comprendo cosa ci sia da approfondire al di là di un ritratto o bozzetto che presentano delle analogie.»

    «Continui a non voler capire. Me lo fai apposta. Non si tratta di analogie. Ripeto per l’ennesima volta: il bozzetto che ho visto io, custodito presso l' Archivio di Stato o in un altro posto che prima o poi mi verrà in mente, è di Raffaello ma risale a 216 + 18 anni dopo la sua morte. Mi segui?»

    «Con difficoltà.»

    «Insisti per contrariarmi. Voglio impormi di essere calma e tollerante. Cercherò di convincerti con argomenti circostanziati.»

    «Te ne sono grato.»

    «Tu sai che Raffaello è morto improvvisamente a trentasette anni?»

    «Sì, me lo hanno riferito.»

    Heleonor, Iupiter tonans in gonnella, mi indirizza un’occhiata di disapprovazione ma poi prosegue.

    «E dove muore?»

    «Dove muore?» [come faccio a non saperlo?!]

    «Proprio nel letto di Fornarina.»

    «Posso assicurarti che è l’aspirazione della maggior parte degli uomini concludere il percorso terreno in simile modo,» dico io «gran bella morte quella di Raffaello.»

    «Sei un maschilista irrecuperabile» mi bolla sconfortata «e fai di tutto per scoraggiarmi. Ma non ci riuscirai. Andiamo avanti. E come muore?»

    «Come muore?»

    «Non è chiara la ragione della sua morte.» Dice Heleonor. «Tutti si rifanno a quanto scrive il Vasari ma la sua ‘cronaca’ ha ampi spazi oscuri. E lui, non è sempre attendibile nelle sue ricostruzioni delle vite dei grandi pittori.»

    Mentre parla, sempre più accalorata, tira fuori dal suo borsone un libro apparentemente antico, intitolato: Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori.

    Lo conosco. Si tratta di una riproduzione del libro di Vasari facilmente reperibile nelle bancarelle di piazza Cavour. Un’edizione che sta ottenendo successo tra gli pseudo storici innamorati del contatto con pagine ingiallite artificialmente che ricalcano, in modo opinabile, i tipi dell’epoca.

    Mentre lei legge con l’animo acceso da un fervore e un entusiasmo interiori per me sproporzionati, do una sbirciatina al libercolo.

    … Raffaello continuò fuor di modo i piaceri amorosi, onde avvenne ch’una volta fra l’altro disordinò più del solito; perchè tornato a casa con una grandissima febbre, fu creduto da’ medici che fosse riscaldato; onde non confessando egli il disordine che aveva fatto per poca prudenza,

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