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Un canto nell'oscurità
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Un canto nell'oscurità
E-book115 pagine1 ora

Un canto nell'oscurità

Di Yami

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Info su questo ebook

Fin dove sareste disposti a spingervi per vendicare la morte dei vostri cari? Seguendo le tracce lasciate dalla misteriosa creatura che lo ha privato degli affetti, il venticinquenne Alex si sposta da un capo all’altro degli Stati Uniti per anni. Le ricerche si arrestano nei pressi di una lugubre villa ai confini del mondo. La dimora, occupata dalla contessa Reed e dagli ambigui membri della sua servitù, è in fermento per i preparativi di una grande festa, ma un presagio sinistro incombe su ogni cosa. E nell’oscurità della notte Alex riconosce un canto familiare...

Yami (nota anche come Yami Yume) ha esordito con il romanzo Immagina (Sangel Edizioni 2011 – 2013; Libro Aperto International Publishing 2014 – inizio 2016). In seguito ha pubblicato le raccolte di racconti fantasy Black & Noir e Il bambino di latte e altre storie con Kimerik. Si è aggiudicata diversi riconoscimenti e altre sue opere sono presenti in 36 raccolte di autori vari. Attualmente collabora con Kimerik e Full D’Assi Magazine.
Un canto nell'oscurità è annoverato tra i 200 libri più belli d'Italia finalisti al Premio Letterario Tre Colori - Inventa un Film 2022.
 
LinguaItaliano
Data di uscita14 ott 2022
ISBN9791222010809
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    Anteprima del libro

    Un canto nell'oscurità - Yami

    Yami

    Un canto nell’oscurità

    ***

    immagine 1

    Capitolo I

    IN VIAGGIO

    넌 내가 흘린 피 냄새를 맡고 돌아와

    틈만 노리는 사냥개 같아

    (Senti l'odore del sangue che ho versato e torni

    come un cane da caccia che punta a un varco.)

    [Bing Bing, Oneus]

    L’asfalto è rovente. Sono in viaggio dall’alba e finora non ho incontrato altro che desolazione e abbandono. In dieci ore di tragitto il panorama è rimasto invariato: l’autostrada prosegue sempre dritta e su entrambi i lati è costeggiata da immense distese di erba secca e alberi dai rami spogli.

    C’è ancora luce, ma non manca molto al tramonto.

    Mi sembra di aver raggiunto il punto in cui finisce il mondo. Se vivessi in un’altra epoca, non stenterei a credere che la terra sia piatta e che questo sia il suo capolinea. In sottofondo, lo stereo dell’auto rimanda le note di una canzone malinconica, in perfetta sintonia col mio stato d’animo.

    Odio l’inerzia e il silenzio. Stare fermo ad aspettare a lungo nello stesso posto mi mette ansia: finisco per perdermi dentro la mia testa e sono stanco di essere tormentato da immagini orribili. Per questo ho deciso di lasciare la casa di J.J. una settimana fa e riprendere le ricerche della maledetta creatura che mi ha rovinato la vita, anche se gli indizi che stavo seguendo sembrano essersi interrotti all’improvviso.

    L’entità ha continuato a giocare con me per anni, fino a qualche giorno fa, quando improvvisamente ha smesso di far cadere briciole di pane. Ho sfogliato i giornali e seguito i notiziari per intere giornate, in cerca di un collegamento qualunque con eventuali avvistamenti o fenomeni inspiegabili, ma non è successo nulla. Alla fine, ho salutato J.J. e mi sono rimesso sulla strada.

    Ormai la vendetta è la mia unica ragione di vita. Lei lo sa e ne è felice: me lo ha fatto capire quando ha iniziato a lasciare tracce del suo passaggio in tutte le case in cui è stata. Le ha seminate di proposito, in modo che solo io potessi individuarle tra i brandelli di carne e ossa. In tutti i luoghi in cui mi ha guidato mi sono imbattuto in altri esseri altrettanto meschini, che ho provveduto a togliere di mezzo con la medesima brutalità che quelle solitamente riservano alle proprie vittime. Non è mai intervenuta mentre decapitavo una sua simile. Non si è mai lasciata trovare sul posto.

    Come al solito, seguendo la catena dei pensieri mi sono estraniato. Soltanto adesso che l’ho spezzata mi rendo conto della sagoma scura che è entrata nel mio campo visivo. Inchiodo bruscamente e mi volto a fissare un’immensa villa dall’aspetto fatiscente, che si erge al centro di una piccola collinetta sul lato destro della strada. Un cancelletto di legno piuttosto malandato si apre su una sassosa stradina che si snoda per circa un centinaio di metri, fino al portone principale.

    La costruzione sembra molto antica.

    È il primo edificio in cui m’imbatto dopo aver macinato centinaia di miglia in questa parte del globo e ho l’impressione che sia anche l’unico. Avrei bisogno di una doccia e di cibo vero. Da quaggiù la casa sembra deserta. Magari è una di quelle abitazioni abbandonate e infestate dai fantasmi. Tuttavia, l’idea di proseguire oltre e rischiare di dover passare un’altra nottata insonne in questo stretto abitacolo è una prospettiva ancor meno allettante.

    «Potrei dare un’occhiata» mormoro tra me.

    Faccio manovra e imbocco la salita con decisione. Parcheggio il veicolo a pochi metri dai gradini dell’entrata. Scendo, tiro fuori dal portabagagli il logoro borsone grigio in cui sono conservati i miei pochi averi terreni e sulla spalla destra mi carico lo zaino dove tengo il portatile, l’agenda con i miei appunti e gli altri documenti.

    Vista da vicino, la villa sembra ancora più imponente. Prima non mi ero accorto del fitto boschetto di pini che parte dall’ala sinistra e pare proseguire sul retro.

    Le tende sono tirate, eppure mi sembra di scorgere una luce che filtra dalle camere del primo piano. Che io sappia, i morti non hanno bisogno d’illuminazione. È anche vero che esistono un’infinità di altre creature che potrebbero annidarsi in un luogo del genere, libere di attirare ignari viandanti e farli sparire: non c’è un’anima nel raggio di svariate miglia, nessuno verrebbe a sapere niente. Ma, sinceramente, sono stanco di farmi continui film mentali sui potenziali pericoli che potrei incontrare. J.J. mi direbbe di smetterla di pensare sempre al peggio e di provare a rilassarmi ogni tanto.

    Mi avvicino ai battenti in quercia e osservo con curiosità le teste di leone scolpite in altorilievo su ciascuna anta. Ogni felino stringe tra i denti un grosso anello di ferro. Afferro quello di destra e lo batto contro la porta. Poi infilo le mani in tasca e tendo le orecchie per cercare di cogliere eventuali rumori dall’interno della villa.

    I chiavistelli scattano all’improvviso, facendomi sobbalzare, e il portone si apre scricchiolando.

    Prima di varcare la soglia, getto un’occhiata nell’atrio semicircolare. L’interno è illuminato unicamente da candelabri appesi alle pareti. Al centro della sala c’è una grande scalinata dello stesso legno lucido e massiccio del portone ed è coperta da un lungo tappeto di velluto rosso scuro.

    La prima rampa termina su un pianerottolo sormontato da quello che sembra un enorme quadro coperto da un drappo nero. Da qui partono altre due rampe che conducono al secondo e al terzo piano, seguendo direzioni opposte: quella di destra procede sul lato ovest della villa, invece andando a sinistra si accede all’ala est.

    Mentre osservo questi dettagli, nella mia mente si affaccia una domanda: Chi ha aperto?

    Capitolo II

    LA VILLA

    날 가둘수록 보란 듯 엇나가 잘 봐

    끝을 보길 원한다면 자극해 봐

    이건 너를 위한 One advice

    Best take my own advice

    (Più mi intrappoli più sembra andar male, guarda bene

    Se desideri vedere la fine prova a stimolarmi

    Questo è un consiglio per te

    Faresti meglio a seguire il mio consiglio.)

    [Advice, Taemin]

    «Posso aiutarla?»

    Mi volto di soprassalto. Un ometto di bassa statura, canuto ed emaciato mi sta squadrando dalla testa ai piedi con un’espressione indagatrice che mi mette a disagio. Sembra piuttosto anziano, ma non saprei inquadrarlo in una fascia d’età definita, colpa anche della scarsa luminosità. I suoi piccoli occhietti paiono brillare di una luce inquietante. Indossa una specie di livrea da maggiordomo, con tanto di guanti bianchi. Ha l’aspetto di un valletto d’altri tempi. Dev’essere stato lui ad aprirmi, ma non ho minimamente notato la sua presenza finché non ha aperto bocca.

    «È lei il proprietario?» chiedo, più per cercare conferme del contrario.

    «No, io sono Gray, il maggiordomo» risponde quello in tono piatto.

    «Mi scusi per questa improvvisata» esordisco impacciato. «Sono in viaggio da parecchie ore. Sono già le cinque e mezza del pomeriggio e tra un po’ comincerà a fare buio. Questo è stato l’unico edificio in cui mi sono imbattuto finora, così ho pensato...» mi gratto la nuca con fare incerto. «Potrebbe chiedere al padrone di casa se può ospitarmi per questa notte? Se non è troppo disturbo, s’intende».

    «Mi segua». Si volta e s’incammina verso un bancone circolare posto a destra della scalinata. «Non capitano molti viaggiatori da queste parti, tuttavia restiamo sempre a disposizione tutto l’anno: del resto non si può mai sapere se e quando qualcuno possa passare proprio da qui».

    «Oh, ma allora è un albergo?»

    «Non proprio. Diciamo che lei non è il primo che chiede ospitalità alla signora».

    «Capisco» commento, anche se continuo a rimanere un po’ perplesso. «L’edificio è molto grande e silenzioso. Dev’essere un posto un po’ solitario per una donna».

    «Oh, tutt’altro!» esclama il vecchietto, che nel frattempo ha fatto il giro del bancone e ha tirato fuori un registro di pelle da uno dei cassetti. «Lady Reed è una persona mondana. Quattro volte l’anno, per la precisione nell’ultimo sabato del mese designato, la villa diventa

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