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Minus Habens
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E-book175 pagine2 ore

Minus Habens

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Info su questo ebook

Lina è un'anziana insegnante di latino in pensione. Dopo molti tentativi falliti, il figlio Massimo riesce ad assumere Elga, una badante che finalmente le va a genio. Tra le due donne si instaura un rapporto dalle multiformi sfaccettature.
Il ritrovamento di un cadavere irriconoscibile in un fosso della campagna ferrarese intreccerà in modo imprevedibile le loro storie così distanti.
LinguaItaliano
Data di uscita26 lug 2023
ISBN9788868105341
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    Anteprima del libro

    Minus Habens - davide nani

    cover.jpg

    Davide Nani

    MINUS HABENS

    Prima Edizione Ebook 2023 © Damster Edizioni, Modena

    ISBN: 9788868105341

    Immagine di copertina su licenza:

    https://stock.adobe.com/

    Damster Edizioni è un marchio editoriale

    Edizioni del Loggione S.r.l.

    Via Piave 60 - 41121 Modena

    http://www.damster.it e-mail: damster@damster.it

    catalogo su

    www.librisumisura.com

    img1.png

    Davide Nani

    MINUS HABENS

    Romanzo

    img2.png

    Indice

    Prima parte  

    1

    2

    3

    4

    5

    6

    7

    8

    9

    10

    11

    12

    13

    14

    Seconda parte

    15

    16

    17

    18

    19

    20

    21

    22

    23

    24

    25

    26

    27

    28

    29

    30

    31

    32

    33

    34

    35

    36

    Epilogo

    L’AUTORE

    CATALOGO

    ...a chi ci protegge, in qualche modo.

    Prima parte

    1

    — Oggi signora Lina giro speciale al camposanto! — annunciò Elga spalancando la porta.

    — Sempre che non ci sia altro da fare.

    L’anziana professoressa si illuminò sciogliendo la smorfia severa dal volto.

    — Vuoi scherzare bambina? Corri a prendere il mio vestito blu e usciamo subito, questo sole è una perla rara in questa stagione di nebbie.

    Con qualche difficoltà Elga inserì la sedia a rotelle e il bastone treppiede sui sedili posteriori della Mercedes e le due partirono con il piglio di chi sta per fare una scampagnata fuori porta.

    — Fermati lì! — intimò Lina indicando il distributore della benzina.

    — I miei occhi sono vecchi e si abbagliano con quella spia rossa sul cruscotto, mi sembra il sole all’alba sul mare.

    Estrasse poi due banconote da venti euro dalla borsetta.

    — Ma signora... sono troppi.

    — Lo so! Guarda che chi sa il latino è bravo anche con i conti. A occhio e croce questo carrozzone beve più del tuo fidanzato.

    Lina separò le banconote nelle due mani, con la destra ne mise una in mano a Elga e con la sinistra si introdusse nella scollatura della badante, depositando il prezioso biglietto nel reggiseno.

    — Questi sono per te, non voglio che la macchina sia troppo piena per il minus habens, e lì non te li rubano.

    Elga arrossì, non tanto per l’audacia del gesto della vecchia, ma per la gratitudine. Lina aveva capito ciò che era un po’ difficile ammettere, ovvero il motivo per cui era un bene che l’auto avesse poca benzina. Avere il pieno per Victor significava ampliare il raggio d’azione delle sue scorrerie tra bar e macchinette del video poker o, peggio, esagerare con la velocità.

    — Signora Lina, non mi ha ancora detto cosa significa minus...

    — Habens, te lo spiego se parcheggi vicino ai portici di piazza Ariostea, ho voglia di un caffè che sappia di caffè prima di andare alla Certosa, poi di lì se hai voglia possiamo andare a piedi; cioè tu coi piedi, io con le ruote.

    Elga eseguì l’ordine e si ritrovarono sedute come due amiche sotto il portico, davanti a un paio di cappuccini fumanti.

    — Dunque, minus habens alla lettera sarebbe persona che ha di meno, ma diciamo che è un modo gentile, e per molti incomprensibile, per dire che uno è deficiente, come il tuo fidanzato.

    Elga ripeteva la locuzione sottovoce, le piaceva il suono di quella lingua antica.

    — Glielo puoi anche dire in faccia quando ti fa arrabbiare, non capirebbe e non penso che quella bestiaccia abbia il vocabolario di latino a casa, no?

    Elga rise di cuore.

    — Non sa nemmeno leggere bene, ha quella cosa che vede tutto mescolato, lettere e numeri.

    — Dislessico?

    — Sì mi pare. Ho provato anche ad aiutarlo, ma non impara e se insisto si arrabbia.

    — Credo che non sia solo la dislessia il problema — rincarò Lina mentre le ruote della sedia abbandonavano l’affollato portico della piazza e imboccavano quello deserto del palazzo Rondinelli. Lo sguardo della ragazza si alzò istintivamente ad ammirare il soffitto sorretto dalle volte e si distrasse al punto da imprimere alla carrozzina un movimento a zig-zag.

    — Hai gusto bambina. Questo è uno degli angoli più belli di Ferrara, è stato utilizzato per le riprese di diversi film.

    Dopo l’intero giro della piazza, varcarono il cancello della Certosa.

    Non era la prima volta che Elga entrava in quel cimitero, ma ne rimaneva sempre impressionata per la vastità e la quiete. I larghi spazi contrastavano con le viuzze attorno, quasi a far respirare gli occhi. Era la prima volta che la professoressa si faceva accompagnare dentro in carrozzina. Era un atto di confidenza nei confronti di quella ragazza gentile, o forse era un piccolo cedimento all’orgoglio che l’aveva sempre sorretta insieme al bastone durante il percorso alla tomba del marito.

    — Eccolo qui il mio mascalzone! — disse Lina indicando la foto del marito. Si alzò e con un fazzoletto che teneva nella tasca ripulì la foto.

    — Era proprio un bell’uomo. Cos’è quel cappello?

    — Quello è il cappello da bersagliere, sapessi quanto ne andava fiero. Ero poco più che una bambina quando lo chiamarono per il servizio militare, ma ne ero già perdutamente innamorata. Quando è tornato non me lo sono fatto scappare. Avevo sedici anni, ma idee chiarissime. Ero molto attenta perché era bello e, come tutti gli uomini, poco fedele. Tutte me lo insidiavano. Sapessi quanti orecchi ho controllato in paese per vedere se avesse seminato dei figli in giro.

    — Orecchi?

    — Oddio cara, ti devo proprio insegnare tutto. Se c’è una cosa che può identificare un padre è la forma dell’orecchio del figlio. Non si dice da voi? I colori degli occhi si mescolano, anche quelli dei capelli, ma il disegno dell’orecchio, madre natura spesso lo copia tale e quale per generazioni. Guarda quello di Massimo quando lo vedi; ha il lobo attaccato proprio come quello di suo padre.

    — E ne ha trovati?

    — Di che?

    — Di orecchi uguali a quelli di suo marito.

    Lina tacque. A quella domanda così diretta e personale avrebbe risposto a chiunque in malo modo, ma si accorse che con quella ragazza stava così bene da perdere ogni baluardo di riservatezza. Era apparsa nella sua vita come inviata dal destino, una specie di angelo per alleviare i suoi dolori.

    — Non posso dirtelo bambina, dimentica le mie sciocchezze. Sai, invecchiando mi si è allungata la lingua, quando avevo la tua età ero muta e sorda ai pettegolezzi, silenziosa come l’aria che c’è qui. Ti andrebbe di farmi un favore?

    — Tutto quello che posso.

    — Lasciami sola qui per un po’, tieni, comprami dei fiori, il negozio l’hai visto poco fuori il cancello.

    Elga, con la banconota tra le dita, passò in rassegna i suoi doveri e le sue responsabilità ed esitò qualche secondo guardandosi attorno.

    — Bambina vai, per la mezzora che segue ti prometto di non morire e nemmeno di cadere perché me ne sto qui seduta. Fai quel che ti dico e non avere paura.

    Elga cercò di camminare all’indietro per tenere in vista la vecchia il più possibile e poi accelerò il passo verso il negozio di fiori. Il fioraio, illuminato dalla presenza della giovane, cominciò ad attaccar discorso e a perder tempo, tanto che Elga si spazientì e quasi gli tolse il mazzo di gladioli e rose dalle mani. Corse prendendo per errore la via più lunga e finalmente intravide la sedia a rotelle.

    Un tuffo al cuore la colse nel vedere Lina immobile, a occhi chiusi.

    — Signora! — le urlò allarmata.

    — Sì, sì, sono viva. È che sono diventata come una bambina piccola in carrozzina, l’aria mi rilassa e mi dà sonno, meglio che mi porti a casa.

    Dopo un lungo silenzio Lina riprese il discorso su Victor:

    — Certo che se lo portassi dal barbiere per i capelli e se lo facessi sverniciare da tutti quei tatuaggi, anche il tuo ragazzo sarebbe presentabile.

    — Qualche anno fa era bellissimo, come sua madre — disse Elga un po’ malinconica.

    — L’hai conosciuta?

    — Sì, lei non è bielorussa. Una gran signora.

    — Oddio, per generare Victor allora si sarà unita col diavolo in persona.

    — Il papà di Victor ha lavorato a lungo in Finlandia, se l’è sposata e portata al mio paese.

    — E com’era lui?

    — Un brav’uomo all’inizio, poi come tanti è rimasto senza lavoro, ha cominciato a bere ed è diventato un minus…

    — Habens, anche lui. E la finlandese?

    — Lei è una donna forte, ha fatto le valigie e se n’è tornata a casa sua. Victor non le parla più, dice che…

    — Non dirmelo bambina, credo di saper bene cosa dice.

    2

    Victor era l’immagine della furia, camminava in circolo per il cortile, si era alzato tardi e non aveva trovato l’auto.

    Dalla finestra non si vedeva la sagoma della vecchia seduta in poltrona, per cui era facile dedurre che lei ed Elga fossero uscite insieme.

    Era quasi mezzogiorno e sarebbero rientrate, ma per la pazienza del tatuato e per i suoi loschi impegni, era sempre troppo tardi.

    Si parò davanti alla Mercedes in arrivo, intimando a Elga di scendere.

    Con un’inaspettata abilità tecnica, Lina trovò il pulsante per abbassare il vetro del finestrino e farsi sentire.

    — E poi cosa fai? Mi porti in giro con te? O hai intenzione di portarmi di sopra in braccio? Perché non rispondi? Cretino! — disse con calma olimpica la vecchia.

    Il viso di Victor si contrasse, i muscoli sotto gli zigomi ballavano per l’ira. Il ragazzone raccolse i lunghi capelli biondi dietro la testa e si fece da parte.

    Elga lasciò la carrozzina nell’androne d’ingresso e aiutò Lina a salire con il treppiede, mentre una raffica di ghiaia sparata dalle gomme vorticose della Mercedes scivolava sui marmi e un ciottolo frantumava la vetrata.

    — Questa non ci voleva, Massimo si arrabbierà. Per fortuna che ce li hanno venduti come vetri antisfondamento. Nessuno che lavori più come una volta, accidenti. Tutti truffatori, bambina mia.

    — Signora io...

    — Non ti preoccupare, dammi mezzora per arrivare al bagno e sistemo la faccenda. Preparami qualcosa, intanto, mi è venuta fame.

    Lina non aveva perso il buon umore, anzi. Ogni novità buona o problematica pareva rivitalizzarla e spingerla a fare i pochi passi che era in grado di fare.

    Prima di sedersi a tavola fece una sosta sulla solita poltrona vicino alla finestra. Vide i solchi a mezzaluna lasciati dalle ruote di Victor. Aveva rovesciato anche le ortensie quel pazzo, questo era troppo.

    — Bambina che facciamo?

    — Signora, io prima le stavo per dire che…

    — Lo so, lo so, che vuoi pagare la vetrata con i tuoi soldi, magari trattenuti sul prossimo stipendio. O forse vuoi chiedermi di cacciarti, ma non è di questo che parlo.

    — Di che cosa allora?

    — Me lo devi dire tu. Credi che non me ne sia accorta dei lividi? Dei segni rossi che mascheri col fondotinta? Dei giorni in cui fai fatica a chinarti? Mia cara il mio problema sono le gambe, non la vista. Vuoi raccontarmi che sei caduta? Che magari hai una malattia della pelle che lascia quei segni?

    Elga si irrigidì, la sua fragile difesa di quell’orrendo segreto stava crollando in pochi secondi sotto i colpi martellanti delle domande di Lina. Non sapeva cosa rispondere e rimase in silenzio,

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