Liliana Castagnola
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Anteprima del libro
Liliana Castagnola - Paola Farah Giorgi
Bruzzone
Capitolo 1
RIVAROLO (GENOVA), 1921
Da quando suo padre l’aveva chiusa in camera la prima volta, aveva scoperto che era facile dare vita a varianti infinite di possibilità. L’aveva scoperto ascoltando i consigli del gentiluomo dai baffi di meringa.
Fuori, come ogni mattina, gli zoccoli cadenzati dei cavalli alzavano da terra un informe pulviscolo chiaro, tanto simile a una nuvoletta di cipria. Nella direzione opposta, un tram del colore delle olive percorreva le sue rotaie con la stanchezza nelle ossa tipica di chi, quel percorso, lo ha già vissuto troppe volte, avanti e indietro, identico ogni giorno. Accompagnato da un leggero mugolio, il carro si fermò in prossimità della cartoleria. Al sonoro sbadiglio del cocchiere, i cavalli scossero entrambi le criniere biondicce e Liso scese.
Come ogni mattina alla stessa ora, Milla, quattordici anni compiuti da una manciata di giorni, rimase a osservarlo dalla finestra scostando appena appena la tendina bianca. Non si era ancora ravvivata i capelli e si sentiva in disordine. Concentrata sulle movenze del ragazzo, non si accorse neppure della sottile falce di luna che tardava a sfumare e che, in altra occasione, avrebbe estasiato i suoi occhi per la delicatezza e l'eleganza del tratto.
Ventidue passi esatti a falcate agili, lui arrivò al negozio e, come sempre, prima d'infilare la chiave, perlustrò i vetri dall'alto al basso e dal basso all'alto, analizzando infine l'insegna come avesse un innato timore che potesse staccarsi e cadere a terra da un momento all'altro. Bella, carnale e affascinante, quell'insegna, quasi da Cafè Chantant. Milla ne adorava le lettere in perfetto corsivo dorato, allettanti e morbide sulla forma di latta a base blu notte: Cartoleria Palmieri.
Il celeste del cielo iniziava ora a illuminarsi; una scheggia di sole sfidò l'apice della collina oltre il caseggiato, penetrando i rami fitti dei castagni sino a raggiungere il viso di Milla, sempre seminascosto dalla tendina bianca, sempre fisso su Liso, il nuovo commesso della Cartoleria Palmieri.
Ecco, adesso Liso entra, poi esce subito dopo. Ha in mano una scaletta di legno a tre gradini pitturata di verde. Nell'altra mano ha lo straccio bello grosso, come ogni mattina. Si ingegna a lucidare i vetri soffiandoci sopra l'alito e si allunga il più non posso per raggiungere le parti in alto dove passa solo lo straccio senza alitarci, perché lì non ci arriva. Poi scende, sposta la scaletta di volta in volta, si mette a distanza, cerca eventuali aloni, risale, rilucida, ci sta mezz'ora, se non di più. Nel frattempo, un nuovo giro del tram; nel frattempo, arriva in piazza un secondo carro con un carico indecifrabile. Si ferma qualche secondo poi procede verso il porto.
Non appena Liso si richiuse alle spalle la porta della cartoleria, diventando invisibile, Milla socchiuse gli occhi respirando forte, quasi ansimando, una mano calcata sul cuore a trattenerlo. Sarebbe tornata alla finestra a mezzogiorno in punto quando lui finiva il turno del mattino e Palmieri in persona arrivava.
Mise a posto la tendina, si ravvivò i capelli passandoci dentro le dita. Odiava quei capelli biondo cenere uguali a sua nonna, gli occhi troppo chiari di suo padre, tutto insipido, sbiadito. Liliana invece era scura, scurissima, avrebbe voluto essere lei. Tutti ne parlavano, o ne tacevano. Faceva quasi paura, Liliana, tutta nuda.
Se il mondo avesse iniziato miracolosamente a girare al contrario, forse avrebbe avuto qualche chance anche lei di assomigliarle almeno un poco, e di viaggiare di città in città in tutta Europa, anche a Parigi, ma il mondo non sarebbe mai girato al contrario, neppure per miracolo, neppure se fosse andata tutti i giorni in ginocchio al Garbo ad accendere ceri su ceri, scorticandosi la pelle. No, non sarebbe mai successo. Digiuno e preghiera, diceva la nonna, difficile crederle. Anzi, secondo il gentiluomo dai baffi di meringa non era assolutamente il metodo giusto, quello della nonna.
«Milliiiiiin? Va tutto bene?? Io esco.»
«Sì, mamma, vai.»
«Quando torno ti faccio uscire cinque minuti, ma non dirlo a tuo padre.»
«Sì, mamma, va bene.»
Click click, due giri di chiave, la madre uscì.
Finalmente sola, Camilla Natalina Pasqualina, detta Milla e anche Millin, si tolse da dosso la camicia da notte a fiorellini, secondo lei patetica, mentre sua madre, tutta in grigio, apriva ora la porta per andare al mercato e suo padre, austero, era già fuori dalle sei col panciotto colore dell'ombra e le calze a righine marron.
Scivolare al di là fu facile, più facile del previsto.
Prese il batuffolo di ovatta che aveva nascosto nel comodino il giorno prima e lo divise in due, modellandone prima una parte e poi l’altra con le dita. Con esso si tappò per bene le orecchie. Poi si mise seduta sul letto, le mani sulle ginocchia, gli occhi stretti stretti, ingoiando il respiro più volte. Ebbe un brivido di freddo, ma passò quasi subito. Il trucco era tuffarsi senza paura, con l'aiuto del cotone nelle orecchie come le aveva suggerito il gentiluomo dai baffi di meringa.
«Ti aiuterò io» le aveva detto, «e sarò là ad aspettarti. Se vuoi incontrare Liliana, questo è il momento giusto.»
In quei giorni era a Genova in convalescenza, ma il gentiluomo non le aveva detto di più, neppure il perché, soltanto che avrebbe riprovato a stare in scena di fronte a poche persone, in una semplice osteria. Temeva, Liliana, di non riuscire più a cantare; voleva mettersi alla prova, ricominciare poco a poco e, soprattutto, capire se questo era possibile o se la sua carriera fosse già morta sul nascere.
Capitolo 2
VIA DELLA MADDALENA (GENOVA), 1921
«Ci sei riuscita, visto?»
L’osteria di Carmine alla Maddalena raccoglieva umori vari e un denso odore di vino rosso. L'opacità del fumo sfumava il contorno delle chitarre che, appese al muro giallo, promettevano quattro note come sottofondo all’abitudine e alla fatica del giorno che, ogni sera, annegava lì, nei bicchieri. Una settantina di metri quadrati o poco più, il soffitto a volta, un bancone massiccio col piano rivestito di latta e lui, Carmine, dai capelli di corvo e la pelle dura sulle guance, un napoletano sbarcato a Genova per caso.
Due dita di vermouth Carpano roteavano nel movimento circolare con cui il gentiluomo dai baffi di meringa si trastullava. Il gioco era fatto. Milla aveva sulle labbra un velo di stupore ma sembrava a suo agio. Si stava bene lì, in osteria, così bene da essere tentati di rimanerci per sempre. Si era messa in una panca appoggiata al muro, un po' in disparte.
«Ci sei riuscita, visto? Non è difficile. Ora mi credi?»
Lei rispose con un largo sorriso, niente parole, per non rischiare di perdere la frenesia di quell’avventura inaspettata che, strano a dirsi, stava vivendo per davvero. Liliana non c’era ancora. Sarebbe arrivata? Forse era già dentro, nel retro della bottega a farsi bella.
Quando, poco dopo, un giovane alto, con la riga dritta e le basette alla Rodolfo Valentino, sfilò dal suo tavolo e dal suo bicchiere per allungare un braccio e acchiappare una chitarra, pensò che il momento atteso stesse forse per giungere. Immaginò Liliana dietro la tenda rossa ad aggiustarsi labbra e ciglia con lo specchio in mano, un ultimo ritocco prima di entrare in scena.
Milla si versò un goccio d'acqua dalla caraffa e prese a sorseggiarlo come fosse rosolio.
La tenda ondeggiava mossa dall’incertezza. Che strano essere lì, a due passi da Liliana che non si decideva a uscire e, soprattutto, che strano essere lì anche senza digiuno e preghiera, anche senza ginocchia scorticate e odore di chiesa. No, nulla di tutto questo. I miracoli accadono lo stesso.
A Liliana Genova mancava, ogni volta. Sempre in tournée, lontano dalla sua città, felice e triste, triste e felice, stretta in un sentimento ambivalente che anche Milla sentiva dentro, come se un qualcosa appartenesse a entrambe, forse un pezzetto d’anima.
Il giovane alto, alla Rodolfo Valentino, aveva iniziato a riscaldarsi le dita con qualche accordo e, nel frattempo, era entrato in osteria anche un uomo con una catena al collo e una grossa fisarmonica.
La tenda alle spalle di Carmine era sempre chiusa, ondeggiante appena.
Milla si accarezzò sulle ginocchia l'abito di velluto verde che le scendeva sino ai piedi, un abito di altri tempi, da principessa, focalizzando solo in quel momento che nessuno sembrava accorgersi della sua presenza. Si girò di scatto verso il gentiluomo dai baffi di meringa interrogandolo con gli occhi.
«L’abito ti sta molto bene, e anche l’acconciatura, se posso permettermi» rispose lui. Milla d’istinto si toccò i capelli, le ciocche intarsiate da piccole perle.