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Bugie omissioni crimini del Risorgimento. Quando il Sud era il primo Stato italiano: Quando il Sud era il primo stato italiano
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Bugie omissioni crimini del Risorgimento. Quando il Sud era il primo Stato italiano: Quando il Sud era il primo stato italiano
E-book398 pagine5 ore

Bugie omissioni crimini del Risorgimento. Quando il Sud era il primo Stato italiano: Quando il Sud era il primo stato italiano

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Info su questo ebook

Frutto di intense ricerche sul campo e dello studio di numerosi documenti dell'epoca, Bugie omissioni crimini del Risorgimento dello storico Orlando Fico fornisce al lettore un quadro completo e preciso del sud pre-unitario: la sua giovane e audace industria, le sue moderne politiche di welfare, i passi in avanti compiuti verso la modernità e la sciagura dell'annessione sabauda. Un testo chiave per comprendere l'attualità storica ed economica dell'Italia di oggi.
LinguaItaliano
Data di uscita28 dic 2019
ISBN9788833464923
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    Bugie omissioni crimini del Risorgimento. Quando il Sud era il primo Stato italiano - Orlando Fico

    Bugie Omissioni Crimini del Risorgimento Quando il Sud era il primo Stato italiano

    di Orlando Fico

    Direttore di Redazione: Jason R. Forbus

    ISBN 978-88-33464-92-3

    I edizione: novembre 2012

    II edizione ampliata: dicembre 2013

    I edizione Ali Ribelli Edizioni: gennaio 2020

    Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, 2020©

    Saggistica – Briganti

    www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com

    È severamente vietata la riproduzione, anche parziale del testo, effettuata con qualsiasi mezzo, senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.

    Orlando Fico

    BUGIE OMISSIONI CRIMINI DEL RISORGIMENTO

    Quando il Sud era il primo Stato italiano

    Edizioni

    Alle mie dilette Anna, Rossella e Stefania

    Sommario

    Prefazione

    Premessa

    I. Il Regno delle Due Sicilie e Vittorio Emanuele II

    II. L’Italia nel 1860 e Giuseppe Garibaldi

    III. Bugie, bugie, ancora bugie!

    IV. I buoni e i cattivi

    V. I moti del 1820 nel Napoletano e a Palermo

    VI. I moti del 1821 in Piemonte

    VII. I moti del 1831 e Giuseppe Mazzini

    VIII. I moti mazziniani 1832-1845

    IX. Riforme e Costituzioni 1846-1848

    X. Inizia la babele!

    XI. Re Tentenna e la sua ‘quarantottata’

    XII. In piena babele, ovvero il Quarantotto!

    XIII. Fine della babele (prima parte)

    XIV. Fine della babele (seconda parte)

    XV. Ma quale unità… ognuno per sé!

    XVI. Una mente diabolica: Camillo Cavour

    XVII. Dieci anni di macchinazioni (prima parte)

    XVIII. Dieci anni di macchinazioni (seconda parte)

    XIX. Dieci anni di macchinazioni (terza parte)

    XX. 1859-1860: la guerra e l’assurda farsa dei plebisciti

    XXI. Ma chi erano i Borbone?... e i Savoia?

    XXII. Il Sud, la parte più ricca d’Italia

    XXIII. Mille straccioni alla ‘conquista’ del Sud

    XXIV. Come Gallobardo & C. congiurarono contro il Sud

    XXV. Nino Bixio, la ‘belva’ di Bronte

    XXVI. È guerra civile: il Sud non vuole l’unione con il Nord!

    XXVII. È guerra civile: il Sud nei lager del Nord!

    XXVIII. È guerra civile: il Sud nel caos totale!

    XXIX. Il Sud esplode!

    XXX. Il Sud in fiamme! (prima parte)

    XXXI. Il Sud in fiamme! (seconda parte)

    XXXII. Al Sud il terrore del Nord!

    XXXIII. Al Sud l’arte del boia! (Prima parte)

    XXXIV. Al sud l’arte del boia! (seconda parte)

    XXXV. Al Sud i barbari del XIX secolo!

    XXXVI. Al Sud fiumi di sangue!

    XXXVII: Il Sud rapinato… vilipeso… distrutto…! (prima parte)

    XXXVIII. Il Sud rapinato… vilipeso… distrutto…!(seconda parte)

    XXXIX. Il Sud rapinato… vilipeso… distrutto…! (terza parte)

    XL. Il Sud, bottino degli avvoltoi liberali liberatori!

    Quali i ‘frutti’ della Mala Unità?

    Prefazione

    Simultanee alle celebrazioni dell’Unità d’Italia, che hanno riacceso l’interesse e la riflessione sul Risorgimento, riesaminato in una miriade di pubblicazioni celebrative, si sono levate più vive e consapevoli anche le voci critiche e revisioniste che auspicano una diffusione capillare delle loro argomentazioni fino a comportare l’aggiornamento dei testi scolastici, depurati dall’aura mitica e retorica che circonda quel periodo della storia patria.

    In realtà un tentativo di intendere diversamente la vicenda risorgimentale è coevo agli stessi avvenimenti, se Mazzini ipotizzò sul suo giornale Italia del popolo che Cavour avesse a cuore non tanto l’Unità d’Italia quanto l’ampliamento del potere sabaudo.

    La disputa continuò per tutto il Novecento ed ebbe al centro la piemontesizzazione della penisola.

    Francesco Saverio Nitti, ad esempio, se pure non ascrivibile nel novero degli antiunitari, stigmatizzò l’iniqua distribuzione dei benefici, a vantaggio delle classi del nord e dei più abbienti, scelte che imposero il sorgere della tuttora irrisolta questione meridionale.

    Dalla loro posizione ideologica, anche Gobetti e Gramsci parlarono più o meno di una rivoluzione fallita, perché incapace di coinvolgere le masse in un processo di miglioramento sociale e culturale.

    Lo stesso Denis Mack Smith ebbe parole veementi contro Cavour.

    Uno degli aspetti considerati importanti sul piano del dibattito revisionistico è l’assetto economico delle regioni meridionali prima della spedizione dei Mille, florido e all’avanguardia in molti campi, come, per esempio, dimostra la costruzione della prima ferrovia tra Napoli e Portici, voluta dai Borbone o altre intraprese di rilievo tecnologico.

    A voler ripercorrere in maniera esauriente ed equidistante le tappe del confronto servirebbe un libro apposito.

    La breve disamina intende solo provare che quasi ogni intellettuale, non semplicemente lo storico, si è cimentato con la complessa questione dell’Unità d’Italia, spesso valutando i fatti attraverso convinzioni personali e inficiando, quindi, la stima in un senso e nell’altro col pregiudizio. In realtà non sembra si sia ancora raggiunto un equilibrio condiviso e le posizioni continuano a mantenersi distanti. Il dibattito insomma ai giorni nostri è ancora fiammeggiante, a dispetto di quanto scrisse Balbo, ossia che la decadenza della terra italica era tale che per sorgere e lavarsene qualsiasi guerra andava bene.

    L’analisi non ha un solo oggetto di discussione, anzi il numero degli argomenti posti sul tavolo è elevato. Si segnalano, per indicare i capitoli più rilevanti, l’illegittimità che la casa sabauda intraprendesse la discesa verso il sud, le conseguenze devastanti della conquista sul sistema economico e sociale, che ebbe risvolti persino tragici, i rapporti con le potenze straniere e le loro interferenze nell’impresa, per citare solo i più rilevanti.

    L’opera di Fico s’inserisce a ragione nella controversia sul significato sostanziale del nostro Risorgimento e l’ampiezza del lavoro è tale da non tralasciare nessuno dei ragionamenti antichi e recenti affiorati nella querelle.

    Colpisce la razionalità del metodo d’indagine. Fico si muove con sicurezza tra documenti e giunge alle fonti, affronta una ricerca minuziosa per supportare con prove le sue argomentazioni, tanto da fornire un saggio accattivante alla lettura, spesso sorprendente per i giudizi, sostenuti da verifiche puntigliose negli archivi.

    In realtà si tratta di un’opera poderosa che racchiude non solo una tesi, talora sostenuta con determinazione, ma vi è incluso l’intero itinerario storico del periodo in esame, tanto da fare di BUGIE OMISSIONI CRIMINI DEL RISORGIMENTO un testo solido da leggere e rileggere. Il lettore vi troverà espressi in maniera semplice e adeguata tutta la vicenda del periodo, dettagli e miserie umane della vita di tanti protagonisti incoronati dalla consuetudine come eroi. Fico mette a disposizione delle popolazioni del nord, ma soprattutto del sud umiliate ingiustamente, la vera storia, indagando la questione meridionale attraverso le politiche protezionistiche avviate a salvaguardia della nascente industria del nord, avverse ai prodotti agricoli del sud, e la spoliazione sistematica delle risorse, con le famiglie spesso private di braccia da avviare alla leva obbligatoria: tutto per risanare il deficit di guerra.

    Non vorrei essere riduttiva rispetto alla ricchezza e varietà delle ragioni del libro, ma, appunto per questo, è ben difficile dipanarne un unico filo.

    Fico non è un ingenuo idealista. Ha praticato la storia in anni di insegnamento e da lì ha iniziato il suo percorso di ricerca e messa a punto delle sue idee. Oltre tutto ha meditato sulla sua visione, perché l’opera è pronta da tempo e qualche passaggio è anche presente sul web.

    Mi venne anche in mente che all’Università avevo seguito un corso sul cosiddetto brigantaggio meridionale, presentato allora come fenomeno di delinquenza comune, di secondaria importanza. Tutto ciò mi spinse a riguardare la storia del Risorgimento con occhio diverso, a rivedere le varie vicende con maggiore attenzione. Volevo capire, chiarire dubbi e contraddizioni. Potei così scoprire che quei dubbi e quelle contraddizioni erano frutto di una narrazione spesso lacunosa, parziale, non veritiera.

    E più avanti sempre dalla Premessa:

    Ne venne fuori una storia lontana dalla realtà, fortemente impregnata di retorica, poco credibile e fonte di incertezze e contraddizioni.

    Nel capitolo intitolato Il sud rapinato… vilipeso…distrutto!, scrive: I nuovi governanti erano decisi a tutto pur di assoggettare la popolazione ex borbonica: per stroncare ogni possibile resistenza era necessario operare con estrema determinazione proprio come aveva fatto la loro protettrice Inghilterra in India e in Australia.

    Si potrebbe tentare anche una lettura psicologica dell’opera, perché il sentimento di appartenenza a una terra che poteva scrivere ben altrimenti la propria avventura si coglie in ogni riga, accanto all’urgenza non più procrastinabile di un riscatto, almeno attraverso il cambiamento culturale di prospettiva, rispetto alla ormai secolare ingiustizia subita.

    Fortuna Della Porta

    Premessa

    Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e a fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di infamare col marchio di briganti.

    Antonio Gramsci

    L’idea di rivedere la storia del Risorgimento balzò con prepotenza nella mia mente in occasione di una visita quasi casuale ai resti dell’Antica Armeria Borbonica di Mongiana nei pressi di Serra San Bruno (Vibo Valentia). Durante gli anni dei miei studi mi ero imbattuto in questo toponimo, Mongiana, ma al momento non avevo dato molta importanza alla cosa. Era mia intenzione chiarire in un tempo successivo diversi argomenti della storia risorgimentale che erano apparsi poco convincenti o contraddittori. Purtroppo di rinvio in rinvio molto tempo passò fino a quando finalmente non decisi di visitare proprio quella località. Avrei potuto così assumere in loco anche qualche informazione per capire l’eventuale nesso con il Risorgimento e soddisfare la mia curiosità. Ma non fu una comune visita. Infatti quello che notai a ridosso del centro abitato di Mongiana era una prova tangibile di un mondo rimasto fino a quel momento del tutto sconosciuto: ero tra le rovine dell’Antica Armeria, una delle prime e più importanti aziende che i Borbone avevano fondato nel Regno delle Due Sicilie già intorno al 1770 agli albori della rivoluzione industriale. Appresi inoltre che dopo il 1860 essa fu smantellata e i macchinari vennero trasportati nell’Italia Settentrionale. Caddi completamente dalle nuvole: mai avrei immaginato (e come avrei potuto dopo quello che avevo invariabilmente appreso a scuola e attraverso tanti altri messaggi a senso unico!?) che proprio la Calabria, oggi purtroppo tra le ultime nel processo di sviluppo del nostro Paese, fosse invece una delle prime regioni nelle quali la rivoluzione industriale aveva fatto la sua comparsa in Italia. C’era qualcosa di strano! Il mio pensiero corse allora ai ‘famosi’ dubbi emersi nel corso degli studi. Mi venne anche in mente che all’Università avevo seguito un corso sul cosiddetto brigantaggio meridionale, presentato allora come fenomeno di delinquenza comune, di secondaria importanza. Tutto ciò mi spinse a riguardare la storia del Risorgimento con occhio diverso, a rivedere le varie vicende con maggiore attenzione. Volevo capire, chiarire dubbi e contraddizioni. Potei così scoprire che quei dubbi e quelle contraddizioni erano frutto di una narrazione spesso lacunosa, parziale, non veritiera. Mi resi conto che avevo studiato e insegnato ai miei allievi una storia in parte falsa, ero stato strumento inconsapevole di storiografi prezzolati e doppiamente ingannato. Nei testi scolastici ufficiali ricorrevano spesso con tanta retorica le parole patriottismo, fratellanza, eroismo, liberazione, progresso, ma anche tirannia, oscurantismo, arretratezza. Vi si parlava ad esempio di buoni e cattivi, i buoni i Savoia, i cattivi i Borbone, Garibaldi era osannato come uno che vinceva sempre; vi si leggeva pure che il Sud era arretrato e che era stato oppresso. Poi confrontando, ragionando, sfrondando potei capire che in realtà i Savoia erano i cattivi, i Borbone erano i buoni, Garibaldi era un babbeo che aveva trionfato, perché le sue vittorie erano state concordate a suon di quattrini, il Sud era stato un regno progredito e pacifico. Rimasi scioccato, un universo prima del tutto sconosciuto mi era apparso quasi con prepotenza davanti agli occhi. In quello stesso torno di tempo rimasi colpito pure dalla notizia che gli appartenenti al movimento di Comunione e Liberazione erano stati criticati, perché durante il meeting di Rimini di quell’anno avevano ‘osato’ accostare i cosiddetti briganti meridionali ai partigiani della Seconda Guerra Mondiale, quando sia gli uni, sia gli altri avevano combattuto con i medesimi ideali. Insomma mi resi conto che il Risorgimento ufficiale era infarcito di falsità, contraddizioni ed omissioni, a volte alcune vicende avevano del miracoloso. Tra i tanti episodi strani e inspiegabili della vulgata colpiscono le prime ‘vittorie’ di Garibaldi: come era riuscita a prevalere una massa raccogliticcia e informe di mille sconsiderati su un esercito di professione? La cosa appariva assurda. Approfondendo la conoscenza dell’episodio accertai che tranne qualche vecchio soldato, la maggioranza di quegli sventati era composta di straccioni, vagabondi, individui senza arte né parte, c’erano anche bambini e le vittorie erano finte, erano frutto di accordi precedenti. E il loro capo, Garibaldi, sempre osannato dalla retorica risorgimentale e presentato come eroe addirittura dei due mondi, chi era? Zio Peppe era in realtà un individuo volubile e credulone, insomma una marionetta manovrata da burattinai avidi e spregiudicati! Proseguendo nelle mie ricerche potei scoprire anche, ad esempio, che l’autore dell’inno Fratelli d’Italia, falsamente attribuito al garibaldino Goffredo Mameli, è in realtà un religioso, Anastasio Cannata di Carcare (Savona) e chiarirmi moltissime altre vicende apparse contraddittorie o assurde. Insomma il Risorgimento ufficiale è alterato, è come un mosaico confuso, ma proposto come reale, veritiero e tale fu recepito. L’inganno venne favorito fin dall’inizio dalla buona fede, dalla ignoranza e dall’analfabetismo diffusi. E grazie alla compiacenza di una certa storiografia è giunto fino a noi come un blocco monolitico, intoccabile, tabù. Ma la vera storia del cosiddetto Risorgimento è un’altra cosa. Molte persone, come mi era stato possibile accertare, ricordavano vagamente qualche episodio della storia ufficiale studiata a scuola, ma non sapevano che cosa fosse successo veramente durante quel periodo, proprio come era capitato a me. Ritenni quindi necessario rivedere la storia di quel periodo e soprattutto tentare di recuperare la memoria storica delle popolazioni del Sud. Presi carta e penna con l’intento di riferire quello che avevo ‘scoperto’ su quei 60-70 anni che erano già stati dati da ‘bere adulterati’ a tante generazioni. Essere accettato non è facile, perché significa rovesciare quelle ‘certezze’ che ribadite con protervia per tanto tempo, si sono consolidate. Comprendo lo scetticismo o la diffidenza di chi è abituato a credere a quelle ‘verità’ proposte e riproposte, è naturale, forse stenta a immaginare di essere stato ingannato in maniera così plateale, fa fatica a convincersi del contrario, forse pensa che ormai si tratta di ‘acqua passata…’. Purtroppo non è così, perché noi oggi viviamo con disagio e subiamo pesantemente giorno per giorno le conseguenze di quel periodo tragico, di un’Unità imposta dall’alto e con l’inganno. La verità può infastidire, ma le bugie creano ingiustizie: conoscere la verità forse non risolve certi problemi, ma almeno aiuta a capire il perché di talune situazioni apparentemente strane, di tante cose che non vanno bene. Spesso non è facile rendersene conto a causa delle omissioni o delle falsità che abbondano nei comuni libri di scuola e si finisce per considerare come fatti naturali certe ‘anomalie’. È attraverso questi libri che le generazioni hanno potuto apprendere la storia del Risorgimento, una storia distorta, lacunosa, contraddittoria, fortemente tendenziosa. D’altra parte già in passato i libri che raccontano la vera storia ebbero scarsa diffusione o vennero boicottati, perché poco riverenti verso i regnanti Savoia. Dopo la fine della monarchia avvenuta con il referendum del 1946, le ricerche e gli studi su quel periodo ripresero con più lena e vennero alla luce diversi documenti rimasti più o meno volutamente all’oscuro per lungo tempo. Da pochi decenni dunque, non essendoci più la remora dei Savoia, si assiste ad una rifioritura di opere che chiariscono tante vicende contrastanti con la vulgata. E così attraverso la conoscenza del vero Risorgimento si possono capire molte vicende, le tesserine del mosaico prima confuso tornano alla loro giusta collocazione, i problemi che sembravano enigmi irresolubili, giungono a soluzione. Non è in discussione l’Unità d’Italia, antica aspirazione che è ora una realtà, ma il modo cinico e disinvolto con il quale essa venne raggiunta. La Massoneria se ne attribuì il ‘merito’, ma quell’Unità fu fatta in maniera pessima, pertanto non poteva non lasciare strascichi. Gli artefici di quest’Unità sono da condannare non tanto perché fecero guerre ‘ingiuste’, ma perché solo per ingordigia con il pretesto dell’unificazione scatenarono lotte terribili e feroci tra gli stessi Italiani fino al genocidio. Fu il Regno di Sardegna ad iniziare la guerra invadendo dapprima il Lombardo-Veneto, poi continuò con l’invasione delle Marche, dell’Umbria, del Regno delle Due Sicilie e dello Stato Pontificio, quindi toccò al Veneto, poi al Lazio e infine al Trentino e al Friuli con migliaia e migliaia di morti e ingentissimi danni materiali. Tutti questi stati, compresi il Granducato di Toscana e gli altri Ducati annessi con plebisciti fasulli, aborrivano i Savoia, non volevano finire sotto il dominio di una famiglia di guerrafondai e voltagabbana. I fatti più atroci avvennero nel Mezzogiorno, invaso proditoriamente senza colpa e teatro di una lunga ed efferata guerra civile, con conseguenze materiali irreparabili e centinaia di migliaia di vittime innocenti: molti ribelli furono fatti sparire nel nulla o finirono i loro giorni nei lager dei Savoia antecedenti a quelli dei Nazisti. Ma l’infame comportamento dei conquistatori provocò nella popolazione meridionale non solo danni materiali, ma anche guasti morali veramente odiosi. Armati di pallottole, supponenza, bugie e leggi ad hoc, essi operarono in modo tale da ingenerare nella stessa gente assoggettata l’idea di appartenere ad una razza inferiore e addirittura di vergognarsi della propria identità, la tormentarono con epiteti offensivi e rimproveri spesso ingiustificati quando invece il Sud non può che essere orgoglioso di se stesso e della propria storia: basta solo ricordare che proprio nel Sud ebbe origine il nome ‘Italia’ e che proprio dal Sud, dalla Magna Grecia, fu irradiata la civiltà a tutta l’Italia attraverso Roma. Continuò l’opera di devastazione la pessima politica dei governi successivi, la quale sancì di fatto la divisione del Paese in due e spinse ancora di più il già progredito e ricco Sud verso il declino a favore del Nord. Gli scrittori prezzolati, coerentemente con le bugie propalate, hanno avuto la faccia tosta di parlare di guerre di ‘indipendenza’ invece che di guerre di ‘conquista’ quali furono in realtà, ma anche di Risorgimento ‘Italiano’, come se la ‘rinascita’ avesse interessato tutta l’Italia, quando invece più correttamente sarebbe stato naturale parlare di ‘Risorgimento Piemontese’ o Settentrionale, grazie alle ricchezze trafugate al Sud, o di ‘Conquista dell’Italia’, attuata quasi accidentalmente dai Savoia, oppure di ‘Rivoluzione Italiana’ con riferimento al ‘capovolgimento’ dell’Italia, oggi ridotta a entità senza spina dorsale. Sì, senza spina dorsale! Quella attuale infatti non è l’Italia forte che preconizzava Pio IX, ma l’Italietta scalcinata che siamo anche costretti a tenerci e sopportare. Pertanto agli artefici di queste vicende non risparmio affatto critiche pesanti, poiché immenso è il male che fecero. Era proprio necessario procedere in quel modo scellerato che causò morti, rovine e indicibili sofferenze? Se volevano veramente unificare il paese per il bene di tutti come andavano dicendo, non sarebbe stato meglio ricercare soluzioni meno cruente o pacifiche ed evitare copiosi fiumi di sangue? Dal momento che l’Italia era rimasta divisa per circa 1300 anni, attendere qualche anno o decennio in più era proprio impossibile? Ma quei ‘patrioti’ non avevano veramente a cuore l’Unità e il bene del paese; quello che interessava loro era arricchirsi e aumentare il proprio potere con il pretesto dell’Unità: ne sono ampia testimonianza non la retorica, non le bugie risorgimentali, ma i fatti realmente accaduti. E i fatti dicono che prima del 1860 esistevano nella Penisola sette stati che si reggevano su un certo equilibrio: a ridosso di quell’anno il Prodotto Interno Lordo (PIL) tra il Sud e il Nord era simile. Oggi la situazione è del tutto squilibrata, il Sud e il Nord sono agli antipodi a vantaggio del secondo. La Massoneria non può essere certamente fiera del suo operato se il nostro paese fu da essa prima unificato e poi diviso in due, con conseguenze drammatiche non solo per le regioni meridionali, ma per l’Italia intera.

    Chi leggerà questo libro potrà chiedersi che cosa sarebbe oggi il Sud se proteso verso la modernità e primo tra gli stati italiani già nel 1860 non fosse stato proditoriamente invaso e devastato. Ma si potrà anche chiedere come sarebbe oggi questa nostra povera Italia debole, confusa e vilipesa se invece di cadere nelle grinfie dei Savoia fosse stata unificata sotto forma di federazione con la presidenza di Ferdinando II di Borbone. Questo infatti si ipotizzava negli anni che precedettero la catastrofe, ma il progetto poi naufragò per l’opposizione del savoiardo Carlo Alberto.

    La narrazione non è contro il Risorgimento, ma contro ‘quel’ Risorgimento. ‘Quel’ Risorgimento considerato per tanto tempo intoccabile, è oggi traballante, perché si è scoperto che esso fu costruito su vere e proprie invenzioni. Si consideri ad esempio appena due dei capisaldi risorgimentali: la grande impresa dei volontari e l’arretratezza del regno borbonico. Anche lo studente più distratto si sarà chiesto come diavolo avessero fatto mille straccioni, ancorché animosi, a sconfiggere dei soldati di professione. All’ignaro studente si saranno date risposte di pura fantasia, tranne quella vera: cioè che le vittorie dei volontari erano state concordate a priori! E l’arretratezza? Come si concilia l’arretratezza di quello stato con un’innovazione rivoluzionaria nel panorama dell’Italia di allora, cioè con la prima ferrovia? Anche in questo caso la spiegazione sarà stata fantasiosa lasciando il povero studente con i suoi dubbi. E il dubbio rode... Il libro è composto di 40 brevi capitoli di facile approccio, ripropone con linguaggio semplice le varie vicende di quel periodo storico studiato a scuola cercando anche di dare risposta, in base ai fatti realmente accaduti, ai mille ‘perché’ rimasti in sospeso; evita i soliti luoghi comuni fasulli e fuorvianti, le esaltazioni spropositate dei soliti personaggi ecc. Inoltre mette in evidenza gli aspetti comunemente sottaciuti dalla storiografia ufficiale, in particolare la lunga e feroce guerra civile combattuta con molto accanimento, perché c’erano anche problemi di tipo finanziario da risolvere. Il Regno di Sardegna fortemente indebitato aveva infatti un disperato bisogno di denaro che il prospero Regno delle Due Sicilie poteva assicurare, dal momento che questo aveva una ricchezza pari al doppio (443 milioni) rispetto alla totalità degli altri stati (225 milioni). Chi conosce solo la vulgata quasi certamente non mancherà di stupirsi nel corso della lettura, tante sono le discrepanze con la storia ufficiale. Ho evitato di ricorrere alle note preferendo inserire di volta in volta quei chiarimenti che ho ritenuto necessari. In alcuni capitoli affiorano concetti importanti che sono accennati appena o semplicemente enunciati, ma che meritano certo un’approfondita analisi. Non è stato opportuno addentrarsi in questo ambito per l’impostazione del libro che vuole essere una trattazione sintetica di un periodo storico piuttosto ricco di avvenimenti. Il testo potrebbe essere particolarmente utile a quanti operano nel settore dell’Istruzione anche per gli spunti di riflessione e di confronto che può offrire.

    I. Il Regno delle Due Sicilie e Vittorio Emanuele II

    La raggiunta Unità d’Italia è un valore acquisito da non mettere in discussione. Ma i modi con i quali essa si realizzò sono stati e sono oggetto di critiche sia per la scarsa chiarezza, sia per il parziale approfondimento di molte vicende. In questi ultimi tempi sono venuti alla luce tanti documenti rimasti a lungo sepolti: essi si sono rivelati una vera e propria miniera di notizie tendenti a stravolgere le ‘certezze’ diffuse da storiografi compiacenti fin dall’inizio dell’unificazione. Sono come tanti raggi di luce che permettono di vedere con chiarezza ciò che era rimasto nella penombra o al buio, di comprendere bene una lunga serie di vicende che prima apparivano oscure, inspiegabili. Si viene così a sapere che il Regno delle Due Sicilie non era quel regno arretrato, mal amministrato dal più ‘retrivo’ dei principi italiani, Ferdinando II di Borbone: questi infatti era additato come esempio di cieco autoritarismo, bollato come la negazione di Dio e la sovversione di ogni idea morale e sociale eretta a sistema di governo. Queste maldicenze erano diffuse ad arte: c’era infatti chi ‘nuotava sott’acqua’, chi agiva in malafede. In quell’epoca il Regno meridionale era invece uno stato ben amministrato, lo stato più ricco (subito dopo la ‘conquista’ di Garibaldi i 443 milioni del Regno furono trasferiti a Torino); a Pietrarsa (Napoli) sorgevano le grandiose fabbriche di locomotive delle quali era stato acquirente lo stesso Regno di Sardegna che ebbe la sua prima ferrovia, ma per scopi militari ben 15 anni dopo Napoli; a Mongiana nei pressi di Serra S. Bruno, Calabria, sorgevano le Reali Ferriere e Fabbrica d’Armi dei Borbone, il più grande stabilimento siderurgico d’Italia, fondato nel 1770, che era arrivato ad occupare più di 1500 tra operai, tecnici, ingegneri (impianto che dopo l’unificazione fu smantellato, mentre venne favorito lo sviluppo dell’Ansaldo di Genova Sampierdarena, fondata nel 1852, circa 80 anni dopo, promotore Cavour); la splendida Napoli era la terza metropoli europea dopo Londra e Parigi con una serie infinita di primati in campo economico, finanziario, culturale e sociale; nel 1855 all’Esposizione Universale di Parigi, al Regno delle Due Sicilie, un’apposita commissione assegnò il terzo posto in Europa per sviluppo industriale dopo Inghilterra e Francia. E proprio nel Napoletano ebbe inizio la rivoluzione industriale in Italia, contrariamente a quanto si dà a intendere nei libri di scuola. Da queste poche note si può comprendere che il Regno dei Borbone non era affatto l’ultima ruota del carro così come è stato ripetutamente raccontato, ma il più importante stato italiano. La situazione era, quindi, tutt’altra! Per i Savoia e il Piemonte, che allora era lo stato più arretrato, più povero e più indebitato d’Italia, era un affare conquistare il Regno delle Due Sicilie, le sue ricchezze facevano loro gola. Il progetto di unificazione fu un’occasione di cui rozzamente approfittare. E sono state dette bugie a ripetizione, è stato buttato fango a non finire sulle incolpevoli popolazioni del Sud per giustificare agli occhi del mondo le malefatte dei cosiddetti patrioti e padri della patria. E gli stati europei, tranne l’Inghilterra che era interessata a far cadere i Borbone, stettero a guardare. La verità che sta emergendo è che il cosiddetto processo di unificazione dell’Italia fu gestito con grande cinismo da Vittorio Emanuele e dai suoi amici. Esso provocò nelle regioni meridionali danni materiali, sociali e morali incalcolabili e inimmaginabili, soprattutto a causa della guerra civile che ne seguì dal 1860 al 1870, guerra che chiamarono sempre con evidente malafede e in modo sprezzante ‘lotta al brigantaggio’. I danni subiti, i cui effetti perdurano a distanza di 150 anni, furono di entità tale che c’è chi vorrebbe richiederne il risarcimento. Pertanto molto di quello che hanno raccontato sul Risorgimento è falso. Già in passato, anche subito dopo la proclamazione del Regno d’Italia nel 1861, alcune personalità denunciarono le gravissime ingiustizie e i gravissimi errori commessi dai Savoia e dalla loro classe politica, ma non ci furono effetti significativi: contro il Sud venne ordita la congiura del silenzio. La storia che hanno raccontato dai primi anni di scuola e fino all’Università è una storia a senso unico, hanno sempre ripetuto il solito ritornello: le regioni meridionali non si sono sviluppate adeguatamente a causa del ‘malgoverno’ borbonico. Ma come già detto, da un po’ di anni si nota un forte interesse tendente a chiarire i molti aspetti oscuri di questa parte di storia italiana. Grazie all’opera paziente di tanti ricercatori stanno venendo in superficie tanti documenti con una grande quantità di notizie che ribaltano completamente le ‘certezze’ alle quali una storiografia compiacente ha tentato di abituarci. Per lungo tempo la storia del Risorgimento è stata ritenuta intoccabile; molte vicende, così come sono state raccontate, alla luce dei documenti scoperti risultano completamente false. Si pone quindi l’imperativo urgente di rivedere tutta la storia politica e militare del Risorgimento, ma anche letteraria, poiché tante opere, come ad esempio Cuore di De Amicis del 1886, rispecchiano quella retorica risorgimentale che è diventata ormai fastidiosa e fonte di ambiguità. Bisogna valutare con attenzione quanto ci viene propinato, bisogna diffidare di certi cultori nostrani generalmente compiacenti e appiattiti e dare maggior credito agli autori stranieri che appaiono più obiettivi e più credibili. Questa nostra vecchia storiografia indulgente e servile ha diffuso tante notizie del tutto false e tendenziose, ad iniziare dai personaggi che hanno ‘fatto’ o sfatto l’Italia, come per esempio Vittorio Emanuele. Sulle sue buone qualità gli storiografi hanno abbondato, ma esistono degli aspetti o circostanze a lui legate che niente hanno di nobile. La conquista del Regno delle Due Sicilie non fu soltanto opera di una massa di filibustieri messi insieme da Garibaldi. Essa fu un’operazione ignobile studiata e pianificata dai Savoia e dal governo piemontese sin nei minimi particolari. Hanno sempre raccontato che i mille in partenza alla volta della Sicilia si impadronirono di due piroscafi, Piemonte e Lombardo, e partirono di notte quasi a simulare un atto di pirateria e all’insaputa del governo. Si è scoperto che tutto ciò è falso. Queste due navi erano state invece oggetto di un regolare contratto di acquisto proprio da parte dei governanti piemontesi. Infatti nei giorni che precedettero la partenza dalla Liguria, Vittorio Emanuele e Camillo Cavour (un altro individuo sul cui operato c’è molto da chiarire) si incontrarono a Modena con Raffaele Rubattino, proprietario delle due navi delle quali concordarono il prezzo. L’atto di vendita venne redatto poi il 4 Maggio a Torino in casa del notaio Gioacchino Baldioli. Vittorio Emanuele e Cavour per non destare sospetti, rimasero a Modena dove si fecero notare di proposito: volevano infatti dare a intendere che loro con i mille non c’entravano affatto. Pertanto al contrario di quanto hanno voluto farci credere, il re e il ministro erano perfettamente al corrente di tutto, anzi erano tra i principali artefici della spedizione. In precedenza Vittorio Emanuele aveva proposto al cugino, Francesco II di Borbone, un’alleanza per risolvere il problema nazionale. La risposta di Francesco era stata negativa, perché la stragrande maggioranza del suo popolo, che da molti secoli viveva autonomamente

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