Io ti voglio felice
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Anteprima del libro
Io ti voglio felice - Claudia Venuti
1
NIENTE SUCCEDE PER NIENTE
Non esiste necessariamente una risposta a tutto.
Ogni tanto la risposta è un silenzio. Punto. E te lo devi far bastare.
Come se fosse facile imparare a farsi bastare qualcosa. Sfido chiunque provi ad affermare di aver imparato tutto dalla vita, ma soprattutto sfido chi quando sbaglia qualcosa, poi si adopera realmente per fare in modo di non ripetere quello sbaglio. Ci sono lezioni che non vogliono saperne di entrarci in testa e di rimanere ben fisse in un punto, in modo da poter tornare a dare una sbirciatina quando dimentichiamo qualche nozione. Ci sono silenzi che fanno più casino del casino e poi ci sono casini che restano in silenzio. Ho sempre rincorso tutte le risposte che aspettavo e le ho aspettate davvero, ma ci sono anche attese vane e altre attese che teniamo vive per paura di non sapere cosa fare dal momento in cui lasciamo che finiscano. Perché prima o poi bisogna smettere di aspettare no? Che sia una risposta o una persona. Non ho mai smesso di pretendere alcune risposte o di insistere per averne. Devo ancora imparare a regolare bene il tono della mia voce e delle mie reazioni. Devo ancora imparare a respirare con un ritmo decente quando sono nervosa e contare fino a dieci prima di parlare. Devo ancora imparare a fare le cose in anticipo. Devo ancora imparare a capire tutti i tempi giusti e ogni volta che faccio una cosa all’ultimo minuto poi mi ripeto: Dai, la prossima volta evita di fare tutto di fretta
, solo che la volta dopo, puntualmente, non cambia il mio modo di vivere, perché in fondo a me piace. Potrò anche fare sempre tutto di corsa, ma non dimentico mai niente, non dimentico mai nessuno e in qualche modo, riesco sempre a cavarmela. E il punto non è quante cose vivi, ma come le vivi. Io ho un modo tutto mio, in un mondo tutto mio. Forse domani imparerò a giocare d’anticipo o semplicemente a giocare, ma temo proprio di no. Intensamente è un bel modo. È un bel mondo.
Ad un certo punto bisogna smettere di pensare solo a come fare per salvare rapporti, persone e situazioni, è bello saper lottare per qualcosa, ma non all’infinito. Ho sempre avuto questa smania di voler salvare tutto o almeno provare sempre a salvare qualcosa. Giusto per sapere di non aver perso. Perso del tutto. Perché quando metti te stesso in qualcosa, investi una parte di te e quando si fa un investimento, c’è un margine di rischio.
Poi per carità, ci sono anche persone che riescono a vivere senza fare nessun tipo di investimento e sono le stesse che non rischiano neanche di rimetterci qualcosa.
Io no.
E non riesco neanche a regolarmi bene con il quanto
perché ho sempre fatto schifo con la matematica. Ero brava solo a scrivere i temi, lì non mi fregava mai nessuno. Poi ho capito che non si tratta di investire e perdere, ma si tratta di imparare a guadagnarci anche col conto in rosso.
Non si può salvare sempre qualcosa. Perché a volte non c’è proprio niente da salvare. C’è solo da salvarsi.
Non si può pensare che tutte le persone che incontriamo meritino un posto. Alcune sono solo di passaggio.
Io sono sempre stata pronta a lanciare salvagenti. Ero lì sulla riva, a sbracciarmi per farmi vedere, a urlare per farmi sentire, a buttarmi in acqua anche se non so nuotare, ma a galla ci so stare benissimo. Ci saranno sempre persone che non ci vedono e non ci sentono, perché guardano altrove, non nella nostra direzione. Ecco, sono proprio quelle che non meritano quel posto, non meritano salvataggio, sono quelle che bisogna lasciare andare via, a largo, perché stanno bene lì, lontane.
Non sono fatte per stare vicine.
Non sono fatte per stare vicino a noi.
Per anni mi sono affannata a voler tenere sempre insieme tutto, poi mi sono resa conto che non c’è da affannarsi per esserci. Mi sono resa conto che non sempre le persone ci lasciano qualcosa, a volte non ci lasciano niente, proprio perché non hanno investito nulla.
Dal niente non può rimanerci qualcosa.
Da qualcosa sì. Da qualcosa resta sempre qualcosa.
Io sono quel qualcosa. Io qualcosa la lascio sempre, perché do. Perché investo continuamente, anche col conto in rosso.
Perché quando intravedo la felicità, non so proprio rinunciarci. Mi piace crederci, ma per fortuna ho imparato a salvarmi.
Per liberarsi di qualcosa è importante un gesto di chiusura.
È importante non avere rimpianti ed è importante dire ciò che sentiamo, ma non è necessario ripeterlo continuamente. Basta una sola volta.
Tu sei quella persona lì, quella che forse si riserva un briciolo di speranza, ma sai che c’è?
C’è che il tempo inevitabilmente allontana ciò che non ha la forza di star vicino, allontana il superfluo anche se ci sembra fondamentale, anche quando sembra che senza quella determinata persona siamo persi.
Non siamo persi.
Tutto rimane fin quando alimentiamo quella convinzione.
Ma è anche vero che nel frattempo andiamo avanti e andando avanti è inevitabile lasciare qualcosa per strada. Più cose ci portiamo dietro, più pesanti saranno i passi che faremo. Bisogna decidere a cosa dare importanza. Bisogna decidere di cosa liberarsi.
Possiamo scegliere se dar peso all’assenza o alla presenza.
Il fatto è che spesso vediamo presenza anche nell’assenza, anche se manca quella persona, non manca quello che abbiamo provato, non manca quello che abbiamo sentito.
Se una persona risulta assente, bisogna dare peso al fatto che non c’è.
E non c’è perché non vuole esserci.
Spesso tratteniamo persone nella nostra mente che in realtà sono già andate via.
E se una persona va via, che senso ha convincersi del contrario? È giusto amarsi al punto tale da non permettere a nessuno di farci sentire neanche solo una briciola in meno di ciò che siamo. Tutte le risposte sono lì: nell’assenza tanto quanto nella presenza. È una questione di prospettiva.
Dove guardi?
Puoi scegliere anche questo. Possiamo scegliere un mucchio di cose, molte più di quelle che pensiamo. Eppure, spesso lasciamo questo immenso potere a qualcuno che non è capace neanche di scegliere noi, figuriamoci se può scegliere per noi.
Sceglietevi innanzitutto da soli.
Nessuno ha il potere di fermare un cambiamento, l’unica cosa che si può fare è accettarlo. E accettare qualcosa non è così semplice come scrivere il tutto su un foglio, perché per scrivere un bel pensiero possiamo metterci anche mezzo secondo, ma per metterlo in pratica di quanto tempo abbiamo realmente bisogno?
Io ho testato il mio tempo e posso ridurlo, per assurdo, a quello stesso mezzo secondo. Perché ci vuole mezzo secondo per far saltare in aria un piano, mezzo secondo per far scattare la rabbia, mezzo secondo per farla finire, mezzo secondo per far crollare un castello di sabbia, mezzo secondo per smascherare una bugia, mezzo secondo per fare un errore.
Ci vuole mezzo secondo per capire, non anni, ma solo un maledetto o beato mezzo secondo.
Il problema è riconoscerlo, perché magari facciamo passare tanto di quel tempo, giornate intere, mesi addirittura senza voler realmente riconoscere quel mezzo secondo necessario per cambiare e far cambiare realmente qualcosa.
Dovremmo allenarci ad essere pronti a tutto, sempre.
Forse imparare a vivere bene significa proprio qualcosa del genere e ogni cambiamento è giusto che avvenga, perché se accade qualcosa, vuol dire che era inevitabile accadesse e anche se non possiamo scegliere cosa far accadere e cosa no, possiamo sicuramente scegliere come comportarci, cosa fare e da che punto di vista guardare quella determinata cosa.
Perché alla fine è tutto lì e il punto di vista varia a seconda della nostra posizione, quindi se rimaniamo sempre fermi nello stesso punto, sempre vicini o sempre lontani, non riusciremo mai a vedere altro, a vedere qualcosa in più o in meno.
Le posizioni scomode dopo un po’ iniziano a farsi sentire, ma a furia di girare e rigirare poi arriva anche quella comoda, che ci fa fermare di nuovo, ma stando in pace, non continuamente in guerra.
Che tanto la maggior parte delle volte, in guerra ci andiamo e ci stiamo da soli.
Ci vuole mezzo secondo anche per segnare la tregua.
E poi, che bella è la pace? A volte crediamo di essere in guerra col mondo, o che il mondo sia in guerra con noi, in realtà spesso i primi nemici si riflettono allo specchio.
2
TU CHE DICI?
Mia madre dice che ho la testa su un altro pianeta, mia sorella dice che vivo nel mondo delle favole, mio fratello che vivo con la testa fra le nuvole e mio padre invece, pensa semplicemente che io abbia la testa sulle spalle.
Oggi, devo dare ragione a mia madre, tanto per cambiare.
Altrimenti non avrei lasciato in giro la mia agenda.
Il fatto che io abbia un’agenda e che questa sia all’interno della mia borsa è una cosa che di per sé fa ridere e che farebbe sicuramente ridere le mie amiche.
Ero la regina della disorganizzazione e amo follemente il fatto che, per certi versi, io lo sia ancora e possedere quest’oggetto, a tratti ornamentale e in maniera del tutto impacciata, non farà mai di me una persona precisa.
Sono sempre stata totalmente incapace di creare un legame anche solo immaginario con la parola organizzare
, mi sono sempre rifiutata di scrivere quello che avevo da fare, le persone che avrei dovuto incontrare o semplicemente cosa comprare al supermercato. Infatti, la conseguenza di questo rifiuto, spesso e volentieri era dimenticare tutto, non solo cosa comprare ma soprattutto cosa avevo da fare. Dal momento in cui il mio posto di lavoro non era più quello tra piatti e bicchieri, ma in un ufficio di un palazzo importante, ho dovuto cambiare un po’ di cose, compreso quel rifiuto per il calendario e gli orari, anche perché non avevo alternative visto che puntualmente rischiavo di dimenticare appuntamenti importanti e riunioni fondamentali.
Ad ogni modo, devo dare ragione anche ai miei fratelli ed è come se li sentissi parlare, con frasi che oscillano da: Sei sempre la solita
a Sei troppo distratta
.
Ed è vero, sono sempre la solita distratta e paradossalmente anche la