Miwgu
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Anteprima del libro
Miwgu - Gianluca Gualano
Gianluca Gualano
MIWGU
AbelBooks
© 2020 AbelBooks – Diritti riservati
ISBN 9788867522415
Piergiorgio Leaci Editore
abelbooks@hotmail.com
www.abelbooks.net
Al Dott. Guido Banzatti,
con affetto. E grande stima.
PRIMA PARTE: LA CRISI
PRIMO CAPITOLO: Miwgu
Erano ormai le venti e trenta passate quando Miwgu alzò la testa dal suo computer. Era alquanto stanco e quella appena trascorsa era stata un’altra giornata molto faticosa per lui. Nonostante avesse lavorato senza interruzione per tutto il giorno, aveva ancora da portare a termine un importante incarico ma la vista dell’orologio lo riportò con i piedi per terra. Sapeva che ad attenderlo a casa c’era sua moglie, la quale, essendo incinta di otto mesi, gli aveva espressamente chiesto di passare un po’ più di tempo con lei in questo ultimo fondamentale periodo della gravidanza. Gli venne in mente quella richiesta e la promessa fattale e così, senza pensarci due volte, spense il computer, si mise l’impermeabile e si avviò verso l’uscita. Attraversò il lungo corridoio che separava il suo ufficio dagli ascensori e dalle scale principali. La società per la quale lavorava si trovava all’interno di un antico palazzo nel centro della città adibito dal dopoguerra completamente ad uso commerciale. In ogni piano c’erano circa una ventina di uffici e in quasi tutti vi erano delle enormi finestre che davano sulla strada, mentre altri più piccoli e ricavati di fortuna avevano a malapena una piccola finestra che spesso si affacciava verso altri palazzi. Quando a Miwgu fu dato l’ufficio tutto per sé, aveva fatto di tutto per averne uno di quelli con le enormi finestre scorrevoli, in quanto amava lavorare ed essere scaldato dalla luce solare. A fianco degli ascensori centrali vi era una larga scalinata in marmo che recava a ogni piano. Gli uffici a quell’ora erano ormai tutti vuoti già da un pezzo. Regnava un silenzio particolare e strano, tipico di questi posti che di norma sono tutt’altro che tranquilli e l’atmosfera era resa ancora più cupa e desolata dal buio dell’inverno che era ormai alle porte. Era un silenzio che lui però conosceva bene dato che spesso gli capitava di uscire per ultimo dall’azienda. Pensò tra sé che in fondo il silenzio di quel posto non gli piaceva affatto. Non si poteva paragonare con quello che si incontra quando si è in barca in mare aperto o sulla cima di una montagna o tra le dune del deserto. Questi luoghi hanno il silenzio dentro loro stessi mentre gli uffici, i grandi magazzini e tutta la città intera quando sono silenti sono morti. Il deserto invece vive con una quiete tutta sua, sovrana anche sulle più alte cime delle montagne e nei mari più vasti. No, non gli piaceva proprio quell’atmosfera e non era la prima volta che incappava in questi pensieri. Giunse all’uscita, salutò il portiere con un distratto buonasera
e si diresse verso la macchina, parcheggiata nei sotterranei del palazzo. Accese l’autoradio per distrarsi ma altri pensieri squarciarono molto facilmente l’esile velo presente tra la realtà esterna e la sua parte più intima. Era già da qualche mese che si era accorto che qualcosa si era leggermente modificato in lui o che comunque lo portava a pensare a cose che frequentemente lo tormentavano per lunghi e strazianti momenti del giorno. Un’altra giornata era oramai conclusa e pensò a cosa avrebbe mai ricordato in un futuro più o meno lontano da questa data. Sì, certo, aveva lavorato tanto. Questo era oggettivamente innegabile. Aveva mandato avanti il progetto a cui stava lavorando ormai da quasi un anno riguardante una nuova centrale termoelettrica da costruire in centro Africa, aveva aiutato qualche suo collega con dei calcoli molto complessi e persino fatto contenti dei fornitori con l’acquisto di materiale utile per il progetto. Ma il resto? O meglio, esisteva un resto
? Non lo sapeva. A casa lo attendeva la moglie che lo avrebbe presto reso padre. Questa poteva già essere una buona e soddisfacente risposta e lo rendeva felice, o almeno così credeva. L’idea però che questa risposta in cuor suo non riempisse completamente il suo animo, lo turbò non poco e si sentì come un bambino che ha fatto una marachella e deve nascondere il danno per non essere punito. Ma questa volta il problema consisteva nel fatto che non c’era nessuno che lo avrebbe punito … ma quanto lo avrebbe desiderato! Una bella punizione per scontare tutti quei pensieri insulsi e pericolosi, e dopo tutto sarebbe tornato a posto, proprio come quando era piccolo. Ciò che più gli recava fastidio e preoccupazione non era tanto il fatto che non sapesse rispondere a quelle domande, bensì che quegli interrogativi esistessero e girassero nella sua testa vorticosamente e che spesso e volentieri non lo abbandonavano come fossero pungenti mal di testa. Tempo fa tutti quei dubbi non avrebbero neppure avuto senso di esistere, e, come si sa, se non esiste domanda non esiste neppure bisogno di risposta.
Giunse finalmente di fronte al palazzo in cui abitava e parcheggiò la macchina nel garage sotterraneo. Una bellissima costruzione d’epoca in cui si era potuto permettere un ampio appartamento quando aveva fatto il cosiddetto salto di qualità in azienda. Dopo anni di duro lavoro e immani sacrifici infatti gli era stata concessa la meritata promozione e con essa un sostanzioso aumento di stipendio e la macchina dell’azienda. Così lui e sua moglie, dopo aver fatto tutti i ragionamenti del caso, decisero di spostarsi dalla periferia verso il centro acquistando questo appartamento che aveva sempre sognato. Una casa molto spaziosa e con tanta luce che durante il giorno entrava attraverso le grandi finestre a vetro scorrevoli che, in certi lati della casa, occupavano quasi per intero una parete e che aveva fatto mettere lui appositamente. Un salotto molto grande arredato con eleganza con mobili di pregevolissimo antiquariato, una cucina grande tanto quanto l’intero appartamento in cui viveva prima di sposarsi, tre camere e il suo ufficio privato che aveva sempre desiderato sin da bambino, un posto in cui rifugiarsi per letture, momenti di quiete e bisogno di solitudine, anche se, ora che era riuscito nell’intento di realizzarlo, raramente poteva goderselo, proprio per la mancanza di tempo e per le gravose responsabilità a cui doveva sottostare. Questo magnifico appartamento rappresentava la giusta ricompensa per il duro e tenace lavoro. Salutò la moglie con un tenero bacio e le carezzò il viso molto dolcemente. La vista di lei gli fece dimenticare tutte quelle importune domande. Anche la moglie fu molto contenta di averlo nuovamente tutto per sé. Pensò che sarebbe potuto rincasare un po’ prima e certamente non sarebbe successo nulla di grave in ufficio ma non disse nulla e si accontentò pensando soprattutto a quelle sere in cui rientrava anche molto più tardi. Aveva comunque notato che, da quando lei aveva chiesto di passare maggior tempo insieme durante la settimana, lui aveva ascoltato e accondisceso alla richiesta e questo per ora le bastava. Lo strinse forte a sé e stanchezza e ansia dovute a quel periodo preparto svanirono come per magia.
Cosa c’è di buono per cena? Sono davvero molto affamato! Sai, oggi al lavoro ho avuto giusto il tempo per un panino e niente più.
Se andrai avanti così credo che presto potrai competere a quelle gare di digiuni che fanno in quelle strane regioni dell’India o giù di lì
, rispose lei con tono divertito. Comunque stasera c’è del pesce che ho comprato oggi stesso al mercato.
La cena era l’unico momento in cui i due potevano distendersi e concentrarsi uno sull’altra e discorrere gioiosamente della grande novità che presto sarebbe entrata a far parte della loro vita. Avevano deciso di non voler conoscere il sesso del figlio, proprio come era stato per la maggior parte del tempo della storia dell’uomo, quando il troppo sapere non aveva ancora annientato l’istinto e il sesto senso. Sapevano bene che era un dono e come tale doveva essere preso, compresa la sorpresa riguardante il fatto se fosse maschio o femmina. Lei era indifferente alla faccenda e in cuor suo non sentiva alcuna preferenza ma sapeva bene invece quanto il marito desiderasse un maschietto anche se egli non voleva ammetterlo. Quando Miwgu aveva tre anni, sua madre e suo padre persero la vita in un terribile e violento incidente stradale. Il piccolo fu così affidato ai nonni materni, i quali, essendo già anziani e non più nel pieno delle forze, si sentirono incaricati di un ruolo che probabilmente andava oltre le lo stesse capacità e comunque fecero di tutto per crescerlo nel migliore dei modi possibili, cercando di non far mancare nulla al piccolo. Ovviamente però l’amore e le cure genitoriali non poterono essere rimpiazzate, e inevitabilmente Miwgu crebbe con degli enormi vuoti interiori, assumendo sin da piccolo un atteggiamento molto serioso nei confronti della vita. Difatti, pur con tutto l’impegno che i nonni misero nell’educazione del bimbo, le figure paterna e materna, tanto necessarie e fondamentali per un bambino e un adolescente, non poterono essere sostituite. Capitava poi di tanto in tanto che uno degli zii portasse Miwgu a fare lunghe gite in montagna oppure durante le vacanze estive permetteva che lui rimanesse nella sua abitazione di campagna. Sapeva bene quanto fosse necessario un riferimento maschile nella sua vita e questo zio riuscì in qualche modo, se non a sostituire completamente la figura paterna, a fornire quel minimo appiglio necessario per la crescita del nipote. Sua moglie sapeva molto bene che egli non aspettava altro che dare a quel figlio in arrivo tutto quello che gli era mancato. Entrambi erano certi che la loro famiglia non si sarebbe fermata a quel primo bimbo, di qualunque sesso fosse stato, e dunque questo rendeva tutto ancora più armonioso e per nulla definitivo. Con la solita eccitazione dell’ultimo periodo, per tutta la cena parlarono di loro due, delle loro paure e timori di diventare genitori e se sarebbero stati in grado di rivestire quel ruolo, in fondo il più difficile e carico di enormi responsabilità che la società propone. Si rincuoravano a vicenda con parole dolci e toni pieni di calore. Passarono per l’ennesima volta in rassegna tutti i possibili nomi che avrebbero potuto dare, convenendo insieme su quelli che più preferivano sia per il maschio che per la femmina.
Miwgu era fermamente deciso: Federico Guglielmo se fosse stato maschio e Sofia se fosse stata femmina. Sua moglie non era così categorica e aveva molti più nomi tra cui poter scegliere e, anzi, di quelli che proponeva suo marito, nessuno la convinceva. Ma avevano ancora un mese per decidere. Arrivò così ben presto la mezzanotte; Miwgu aveva intanto dimenticato le sue domande e la stanchezza lo aveva ora sopraffatto. Anche la moglie era stanca. Andarono così a dormire. Miwgu andò alla finestra per tirare giù la tapparella e vide le luci della città in contrasto con la bellissima luna che sembrava illuminare proprio la sua finestra. Abbracciato alla moglie si addormentò in un istante.
La mattina dopo si svegliò per andare al lavoro e dopo la colazione, in bagno, accadde un episodio che lo turbò. Alzò lo sguardo per vedersi allo specchio ma ciò che vide riflesso non era il suo solito viso: gli apparve un volto invecchiato di almeno vent’anni, gli occhi erano spenti. Si guardò allora nuovamente dopo aver sbattuto le palpebre ma quell’immagine inquietante di sé non scomparve. Sembrava malato e non si riconosceva per nulla. "Chi sono?" si chiese a voce bassa tenendo sempre lo sguardo fisso sulla sua immagine riflessa. Chi era effettivamente? Cosa aveva fatto in tutta la sua vita per poter rispondere a quella domanda? Aveva poi davvero bisogno di dover cercare nel suo passato? Doveva necessariamente trovare la risposta in tutto ciò che aveva fatto, costruito?
Era nato e vissuto sempre in quella stessa città e aveva percorso, una dietro l’altra e con particolare regolarità e costanza, le cosiddette tappe obbligatorie
. Figlio unico, era stato la gioia e l’orgoglio dei suoi genitori prima e dei nonni dopo. Era adorato dagli insegnanti. Perfino il parroco dell’oratorio e la catechista lo avevano tenuto da ragazzo in grande considerazione. Aveva sempre fatto quello che gli era stato chiesto e,