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Madness
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E-book226 pagine3 ore

Madness

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Info su questo ebook

Un romanzo dalla doppia faccia, un dolce fantasy che imboccherà la strada di un’amara realtà dove Xander dovrà mettere alla prova la sua mente e i suoi ricordi. Tutto ha inizio quando decide di tornare nel posto dove trascorreva le vacanze estive da piccolo. Qualcosa di terribile è accaduto, qualcosa di cui lui non ha memoria, ma che è lì e lo aspetta vicino a quel lago che amava tanto. Metterà in gioco sé stesso per ricomporre un puzzle di cui i pezzi sono andati perduti.
LinguaItaliano
Data di uscita3 ott 2014
ISBN9788891158383
Madness

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    Anteprima del libro

    Madness - Nina Jones

    Ventitré

    Nina Jones

    MADNESS

    Il dono

    © 2016 Nina Jones

    Madness

    Premessa

    Una volta vidi una donna seduta sull’autobus, ondeggiava avanti e indietro con il busto. Farfugliava tra sé e sé guardando fuori il finestrino. Avrà avuto all’incirca sessant’anni. Una vita. Dei ragazzi che si tenevano alle maniglie ridacchiavano e parlavano tra di loro, deridendola. Ma il mio pensiero fu diverso, cosa poteva mai esserle successo, quale dolore ha subito la sua vita per farla ondeggiare farfugliando sul seggiolino di un autobus. Sul viso aveva i segni del tempo e della sofferenza. Non era malata, ma sicuramente era una donna che provava dolore, un dolore tale da renderla strana agli occhi di chi la guardava. C’è chi è fortunato e quel dolore lo conoscerà tardi, c’è chi lo è meno e lo assaggerà in giovane età, come probabilmente è successo a quella donna. Quell’evento, o meglio, dolore che ti segna, che ti cambia, prima o poi arriva. Bisogna avere una mente forte per sopravvivere a Lui. Se si cede, anche solo per un secondo, l’aria va a mancare.

    Uno

    Mary

    Possibile che sia lui? Si, non ho dubbi. Credo che mi abbia vista l’altro giorno tra gli alberi. Non è più il ragazzino che ricordavo. La scorsa notte ho fatto una passeggiata nei dintorni di casa sua, da quel che ho potuto vedere, non andrà via questa volta. È un’eternità che lo aspetto o almeno, è questo il modo in cui mi appare il tempo trascorso nell’attesa. Mi sono seduta sulla riva del lago, per qualche secondo ho sentito i suoi occhi su di me. Spero di essere andata via in tempo, chissà cosa ha pensato vedendomi, seduta lì a quell’ora della notte. Quante cose vorrei dirgli.

    Incomincia il caldo e siamo solo nel mese di Maggio. Forse per l’inizio dell’estate avrò finito di sistemare questa casa. Certo, c’è voluta una buona dose di coraggio per trasferirmi qui, sono passato dalla grande città a una piccolissima cittadina che sembra rimasta indietro, persa da qualche parte nel tempo. Questo posto è stato acquistato da qualche mio lontano parente, è passato tutto ai miei genitori quando ero molto piccolo. Ci abbiamo trascorso tutte le vacanze estive fino al mio quindicesimo compleanno. Tutto è come sempre, familiare. Il lago, a pochi metri dalla casa, è una distesa azzurra di cui non riesco a vedere la fine. Per arrivare in città dovrei percorrere gran parte del perimetro, forse una quarantina di minuti con l’auto, sicuramente con il piccolo motoscafo che comprò mio padre, potrei stringere i tempi. Qui è tutta campagna, ci sono pochissime villette disperse tra gli alberi, proprio come la nostra. Per qualsiasi esigenza dovrò fare un bel po’ di strada, ma non è un gran sacrificio, gran parte delle mie giornate si svolgeranno proprio dall’altra parte del lago. Nella cittadina non manca nulla, c’è un supermarket, una lavanderia, diversi caffè e negozi di vario tipo. Solo una cosa manca, una cosa a cui ho provveduto io stesso. Ho affittato un locale, piuttosto spazioso e ho aperto una filiale dell’attività che ho a New York, una libreria di opere antiche, prime edizioni di libri rari, ma c’è anche una buona parte di libri moderni.

    A New York ho lasciato tutto in mano al mio socio, mi fido ciecamente di lui. Voglio vedere come va qui, ho bisogno di trascorrere un periodo lontano da tutto, lontano dallo stress che la mia vita, in quella grande e caotica città, ha subito. Inoltre voglio assolutamente rimettere in sesto questa casa, è così grande, i miei genitori e chi prima di loro, non hanno mai pensato di ristrutturarla o meglio, di modernizzarla. Il giardino è pieno di alberi di ciliegio, c’è anche una piccola serra, ormai lasciata a se stessa. I miei ventisette anni, fino ad ora, mi hanno offerto quasi tutto, posso permettermi questa impresa e sono sicuro di riuscire anche in questa, come ho sempre fatto.

    La mia famiglia è contraria a tutto ciò. Da anni sono restii a tornare qui e mi hanno scoraggiato per ciò che riguarda i miei progetti. Il motivo, lo sanno solo loro.

    Ma c’è qualcosa in questo posto che mi ha sempre attratto, non è il paesaggio, non è la tranquillità, è qualcosa che va oltre ma non ho idea di cosa sia. Sento che devo farlo e basta.

    L’unico edificio oltre le case presente in questa zona, è una vecchia, anzi, vecchissima clinica psichiatrica. Tutt’ora è indicata come manicomio termine che ormai non si usa più. Mi sono soffermato al suo esterno l’altro giorno, ho sbirciato tra le sbarre ricoperte di vernice nera ormai scrostata dal tempo e arrugginite dalle tante intemperie a cui sono state esposte. Quello che ho visto, immagino fosse il cancello principale. C’è una targa con su scritto L’isola Blu, probabilmente è il nome della struttura. All’interno c’è un vasto giardino, non molto curato. L’edificio stesso sembra non aver subito mai una ristrutturazione, sembra quasi abbandonato, ma non lo è. Le finestre che danno sulla facciata principale hanno le sbarre, qualcuna era illuminata. Delle auto erano parcheggiate a sinistra, subito dopo il cancello.

    Bè, non è il massimo dell’allegria avere un manicomio come vicino, o quasi, di casa, ma la folta distesa di salici piangenti che la contornano, è sufficiente per nascondere a prima vista, l’intero grigio edifico.

    L’inaugurazione del mio negozio ci sarà Lunedì, è tutto pronto, gli scaffali ben forniti, devo dire che non è stato difficile trovare un locale vuoto che soddisfacesse le mie esigenze. Gli abitanti della cittadina hanno accolto bene l’idea di avere una libreria, spero sia di buon auspicio. Nel mentre posso dedicarmi alla casa.

    Ho chiamato diverse ditte che lavoreranno per sistemare tutto. In un mese sarà perfetta. È suddivisa su due piani, una grande soffitta e un altrettanto grande cantina che odora di muffa. Ci sono molte stanze, una cucina spaziosa e un soggiorno con camino. Adiacente ad esso c’è una sala che è sempre stata vuota, diventerà il mio studio, sperando che un po’ di tecnologia arrivi fin qui. Contornerò le pareti di scaffali per poter mettere la mia collezione di libri in bella vista e a portata di mano.

    Oggi pomeriggio, mentre facevo una piccola ricognizione nei dintorni, ho notato una ragazza. Era seduta in riva del lago, immergeva le gambe dentro l’acqua, non si è mai voltata, nonostante fossi passato a pochi metri di distanza da lei. Sono quasi sicuro che sia la stessa ragazza che ho visto camminare tra i salici vicino a quel tetro edificio l’altro giorno. Probabilmente anche lei abita qui, isolata da tutto. Almeno so di non essere completamente solo in questa frazione distaccata dalla cittadina. In genere si popola un poco di più in estate, quando ero piccolo funzionava così, adesso non so se è stata completamente abbandonata dal mondo.

    « Signor Finn? »

    Stavo aprendo le imposte della piccola finestra in soffitta quando sentii qualcuno bussare alla porta d’ingresso e pronunciare il mio nome. Scesi le scale di corsa, ricordando l’appuntamento con gli elettricisti.

    « Salve, scusate l’attesa ma ero in soffitta, prego entrate pure. » Spalancai la porta mettendomi di fianco per lasciarli passare, lasciando lo spazio necessario per la scala e tutti i loro attrezzi.

    « Salve, non si preoccupi, anzi, siamo in anticipo, spero non sia un problema. » Io non aspettavo altro di poter avere internet. « No, assolutamente. » mi affrettai a dire. Erano solo in due ma nel giro di poche ore riuscirono ad allacciare l’elettricità, far funzionare il telefono e internet. Non è stato un lavoro semplice, hanno dovuto sostituire tutti i cavi elettrici ormai logori, per tutto il perimetro della casa. Finalmente niente candele, potevo vedere la casa completamente illuminata dalle tante lampade che mia madre amava sistemare in tutte le enormi sale. Per quanto sia datata la casa, è davvero bella e forse è proprio questo a renderla tale, infatti ho ancora dei dubbi riguardo alla ristrutturazione, non voglio fare troppe modifiche.

    La prima cosa che feci dopo che gli elettricisti andarono via, fu collegare il mio computer alla rete. Mandai una mail al mio socio per informarlo riguardo l’evento di Lunedì, consapevole che non sarebbe riuscito a venire. La mole di lavoro a New York, senza di me era quasi raddoppiata. Continuai a navigare su internet per prendere qualche altra informazione su questa piccola cittadina, ma niente di nuovo, in rete girano pochissime notizie riguardo questo posto. È una semplice località di villeggiatura per chi ama la tranquillità.

    Spensi il computer. Era ora di chiamare casa. Ossia, era ora della nota dolente. Presi la cornetta di quel telefono, muto fa tanto tempo.

    « Mamma, sono io, ho fatto allacciare l’elettricità quindi siete liberi di chiamarmi anche qui, il telefono funziona e il numero è sempre lo stesso. Come state? » Dopo una piccola esitazione rispose:

    « Torna a casa Xander. »

    Sviò del tutto la mia domanda e non diede nessuna importanza a ciò che le avevo appena detto. Mi misi sulla difensiva come era ormai solito quando entrava in ballo il mio trasferimento in questa vecchia casa. Cercai comunque di restare calmo e aperto al discorso.

    « Perché dovrei? Qui si sta benissimo, proprio come quando ci venivamo insieme. È vero, è isolato, ma non è un problema dopo aver vissuto nel caos per anni, infondo è quello che cercavo. Inoltre l’apertura della libreria è stata accolta molto bene, vedrai che andrà tutto come previsto. »

    « Ci sono cose che non sai su quel posto, non per niente non ti abbiamo più portato lì da quando avevi quindici anni. Torna a casa, ci sono altri bellissimi luoghi dove puoi andare se sei stanco della città. »

    « Cosa non so? Ci sono killer che girano? Ladri? Malattie ancora non estinte? Dai mamma, ne abbiamo già parlato. » Non fece caso al mio tono ironico e continuò per la sua idea.

    « Nulla di tutto ciò. »

    « Allora non vedo il motivo di tutta questa vostra preoccupazione, dovreste essere felici per me e rispettare le mie decisioni. » Mi sentivo offeso, sembrava che mia madre ancora pensasse che non fossi in grado di badare a me stesso.

    « Fai come credi Xander, noi ti abbiamo avvertito. Almeno promettimi che starai attento e che… » esitò di nuovo poi riprese a parlare, « … e che non ti fiderai di nessuno. Lì, in quel posto, niente è quel che sembra. » Agganciò il telefono, senza lasciarmi modo di chiedere ulteriori spiegazioni. Quando si comporta così, è tanto preoccupata quanto insopportabile, ma proprio non riesco a capire il motivo di questa sua ostinazione, eravamo felici qui.

    Sono sicuro che le passerà non appena si renderà conto che le sue paure sono infondate. Tra meno di un mese si accorgeranno che si sbagliano e che possono stare tranquilli. Fosse la volta buona che riesca a convincerli a trascorrere qualche giorno qui tutti insieme, almeno per le vacanze estive.

    La stanchezza iniziò a farsi sentire, non avevo fame e non avevo avuto modo di fare una spesa più corposa, mi accontentai di un panino. Salii al secondo piano, la vista dalla mia stanza era bellissima. Il lago era uno specchio che splendeva di stelle. Tutta la vegetazione circostante si amalgamava perfettamente con i riflessi del lago. Sembrava un quadro antico dove i colori predominanti erano il blu il verde e tanti piccoli punti di luce. Credo di essere proprio stanco, i miei occhi iniziano a dare i numeri, mi è parso di vedere nuovamente quella ragazza dai capelli lunghi più neri del buio, seduta in riva al lago, sola.

    Ma ora che sto guardando meglio, non c’è. La stanchezza fa strani scherzi a volte. Sarà meglio andare a dormire. Domani mattina andrò in città e valuterò quale sia il mezzo migliore per arrivarci. Sicuramente il piccolo motoscafo, che taglia per il lago è più rapido ma una volta lì, mi troverei sprovvisto di mezzo. Ci penserò domani, adesso, mi si chiudono gli occhi.

    Due

    Bene, questa non ci voleva, il motoscafo di papà non parte. Avrei dovuto immaginarlo. Non mi rimane altro che utilizzare l’auto finché non lo avranno sistemato. Ci vollero quaranta minuti per arrivare in città, se così si può chiamare. Entrai nel supermercato più fornito che notai lungo la strada. Stavo cercando il latte quando vidi una giovane donna che mi fissava da lontano.

    « Xander! Sei tu? » Mi avvicinai, questa signora aveva il viso vagamente familiare ma non riuscivo a focalizzarla, « Si sono io, ci conosciamo? »

    « Certo che ci conosciamo, sono la sorella di Jack, giocavate sempre insieme da piccoli ed io vi correvo dietro per paura che vi avvicinaste troppo al lago, possibile che non ti ricordi? » Dopo qualche secondo una valanga di immagini assalì la mia mente.

    « Ora si che ricordo, sono passati così tanti anni, come stai e come sta tuo fratello, non vedo l’ora di vederlo. »

    « Io sto bene, come puoi vedere ora lavoro qui, il supermarket non era il massimo delle mia ambizioni, ma la vita a volte è strana. » Esitò un istante poi riprese il discorso.

    « Jack si è trasferito non appena finite le superiori, adesso vive a New York, si sta laureando, anche se un po’ in ritardo con in tempi. Gli dirò che sei qui appena lo sento. Sei venuto a trascorrere le vacanze a nome dei vecchi tempi? »

    « Non proprio. Mi sono trasferito e domani sarà il primo giorno di apertura della mia libreria, mi dispiace che Jack non ci sia. »

    « Ah si, ne ho sentito parlare, allora sei tu il proprietario. Bè hai avuto un’ottima idea, qui i libri scarseggiano, c’è solo la libreria scolastica. Pensavo che tu e la tua famiglia non sareste più venuti, sai dopo quella storia, ma io non c’ho mai creduto. Questo posto è come un paese. » Parlava di qualcosa che non so o che non ricordo. « Quale storia? »

    Il suo sguardo si fece serio per una frazione di secondo, ma i lineamenti del suo viso tornarono morbidi e rispose, « Oh, solo vecchie dicerie che si legano a vecchie leggende. Non ne vale nemmeno la pena perdere tempo a parlarne. Quando avrò modo di sentire Jack te lo saluto volentieri, gli farà piacere sapere che sei in città. Domani passerò senz’altro al tuo negozio. Ciao Xander scusami ma il dovere mi chiama. »

    Scomparve tra gli scaffali del reparto saponi. Ma di cosa parlava? Il suo sorriso era finto ed era in forte imbarazzo. C’è qualcosa che non so e che forse dovrei sapere? Fosse la causa per cui i miei genitori non mi hanno più portato qui ed hanno abbandonato quella bella casa che abbiamo?

    Ora non ho tempo, devo pensare a domani, ma appena posso chiamerò mia madre e sentirò cosa ha da dire in merito, non sono più un ragazzino.

    Sono le quattro del mattino, qualcosa mi ha svegliato. Un sogno, uno strano sogno. Mi ha messo inquietudine ma non riesco a ricordare niente. Eppure la sensazione è così forte, forse la storia delle leggende e dicerie mi ha scombussolato. Devo chiamare mia madre, a New York è presto, ma sarà già sveglia, come suo solito. Scesi nello studio e la chiamai.

    « Mamma. »

    « Xander, che succede, come mai mi chiami a quest’ora? »

    « Già, è ancora presto. Ho fatto un brutto sogno o qualcosa del genere, comunque… hai due minuti? »

    « Certamente. »

    « Ho incontrato la sorella di Jack, il mio amico che viveva qui e… »

    « Viveva? » Mi interruppe con tono allarmato.

    « Si, lasciami finire, si è trasferito a New York. Ma questo ora non c’entra con quello che volevo dirti. La sorella è rimasta sorpresa nel vedermi, forse pensava non tornassi più qui e ha parlato di una diceria o leggenda e mi ha fatto intendere che tu e papà ne siete a conoscenza. »

    « Cos’altro ti ha detto? » Sento una punta di allarme nella sua voce, « Niente, ha tagliato corto. Forse sei tu che devi dirmi qualcosa non credi? Perché non siamo più venuti qui? »

    « Xander, non credo sia il caso di parlarne per telefono. Sai come la pensiamo io e tuo padre. Qui non c’entrano le leggende. Torna a casa e… »

    « No mamma! Se sei così preoccupata per me, devi dirmi il motivo! Non fai altro che dirmi di andare via da qui e di tornare a casa. Non ci penso nemmeno lo capisci? Quindi credo sia il caso di dirmi cosa ti preoccupa. » Mi stavo agitando, se ne rese conto e dopo un lungo silenzio rispose.

    « D’accordo. Come avrai visto c’è una clinica psichiatrica vicino casa nostra, all’epoca i pazienti non pericolosi venivano lasciati liberi di uscire il pomeriggio. Li si poteva vedere girare per il parco vicino al lago. Io e tuo padre abbiamo ritenuto opportuno non lasciarti incontrare queste persone. Tutto qui. Non volevamo facessi cattive amicizie, avevi quindici anni e a quell’età si è più inclini a cattive influenze. Poi tu eri così socievole. Insomma Xander, abbiamo deciso il meglio per te e per la tua sicurezza. Tutto qui. »

    « Questa non è la verità, io non me ne ricordo e non vedo perché sarebbe dovuto diventare un segreto. »

    « Vedi Xander, ci sono cose che si ricordano e altre no. A volte è meglio non ricordare, io sono tua madre e voglio solo il tuo bene. Non essere caparbio e torna a casa. »

    « Ormai sono grandicello per lasciarmi influenzare, non trovi? Quindi tutto ciò è infondato adesso. Credo che correrò il rischio visto che le cose stanno così. Quando deciderai di essere sincera con tuo figlio forse potremmo avere una conversazione normale. Ciao mamma. »

    Questa volta fui io

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