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Quanta strada ci separa ancora
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Quanta strada ci separa ancora
E-book398 pagine5 ore

Quanta strada ci separa ancora

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Info su questo ebook

Sara Fontana e Leonardo Marchese non si sono mai conosciuti prima di varcare la soglia del D'Annunzio. Sara, ginnasta promettente, ribelle per natura e completamente ostile alla madre Aurora, dopo cinque anni torna a Pescara. Le sue proteste non hanno impedito il trasferimento. Per lei, Aurora e la piccola Aria è arrivato il momento di ricominciare. Di nuovo. Nuovo liceo, nuovi amici e nessuna possibilità di partecipare alle Olimpiadi. Leonardo Marchese ha diciannove anni, nessuna voglia di pensare al futuro, detesta se stesso e la seconda opportunità che gli ha concesso la vita. Adora sua madre Sandra e suo fratello Alex, ma le uniche cose che riescono a calmarlo, sono: il suo violino, la sua Yamaha nera e Nic, il migliore amico di sempre. Ma cos'è a legare veramente questi ragazzi? Qual è il motivo per cui si sentono l'uno parte dell'altra dal primo istante? Cosa nasconde il passato di entrambi? Tra corse in moto, sguardi tra i corridoi della scuola e fughe romantiche, Sara e Leo troveranno il modo di farci sognare e portarci in quel mondo senza tempo degli anni dell'adolescenza.
LinguaItaliano
Data di uscita5 ago 2020
ISBN9791220230551
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    Anteprima del libro

    Quanta strada ci separa ancora - Luana Papa

    Irene Stasi e Luana Papa

    Quanta strada ci separa ancora?

    Per tutte le volte che ti hanno lasciata senza voltarsi indietro. 

    Per tutte le volte che ti hanno ferita,

    dimenticando di restituirti il cuore.

    Per tutte le volte che l’amore ti ha fatta sentire sbagliata o fuori posto.

    Per tutte le volte che a te,

    hanno preferito un’altra.

    Ricorda, non sei tu quella a cui manca qualcosa.

    A te che hai imparato a ricucire da sola le ferite, rendendoti più forte.

    Ricorda quanto tu sia speciale.

    Nonostante il dolore abbi il coraggio di amare. Di nuovo. Ancora.

    Come se fosse la prima volta.

    Come se non avesse mai fatto male.

    Nonostante tutti i nonostante, tu scegliti. 

    Scegliti sempre.

    Perché ricorda,

    puoi anche perdere, ma l’importante è non perdersi.

    A te che non meriti chi ti ama a metà,

    perché l’amore ha bisogno di farti sentire intero.

    Ricorda che per persone che non meritano seconde possibilità,

    ce ne sono altre che meritano tutto.

    Non sbagli mai a seguire ciò che senti.

    Hai lasciato il cuore ovunque,

    ma lo ritroverai.

    La vita è così; dà quando smetti di aspettare, trova quando smetti di cercare.

    E tu, 

    scegli sempre di essere felice.

    PROLOGO

    02:58

    Il tempo quella notte era spaventoso. Il vento che c’era fuori scuoteva ogni cosa. I tuoni mi facevano sobbalzare continuamente e io mi rigiravo nel letto senza trovare pace. Non riuscivo a dormire, fin quando all’improvviso la porta della mia camera venne spalancata.

    «Che diavolo succede?» chiesi, accendendo la luce dell’abat-jour.

    «Dobbiamo correre, ci hanno chiamati» rispose, rovistando nei cassetti e prelevando dall’armadio il borsone già pieno della mia roba.

    «Cosa?» mi irrigidii tirando il dorso sulla spalliera. Il respiro si fece più pesante del solito.

    «Hai sentito bene tesoro mio» disse, uscendo dal bagno che avevo in camera. «Fai in fretta, non ci aspetteranno per sempre».

    «Se è uno scherzo non è divertente».

    «Credi possa scherzare su una cosa simile?» si voltò, risentita, puntando il mio sguardo. Aveva il viso rigato dal pianto. «Abbiamo poco tempo» scandì a piene lettere con quei modi di fare che mi avevano sempre mandato fuori di testa.

    «Ma… io… io ero già pronto per…».

    «Shhh» mi zittì prontamente, fiondandosi su di me. «Sbagliavi» sussurrò, lasciando aderire la sua fronte alla mia. «Sbagliavi».

    «Ma…» provai a contrariarla.

    «Andrà tutto bene» sostenne ferma. «Ma adesso dobbiamo sbrigarci» disse ancora, riacquisendo in un istante tutta la sua autorità. «Adesso devi solo alzarti» si impose tirandomi su.

    Le ruote di quel lettino di ferro si muovevano veloci nel corridoio, facendomi avvertire ogni dosso sottostante. Intorno a me c’era solo tanta confusione.

    «Dobbiamo sbrigarci» affermavano tutti concitati. Neanche loro dovevano aver dormito molto quella notte. I volti erano stranamente provati e non ne capivo il motivo.

    «E se non fosse più ciò che voglio?» ebbi il coraggio di chiederle, inchiodando il suo sguardo alle pareti di quel posto che tanto odiavo.

    «È esattamente ciò che vuoi» disse dura, prima che la nostra conversazione venisse bruscamente interrotta.

    «Dobbiamo correre» la informarono con rammarico.

    Senza protestare annuì e si bloccò dandomi un’ultima occhiata fugace, prima che mi portassero via.

    «Supereremo anche questa» riuscii a dire.

    La sua corsa si era appena arrestata, mentre la mia sarebbe continuata.

    1 Cambiamenti

    Sara’s Pov

    Non avrei mai creduto che queste strade potessero generare tanta emozione in me. Sono passati anni, eppure pare che la memoria del cuore non dimentichi nulla.

    Ogni battito, ogni contrazione mi ricordano perché disdegno questo posto.

    Detesto queste maledette strade, non sopporto gli sguardi di commiserazione della gente e odio incredibilmente la donna alla guida della nostra automobile.

    La osservo dal riflesso del finestrino e vorrei scomparisse.

    Anche questa volta mi ha costretta a fare qualcosa che non voglio. Nessuna di noi ha approvato la sua scelta, eppure, senza ascoltare ragioni, ha deciso di imballare tutta la nostra vita e tornare a Pescara.

    Nonostante suppliche e pianti, ci ha depositate in macchina come valigie e condotte qui. Tutte e tre insieme, costrette di nuovo a ricominciare.

    La disprezzo con tutto il cuore.

    «Alza!» ammonisco Aria che come al solito ha abbassato tutto il volume della radio.

    «Sara, penso che tu possa rivolgerti a tua sorella in maniera più gradevole». Mi rimprovera nostra madre, fulminandomi con lo sguardo dallo specchietto retrovisore.

    «Volevo solo chiedervi se siamo arrivate» dice mia sorella.

    «Non ti sei accorta che abbiamo appena messo piede in questa città di merda?» l’attacco, sporgendomi verso lo stereo. «E per la cronaca, se avessi voluto essere cordiale con lei, avrei saputo come fare» mi rivolgo ad Aurora, alzando di nuovo la voce della canzone di sottofondo.

    «Non credere che il fatto di essere arrabbiata con me ti dia il diritto di rispondermi in questo modo».

    La guardo male, lasciandomi sprofondare nel sedile di pelle posteriore.

    Non ho alcuna intenzione di ascoltarla.

    «Questa è pesante per te» ammonisco Aria, togliendole la scatola che cinge tra le mani. Siamo appena arrivate e stiamo già scaricando l’auto.

    «Oh mio dio mamma, ma qui è bellissimo» dice la piccola di casa con grande entusiasmo.

    «Ricordati di dirlo anche quando un topo ti camminerà sul cuscino» arresto il suo entusiasmo guardandomi intorno disgustata. «Stiamo andando davvero a vivere su un trabocco?».

    «Quand’eri bambina adoravi questo posto».

    «Forse dimentichi che sono cresciuta e una palafitta sul mare non è proprio la casa in cui ci si aspetta di vivere».

    «Fidati, ti piacerà».

    «Sì, sarà adorabile svegliarsi con la puzza di pesce, la presenza continua dei pescatori con i loro secchi e gli scogli infestati dai ratti» annuisco sarcastica, mentre Aria scambia uno sguardo d’intesa con Aurora.

    «Vieni Waffle, scendiamo in spiaggia» dice al cane, richiamando l’attenzione del meticcio che i nostri genitori le hanno fatto scegliere qualche anno prima in un canile.

    «Almeno qualcuno si diverte» alzo gli occhi al cielo, avanzando sul pontile di quella casa in legno.

    «Attent…» prova ad avvisarmi mia madre, prima che inciampi su un gradino rotto.

    «Benvenuta a Pescara, Sara» blatero tra me e me. «Mi piacerà di sicuro questa bettola malconcia mamma» le sorrido, voltandomi nella sua direzione.

    «Ti prometto che la metteremo a posto» dice, avvicinandosi per porgermi la mano.

    «Non ho bisogno del tuo aiuto» la fulmino, rimettendomi in piedi.

    «Dammi fiducia».

    «L’hai persa anni fa» rispondo, lasciandomela dietro. Siamo consce che questa città ci devasterà, ma ad Aurora Fontana non importa nulla.

    «Ariaaaaaa» urlo dal ponte che porta alla nostra nuova casa. «Non toccare nulla di quello che trovi laggiù e tra cinque minuti sali a darci una mano».

    «Va bene Rari» risponde affermativa, utilizzando lo stesso nomignolo che mi affibbiava quando era alta solo pochi centimetri.

    «Anche quella è nostra» ci tiene a specificare Aurora, indicandomi il piccolissimo appezzamento di spiaggia sottostante al trabocco. «Ho pensato potesse piacerti avere un angolo tutto tuo dove allenarti».

    «Ti sono grata, è meraviglioso scoprire che mi hai tolto tutto per offrirmi una microscopica porzione di sabbia».

    Continuo a mostrare tutto il mio rancore mentre ci avviamo dentro.

    «Ti farai dei nuovi amici anche qui».

    «O riprenderò contatti con quelli che già avevo? Perché per te è sempre tutto semplice, vero? Dopotutto ricominciare è la tua migliore arte».

    «Sara…».

    La blocco. «La porta almeno si apre?» dico sarcastica, indicando quell’uscio malconcio.

    Rassegnata dalle mie continue lamentele, apre.

    «Eccoci a casa». Sospira la mamma e in questo stesso istante Aria ci raggiunge.

    «Ma è bellissima» dice mia sorella, rincuorandola. Lei e il suo ammasso di pulci corrono ovunque avanti e indietro. «È tutto in legno e la vista sul mare è spettacolare» continua, saltando al collo della mamma.

    La sala che ci ritroviamo davanti è già arredata, mentre il finestrone frontale porta su una terrazza che si mantiene sui piedi di legno della struttura. Viviamo praticamente sull’Adriatico.

    Nonostante le mie remore, non ho mai visto niente di simile.

    «Bella vero?» chiede la mamma euforica. Chiaramente sta cercando la mia approvazione.

    «In quale buco di questa topaia c’è la mia stanza?» cambio totalmente discorso, annientandola completamente.

    «Credo sia quella» la indica abbassando lo sguardo.

    «A che ora si cena?».

    «Per le otto a tavola» riesce a dire, prima che io mi chiuda la porta alle spalle. Questo sgabuzzino sarà il mio nuovo rifugio.

    «Vedrai che le passerà» sento dire, mentre provo a capire come adattarmi ai nuovi spazi.

    «Sara, Sara» sento bussare ripetutamente. È la voce di Aria che piano, piano apre la porta. «La cena è pronta». Mi sono addormentata sul letto senza lenzuola. Waffle viene a leccarmi la faccia.

    «Va via!» lo allontano coprendomi il viso.

    «Io e la mamma abbiamo preparato le patatine fritte». La guardo con sufficienza e mi alzo.

    «Sei riuscita a riposare?» chiede la mamma non appena mi vede entrare in sala.

    «Sai che non mangio frittura».

    «Non succede nulla se ogni tanto sgarri con la dieta» replica, poggiando sulla tavola la cena.

    «Naturalmente. Tanto non sei tu quella che avrebbe dovuto qualificarsi per le Olimpiadi» rispondo, prelevando una bottiglietta d’acqua dal frigorifero.

    «Domani faremo la spesa e prenderemo tutto quello che ci serve».

    «Magari inizia con della frutta».

    «Dove vai?» mi inquisisce.

    «A fare un giro, ho bisogno di prendere aria. In questo posto non si respira».

    «Non allontanarti troppo» risponde fredda. Sa che non otterrebbe nulla se mi imponesse di sedermi a tavola.

    «Ci vediamo dopo». Faccio un cenno col capo, chiudendomi la porta alle spalle.

    Mi guardo attorno e sospiro. Si è fatta sera. Delle lucine gialle contornano per intero la zona. L’atmosfera è davvero gradevole. Questo posto non è poi così male.

    Inspiro a pieni polmoni. Attraverso il ponticello di legno e apprezzo l’idea di ritrovarmi sul mare.

    Adoro il rumore dell’acqua e questa porzione di Pescara è davvero uno dei miei luoghi preferiti di quando ero bambina.

    Scendo in spiaggia. Do un’occhiata a ciò che Aria e Waffle hanno già ispezionato prima di me e mi spingo fin sotto la palafitta.

    Sembra il posto perfetto dove poter restare sola con me stessa.

    Mi siedo per terra. Stringo le gambe al petto e mi incanto ad osservare le luci di casa riflettersi sulla superficie dell’acqua.

    Qui c’è la pace, quella che forse sto cercando da troppo tempo.

    Il trillo del cellulare mi fa sussultare. Un messaggio. Illumino il display. Il ragazzo che porta il nome del passato, prima o poi dovrà rassegnarsi. Ripongo l’oggetto in tasca e continuo a riflettere. Non avrei mai pensato possibile che nostra madre ci avrebbe riportate qui. Afferro una pietra e con rabbia la scaglio in acqua.

    «Dannazione» dico portando le mani in testa.

    «Che vita di merda!».

    «Saraaaa» sento la voce di Aria riecheggiare sul ponte di casa, mentre, non si sa come, il suo cane è già giù accanto a me.

    «Sono qui» le rispondo in fretta per impedirle di scendere.

    «Tieni» dice non appena mi vede sbucare da sotto al trabocco.

    «Ma sei matta!» mi lamento, afferrando al volo una mela.

    «Il nostro vicino è stato molto cortese» alza le spalle, mentre i lunghi capelli castani le ricadono sul viso rotondo. È sicuramente stata Aurora a mandarmela.

    «Io e la mamma tra un po’ guardiamo un film, lo vedi con noi?». È palese il tentativo di farmi sentire a casa.

    Annuisco col capo e richiamando l’attenzione di Waffle salgo in quello che da oggi in poi diventerà il riparo che ci terrà al sicuro dal mondo.

    2 Ritorno alle abitudini

    Sara’s Pov

    «Buongiorno» sento dire non appena esco dalla mia camera da letto. «Dormito bene?».

    «Credo che dovremmo comprare un materasso migliore» mi lamento, strofinandomi la schiena.

    «Anche il nostro era un po’ scomodo» interviene Aria che, seduta sullo sgabello della cucina, inzuppa un biscotto nel latte.

    «Non hai una stanza tutta tua?» la derido.

    «No, dormo insieme alla mamma perché abbiamo preferito offrire a te maggiori comodità» replica risentita. Le rubo un biscotto.

    «Tu non mangi queste cose» aggiunge accigliata.

    «Inizio ad avere fame anch’io» le sorrido, piazzando la mia faccia davanti alla sua.

    «Oggi andiamo a fare la spesa, vieni con noi?» chiede nostra madre, mettendomi davanti un piatto di uova strapazzate con dell’altro. «Hai bisogno di mettere sotto i denti qualcosa».

    «Grazie» sibilo poggiando i gomiti sulla penisola.

    «Comunque non vengo. Ho da sbrigare cose mie».

    «Potrei lasciarti in centro se vuoi».

    «Ho la mia bicicletta».

    «Che rottura» sussurra Aria, lasciando che le gambe le penzolino dallo sgabello.

    «Non lo è affatto» le rispondo, adagiando in bocca un pezzo di pancetta. «Dai qualcosa a quel cane» la multo notando che Waffle le sta sotto in attesa che le cada qualcosa.

    «Ha già mangiato».

    «Beato lui» sgrano gli occhi disgustata dal sapore delle uova. «Vado a fare una doccia».

    «Non finisci di mangiare?» chiede la mamma, notando che ho lasciato tutto.

    «Assaggio qualcosa fuori, magari lì trovo del cibo vero». Senza voltarmi mi chiudo in bagno.

    «Fai attenzione al soffione della doccia» prova ad avvertirmi.

    Senza darle troppa importanza, sfilo il pigiama ed entro nella cabina della doccia. «Ma porca miseria!!!» mi lamento quando getti d’acqua bollente e gelida si alternano schizzando dappertutto. «Ma che diavolo! Possibile non funzioni niente in questa casa?».

    «La mamma ti aveva avvisata» dice Aria, schernendomi da dietro la porta.

    «Sta’ attenta perché se quando esco ti trovo ancora qui è la tua fine» la avviso, gettando contro di lei tutta la mia frustrazione.

    «Stiamo uscendo» si appresta ad informarmi trionfante, mentre io combatto ancora contro gli zampilli dell’acqua.

    «Corri via, fai bene».

    «Sara ti ho lasciato le chiavi sulla tavola. Mi raccomando chiudi tu» si inserisce la mamma.

    «Nemmeno se le lasciassi attaccate alla porta qualcuno sarebbe così folle da entrare qua dentro». Come sempre non le risparmio la mia dolcezza.

    «Ci vediamo dopo» mi liquida, senza avere alcuna intenzione di discutere ancora con me.

    «Non mi dire che ti hanno davvero lasciato qua» dico quando, uscendo dal bagno, mi ritrovo di fronte Waffle. Mi stava chiaramente aspettando. «A quanto pare oggi sarò costretta a sopportarti fin quando non metterò piede fuori di casa» sostengo sarcastica inciampando in una scatola. «Ma che diamine». Questa mattina non faccio altro che combinare danni.

    Il contenuto di uno dei tanti involucri di cartone che riempiono il trabocco adesso è tutto per terra a causa mia.

    «Sono un disastro» ammetto ad alta voce, iniziando a raccogliere ogni cosa. La mamma non sarebbe felice di trovare sul pavimento tutti i suoi documenti.

    «Sta’ fermo!» sgrido Waffle quando ruba una delle sue matite. «Se ti becca Aurora ti fa nero» provo ad intimorirlo, mentre alzando tutti i fogli viene fuori una vecchia foto che conosco bene. Rimango per un po’ incantata ad osservarla.

    È esistito un tempo in cui siamo state felici e questo scatto lo dimostra. Mentre mi perdo tra sentieri di ricordi, sobbalzo. Qualcuno sta aprendo la porta di casa. Poso subito la foto lì, dove l’ho trovata e tampono i capelli con l’asciugamano.

    «Sono io» mi tranquillizza subito la mamma rientrando. «Ho dimenticato le chiavi dell’auto. Sicura di non voler venire con noi?» chiede ancora una volta prima di andar via.

    «Sicurissima. Andate pure» rispondo con un velo di malinconia.

    Andare in bicicletta mi rilassa, senza togliere il fatto che un po’ di allenamento non guasta mai, soprattutto dopo tutti quei giorni di fermo forzati. Il nuovo trasferimento ha rivoluzionato per intero la mia vita.

    Pedalo seguendo le indicazioni di Google Maps e sgrano gli occhi quando mi ritrovo davanti la palestra che ho ricercato su Internet. Non so se è la cosa giusta da fare, ma non potrei mai restare lontana da questo mondo.

    Attacco la mia due ruote ad un palo e con la solita sicurezza mi dirigo dentro.

    Posso anche aver cambiato città, ma l’odore di una palestra è uguale in qualsiasi parte del mondo.

    «Buongiorno» saluto quando un uomo di bell’aspetto in tenuta sportiva mi viene incontro.

    «Posso aiutarla?».

    «Sara Fontana» mi presento porgendogli la mano.

    «Sara Fontana!?!» chiede incredulo ricambiando la presa. «Ti stavo aspettando» sostiene con un cordiale sorriso. «Sono Walter Miccoli, allenatore della ginnastica artistica maschile di Pescara».

    Nel mio campo sono molto conosciuta. Ho vinto tante medaglie ed ero nel pieno della mia carriera artistica prima che mia madre decidesse di farmi abbandonare questo sport.

    «È stata la Andreini ad indirizzarmi alla Sua palestra» lo informo.

    «Ho parlato al telefono con lei proprio ieri sera. Mi ha detto che molto probabilmente non parteciperai alle qualificazioni per le Olimpiadi?».

    «Ci sono stati un po’ di cambiamenti nella mia vita, ma Olimpiadi o meno, voglio continuare ad allenarmi» sostengo con un filo di voce. L’avermi allontanata bruscamente anche dalla passione più grande della mia vita è stato uno dei motivi principali che mi hanno spinta ad odiare mia madre con ogni fascio del mio corpo.

    «Proprio per questo la Andreini ci ha tenuto ad assegnarti a Miriam Miglione».

    «Ha detto la Miglione?» replico stupita. Non posso crederci. Quella donna è un fenomeno nel mondo della ritmica. «Cosa ci fa a Pescara?» chiedo curiosa.

    «Non ne ho alcuna idea, ma quando la Andreini ha saputo che eravate nella stessa città, non ha voluto assegnarti a nessun altro».

    «Non è uno scherzo?».

    «Non lo è affatto. La tua ex allenatrice sta facendo il possibile affinché tu possa continuare ad allenarti con gli stessi ritmi che avevi a Udine e, dopotutto, Olimpiadi o meno, spera che tu possa partecipare in ogni caso a qualsiasi gara di qualificazione. Resterai sempre un’atleta che ha vestito magistralmente i panni della nostra Nazionale, queste sono cose che non dimentica nessuno» mi fa un occhiolino. «Casa nostra è casa tua» ci tiene a dire, indicando con lo sguardo quella che diventerà la mia palestra.

    «Non smetterò mai di esserle grata per la sua disponibilità» gli sorrido. «Ma c’è un piccolo problema» ho il coraggio di ammettere, deglutendo spaventata. «Devo riprendere la scuola» confesso.

    «Sappiamo già tutto. I tuoi allenamenti si terranno ogni giorno, dal lunedì al sabato, dalle 14.30 alle 20.30».

    «Dice sul serio?».

    «Pescara è con te Sara» dice, offrendomi forse la rassicurazione più grande di cui ho bisogno.

    Come non ho mai fatto in vita mia, mi lascio trascinare dall’euforia e, senza pensare all’idea che Miccoli si potrebbe fare di me, gli getto le braccia intorno al collo.

    «Le devo tutto» dico felice, senza contenere l’emozione.

    «Devi ringraziare la Federazione e la tua allenatrice» sorride. L’Andreini mi ha da sempre sostenuta e continua a farlo anche oggi, nonostante le difficoltà. Quella donna mi ha sempre amata come una figlia.

    «Allora ci vediamo domani?».

    «A domani Sara» annuisce felice. «E mi raccomando alimentazione corretta, moltissima acqua e grinta da vendere.» Mi fa un occhiolino, conscio che io ne sappia più di lui sulla vita degli atleti.

    «Va bene signor Miccoli» a piccoli passi mi avvio verso l’uscita.

    Sono felice, felice come la prima volta in cui ho messo piede in una palestra. Non si può spiegare una passione a chi vive ogni giorno senza averne una. La ginnastica ritmica è il motivo per cui riesco ancora a sentirmi viva.

    Tengo il dito così attaccato al pulsante del citofono che per poco non rimango incollata.

    «Chi è?» sento chiedere mentre, a passi lenti, una figura che conosco molto bene si avvicina al cancello di ferro grigio. Questa villetta è rimasta identica a come la ricordavo.

    «Sara?!?» pronuncia il mio nome portandosi la mano al petto non appena mi vede. Nonostante i problemi alla vista, non impiega troppo a riconoscermi.

    «Nonna» le salto addosso quando la grata smette di separare i nostri corpi.

    «Oh mio Dio, mi sta scoppiando il cuore dalla gioia!!!» dice senza riuscire a trattenere le lacrime.

    La cingo forte, mentre sprofondo tra l’abbondanza dei suoi seni.

    «Che ci fai qui?» domanda, quando mette realmente a fuoco che sono qui, a Pescara, fuori dalla porta di casa sua. «Non sarai mica scappata da quella dittatrice di tua madre?» dice sarcastica.

    «La dittatrice è stata chiamata dalla Rai di Pescara ed eccomi qui» indico me stessa, lasciandole scrutare da sola quanto sono cresciuta.

    «A quanto pare le tue tettine non sono germogliate neanche di un centimetro dall’ultima volta in cui ti ho vista» scoppia a ridere, prendendomi in giro com’è solita fare.

    «Nonna!!!» dico arrossendo, mentre torno ad abbracciarla. È l’unica persona di questo posto ad essermi mancata.

    «Che ne dici di entrare? Il nonno sarà felice di vederti».

    «Certo. Mi prepari uno dei tuoi tè?».

    «Assolutamente. Ho altre specialità da farti assaggiare» sorride fiera. «Seguimi campionessa» mi invita a entrare mentre felice le cingo la vita.

    Questa casa non ha risentito dello scorrere degli anni. I mobili di legno, gli antichi servizi di ceramica nella credenza e tutti quei ricami fatti a mano sono rimasti esattamente come li ho lasciati.

    «Beh, come va la vita amorosa bambina mia?» chiede Tessa davanti allo sguardo felice del nonno che continua ad accarezzarmi.

    «Se mia madre non fosse così impegnata a sabotare costantemente la mia esistenza, potrebbe andare meglio. Ogni ragazzo che si avvicina sembra dover per forza di cose rinunciare a me».

    «Non fare l’ostile con Aurora e poi ricorda sempre che ciò che è destinato a te, troverà il modo di raggiungerti».

    Alzo gli occhi al cielo.

    «Tutte sciocchezze».

    «Da quando sei diventata così cinica?» mi ammonisce la nonna, tirando su le sopracciglia.

    «Forse sono così da sempre?».

    «Non crede nelle favole» risponde semplicemente nonno Massimo.

    «Massimo caro, non credo tu sia stato tirato in causa» lo redarguisce com’è solita fare. Da qui a poco avrebbero di sicuro cominciato a litigare.

    «Tessa cara, è cresciuta. È naturale non creda più alla storia del principe azzurro» mi fa un occhiolino, mentre le accarezza il braccio con cui sta versando il tè nelle tazze. Quest’uomo sa perfettamente quali corde muovere per innervosirla.

    «Caro marito ti conviene uscire fuori e andare ad annaffiare le piante. Io e mia nipote abbiamo bisogno di restare un po’ da sole» rimarca risentita. La nonna è una persona abbastanza suscettibile e il nonno lo sa molto bene, forse per questa ragione stanno insieme da tutta una vita.

    «Lascialo stare» ridacchio, prendendo le sue difese.

    «Ho piantato i semi di una pianta bellissima Saretta. Vado a vedere se riesco a farla germogliare» mi informa, piazzandomi un dolcissimo bacio sulla fronte.

    «Non ci riuscirai mai. Quella piantina ha troppe condizioni avverse per sopravvivere» lo scoraggia nonna Tessa.

    «La speranza è l’ultima a morire dolce amore mio» le risponde, perdendosi nei suoi occhi. Non ho mai visto due persone che si amano così tanto.

    «Invece ce la farai» lo sostengo fiera. «Vedrai che, nonostante le difficoltà, la tua pianta riuscirà a crescere bella e forte».

    «Lo penso anch’io». Senza aggiungere altro si dirige fuori.

    «Arriverà il giorno in cui smetterai di rimproverarlo?» domando a Tessa quando restiamo completamente sole.

    «Tesoro, quando conoscerai la tua persona, capirai che il vero amore è anche questo».

    «Quale? Trattare una persona orribilmente?» sgrano gli occhi perplessa indicando il giardino.

    «Vedi, sbagli punto di vista. Quello non è trattarla orribilmente, ma farla sentire importante» constata convinta, annuendo col capo.

    «Bel modo strambo di far sentire importante qualcuno».

    «Un giorno capirai bambina mia».

    «Per il momento sembri solo una vecchia bisbetica». Ridiamo insieme di questa constatazione, mentre prelevo dal vassoio qualche biscotto integrale.

    «Parlando di discorsi seri, come va con la mamma e con la ginnastica ritmica?» chiede, sedendo dal lato della tavola che dà sulla zona verde di quella casa.

    «Bella domanda».

    «Che succede?». Il mio sguardo si incupisce di colpo.

    «Con la mamma è un disastro e per quanto riguarda la ritmica forse non riuscirò a partecipare né ai mondiali e di conseguenza neanche alle Olimpiadi perché vorrebbe farmi smettere»

    «Cosa?».

    «Lei e le sue fobie».

    «Vuoi che ci parli io?».

    «Non credo sia una buona idea, considerando il fatto che non vi rivolgete la parola».

    «Ci ripenserà, ne sono certa. Non può farti perdere l’occasione più importante della tua vita» sostiene, accarezzandomi il braccio.

    «È così cambiata» mi sfogo, senza celare l’amarezza.

    «Lo siamo tutti» si stringe nelle spalle prima di tirarmi a sé. «Nonostante ciò, vostra madre vi ama».

    «Non credo sia così».

    «Sai che non è vero» mi ammonisce. «Una madre non smette mai di amare i propri figli».

    «Cavolo nonna, si è fatto tardi!» dico all’improvviso. Le lancette dell’orologio segnano già l’ora in cui avrei dovuto essere a casa. «Mamma si arrabbierà» sbianco raccattando tutta la mia roba.

    «Tornerai a trovarmi?» chiede nonna, osservando ogni mio movimento.

    «Certo che lo farò» la rassicuro dandole un bacio sulla guancia.

    «E Aria? Come sta?» fa in tempo a chiedere, prima che io metta lo zaino in spalla.

    «La porterò qui. Te la farò vedere» le sorrido, intercettando ciò che i suoi silenzi vogliono farmi capire. «Torno appena posso» cerco di tranquillizzarla. «Tanto adesso siamo nella stessa città» la stringo forte prima di avviarmi all’uscita.

    Quando metto piede a casa è già buio pesto. Ho completamente perso la cognizione del tempo.

    «Dove sei stata?» mi sento inquisire non appena apro la porta.

    «Qui intorno» mi giustifico, togliendo di dosso il giubbino di jeans con le toppe che tanto adoro.

    «Cominciavi a farmi preoccupare» dice Aurora, ancora intenta a svuotare le buste della spesa e a rassettare casa. Devono aver fatto tardi. Aria le sta dando una mano.

    «Che ne dici di aiutarci?» prova ad includermi passandomi un barattolo di piselli da mettere nello scaffale.

    «Vedo che ce la fate benissimo da sole» osservo, accomodandomi su uno degli sgabelli della cucina. «Che ne diresti di comprarmi un motorino?» esordisco così. Non so come mi sia venuto in mente un pensiero del genere, ma da quando la scorsa sera ho visto un tipo aggirarsi nel quartiere in sella ad una moto bellissima, non ho fatto altro che pensare che forse non sarebbe stato male avere qualcosa di simile.

    «Cosa?» per poco Aurora non si strozza con la saliva.

    «Ho detto motorino. Hai capito bene» ribadisco, afferrando una mela dal cestino della frutta. «Potrei usarlo per andare a scuola» sorrido, addentando quel frutto come se nulla fosse.

    «Ti accompagno io a scuola» dice ferma, sistemando le carote in frigorifero.

    «Ma così ti libererei da ogni problema».

    «Prendermi cura di voi non è un problema» sottolinea, provando a capire come sistemare tutto nei mobili nuovi.

    «Dico solo che ti faciliterei le giornate».

    «Sei sempre stata una sportiva, adori la bicicletta. Perché adesso vorresti un motorino?».

    «Dimezzerei i tempi tanto per dirne una e mi farebbe sembrare meno sfigata».

    «Non sei mai stata una sfigata e smettila di parlare così» mi guarda male.

    «Era solo un’osservazione» stringo le spalle poggiando le braccia sul tavolo della penisola.

    «E poi hai sempre sostenuto che la bicicletta ti aiuta a tenerti in forma. Adesso cos’è cambiato?» mi invita a ragionare.

    «Nulla, ma…».

    «Nessun ma, nessuna protesta Sara. Non continuare perché questa volta il mio è un no secco».

    «Ma mamma, cosa ti costa?».

    «Sara, non avrai un motorino».

    In realtà non so perché sto insistendo, forse non lo voglio neanche un motorino, eppure vedere quel ragazzo sfrecciare senza pensieri per la città, mi ha trasmesso quel senso di libertà che forse desidero provare da tutta una vita.

    «Non c’è mai modo di farti ragionare vero?» mi alzo di scatto puntando dritta verso il salone.

    «Sono pericolosi, lo vuoi capire o no?» mi urla contro, perdendo completamente la pazienza. È la prima volta che si surriscalda in questo modo.

    «Ok, ok. Rilassati» la guardo per poi andare a sedermi sul divano. «Dopotutto mi hai solo tolto

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