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La filosofia di Tolkien: La visione del mondo ne «Il Signore degli Anelli»
La filosofia di Tolkien: La visione del mondo ne «Il Signore degli Anelli»
La filosofia di Tolkien: La visione del mondo ne «Il Signore degli Anelli»
E-book316 pagine8 ore

La filosofia di Tolkien: La visione del mondo ne «Il Signore degli Anelli»

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Info su questo ebook

Nulla può sostituire la lettura del capolavoro di Tolkien Il Signore degli Anelli. Ma il celebre filosofo Peter Kreeft ci propone un viaggio nel viaggio, guidando il lettore alla scoperta delle fondamenta filosofiche della Terra di Mezzo. All’interno del libro, i temi filosofici del Signore degli Anelli sono meticolosamente suddivisi in 50 categorie, supportate da più di 1.000 riferimenti al testo. Dal momento che l’excursus sui 50 temi affronta molte delle grandi questioni della Filosofia, questo volume può anche essere letto come una coinvolgente introduzione alla filosofia. Per ognuno degli argomenti filosofici, Kreeft offre quattro strumenti di comprensione: la presentazione di una domanda chiave, una citazione a illustrare il pensiero di Tolkien, ulteriori citazioni da altri scritti di Tolkien come approfondimento al tema, e infine citazioni di C.S. Lewis, che di Tolkien fu collega e amico.
LinguaItaliano
Data di uscita4 dic 2020
ISBN9788832761542
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    Anteprima del libro

    La filosofia di Tolkien - Peter Kreeft

    originale

    Introduzione

    Oh, no! Non un altro libro su Tolkien!

    Perché dovresti leggere proprio questo?

    Quasi tutti ricordiamo il luogo in cui eravamo nel momento in cui sono accaduti alcuni tragici eventi della storia recente americana, come l’11 settembre, l’assassinio di Kennedy, o Pearl Harbor.

    E quasi tutti ricordiamo anche dove eravamo quando, per la prima volta, abbiamo scoperto Il Signore degli Anelli.

    Ricordiamo l’entusiasmo della scoperta; quello era un mondo reale, di fatto, più reale e più solido di quello che ci eravamo lasciati alle spalle aprendo le prime pagine del libro. Quelle pagine erano porte magiche, attraverso le quali siamo entrati nel mondo di Tolkien. Non erano solo finestrelle da cui sbirciare, come si fa davanti alle gabbie allo zoo. Non eravamo turisti, ma indigeni: conoscevamo quel mondo. Era il nostro mondo, visto più chiaramente di come lo avessimo mai visto prima.

    Esplorare il mondo di Tolkien non è stato solo interessante (eufemismo multiuso e senza un vero significato), né semplicemente suggestivo. È stata pura gioia, perché sapevamo di essere arrivati alla verità; leggere questo libro è come tornare alla propria casa, e ci spezza il cuore.

    Le riletture successive hanno confermato la realtà e la verità del mondo di Tolkien, e la gioia che avevamo provato è ritornata ogni volta. Nessuno legge Il Signore degli Anelli una volta sola: e questo è il segno più evidente che ci troviamo di fronte ad un Grande Libro.

    Ma quando leggiamo le fonti secondarie, i libri che parlano de Il Signore degli Anelli, non sperimentiamo lo stesso entusiasmo della scoperta, la stessa gioia, e quel senso di meraviglia. Non ci sentiamo di fronte alla viva verità, neanche quando questi libri raccontano qualcosa di vero. Questo perché non vogliamo che sia qualcun altro a dirci ciò che Tolkien ci ha già detto; non ci servono compendi su Tolkien, ma desideriamo il vero Tolkien; non cerchiamo libri a proposito del mondo di Tolkien; vogliamo il mondo di Tolkien.

    Questo volume non parla del mondo di Tolkien, ma della sua visione del mondo, cioè della filosofia di Tolkien. Cercare di comprenderla potrebbe rivelarsi una nuova avventura; infatti, sebbene la filosofia sia una parte del mondo di Tolkien come lo sono le sue guerre, gli esseri che lo popolano, la sua storia, le sue meraviglie e i suoi orrori, essa non si trova sulla superficie, come questi elementi, ma è nascosta al di sotto di essa, o dietro, o all’interno di essa, dentro alle cose e agli eventi della storia. Se Il Signore degli Anelli fosse un’allegoria, la filosofia sarebbe in superficie, come le montagne; ma essa assomiglia più al nucleo incandescente della Terra: centrale, ma nascosta.

    Ecco perché questo libro può rivelarsi una seconda avventura di scoperta. Dopo averlo letto saprai perché, quando per la prima volta hai letto Il Signore degli Anelli, hai avuto la certezza di essere arrivato a contatto con la Verità.

    Quattro diversi usi di questo libro

    Questo libro è quattro tipi di libro in uno.

    In primo luogo, è sia una buona lettura, che un viaggio alla scoperta del cuore filosofico della Terra di Mezzo.

    In secondo luogo, può essere utilizzato come strumento di ricerca, come un indice analitico. I concetti filosofici nel Signore degli Anelli sono indicati e organizzati in cinquanta domande, accompagnati da numerose citazioni dal testo del Signore degli Anelli e da altre tre opere di Tolkien che costituiscono il più genuino commento sullo stesso: il saggio Albero e foglia, Il Silmarillion, e Lettere.

    Ricercare è molto più interessante che rielaborare. Ricordo ancora l’eccitazione nell’usare per la prima volta un indice per lo studio della Bibbia. Ho appreso molto di più attraverso di esso che da qualunque altra fonte secondaria. Un indice analitico è più simile ad un manuale di laboratorio che ad un testo scientifico, o ad uno spartito invece che ad un cd, o ad un ricettario di cucina che ad un piatto di avanzi. Esso è una mappa per il tuo viaggio personale, piuttosto che un diario di viaggio che racconta l’esperienza di qualcun altro.

    In terzo luogo, questo libro può essere utilizzato come una coinvolgente introduzione alla filosofia. Infatti, molti dei grandi interrogativi della filosofia sono inclusi nella lista delle cinquanta domande, ma non in stile accademico, con rigide definizioni e argomentazioni astratte e distanti dalla nostra realtà.

    Se usato in una lezione di filosofia, suggerisco di proporlo in coppia con un romanzo classico o una poesia che rappresenti l’esatto antipodo filosofico, come la Nausea di Jean Paul Sartre, Lo straniero di Albert Camus, La Natura delle Cose di Lucrezio, Walden Two di B. F. Skinner, L’urlo e il furore di William Faulkner, o I dinasti di Thomas Hardy.

    Questo libro fornisce quattro strumenti per comprendere ognuno dei problemi filosofici che il Signore degli Anelli tratta:

    una spiegazione sul significato e l’importanza della questione trattata;

    una citazione chiave dal Signore degli Anelli per mostrare come Tolkien ha risposto alla questione (altre citazioni vengono proposte nell’Indice Analitico del Signore degli Anelli nell’Appendice del libro);

    una citazione dagli altri scritti di Tolkien (di solito una lettera) che offra un chiarimento o un commento sulla questione nel Signore degli Anelli;

    una citazione da C. S. Lewis, caro amico di Tolkien, che proponga lo stesso pensiero filosofico espresso più direttamente.

    Poiché la quantità di citazioni letterali che si può inserire è limitata, il lettore potrà ricercare da sé, nelle opere originali, i passaggi a cui si fa riferimento in questo libro.¹

    Questo libro può anche servire per esaminare lo stretto parallelismo fra Tolkien e Lewis. In ogni caso, la maggior parte delle somiglianze non sono dovute all’influenza diretta, ma alla comune conoscenza e rispetto delle stesse fonti della tradizione, cioè la letteratura, la filosofia e la religione occidentale dell’epoca pre-moderna.

    G. K. Chesterton e Hilaire Belloc furono così legati, sia da un’amicizia personale, sia dalle convinzioni filosofiche e religiose, sia dalla comune vocazione nel combattere la stessa jihad contro il mondo moderno, da essere chiamati il mostro Chesterbelloc. Per queste stesse ragioni potremmo parlare di un mostro Tolkielewis.

    Ma Tolkien non era un filosofo!

    "La filosofia di Tolkien? Non sarebbe un po’ come parlare della politica di Chopin o della teologia di Euclide"? Tolkien non era un filosofo ma un filologo.

    Vero, Tolkien non era un filosofo di professione – e probabilmente non lo sei neanche tu. Ma possedeva una filosofia ben riconoscibile e definita, una personale visione del mondo e della vita (come direbbero i tedeschi, una Weltanschauung e una Lebensschauung). E non è possibile scindere questa filosofia dalle sue opere. Così come la religione a cui apparteniamo, il nostro sesso, l’età e la razza, anche la filosofia permea ogni aspetto della nostra vita. Un hindu avrebbe scritto una versione molto differente del Signore degli Anelli rispetto ad un cattolico. Una donna avrebbe scritto il Signore degli Anelli diversamente da un uomo. Un adolescente avrebbe scritto il Signore degli Anelli diversamente da un adulto. Un italiano avrebbe scritto una versione molto differente del Signore degli Anelli rispetto ad un inglese. Ed è ugualmente certo che un marxista, un razionalista cartesiano, un idealista hegeliano, un nichilista come Nietzsche, o (Dio ce ne scampi!) un decostruttivista alla Derrida avrebbero scritto versioni molto differenti del Signore degli Anelli rispetto a quella che scrisse Tolkien.

    Grazie a Dio, la filosofia non è una prerogativa solo dei filosofi; ognuno elabora la propria filosofia. Parafrasando il famoso motto di Cicerone: non esiste scelta tra avere una filosofia e il non averla, ma solo tra avere una buona filosofia o una cattiva filosofia. Anche il fatto di non ammettere di avere una propria filosofia significa possederne una cattiva, poiché essa è tale da non essere conscia di se stessa. In che modo quindi, si potrebbe conoscere qualcos’altro, specialmente se stessi?

    La grandezza de Il Signore degli Anelli

    L’establishment letterario in Inghilterra rimase sbalordito, scioccato e scandalizzato da un evento di enorme rilievo, quando una grande catena di librerie propose un innocente sondaggio ai lettori di lingua inglese, chiedendo loro di scegliere il più grande libro del ventesimo secolo. Con un grande margine, vinse Il Signore degli Anelli. Per tre volte, questo sondaggio fu esteso: prima ai lettori di tutto il mondo, poi via Amazon.com sul web, e infine come il più grande libro del millennio. Lo stesso campione, Tolkien, ha trionfato ogni volta.

    I critici vomitarono e gemettero, si lamentarono e si fustigarono, e boccheggiando cercarono una spiegazione. Qualcuno di loro disse che avevano fallito e che il loro lavoro di e-du-ca-zio-ne era stato tutto tempo sprecato. "Perché impegnarci ad insegnare loro cosa dovrebbero leggere, se tanto vogliono leggere quello?"

    I sondaggi rivelarono un’importante caratteristica de Il Signore degli Anelli: si trattava di un classico, cioè di un libro amato dall’umanità, dalla natura umana, dovunque essa si trovasse. E svelarono anche qualcosa di importante a proposito dei critici: non c’è umanità all’interno di questa arrogante oligarchia d’élite, completamente distaccata dalla realtà. Infine, quei sondaggi ci hanno mostrato anche un altro aspetto importante della nostra cultura, la stessa cosa evidenziata da ogni sondaggio che ponga domande sui valori o di ordine filosofico: il fatto che la nostra cultura non è affatto egualitaria, anzi, forse si tratta della cultura meno egualitaria della storia del mondo. In quale altra cultura, infatti, la visione del mondo e della vita proposta da coloro che devono insegnare differisce così radicalmente da quella degli studenti?

    Ogni animo umano desidera ardentemente ciò che è buono, ciò che è vero e ciò che è bello, in maniera assoluta e senza alcun limite. Ed è proprio a proposito di questi tre fondamentali valori che il divario tra insegnanti e studenti è più ampio. Le persone comuni credono ancora in una moralità reale, nella sostanziale differenza tra bene e male; credono nella verità oggettiva e nella possibilità di arrivare a conoscerla e nella superiorità della bellezza sulla bruttezza. Ma i nostri educatori, gli esperti (padre Richard John Neuhaus li definisce l’alta società delle chiacchiere) hanno, verso questi tre valori tradizionali, lo stesso atteggiamento che, si ritiene, gli inquisitori medievali avessero verso le streghe. I nostri artisti scelgono deliberatamente la bruttezza invece che la bellezza, i moralisti temono il bene più del male, e i nostri filosofi abbracciano le varie correnti di pensiero post-moderniste che riducono la verità ad un’ideologia o al potere.

    Non è quindi sorprendente che, in una cultura in cui i filosofi disdegnano la saggezza, i moralisti disprezzano la morale, i predicatori sono i più grandi ipocriti, i sociologi sono gli unici a non sapere cosa sia una società giusta, gli psicologi sono quelli con gli inconsci più confusi, gli artisti sono gli unici al mondo che effettivamente detestano la bellezza, e i liturgisti sono per la religione ciò che Van Helsing rappresenta per Dracula – non è quindi sorprendente che, in questa cultura, i critici letterari siano gli ultimi a riconoscere un grande libro quando ne vedono uno?

    Perciò, come dovremmo comportarci con loro? Basterà ignorarli. Questo atteggiamento sarà più utile a salvaguardare la civiltà di qualsiasi altra cosa si possa fare (eccetto, ovviamente, diventare un santo). In più, li farà anche arrabbiare, perché, come gli adolescenti, anche i critici provano la più grande delle gioie nell’essere scioccanti, mentre la loro più grande paura è l’essere ignorati.

    Il Signore degli Anelli è una grande pietra di paragone. W. H. Auden disse: Se qualcuno non lo apprezza, non mi fiderò più del [suo] parere letterario su nessun altro argomento.² Questo non vale solo per quanto riguarda il giudizio letterario, bensì funge da pietra di paragone per l’intera personalità di qualcuno. Chi ama Tolkien è quasi sempre una buona persona, cioè una persona onesta; qualcuno è più simile ad un Hobbit, qualcun altro a un Elfo, ma nessuno somiglia ad un Orchetto. Non per questo chi disprezza Tolkien sarà per forza un Orchetto, ma tutti gli Orchetti odiano Tolkien.

    Ma perché quasi tutti, eccetto i critici, giudicano Il Signore degli Anelli il miglior libro del secolo? Non sono in grado di trovare una risposta migliore a questo quesito della recensione di C. S. Lewis al primo volume:

    Nulla di simile a questo è mai stato tentato prima d’ora. […] Probabilmente, nessuno dei libri già esistenti al mondo rappresenta un esempio così radicale di ciò che il suo autore ha altrove definito una sub-creazione. […] Non contento di creare la propria storia, egli ha creato, con una prodigalità quasi insolente, l’intero mondo in cui essa si svolge, con la sua teologia, i suoi miti, la propria geografia, storia, paleografia, i linguaggi e gli ordini di esseri viventi – un mondo pieno di strane creature d’ogni sorta. I nomi da soli sono una festa. […] Non puoi appoggiare quasi da nessuna parte il piede […] senza smuovere la polvere della storia. […] Questa è certamente il massimo compimento dell’invenzione, ossia quando l’autore produce quello che non sembra tanto il proprio quanto il prodotto di tutti gli altri. La mitopoietica non è forse la meno soggettiva tra le opere di scrittura?

    Questo libro è un fulmine a ciel sereno […]; ecco bellezze che trafiggono come spade o bruciano come il freddo acciaio; ecco un libro che vi spezzerà il cuore.

    Esso è un passpartout: usatelo per qualsiasi porta voi preferiate. […] Nella fuga dalla realtà, ciò che davvero fuggiamo è l’illusione della nostra vita di tutti i giorni.

    Ma perché (qualcuno potrebbe chiedere) perché, se hai intenzione di esprimere una seria considerazione sulla vita reale degli esseri umani, lo devi fare per mezzo di esso [il mito]? Poiché, suppongo, una delle considerazioni principali che l’autore vuole affermare è che la vita reale degli uomini sia altrettanto mitica ed eroica. […] Il valore del mito sta nel prendere ciò che conosciamo e restituirgli il suo vero significato, che viene celato dal velo della famigliarità. Un bambino apprezzerà la carne che ha nel piatto (che di solito gli viene a noia) se fingerà che sia carne di bufalo, che lui stesso ha appena ucciso con arco e frecce. Ed è un bambino saggio: la carne gli sembrerà più saporita, dopo essere stata condita da una storia; si potrebbe dire che solo allora la carne sia reale. Se siete stanchi di ammirare lo stesso panorama, osservatelo allo specchio.

    Inserendo il pane, l’oro, un cavallo, una mela, o anche vere e proprie strade all’interno del mito, non ci stiamo distaccando dal mondo reale: lo stiamo riscoprendo. Fin quando la storia permarrà nei nostri pensieri, le cose che appartengono alla nostra realtà riacquisteranno il loro vero significato. Questo metodo, nel libro, non è riservato solo al pane o alla mela ma al bene e al male, ai nostri infiniti problemi, alle nostre angosce, e alle nostre gioie. Immergendoli nel mito, li vediamo più chiaramente.

    Questo libro è troppo originale e troppo ricco per potergli dare un giudizio finale. Ma ci rendiamo subito conto che esso ci ha cambiati, che non siamo più le stesse persone.³

    Il Signore degli Anelli cura la nostra cultura non meno delle nostre anime. Ci dona una delle cose più preziose e più rare nella letteratura moderna: l’eroico. È una chiamata all’eroismo; il suono di un corno, come il corno di Rohan, che Merry ha ricevuto da Théoden e che ha usato per risvegliare gli Hobbit della Contea dalla loro timida gentilezza e dalla loro apatica passività, affinché si sbarazzassero dei loro tiranni, prima nei loro animi e poi nella loro società.

    La guarigione più profonda è quella della ferita più profonda, e la ferita più profonda nasce dalla frustrazione dei bisogni più profondi, vale a dire il bisogno di un significato, di uno scopo e di una speranza. È proprio questo che ci offre Il Signore degli Anelli. Come disse C. S. Lewis, "Ciò che più ci attrae di questo libro ne è anche, probabilmente, la parte più profonda: ‘anche allora c’era panico e dolore, e l’oscurità s’infittiva, ma le gesta di valore e le grandi imprese non furono del tutto vane.’ Non del tutto vane – è l’esatta metà fra l’illusione e il disincanto."

    Clyde Kilby racconta: "mi è stato scritto di un alunno di prima media che, dopo aver finito di leggere Il Signore degli Anelli, ha pianto per due giorni. Credo che si sia trattato di una richiesta disperata di vita e di un significato e di gioia, come risposta alla desolazione di oggi."

    In che modo la sua filosofia

    lo rende grandioso

    Ogni storia, lunga o corta, è composta da cinque dimensioni. Solitamente, esse vengono chiamate (1) la trama, (2) i personaggi, (3) l’ambientazione, (4) lo stile, e (5) la tematica. Potremmo definirli, rispettivamente, (1) il lavoro, (2) i lavoratori, (3) il mondo, (4) le parole, e (5) la saggezza di una storia. Filosofia significa amore per la saggezza. Perciò, la filosofia di una storia è anche una delle sue cinque dimensioni basilari. Quale dimensione ha portato al successo Il Signore degli Anelli? Tutte e cinque. Per raggiungere la grandezza, un’opera d’arte non deve essere grandiosa in una sola delle sue dimensioni, ma in tutte, così come un corpo è sano quando tutti i suoi organi sono in salute, un’anima è in armonia quando lo sono tutte le sue componenti (mente, volontà ed emozioni), e un atto è giusto se sono moralmente giuste tutte le sue dimensioni (azione, motivo e circostanze).

    Una grande storia deve avere, prima di tutto, una buona trama, una tematica grandiosa, una giusta azione da compiere, qualcosa che valga la pena portare a termine. Non si può scrivere una grande opera che parli di ricucire un bottone staccato su un maglione, e di nient’altro. È invece possibile scrivere una grande storia che parli di salvare il mondo, ed è quello che ha fatto Tolkien.

    In secondo luogo, una grande storia deve anche includere dei buoni personaggi o almeno un grande personaggio (per lo meno, magnificamente descritto) con cui i lettori si possano identificare, nel quale possano ritrovare la loro identità. Noi diventiamo i personaggi nello spirito, e nell’immaginazione. Una storia non si può definire grandiosa se non ci risucchia al suo interno, facendoci uscire dai nostri corpi, e regalandoci un’esperienza extracorporea, un’ek-stasis, lo stare al di fuori di sé e immedesimarsi in qualcun altro. Queste storie ci concedono la grazia di un’esperienza mistica, almeno a livello immaginativo.

    È possibile identificarsi con quasi tutti i personaggi di Tolkien, persino con gli Ent. Chi avrebbe mai pensato che un autore sarebbe riuscito ad evocare, nella mente di esseri umani adulti, la ferma certezza nell’esistenza, a livello letterario, di alberi parlanti? E gli Hobbit: quale altro scrittore ha creato con così grande successo un’intera nuova specie? E chi ci potrà mai dare una versione migliore e più credibile degli Elfi? Noi sappiamo che essi sono i veri elfi; probabilmente possediamo un radar innato per gli elfi, un innato archetipo junghiano sulla vera essenza degli elfi. Persino le cose inanimate – le foreste, i corni, le spade – sono personaggi con una propria memorabile, e molto credibile, personalità.

    Terzo, una storia grandiosa ha bisogno di un’ambientazione grandiosa, di un mondo interessante. A volte si tratta di una parte a noi familiare del nostro mondo, a volte di una parte sconosciuta di esso, e qualche volta di un mondo completamente diverso. Il Signore degli Anelli non è ambientato in un altro mondo, ma in un momento storico del nostro mondo che ci è sconosciuto: il passato mitico. La Terra di Mezzo è un modo arcaico per indicare il terzo pianeta dal Sole.

    In certi casi, l’ambientazione è minima (ad esempio, ne I tre moschettieri: il libro, non il film); in altri casi, è curata al massimo, quando cioè la stessa ambientazione è la dimensione fondamentale, la più importante di tutte (ad esempio, La città della gioia: di nuovo il libro e non il film, oppure il classico della fantascienza di Hal Clement Stella doppia 61 Cygni). L’importanza dell’ambientazione varia a seconda dei generi: è massima nell’epica e minima nella tragedia.

    Molti lettori trovano che l’ambientazione de Il Signore degli Anelli – l’intera Terra di Mezzo – ne sia l’aspetto più affascinante. In America, dove farlo è legale, ma anche in Kazakistan, dove è illegale, la gente si riunisce per mettere in scena all’aperto delle rievocazioni della trama, che durano anche un’intera giornata, occupando diversi ettari di terreno e interpretando in costume i personaggi, (spesso travestendosi per più di un ruolo a testa), con armi, battaglie, ecc. Credo che nulla del genere sia mai stato fatto per Morte di un commesso viaggiatore.

    Cosa dire della quarta dimensione, lo stile? Qualche volta, per narrare una grande storia, viene usato uno stile semplice (un esempio è il Vangelo di Marco, che è stato scritto in greco comune), o persino un cattivo stile (come per le favole di George MacDonald). Uno stile eccellente a volte compensa la debolezza di una storia (Sartre, Samuel Beckett, Ernest Hemingway, John Gardner, James Stephens),

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