Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Vichinghi: Storia degli uomini del Nord
Vichinghi: Storia degli uomini del Nord
Vichinghi: Storia degli uomini del Nord
E-book219 pagine3 ore

Vichinghi: Storia degli uomini del Nord

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

Le gesta dei vichinghi affascinano per la loro portata mitica e geografica. Norvegesi, danesi e svedesi uscirono dalle tenebre della storia nell’VIII secolo, infrangendosi come gelide ondate di burrasca sulle coste e i fiumi d’Europa. Con le loro lunghe navi dalla testa di drago navigarono dall’Atlantico al Mediterraneo, fondando insediamenti dalle steppe dell’Est alle isole ghiacciate di Islanda e Groenlandia, fino al Canada. Guerrieri di sangue norreno servirono nella guardia degli imperatori romani d’Oriente, mentre altri fondarono potenti regni sulle isole britanniche, in Francia, in Russia e persino in Italia meridionale, lasciando un’impronta indelebile. La loro furia in battaglia, unita alla fede in ancestrali divinità, ne fece il terrore dei cronisti cristiani dell’epoca. Per quasi tre secoli sembrò che la civiltà sarebbe collassata sotto la loro spada. Alla fine, però, anche l’epopea degli uomini del Nord ebbe termine: qui è raccontata la loro storia.
LinguaItaliano
EditoreDiarkos
Data di uscita29 mar 2023
ISBN9788836162871
Vichinghi: Storia degli uomini del Nord

Correlato a Vichinghi

Ebook correlati

Storia antica per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Vichinghi

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Vichinghi - Alberto Massaiu

    VICHINGHI_FRONTE.jpg

    Alberto Massaiu

    I vichinghi

    Storia degli uomini del Nord

    A Giorgia, l’amore della mia vita.

    A Giulio Valerio, che si è appena affacciato alle porte

    di questo grande mondo.

    Introduzione.

    L’inizio della fine: Harald Hardråde e la battaglia di Stamford Bridge

    Se oggi andassimo a effettuare un sondaggio sul nome Stamford Bridge, potremmo scoprire che la maggior parte delle persone lo ricollegherebbe a uno dei più celebri stadi di calcio inglesi, di proprietà del Chelsea Football Club.

    Non si sa da dove i costruttori scelsero il nome. In alcune cartine del Settecento in quell’area era indicato uno Stamford Creek, un fiumiciattolo affluente del più grande Tamigi. Ovviamente vi era stato edificato un ponte necessario alla viabilità e al commercio con la capitale del regno, e da là forse derivano i nomi Stambridge (una contrazione composta da Stamford e il termine bridge, ovvero ponte) e Stamford Bridge, che servì a battezzare l’arena sportiva costruita nei suoi pressi tra il 1876 e il 1877.

    Al tempo ci trovavamo però anche in piena epoca vittoriana, e di certo non passò inosservato ai gentiluomini londinesi che quel nome si poteva ricollegare a un evento cruciale della storia anglosassone: l’ultima vittoria di un re inglese contro uno dei più temuti invasori delle isole britanniche…

    Celtic raven tattoo, Viking raven, Norse tattoo

    Dopo un’estate piovosa che aveva rallentato l’inizio della stagione della guerra, nel mese di settembre del 1066 un inconsueto bel tempo per quelle latitudini aveva permesso a una poderosa flotta di trecento navi lunghe di sbarcare indisturbate sulla costa della Northumbria. Al loro interno stavano stipati circa ottomila guerrieri armati fino ai denti e temprati dalle battaglie per il potere assoluto in Scandinavia. Il loro obiettivo era altrettanto ambizioso, ovvero reclamare il Regno di Inghilterra per il loro signore, Harald Sigurdsson, terzo del suo nome a salire sul trono di Norvegia, meglio conosciuto però come Harald Hardråde.

    Dopo mesi di relativa calma, il clima nel Nord delle isole britanniche era diventato rovente in seguito all’invasione portata avanti all’inizio di settembre da Tostig, fratello del neo-incoronato re inglese, Harold (in italiano Aroldo) Godwinson. Tostig era stato conte della Northumbria, una delle aree più grandi del Paese, ma le sue azioni volte ad accrescere il proprio potere avevano portato a una sua messa al bando giusto l’anno precedente. Nel caos dovuto alla morte senza eredi diretti dell’ultimo sovrano, Edoardo il Confessore, aveva colto l’occasione per sbarcare nelle sue vecchie terre con una flotta di sessanta navi e alcune migliaia di mercenari reclutati nelle Fiandre, luogo in cui fino a quel momento era rimasto in esilio.

    Le sue forze, però, non sarebbero mai state abbastanza imponenti per sfidare il fratello ora sovrano, che poteva contare su tutte le leve di fyrd, theng e housecarl del regno, perciò aveva stretto una pericolosa alleanza con l’ambizioso Harald, che non vedeva l’ora di avere un pretesto per poter sguainare le spade e fare bottino al di là del mare.

    Fin dai primi di maggio Tostig aveva saccheggiato il Sud dell’Inghilterra, dall’isola di Wight fino a Sandwich, nel Kent. In seguito alla mobilitazione di Harold e della temibile flotta anglosassone, egli si era prudentemente diretto a nord insieme a un primo contingente di supporto giunto dalle Orcadi, all’epoca sotto diretto controllo dei norvegesi. Nelle coste che davano sul gelido Mare del Nord, però, egli era stato respinto e battuto dalle forze dei conti Edwin e Morcar, che Harold aveva convinto a sostenerlo in quel difficile frangente.

    Alla fine, Tostig si era ritrovato con appena un sesto delle navi e a chiedere la protezione del sovrano di Scozia, Malcom Canmore, in attesa dell’arrivo del suo alleato Harald Hardråde. Era ormai settembre, e le loro forze unite saccheggiarono la costa della Northumbria, risalendo poi con una sconfinata schiera di vascelli adornati di teste di drago, di orso o di lupo sul fiume Humber, per poi passare all’Ouse fino al villaggio di Riccall, a un pugno di chilometri da York, che gli uomini del Nord chiamavano ancora con il nome con cui l’avevano governata per oltre un secolo: Jórvík.

    Questa era il centro più importante dell’Inghilterra settentrionale, preda ambita per chiunque avesse voluto dominare la regione. Ad aspettare gli invasori erano stati radunati da parte dei conti Edwin e Morcar cinque-seimila guerrieri tra truppe scelte e milizia, che si schierarono in ordine di battaglia presso Fulford nella giornata del 20 settembre.

    Avendo lasciato parte delle proprie forze a guardia della flotta presso Riccall, Harald aveva suppergiù lo stesso numero di effettivi, che schierò con il fianco sinistro protetto dal fiume e il destro da una sorta di fossato che correva parallelo al corso d’acqua. Lasciate sul fianco destro le forze meno affidabili ed esperte di Tostig, composte da mercenari fiamminghi, scozzesi e inglesi, egli aveva preso posizione sul fianco sinistro, con l’élite dei suoi guerrieri più abili stretti sotto la sua Hrafnsmerki, lo stendardo del Corvo devastatore di terre tanto caro ai capitani di guerra vichinghi fin dal IX secolo.

    E in questo stesso inverno ci fu il fratello di Ivar e di Halfdan nel Wessex in Devonshire, con ventitré navi e là l’uomo fu ucciso e ottocento uomini con lui e sessanta uomini del suo esercito, e fu preso il pennone da guerra che loro chiamavano Corvo.

    Chronicum Saxonicum

    La battaglia era stato il classico scontro tra muri di scudi dell’epoca, senza raffinate strategie che prevedevano l’uso di fanterie leggere o cavalleria d’assalto. Lance, asce, spade e pugnali avevano mietuto il loro tributo di sangue mentre gli anglosassoni avevano cercato di sfondare le meno solide linee di Tostig, che erano state ricacciate sempre più indietro. In quel momento, però, Hardråde aveva scagliato i suoi guerrieri vichinghi sul fianco opposto degli avversari, e la loro abilità e ferocia aveva ben presto avuto ragione di ogni resistenza da parte delle milizie inglesi del Nord, che alla fine avevano ceduto rovinosamente.

    Le perdite erano state ingenti da ambi le parti, ma le forze anglosassoni della Northumbria erano ormai del tutto fuori gioco, e York stessa negoziò la resa con i norvegesi per evitare un brutale saccheggio. Il re di Norvegia e il suo alleato Tostig decisero di far riposare i propri uomini e rafforzare la presa di potere sulla regione intorno alla città tramite lo scambio di ostaggi, in attesa di pianificare la discesa nel Sud.

    Quello che nessuno di loro si aspettava, però, era l’arrivo di un esercito di soccorso sotto le insegne del drago del Wessex e alla cui guida stava il re in persona, Harold Godwinson. I loro calcoli, infatti, erano basati sul fatto che il re inglese aveva dovuto sciogliere l’esercito e la flotta dopo aver passato buona parte dell’estate in uno sterile pattugliamento della costa meridionale, in attesa dell’invasione di Guglielmo il Bastardo, l’altro pretendente al suo trono in quel fatidico 1066. Non avevano però considerato la prontezza e la decisione di Harold, che appena avuta notizia dell’invasione della Northumbria agli inizi di settembre aveva rimandato i suoi ufficiali e araldi per il regno, radunando in appena due settimane una forza di alcune migliaia di uomini che aveva guidato a settentrione in un’incredibile marcia di 300 chilometri, coperti in appena cinque giorni sull’antica strada romana che tagliava da nord a sud la Britannia.

    Fatti riposare i propri guerrieri una notte presso Tadcaster, il giorno dopo Harold aveva fatto marciare l’intero esercito in ordine di battaglia verso York. Era una bella mattinata pulita di lunedì 25 settembre, anno del Signore 1066. La battaglia di Fulford era stata combattuta appena cinque giorni prima, e né Harald né Tostig si aspettavano di doverne sostenere un’altra a così breve distanza, perciò la loro sorpresa fu assoluta quando videro una nuvola di polvere e un clangore di armi giungere da ovest.

    Visto il caldo inusuale e la sicurezza di non avere in vista alcun pericolo imminente, Hardråde aveva permesso ai suoi uomini di lasciare elmi e corazze sulle navi, nel campo presso Riccall, a venti chilometri di distanza, in cui aveva posto una guardia di circa duemila norvegesi scelti. Quando si accorse della schiera inglese egli aveva a disposizione appena cinquemila guerrieri dotati solo di armi e scudi, sparpagliati ai due lati del fiume in cui si trovava il ponte che diede il nome alla battaglia: Stamford Bridge. Il tempo per reagire era pochissimo, in quanto i suoi nemici si trovavano ad appena millecinquecento metri dalle sue prime linee.

    Harald inviò dei cavalieri a Riccall, chiedendo urgentemente al suo luogotenente in loco, Eyestein Orre, di marciare in assetto da battaglia verso la sua posizione alla massima velocità possibile. Nel frattempo, ordinò a una piccola avanguardia di porsi come argine di rallentamento delle forze inglesi, mentre lui riuniva i reparti in una linea difensiva al di là del ponte. Quel pugno di vichinghi venne ben presto sopraffatto dalle soverchianti schiere anglosassoni, che sciamarono sul ponte per essere fermate ancora una volta dal coraggio di un solo guerriero.

    Le cronache narrano infatti di un combattente, forse un berserkr, come venivano definiti coloro che lottavano con una furia ispirata dallo stesso Odino, che nello stretto spazio dell’attraversamento ligneo sconfisse con la sua lunga ascia danese ben quaranta combattenti che lo andarono a sfidare in singolar tenzone. La contesa venne risolta da un soldato che, poco gloriosamente ma con molto senso pratico, guadò il fiume e lo colpì con una lancia le spalle, aprendo così la strada ai propri compagni.

    Sfruttando ogni minuto garantitogli dal sacrificio suicida dei suoi guerrieri più impavidi, Harald aveva preso posizione in una collinetta antistante il ponte di Stamford, schierando le forze che era riuscito a radunare in una formazione a semicerchio o a triangolo adatta alla difesa. Prima della battaglia ci fu un momento in cui i capi si incontrarono per parlamentare. Fu l’occasione per Harold e Tostig di rincontrarsi di persona, e il primo offrì al fratello l’allettante prospettiva di riottenere il proprio rango come conte di Northumbria se avesse disertato i suoi alleati vichinghi, facilitando l’esito dello scontro.

    La battaglia di Stamford Bridge.

    Combattuto nell’orgoglio della parola data, Tostig chiese che cosa avrebbe ottenuto Hardråde, che tanto si era speso per la campagna. La risposta del fratello fu al contempo ironica e lapidaria «Sei piedi di buona terra inglese, forse qualcosa di più visto che è tanto alto di statura». A quel punto il senso dell’onore di Tostig prevalse, e rigettò le promesse di amicizia del fratello, tornando tra i ranghi dei norvegesi per conquistare quello che riteneva suo di diritto con la forza delle armi.

    La battaglia venne descritta, come quella di Fulford, dal poeta islandese Snorri Sturluson (redattore anche dell’Edda, che ha salvaguardato la conoscenza del grosso della mitologia norrena precristiana arrivata fino ad oggi) nel suo Heimskringla, che racconta le gesta storiche dei sovrani di Norvegia. Egli scrisse la sua cronaca un secolo e mezzo dopo la battaglia, negli anni Venti del XIII secolo, e forse confuse alcuni dettagli con la più celebre battaglia di Hastings, che verrà combattuta in seguito dalle forze di Harold contro quelle di Guglielmo di Normandia. Il sospetto è dovuto al fatto che descrive una strategia molto simile a quella che permetterà a Guglielmo di sconfiggere le forze anglosassoni tre settimane dopo, facendo loro abbandonare la sicurezza di una collina grazie a finte ritirate della sua cavalleria pesante.

    Snorri, infatti, inizia il suo resoconto della battaglia di Stamford Bridge con una carica di cavalleria anglosassone verso il fianco sinistro delle truppe norvegesi, disposte in un solido muro di scudi sopra una collina. Questo assalto, però, venne respinto con facilità dalle lance e dalle asce vichinghe, combinate dal preciso tiro di alcuni arcieri scandinavi. A questo punto, il tutto diventa molto simile ad Hastings. Vedendo la mala parata delle forze di cavalleria nemica, Hardråde avrebbe ordinato una carica generale del suo schieramento abbandonando la sicurezza della posizione elevata, affrontando in condizioni ben più svantaggiose (i suoi fanti erano in numero minore rispetto agli anglosassoni) i propri avversari alla base della collina.

    Difficile credere che un comandante esperto come lui abbia scientemente portato avanti una strategia tanto stupida, contando che, al contrario di Hastings, in cui le finte fughe attirarono i poco esperti fyrd nella facile trappola, Harald poteva vantare tra le sue truppe dei veterani di guerra che difficilmente avrebbero rotto i ranghi vedendo che quasi tutte le forze nemiche erano ancora intatte e ben schierate.

    Molto più probabile è che il superiore esercito di Harold Godwinson dovette sudare sangue scalando la collina in ordine di battaglia e, seppur superiore in numeri (tra gli otto e i diecimila fanti) dovette cozzare contro il cerchio di lance, spade e asce norvegese in una mischia brutale. La lotta fu aspra e sanguinosa, ma a un certo punto un dardo colpì alla gola lo stesso Hardråde, anch’esso privo di corazza come la maggior parte dei suoi uomini, privando i norreni della sua carismatica guida. Probabilmente il superiore numero degli anglosassoni a un certo punto permise loro di circondare il fianco dei norvegesi, che pian piano videro sgretolarsi il proprio fronte. Tostig stesso venne infine abbattuto, e con lui buona parte della forza di invasione venne massacrata o messa in fuga.

    Proprio in quel momento, ormai troppo tardi per cambiare il corso della battaglia, ma in tempo per descrivere un ultimo glorioso e sanguinoso capitolo alla vicenda, giunsero i guerrieri richiamati da Riccall. Erano in pieno assetto da guerra, con scudi, elmi e corazze. Ebbri di furia una volta scoperta la morte del loro re, si scagliarono con decisione sul fianco destro anglosassone, causando numerose perdite. Pian piano, però, la stanchezza per aver marciato pesantemente armati per venti chilometri, unita all’inferiorità numerica, ebbero la meglio anche su di loro. Harold scagliò contro di essi tutti i suoi guerrieri, con alla testa la crema dei suoi housecarl scelti, e prima del tramonto anche questo contingente scandinavo non esisteva più.

    Quando il re inglese giunse presso la base della flotta di invasione a Riccall, per trattare la fine delle ostilità con i sopravvissuti capitanati dal figlio di Hardråde, Olaf, bastarono appena ventiquattro dei trecento e più vascelli per portare i superstiti fino a casa. La battaglia era stata catastrofica per i vichinghi, che avevano perso migliaia di uomini, oltre che i propri capitani più valenti e famosi. Da quel momento non ci fu più un tentativo così ambizioso di muovere guerra a un altro Paese secondo lo stile avventuroso che coniugava raid e saccheggi a veri e propri tentativi di conquista. Era un’epoca intera che stava andando a sparire, come una grande onda di marea che, dopo aver esercitato tanti danni sulla terraferma, si stava ritirando per sempre.

    Questo non vuol dire che nei decenni successivi i norvegesi, i danesi o gli svedesi non sarebbero stati più un problema per i loro vicini, tutt’altro. Alcuni secoli dopo, nel XVII secolo, la Svezia cercò perfino di ritagliarsi il ruolo di superpotenza del Mar Baltico, sfidando la Russia degli zar e l’immensa Confederazione polacco-lituana durante le Guerre del Nord, che si conclusero solo nel 1721.

    Però lo spirito vichingo, quello che aveva terrorizzato, per tre secoli circa, cristiani e non (anche i musulmani di Spagna dovettero subire le loro feroci incursioni) come un flagello divino, era ormai scomparso. Fu vittima del percorso verso la modernità: il prezzo da pagare, per i sovrani di quelli che diventeranno i regni di Danimarca, Svezia e Norvegia, al fine di essere ammessi nella grande comunità della Res Publica Christiana, ovvero quell’insieme di nazioni che riconoscevano al Soglio di Pietro il primato religioso sul continente occidentale.

    Chi erano i vichinghi?

    La fama dei vichinghi è esplosa negli ultimi anni, stimolata dal successo di serie televisive come Vikings, prodotta dalla Hbo tra il 2013 e il 2021, che hanno generato grande interesse sulla materia.

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1