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Antichità - La civiltà romana - Filosofia: Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 13
Antichità - La civiltà romana - Filosofia: Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 13
Antichità - La civiltà romana - Filosofia: Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 13
E-book334 pagine4 ore

Antichità - La civiltà romana - Filosofia: Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 13

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Info su questo ebook

In questo ebook s’indaga la complessa natura della filosofia romana, che si sviluppa nell’area dell’intero Mediterraneo, dalla fine delle guerre puniche alla caduta dell’impero d’Occidente, con quel gioco di influenze e di reciproche contaminazioni che le è proprio, ma che spesso viene trascurato.
In una Roma poco incline alle speculazioni astratte, la filosofia nasce come riappropriazione in lingua latina dei temi della filosofia greca, selezionati e riadattati con originalità alle esigenze dell’ideale morale del mos maiorum e della compiuta formazione del cives. Dopo una prima penetrazione della filosofia greca grazie alla presenza a Roma di filosofi quali Panezio, Posidonio, Antioco d’Ascalona e Filone di Larissa, il pensiero filosofico greco viene rimeditato da personalità di grande vigore intellettuale, tra cui spiccano i nomi illustri di Lucrezio, Seneca, Cicerone o Marco Aurelio.
Ma per comprendere appieno le diverse articolazioni del pensiero filosofico romano, in questo volume si dispiegano, con un linguaggio piacevole e rigoroso, tutte quelle idee spesso contraddittorie che circolano confusamente nello stesso bacino mediterraneo: dal pensiero cristiano a quello ebraico, dalla rinascita del platonismo attraverso le scuole neoplatoniche, fino alla gnosi e al manicheismo.
Uno sguardo ampio e articolato sul pensiero filosofico romano con attenzione alle contemporaneità e alle convergenze fra sistemi di pensiero e contesti storico-geografici.
LinguaItaliano
Data di uscita1 ott 2014
ISBN9788897514572
Antichità - La civiltà romana - Filosofia: Storia della Civiltà Europea a cura di Umberto Eco - 13

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    Anteprima del libro

    Antichità - La civiltà romana - Filosofia - Umberto Eco

    copertina

    Antichità - La civiltà romana - Filosofia

    Storia della civiltà europea

    a cura di Umberto Eco

    Comitato scientifico

    Coordinatore: Umberto Eco

    Per l’Antichità

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Lucio Milano (Storia politica, economica e sociale – Vicino Oriente) Marco Bettalli (Storia politica, economica e sociale – Grecia e Roma); Maurizio Bettini (Letteratura, Mito e religione); Giuseppe Pucci (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Eva Cantarella (Diritto) Giovanni Manetti (Semiotica); Luca Marconi, Eleonora Rocconi (Musica)

    Coordinatori di sezione:

    Simone Beta (Letteratura greca); Donatella Puliga (Letteratura latina); Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche); Gilberto Corbellini, Valentina Gazzaniga (Medicina)

    Consulenze: Gabriella Pironti (Mito e religione – Grecia) Francesca Prescendi (Mito e religione – Roma)

    Medioevo

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Laura Barletta (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Valentino Pace (Arti visive); Pietro Corsi (Scienze e tecniche); Luca Marconi, Cecilia Panti (Musica); Ezio Raimondi, Marco Bazzocchi, Giuseppe Ledda (Letteratura)

    Coordinatori di sezione: Dario Ippolito (Storia politica, economica e sociale); Marcella Culatti (Arte Basso Medioevo e Quattrocento); Andrea Bernardoni, Giovanni Di Pasquale (Scienze e tecniche)

    Età moderna e contemporanea

    Umberto Eco, Riccardo Fedriga (Filosofia); Umberto Eco (Comunicazione); Laura Barletta, Vittorio Beonio Brocchieri (Storia politica, economica e sociale); Anna Ottani Cavina, Marcella Culatti (Arti visive); Roberto Leydi † , Luca Marconi, Lucio Spaziante (Musica); Pietro Corsi, Gilberto Corbellini, Antonio Clericuzio (Scienze e tecniche); Ezio Raimondi, Marco Antonio Bazzocchi, Gino Cervi (Letteratura e teatro); Marco de Marinis (Teatro – Novecento); Giovanna Grignaffini (Cinema - Novecento).

    © 2014 EM Publishers s.r.l, Milano

    STORIA DELLA CIVILTÀ EUROPEA

    a cura di Umberto Eco

    Antichità

    La civiltà romana

    Filosofia

    logo editore

    La collana

    Un grande mosaico della Storia della civiltà europea, in 74 ebook firmati da 400 tra i più prestigiosi studiosi diretti da Umberto Eco. Un viaggio attraverso l’arte, la letteratura, i miti e le scienze che hanno forgiato la nostra identità: scegli tu il percorso, cominci dove vuoi tu, ti soffermi dove vuoi tu, cambi percorso quando vuoi tu, seguendo i tuoi interessi.

    ◼ Storia

    ◼ Scienze e tecniche

    ◼ Filosofia

    ◼ Mito e religione

    ◼ Arti visive

    ◼ Letteratura

    ◼ Musica

    Ogni ebook della collana tratta una specifica disciplina in un determinato periodo ed è quindi completo in se stesso.

    Ogni capitolo è in collegamento con la totalità dell’opera grazie a un gran numero di link che rimandano sia ad altri capitoli dello stesso ebook, sia a capitoli degli altri ebook della collana. Un insieme organico totalmente interdisciplinare, perché ogni storia è tutte le storie.

    Introduzione

    Introduzione alla filosofia di Roma

    Umberto Eco

    Se è stato possibile scrivere qualche parola sulla filosofia greca – una forma di pensiero che si è sviluppata tra Grecia e Magna Grecia, dalle remote origini ai secoli ellenistici – sarebbe ingannevole etichettare come filosofia latina o romana quella che si sviluppa nell’area ben più vasta dell’intero Mediterraneo, dalla fine delle guerre puniche alla caduta dell’impero di Occidente.

    E non perché, come vuole una vulgata alquanto pigra, non vi sia stata una filosofia romana, perché Cicerone o Seneca o Marco Aurelio, se pure riprendono i temi della cultura greca e in particolare di quella del periodo ellenistico, non sono pensatori privi di vigore intellettuale. Per non dire di un gigante come Lucrezio. È che le esigenze scolastiche della periodizzazione si sono scontrate con quelle della tematizzazione e si trattano e si studiano come entità indipendenti il pensiero romano, quello cristiano, quello ebraico, la rinascita del platonismo attraverso le tradizioni delle scuole neoplatoniche, Plotino, le varie forme di sincretismo religioso che hanno attraversato il mondo mediterraneo dal II secolo in avanti, o la gnosi e il manicheismo…

    È come se uno storico del futuro decidesse di trattare la cultura del XX secolo in volumi separati, dedicandone uno alla cultura americana, l’altro al mondo sovietico, un altro ai popoli già coloniali, altri due all’India e alla Cina. Senza rendersi conto che un russo leggeva gli americani e poteva essere influenzato dal pensiero indù, che un bramino sapeva molto del cristianesimo, che alcuni polinesiani andavano a studiare alla Sorbona, e così via.

    Non ci rendiamo forse conto che nello stesso I secolo vivono e scrivono sia Seneca che Filone di Alessandria, che rilegge la Bibbia in chiave grecizzante; nel II secolo convivono gnostici come Basilide e Valentino, Marco Aurelio e san Giustino martire, Clemente di Alessandria e Galeno, il quale muore quando Tertulliano ha già quarant’anni. Non consideriamo abbastanza che Seneca nel 20 ha visitato l’Egitto e ne ha studiato la cultura. Passando al III secolo, troviamo un padre della Chiesa rigorista come Origene e uno scettico come Sesto Empirico, Diogene Laerzio, Ammonio Sacca, Plotino e Mani, così come nel IV secolo sono contemporanei pensatori pagani come Giamblico o addirittura Giuliano l’Apostata e Gregorio di Nissa o sant’Ambrogio, e sant’Agostino muore quando un neoplatonico come Proclo, il cui pensiero influenzerà i secoli seguenti, ha già vent’anni.

    Possibile che tutta questa gente non si conosca? Forse Marco Aurelio non sa dell’esistenza di uno gnostico come Basilide e all’inizio del II secolo si sa poco dei cristiani e che Plinio il Giovane, inviato in Bitinia da Traiano, discute con l’imperatore su come procedere nei confronti della nuova religione; ma i Padri della Chiesa sanno molto del pensiero che dichiareranno eretico, e i contatti tra cristianesimo e neoplatonismo non sono soltanto episodici.

    Quale sia stato il gioco delle reciproche influenze non sarà forse mai dato di chiarire completamente, ma basta considerare il caso dei vari testi del Corpus Hermeticum: il Corpus in quanto tale è stato probabilmente assemblato tra VI e XI secolo, ma i vari scritti sono stati stesi individualmente da autori diversi e in tempi diversi tra II e III secolo. Ora, questi testi evidentemente circolano persino in ambienti ostili. Nel II secolo Atenagora e Clemente di Alessandria vi fanno alcuni riferimenti, Origene parla di una sapienza mosaica anteriore ai filosofi greci; nel III secolo troviamo accenni sia in Tertulliano che in Porfirio; nel IV secolo Lattanzio pare riferirsi all’Asclepius, e l’alchimista Zosimo si riferisce a testi attribuiti a Hermes; nel V secolo appaiono probabili citazioni del Corpus nel Contra julianum di san Cirillo di Alessandria e Agostino cita l’Asclepius (nel De civitate Dei).

    Siamo dunque in un periodo fecondato da idee spesso contraddittorie che circolano confusamente nello stesso bacino mediterraneo, sia quando anche gli intellettuali romani parlano la koinè greca sia quando gli intellettuali cristiani il greco l’hanno ormai dimenticato ma leggono la Vulgata biblica che san Gerolamo ha tradotto sia dal greco che dall’ebraico. E dunque non sapremo mai con esattezza quante cose un saggio di quel periodo tumultuoso ha udito, sia pure vagamente e per sentito dire, di altre filosofie o altre religioni, di altre rivelazioni o altri misteri.

    Filosofi e filosofie a Roma

    Filosofia romana

    Anna Maria Ioppolo

    I Romani non hanno prodotto una filosofia originale, ma hanno adattato la filosofia greca alle proprie esigenze. Lo sviluppo della filosofia a Roma si distingue quindi in due momenti: la penetrazione e la diffusione della filosofia greca, che vede la presenza a Roma di filosofi greci, da Panezio a Posidonio ad Antioco d’Ascalona a Filone di Larissa; la formazione di una filosofia romana, come rielaborazione della filosofia greca ed espressa in lingua latina, che annovera tra i suoi massimi rappresentanti l’epicureo Lucrezio e lo stoico Seneca, ma anche Cicerone, artefice dell’incontro tra la cultura romana e la filosofia greca.

    La penetrazione della filosofia greca a Roma nel II e nel I secolo a.C.

    La filosofia viene importata a Roma dalla Grecia, né si forma mai una filosofia romana distinta dalle scuole filosofiche greche, se si eccettua la scuola dei Sestii in età imperiale. I Romani non sono inclini come i Greci verso le speculazioni astratte, ma sono profondamente legati alle proprie tradizioni e a tutto ciò che concorre alla potenza e alla grandezza di Roma. La filosofia è considerata parte della formazione culturale, della humanitas di un romano della classe colta, ma non deve oltrepassare questi limiti. Sarebbe comunque ingiusto non riconoscere alla filosofia romana originalità e creatività nel selezionare e nell’adattare temi della filosofia greca alle esigenze dell’ideale morale del mos maiorum e della compiuta formazione di un uomo politico. Anche se pochi Romani coltivano la filosofia come occupazione principale, molti Romani colti ne sono indirettamente influenzati, basti pensare a Varrone, ai poeti Orazio, Virgilio, Persio, Petronio, allo storico Tacito. Nell’affrontare dunque il problema dei rapporti dei Romani con la filosofia è necessario distinguere due momenti: la penetrazione e la diffusione della filosofia greca a Roma e la formazione di una filosofia romana, come rielaborazione della filosofia greca ed espressa in lingua latina.

    La penetrazione della filosofia a Roma avviene gradualmente e attraverso non pochi contrasti, come dimostrano le fasi alterne che ne caratterizzano l’evoluzione a partire dal II secolo a.C. Il sospetto e la diffidenza della classe dirigente romana nei confronti della filosofia si manifestano presto, già nel 181 a.C. con i roghi di libri pitagorici, a cui fanno seguito nel 171 a.C. l’esilio degli epicurei Alcio e Filisco e nel 161 a.C. l’espulsione dei filosofi e dei retori, e hanno il loro momento emblematico con l’esito della famosa ambasceria dei tre filosofi greci a Roma del 155 a.C. Catone il Censore esprime il parere che si debba accorciare il soggiorno dei tre filosofi, accordando loro rapidamente una riduzione della multa, cosicché se ne possano ritornare nelle loro scuole a discutere con i figli degli Elleni e i giovani Romani prestino ascolto come prima alle leggi e alle autorità (Plutarco, Vita di Marco Catone, 22). Nonostante ciò, a cavallo del II e I secolo a.C. arrivano a Roma numerosi filosofi rappresentanti delle maggiori scuole ellenistiche greche, dagli stoici Panezio e Posidonio agli accademici Filone di Larissa e Antioco di Ascalona, all’epicureo Filodemo. Al contempo si consolida l’abitudine da parte delle persone colte non solo di recarsi in Grecia a completare il curriculum degli studi, ma anche di ospitare filosofi, com’è il caso di Cicerone, che accoglie nella sua casa lo stoico Diodoto. All’intenso scambio tra il mondo greco e quello romano contribuisce la diaspora dei rappresentanti delle maggiori scuole filosofiche greche da Atene verso altri centri del mondo greco-romano in seguito alla guerra contro Mitridate.

    L’epicureismo e il poema di Lucrezio

    Le scuole filosofiche che dominano la scena durante la repubblica sono lo stoicismo e l’epicureismo. Lo stoicismo si impone tra gli aristocratici romani. Lo stoico Panezio e lo storico Polibio hanno un ruolo fondamentale nell’influenzare la politica del circolo degli Scipioni, ma ai principi della dottrina stoica si ispira anche la riforma agraria del partito democratico avverso agli Scipioni, quello dei Gracchi. Se dunque l’intervento di Panezio ha un ruolo importante sulla fondazione di una teoria del diritto, non forma però alcun filosofo romano che possa essere considerato un seguace dello stoicismo. L’epicureismo si diffonde invece tra le masse popolari. La ragione della diversa area di diffusione dell’epicureismo non va ricercata nella facilità della filosofia epicurea che propaganda il piacere come fine etico, ma nel fatto che viene divulgata in latino e quindi diviene l’unica filosofia comprensibile a tutti.

    Le prime opere filosofiche in latino, infatti, risalgono al I secolo a.C. e si devono agli epicurei Amafinio e Catio, duramente attaccati da Cicerone perché scrivono senza alcuna accuratezza ed eleganza di stile (Cicerone, Libri Academici, I, 5-6). Cicerone lamenta che la filosofia quella vera e ottima, partita da Socrate e continuata dai peripatetici, dagli stoici e dagli accademici, non è rappresentata da quasi nessuna opera in latino. Egli stesso si propone con la stesura delle opere filosofiche di dare vita e splendore alla filosofia che rimase trascurata fino ad ora, né mai brillò nella letteratura latina. Ciò non impedisce che tra le classi colte permanga la convinzione che la lingua greca, che fa parte del loro patrimonio culturale, sia la lingua in cui si possa meglio esprimere la filosofia. Non è un caso che ancora nel II secolo l’imperatore Marco Aurelio sceglierà di scrivere le sue opere filosofiche in greco.

    La diffusione in lingua latina della filosofia raggiunge un risultato felice con il De Rerum Natura di Lucrezio, opera che ha un peso determinante nell’espansione dell’epicureismo alla fine della repubblica. Lucrezio divulga la dottrina esposta da Epicuro nel Peri Physeos, ma sceglie di scrivere in lingua latina, proseguendo con ciò la tradizione propria degli epicurei romani. Non imita il greco filosofico tecnico di Epicuro, ma scrive il suo poema in eleganti esametri, ispirandosi al modello letterario del poema cosmologico di Empedocle. Perfino Cicerone, che non nutre grande simpatia per l’epicureismo, in una lettera al fratello Quinto, esprime ammirazione per il genio letterario e per l’arte di Lucrezio (multis luminibus ingenii, multae tamen artis cfr. Episutla Ad Quintum fratrem II 9, 3). Lucrezio tratta gli argomenti fondamentali della dottrina epicurea (la cosmologia atomistica, la psicologia e la mortalità dell’anima, le sensazioni e la conoscenza, lo sviluppo della civiltà), rimanendo fedele alla sua fonte greca, tanto da essere stato definito da alcuni un fondamentalista. Nonostante Lucrezio esponga una dottrina filosofica indubitabilmente greca, il tono e l’efficacia del suo racconto hanno un potere retorico ed emotivo che è del tutto peculiare, in quanto trascendono i limiti linguistici e i confini culturali delle due civiltà greca e romana. L’abilità di Lucrezio sta nel descrivere una nuova teoria del mondo, creando nella lingua latina nuove parole, e al contempo, modificando dall’interno i termini significativi del mos maiorum. Egli colloca il poema nel contesto della società oligarchica romana: apre il poema con la dedica all’aristocratico romano Memmio e con l’invocazione a Venere, madre di Enea e della sua razza, allude a Scipione l’Africano e al grande poeta romano Ennio, e inserisce continui riferimenti alle lotte politiche attuali, utilizzando vocaboli propri del linguaggio politico tradizionale. La dottrina di Epicuro è l’unico rimedio contro la superstizione religiosa perché, distruggendo la credenza nella sopravvivenza dell’anima, libera gli uomini anche dalla paura della morte, che è la causa della distruzione di tutti i valori morali e anche la radice dell’ambizione politica. Egli attacca il concetto di religio, mostrando come fu proprio la religione a produrre scellerati delitti, tanto da spingere gli uomini, per motivi politici, a compiere sacrifici umani agli dèi, come quello di Ifigenia. Ciò che a Lucrezio sta a cuore dimostrare è che gli stessi falsi valori che distruggono l’atarassia del filosofo epicureo sono responsabili della corruzione e dell’anarchia dello stato: soltanto i valori propugnati dall’epicureismo sono in grado di assicurare a Roma una pace stabile e duratura.

    La diffusione della filosofia greca: Cicerone

    Alla fine dell’età repubblicana l’importanza che riveste la capacità di argomentare in un’età di turbamenti politici fa sì che l’Accademia e il Peripato guadagnino consensi a scapito dello stoicismo, che, non curando l’insegnamento della retorica, perde seguaci. In seguito alla guerra mitridatica Filone di Larissa, scolarca dell’Accademia, si è rifugiato a Roma, conquistando il pubblico colto romano, tra cui Cicerone, che rimane fedele al suo insegnamento per tutto il corso della vita. Lo scetticismo accademico, che si fonda sul metodo dialettico di discutere pro e contro ogni questione, dimostra come la filosofia, strettamente collegata all’educazione retorica, sia indispensabile per chi aspiri a dedicarsi alla vita politica.

    Si deve soprattutto alle opere filosofiche di Cicerone un interessante tentativo di integrare la filosofia con la politica e la retorica. Cicerone non è un filosofo professionista né elabora una filosofia originale, ma non è neanche un mero copista di manuali filosofici greci. Il contributo che egli dà alla filosofia non può essere separato dalle sue realizzazioni come oratore, uomo politico e soprattutto come difensore del mos maiorum. La sua collocazione filosofica non si identifica con la completa adesione a una scuola, ma non può essere impropriamente etichettata con il termine svalutativo di eclettismo, come alcuni pretendono. Egli dichiara che suoi maestri sono gli stoici Diodoto e Posidonio, gli accademici Filone di Larissa e Antioco di Ascalona. Entrambi questi ultimi esercitano una notevole influenza su di lui, ma il contrasto dottrinale che li ha divisi, oltre a essere oggetto dei Libri Academici, è occasione, per Cicerone, di continua riflessione. Quanto alla sua affiliazione filosofica, egli si professa accademico, intendendo con ciò ricollegarsi alla tradizione dello scetticismo che ha segnato la scuola di Platone a partire da Arcesilao fino a Filone, per il quale non la certezza, ma soltanto l’approssimazione al vero è raggiungibile. Si tratta di un atteggiamento di distacco epistemologico, che gli permette di accogliere alcuni punti di vista dei dogmatici, senza riconoscerne la verità, accettandoli provvisoriamente in quanto probabili. Ma in campo etico egli segue l’insegnamento dell’altro suo maestro, Antioco, che sostiene una versione stoicizzata della dottrina dell’Accademia. Nelle sue opere filosofiche, scritte tra il 46 e il 44 a.C. durante un periodo di forzata inattività dalla vita politica sotto la dittatura di Cesare, egli espone la filosofia greca, in particolare quella ellenistica. I portavoce delle diverse scuole filosofiche, di volta in volta, espongono i principi della loro dottrina e Cicerone, dopo averli sottoposti a critica, avanza la sua opinione scegliendo in base a ciò che gli sembra il meglio. Oltre a essere la principale fonte di informazione sulla filosofia ellenistica, Cicerone si è assunto il compito di romanizzare la filosofia greca. Non soltanto egli introduce personaggi del mondo romano come protagonisti dei dialoghi ed esempi tratti dalla vita e dalla storia romana, ma soprattutto crea nuovi vocaboli in una lingua, il latino, che mai era stata adattata a questo uso, poiché non disponeva di termini tecnici in grado di rendere il significato filosofico di quelli greci. A Cicerone, forse più che a ogni altro, spetta dunque il merito di aver posto le basi perché la filosofia non fosse più avvertita come un prodotto estraneo allo spirito e alla cultura romana.

    La filosofia dell’età imperiale nel I e nel II secolo

    Durante il principato l’interesse del potere imperiale, che continua a nutrire sospetto e diffidenza verso i filosofi, è di rendere inoffensiva la filosofia svuotandola dall’interno. Questo atteggiamento non favorisce certo lo sviluppo di dottrine filosofiche nuove, ma un minore vigore speculativo che si traduce da un lato nell’inventariare i risultati raggiunti, dall’altro nell’assistenza morale delle coscienze. Si sviluppa soprattutto l’etica non solo come teoria, ma come pratica morale, che privilegia l’esame di coscienza, la meditazione, la cura di sé.

    L’unica scuola nuova, essenzialmente romana, è quella dei Sestii, ma è significativo che diffonda il suo insegnamento in greco. La sua dottrina è sostanzialmente vicina all’etica stoica, ma se ne differenzia perché accoglie anche elementi del cinismo e del pitagorismo. La scuola dei Sestii si distingue soprattutto perché teorizza una forma di opposizione politica al principato. Essa sostiene infatti che la libertà del sapiente non possa realizzarsi nello stato, ma fuori dallo stato, il quale dovrebbe garantire al sapiente la libertà di dedicarsi all’attività contemplativa. Sestio padre, il fondatore della setta, gode dell’ammirazione di Seneca, ma non ha molto seguito se non fra alcuni intellettuali.

    È soprattutto lo stoicismo, i cui valori morali sembrano a molti una razionalizzazione degli ideali tradizionali di Roma ad affermarsi sulle altre concezioni filosofiche in un periodo in cui l’abilità retorica, come testimonia Tacito, ha ormai scarsa importanza per la carriera politica. Sono infatti stoici i filosofi più importanti dell’età imperiale, ancorché molto diversi l’uno dall’altro: Seneca, maestro e consigliere di Nerone, Epitteto, schiavo affrancato, e Marco Aurelio, imperatore e padrone del mondo. Mentre lo stoicismo ellenistico fondava la filosofia sull’unità sistematica delle tre parti, logica, fisica ed etica, a cui conferiva pari dignità, lo stoicismo imperiale, disancorando l’etica dalle altre parti del sistema, ne indebolisce l’immagine di coerenza e di unitarietà.

    Tuttavia sarebbe fare un torto al vigore intellettuale e all’originalità di Seneca assimilarlo ai moralisti stoici di questo periodo, come Musonio Rufo o la scuola dei Sestii, perché è senza dubbio la personalità filosofica più significativa espressa dal mondo latino. Nei Dialoghi e nelle Lettere a Lucilio egli affronta i temi canonici dell’etica stoica, l’ideale razionale del saggio, la tranquillità dell’anima, l’ira e l’analisi delle passioni come errori di giudizio, l’indifferenza dei beni esterni. Nelle Ricerche naturali tratta della meteorologia, della teoria dei fenomeni naturali e delle cause, ricollegandosi allo stoico Posidonio. Egli dimostra indipendenza di giudizio sia nella critica di alcune dottrine attribuite a una presunta ortodossia stoica, sia prendendo posizione nelle controversie dottrinali a favore dell’uno piuttosto che dell’altro maestro stoico. La sua posizione filosofica è di apertura nei confronti di altri apporti filosofici: dell’epicureismo che difende dall’accusa di professare un edonismo volgare, del medio-platonismo da cui riprende il primato della theoria, del cinismo di cui condivide la polemica contro la ricchezza e il lusso trasmessagli dal maestro Attalo e dall’amico Demetrio, ma egli fu e si

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