Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Mahu: Una Traduzione Italiana
Mahu: Una Traduzione Italiana
Mahu: Una Traduzione Italiana
E-book443 pagine6 ore

Mahu: Una Traduzione Italiana

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

In /Mahu/, il mondo di Kimo Kanapa'aka sta per essere sconvolto.

A 32 anni, l'eroe di Māhū ha raggiunto il culmine della sua carriera
come detective della squadra omicidi, presso la stazione di Waikīkī
della Polizia di Honolulu.

Ma un difficile caso di omicidio, oltre al tumulto della sua vita
personale, sta per mettere in pericolo tutto ciò per cui ha lavorato.

Una retata antidroga in cui Kimo mette a repentaglio la sua vita
all'inizio della storia,  lo costringe a rendersi conto che è ora di
smetterla di mentire a se stesso. Si fa attrarre così dal Rod and Reel
Club, un bar gay di Waikīkī, dove dopo un paio di birre comincia il
lungo processo di accettazione della propria attrazione per gli uomini.
Ma lasciando il club, si imbatte in due uomini che stanno scaricando un
corpo in un vicolo, e si trova proiettato in un incubo in cui la sua
vita privata diventerà di dominio pubblico.

Nel corso del caso, le indagini porteranno Kimo dai sordidi quartieri di
China Town all'eleganza di case da milioni di dollari a Maunalani
Heights, da locali in cui giovani gay sfilano nudi in passerella a
sanguinose scene del crimine.

LinguaItaliano
Data di uscita16 dic 2020
ISBN9781393004172
Mahu: Una Traduzione Italiana
Autore

Neil S. Plakcy

Neil Plakcy is the author of over thirty romance and mystery novels. He lives in South Florida with his partner and two rambunctious golden retrievers. His website is www.mahubooks.com.

Autori correlati

Correlato a Mahu

Ebook correlati

Thriller criminale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Mahu

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Mahu - Neil S. Plakcy

    Capitolo uno

    LO SCAMBIO ERA FISSATO per le sei in punto, sotto il pergolato che univa lo zoo e il vecchio stadio acquatico in cui Duke Kanahamoku aveva conquistato i suoi record di nuoto. A quell'ora, mentre il sole cominciava il suo tuffo notturno nell'oceano che si scuriva, c'erano ancora passeggini e pescatori a sufficienza da fornire una copertura, ma non così tanta gente da rendere il posto affollato. Ero vestito come un moke, un criminale hawaiano, con una maglietta sudicia di una gara di surf che avevo perso anni prima, un paio di calzoncini flaccidi, e delle scarpe da tennis logore.

    Avevo uno zaino sbrindellato buttato a tracolla, su una spalla sola, e all'interno c'erano mazzette di biglietti da venti e da cinquanta trattati con polvere fluorescente. Non mi ero rasato per due giorni, e quando una coppia anziana vestita con due camiciole hawaiane gemelle si tenne ben alla larga da me per superarmi sul marciapiede lungo Kalakua Avenue, seppi che il mio aspetto era perfetto.

    I turisti sulla spiaggia stavano cominciando a raccogliere le loro cose, caricandosi di teli da mare e le lozioni solari per tornare ai motel e alle multiproprietà sul lato mauka, cioè verso la montagna, del Kalakua. Uomini d'affari giapponesi si fermavano nelle boutique esclusive, per comprare, forti dei loro Yen e del cambio favorevole, pezzi di stilisti europei da mandare a casa alle loro famiglie trascurate.

    E da qualche parte in lontananza si sentiva il suono di un tamburo ipu e i colpi di un pahu hula, un tamburo di pelle di squalo. Che significava che un hotel o un bar stava per cominciare un happy hour hula per i turisti del midwest, l'occasione per un nonno di alzarsi e ballare l'hula con una bella wahine mentre la nonna gli puntava addosso la videocamera per la gente a casa, e tutti quanti stavano per prendere dei bei drink colorati pieni di ombrellini.

    Dall'altro lato della strada, vedevo il mio partner, Akoni, un hawaiano muscoloso che aveva fatto l'accademia con me. Formavamo una strana coppia, io alto e magro, Akoni basso e tarchiato. Aveva più sangue hawaiano di me, e la pelle più scura. Mio padre era mezzo hawaiano e mezzo haole, cioè bianco, per cui anche con una forte abbronzatura ero comunque più chiaro di Akoni. Indossava una camicia hawaiana XXL con un tema sul rosso e rosa brillante, calzoncini, e scarpe da tennis, e sembrava uno di quei tizi che noleggiano le tavole da surf sulla spiaggia. Guardò l'orologio in maniera enfatica. Annuii leggermente, e attraversai la strada in diagonale all'altezza di Kapahulu, oltrepassando il Denny's locale in stile hawaiano, dove si può ordinare papaya assieme alla colazione Grande Slam, adorabile con la sua veranda al secondo piano che dava sulla spiaggia.

    Seguii il litorale sotto l'ampio baniano, camminando lungo la spiaggia chiamata Queen's Surf, che si stendeva ai margini del Kapiolani Park. C'era una rete da pallavolo, sulla spiaggia, poi un frangiflutti e poi la spiaggia si faceva davvero stretta.

    Quel tratto stretto era la spiaggia gay. C'erano circa una dozzina di uomini stesi sulla sabbia, anche se stava salendo la marea, portando con sé alghe e foglie secche. C'erano uomini grassi e uomini in forma, uomini che indossavano di tutto, dal tanga più striminzito al costume da bagno extralarge. Altri dieci o quindici uomini erano seduti sull'erba e sulle panchine, e un altro gruppo sui loro teli da mare, sotto una palma. Un tizio con un piercing su entrambi i capezzoli mi fece l'occhiolino, e io guardai rapidamente verso l'oceano, dove qualcuno stava nuotando col boccaglio verso Diamond Head, come se stesse andando al mio stesso appuntamento. Più in là una schiera di barche a vela e barche da pesca solcavano l'acqua luccicante.

    Un ragazzo mi sfrecciò accanto su uno skateboard, poi mi si fermò quasi davanti per tentare un salto, che non gli riuscì. Ero nervoso, e provai l'impulso di urlargli contro, sbattergli in faccia il distintivo e fargli prendere lo stesso spavento che lui aveva fatto prendere a me, ma mi trattenni. Seguii la stretta via pedonale dietro lo zoo, cercando di concentrarmi sulle basse acque verde- azzurro, e di pensare solo al tubo incrostato di molluschi appoggiato sul fondo del mare, che si stendeva fino all'orizzonte, e che portava acqua pura dalle profondità dell'oceano per l'acquario dietro di me. Ma non funzionò; continuai a pensare alla retata.

    Akoni era dietro di me. Uno dei pescatori lungo la costa, Lou See, era un membro della SWAT, e aveva una Magnum .357 in una fondina da spalla, sotto la camicia ampia, e un'altra nascosta nella rete dei pesci. Evan Gonsalves, che era il nostro collegamento con la squadra anti-contrabbando dello stato, era alla fine del sentiero, in attesa di monitorare la mia conversazione via radio.

    Sapevo che Evan portava una Smith & Wesson calibro 38, da cinque colpi, con una canna da due pollici. I due giovani amanti appoggiati contro un albero erano due poliziotti di quartiere della stazione di polizia di Waikiki, Lidia Portuondo e Alvy Greenberg, e mi chiesi pigramente se stessero gradendo il ruolo che gli era stato assegnato. Penso che anche loro portassero entrambi una Smith & Wesson calibro 38.

    Continuai a camminare dietro l'acquario, dove l'asfalto era stato rappezzato alla bell'e meglio. Sentii abbaiare un cane da guardia solitario, in mezzo alle apparecchiature per la refrigerazione mal camuffate dietro una macchia di piante di hinahina, carnose, con qua e là alcuni fiori bianchi. Il lieve sussurro delle onde che si ritraevano fluì attraverso la mia coscienza, e respirai profondamente; odore di salsedine, gas di scarico, e il profumo tenue e dolce di olio al cocco.

    La settimana precedente, un informatore mi aveva avvertito di un carico di eroina in arrivo dal Messico, la varietà che chiamano pece nera. Era più grezza dell'eroina prodotta in Asia, e per strada si vendeva anche a $100 per un quarto di grammo. Si fumava, non si iniettava, e questo rendeva più facile finirci dentro, specialmente per gli adolescenti. Dovevo comprare una libbra di quella roba, per un valore di spaccio di $150.000. E non combinare casini.

    Arrivai davanti allo stadio, vicino alle grandi porte di stucco, chiuse in una recinzione di catene a maglie, e mi misi in attesa. Alzai lo sguardo a quelle porte, alte più di dieci metri, con colonne Ioniche che sorreggevano un'architrave con la scritta WAR MEMORIAL. Ai lati del simbolo dello Stato delle Hawaii posto sopra l'architrave c'erano due aquile, ma quella dal lato di Diamond Head era senza testa, con solo una barra di ferro che le sbucava dal collo. Sulla recinzione c'erano dei cartelli che dicevano VIETATO L'INGRESSO e PERICOLO: CADUTA MASSI. Guardai attraverso la recinzione verso la piscina e, più in là, l'oceano, con le onde che si infrangevano in quell'acqua color blu profondo, e il sole morente che scintillava sulle loro creste.

    Un pick-up blue malandato si fermò accanto al marciapiede, e ne scesero due messicani. Quando li avevo incontrati in uno squallido bar vicino a Fort DeRussy, si erano presentati come studenti del college in vacanza, che stavano facendo un favore allo zio del ragazzo. Il ragazzo, Pedro, aveva detto che era un modo per pagarsi il viaggio. La sua ragazza si chiamava Luz Maria, ed era di lei che non mi fidavo. La sua bocca aveva qualcosa di freddo, una determinazione che in qualche modo metteva i brividi. Avevo la sensazione che fosse qui per tener d'occhio Pedro.

    Nel momento in cui cominciai a camminare verso di loro, sul cemento marrone consumato e scolorito dal tempo e dal sole, sentii lo squillo di un telefono e vidi Luz Maria aprire un cellulare. Parlò solo per un secondo, poi si rivolse a Pedro e disse qualcosa. Si girarono entrambi e corsero verso il furgone.

    Cazzo, qualcosa è andato storto, sentii Evan dire nell'auricolare. I poliziotti saltarono fuori dai loro nascondigli, e cominciarono ad inseguire i messicani, scansando madri coi passeggini e turisti con camicie Hawaiane così nuove che avevano ancora le pieghe del negozio. Vidi Luz Maria prendere la valigetta a Pedro e lanciarla in alto, a parabola. Atterrò sulla sponda di ferro del cassone del furgone, stette in bilico per un istante e ricadde sul pianale.

    Quasi istantaneamente, il guidatore del furgone diede tutto gas e partì sgommando verso Diamond Head Road.

    Ero il più vicino, e atterrai Maria pochi istanti dopo che aveva gettato via la valigetta. Lottammo, ciascuno dei due cercando un appiglio per far presa sull'altro. Per quei pochi minuti, tutto si mosse al rallentatore. Sentii le fibre dei suoi bicipiti, il suo odore pungente, l'accumulo di un giorno o due di sudore.

    Sentii una radio gracchiare dietro di me, e il rumore di qualcuno che correva.

    Non ero stato così vicino ad una donna da molto tempo. Si girava e si contorceva sotto di me, sfregando il bacino e i seni contro di me, e allo stesso tempo cercando di prendermi la pistola e di colpirmi all'inguine col ginocchio. Pesavo venti chili più di lei, e le stavo sopra, ma era forte ed agile.

    Infine, Akoni era lì, le mise a forza le braccia dietro la schiena e la ammanettò. Io raccolsi la sua pistola, una piccola calibro 45, poi mi rialzai. Ero ancora in tensione, non sentivo niente se non il sangue che mi pulsava nelle vene, e l'elettricità sulla punta delle dita. Sapevo che avrei sentito gli effetti dello scontro solamente il giorno dopo. Scrollai le braccia per scioglierle, e feci un paio di piegamenti sulle gambe.

    Evan teneva Pedro steso a terra, col piede pressato nella schiena del ragazzo, e Lidia e Alvy correvano lungo Diamond Head Road, cercando di prendere il numero di targa del furgone. Lou See stava già chiamando il furgone cellulare per radio.

    Lidia e Alvy tornarono, a mani vuote, e presero in consegna i due messicani. Merda, cos'è che è andato storto?chiesi a Lou, Akoni ed Evan, e mi sedetti con loro ad un tavolo da pic-nic.

    Evidentemente, la donna ha avuto una soffiata all'ultimo momento, disse Lou. L'hai vista al telefono.

    Possiamo chiedere un mandato per i tabulati telefonici? chiese Evan. Scoprire chi l'ha chiamata?

    Scossi la testa. Non senza qualche prova, dissi. Peggy non sarà contenta di questo.

    Peggy Kaneahe, assistente del Procuratore Distrettuale, ci aspettava alla stazione di polizia principale, in centro. Avevo una lunga storia con lei - eravamo stati due piccioncini al liceo, ed avevamo rotto al college appena dopo il primo anno di lontananza. Mentre io ero tornato a Honolulu dopo soli quattro anni in California, lei era stata via più a lungo, ed era tornata solo sei mesi fa per assumere il suo ruolo attuale. Avevamo ricominciato a frequentarci, ma molto alla leggera, non eravamo neanche andati a letto, ancora. Per usare le sue stesse parole, Nel mio lavoro vedo solo poliziotti e criminali. E se devo uscire con un poliziotto, tanto vale che sia uno che conosco già.

    Tra noi due c'era una tensione latente anche nel migliore dei momenti, come se lei stesse solo aspettando che io la ferissi un'altra volta, e quella sera parlammo a malapena, se non dei dettagli nudi e crudi della retata fallita. Un paio dei ragazzi decisero di andare ad un bar frequentato da poliziotti su Kuhio Avenue, qualche isolato mauka dalla spiaggia, e mi unii a loro. Peggy invece rifiutò l'invito.

    Ad Honolulu non usiamo nord, sud, est ed ovest. Diciamo che qualcosa è mauka, per dire che è verso la montagna, o makai, per dire che è verso il mare. Quelli sono all'incirca nord e sud. Ovest è ewa, pronunciato come Eva Gabor, dal nome di una città oltre l'aeroporto. L'altra direzione, verso Diamond Head, la chiamiamo semplicemente Diamond Head.

    Passai un po' di tempo a parlare con Evan Gonsalves, urlando per farmi sentire al di sopra del frastuono del rock'n roll che usciva dalle casse del bar. Si stava bene lì, sotto la tettoia spiovente, con la brezza del mare che faceva svolazzare i volantini sui tavoli. Attorno a noi, alcune coppiette erano rannicchiate nell'ombra, e i single cercavano di rimorchiare ai margini della pista da ballo o se ne stavano senza far niente qua e là nel bar ben illuminato.

    Come sta Terri? chiesi a Evan. Sette anni prima, aveva sposato Teresa Clark, il cui nonno aveva fondato Clark's, la più grande catena di supermercati delle isole. Nessuno ne era stato più sorpreso di me. Io e Terri eravamo amici, al liceo, ma avevo sempre pensato che fosse al di fuori della mia portata, come pretendente. Quando sposò un poliziotto, figlio di un pescatore portoghese, fui uno dei tanti a chiedermi perché.

    Evan fece una smorfia. Si preoccupa un sacco. La conosci. Si chinò in avanti, più vicino a me, col suo alito che sapeva di birra. Alle volte, mi chiedo cosa posso fare di più per lei. Si merita molto di più di quello che posso darle io.

    Evan era una brava persona. Di bell'aspetto, ben piazzato, con capelli neri ondulati e occhi intensi; parlava bene, e stava chiaramente salendo nelle gerarchie della polizia. Come tutti, mi sarei aspettato che Terri si sarebbe accasata meglio, sposando qualcuno che avesse studiato sul continente, e con un mucchio di soldi. Ma per ora, sembravano molto felici, con un bambino di cinque anni che accudivano in parti uguali.

    Non sapevo cosa dire. Per fortuna, in quel momento Akoni venne a salutare, per tornare a casa dalla sua carinissima moglie, così anche Evans si rese conto che era ora che di andare anche per lui. Rimasi con un paio di altri poliziotti, single come me, fino a ben oltre mezzanotte, sempre più ubriachi mentre cercavamo di rimorchiare qualche wahine.

    Almeno, quello era ciò che dicevo a me stesso che stavo facendo. Avevo una reputazione, al distretto, di uno da una botta e via, perché sembrava che non trovassi mai una relazione stabile con una donna. Spacciare quei problemi per paura di impegnarsi era persino trendy, e Akoni periodicamente tornava alla carica con le sue prediche sul crescere, e prendermi le mie responsabilità. Ma io sapevo che il problema era molto più profondo.

    Alle due del mattino, i poliziotti che erano ancora lì ormai avevano trovato la loro wahine, tutti tranne me. Non ero interessato alle wahine, ed ero stufo di raccontare a me stesso di esserlo. Quel giorno non ero mai stato veramente in pericolo, ma avrei potuto, e tutte le volte che scansavo un guaio mi chiedevo, E se oggi fosse stata la mia ora? Sono pronto per morire? Ho vissuto la mia vita come avrei voluto?

    Ero un po' più che alticcio, avevo voglia di sesso, ed ero disgustato da me stesso. Sul lavoro, ero pressoché senza paura. Mi fidavo dei miei istinti, delle mie armi, e dei miei rinforzi. Andavo in strada, e facevo quel che dovevo fare. Nella vita personale, era molto più difficile.

    Buttai un po' di soldi sul tavolo per le mie birre, salutai con la mano, ed uscii nella fresca oscurità vellutata. Si era alzato il vento, e le nuvole si rincorrevano sul canovaccio del cielo. Vidi la luna crescente riflettersi nella finestra buia di un negozio che vendeva camicie Hawaiane da migliaia di dollari ai turisti giapponesi.

    Mi diressi inconsciamente verso il Rod and Reel1 Club. Era solo a pochi isolati di distanza, e praticamente sulla strada di casa. C'erano state un paio di aggressioni omofobe fuori da quel club, nelle ultime settimane, e provai a dirmi che stavo solo facendo il mio dovere di buon poliziotto di quartiere, a fermarmi per controllare che fosse tutto a posto, per proteggere la popolazione.

    Sì, certo.

    Da fuori si sentiva il ritmo di una linea di basso, e quando si aprì la porta  e uscirono un paio di tizi, con le braccia l'uno attorno all'altro, sentii il frastuono del rock'n roll. Stetti li intorno per un paio di minuti, indeciso se entrare o no, e poi dissi a me stesso Cazzo, Kimo, non fare il rammollito, e varcai la soglia.

    Il Rod and Reel club era arredato come una di quelle vecchie baracche di pescatori, pareti pannellate di legno, decorate da tonni pinna gialla e ricciole impagliate. Il tono era molto mascolino, ma sulle pareti, dove ci si sarebbe aspettati di vedere foto di uomini coi loro pesci, c'erano invece foto di uomini travestiti, uomini che si baciavano, uomini che ballavano sui tavoli coi loro tanga multicolori.

    Il cuore mi batteva più forte di ieri sera dietro lo zoo. Mi diressi al bar e ordinai un'altra birra, poi trovai un pezzo di parete a cui appoggiarmi. Il bar era in parte al chiuso e in parte all'aperto. Da dove stavo, sotto la tettoia, potevo guardar fuori verso il patio, dove lunghe file di luci bianche pendevano dagli alberi. Un grande schermo nell'angolo mostrava il video della musica che usciva dalle casse. In quel momento stavano mandando Old Time Rock and Roll, di Bob Seger, probabilmente solo per mostrarci Tom Cruise che ballava in mutande.

    Non sapevo cosa ci facessi lì. Avevo troppa paura dell'AIDS, e di affrontare la verità su di me, per rimorchiare chicchessia. Forse stavo in qualche modo facendo pratica per poter cominciare a vivere, costringendomi a guardarmi allo specchio così spesso che forse un giorno sarei stato capace di guardarmi senza odiarmi. Sapevo di essere attratto dai ragazzi già quando avevo dodici o tredici anni, ma al di là di qualche esperimento ero riuscito ad ignorare la cosa. Mi ero creato un personaggio da macho, costringendomi ad uscire sera dopo sera, a dare appuntamenti ed andare a letto con molte donne, sperando sempre che quella successiva sarebbe stata quella in grado di cambiarmi.

    Una delle ultime donne con cui sono uscito insegnava educazione fisica in un liceo del Minnesota, ed era qui in vacanza con un paio di amici del college. Nel suo corpo non c'era neanche un filo di grasso, ed era molto atletica anche a letto. Mi fece paura il modo in cui mi trovai attratto dai suoi bicipiti e dai suoi polpacci forti. Immaginai che fosse un uomo, e fu il miglior sesso che io avessi mai fatto con una donna. Mi fece davvero una paura del diavolo.

    Quando i miei occhi si furono abituati all'oscurità, cominciai a passare in rassegna gli altri uomini. Il bar era a metà strada tra la pista da ballo e il patio. C'erano all'incirca una dozzina di uomini che ballavano quella musica martellante, e altrettanti erano raggruppati attorno al bar. Fuori sul patio, seduti su sedie di plastica, c'erano alcune coppie miste, e altri uomini a gruppetti.

    Presi la mia Longboard Lager e mi misi a girare lentamente attorno al bar e al patio. Un tizio coi capelli grigi, probabilmente sulla sessantina, faceva il giro opposto al mio, e dovevo guardare da un'altra parte tutte le volte che ci incrociavamo. Un ragazzo carino con una maglietta da Rugby era appoggiato ad una palma, ma ebbi l'impressione che non guardasse mai dalla mia parte.

    Era facile trovare scuse per non parlare con nessuno. Nessuno sembrava riuscire ad agganciare lo sguardo di qualcun altro, e nessuno degli uomini da soli mi attraeva in alcun modo. Uno era troppo magro, un altro troppo grasso. Il tizio coi pantaloni a zampa verde lime e la canottiera senza maniche non mi andava, perché sembrava fin troppo checca. I due ragazzi muscolosi con le magliette aderenti sembravano dei poco di buono, ed erano comunque troppo indaffarati l'uno con l'altro.

    Di fianco al bar c'era un lungo corridoio. Le prime due porte che vidi erano chiaramente marcate KANE, uomini, e WAHINE, donne. Ma più avanti c'erano altre porte, e ogni tanto qualcuno andava e veniva dal corridoio, e non volevo sapere cosa succedesse là dietro. O meglio, lo volevo sapere, disperatamente, ma non mi sarei mai dato il permesso di ammetterlo. Trovai un punto, lungo la parete del patio, da cui potevo tener d'occhio quel che succedeva al bar, nel patio, e lungo il corridoio. Coccolavo la mia birra come se fosse la mia unica amica, e guardavo, e aspettavo. Un uomo con una canottiera, tirato a lucido, continuava ad andare avanti e indietro per la sala, e due giapponesi che si tenevano per mano sparirono nel retro.

    Una metà degli uomini attorno al bar avevano i capelli un po' troppo corti, o i baffi un po' troppo curati, ma gli altri avevano l'aspetto di uomini che si vedevano normalmente per strada. Cominciai a credere un po' di più che forse un giorno avrei potuto essere a mio agio, in quel posto. Certo, era anche triste vedere tutti quegli uomini che non riuscivano a trovare un contatto l'uno con l'altro, mentre da parte mia mi stavo ancora sforzando di arrivare al loro livello, di essere abbastanza a mio agio con me stesso e con la mia sessualità da poter stare in una stanza piena di gay e non sentirmi terribilmente in imbarazzo.

    Avevo quasi finito la seconda birra quando un tizio mi puntò. Ero ancora vestito col mio travestimento da moke, non mi ero ancora rasato. Era alto e magro, goffo come una giraffa, la testa così rasata che rimaneva solo un po' di peluria bionda. Quando mi ebbe quasi oltrepassato, mi si avvicinò all'orecchio e sussurrò, Mi piace selvaggio. Mi sfiorò il lobo dell'orecchio con la lingua.

    Rabbrividii e mi spinsi via. All'improvviso sapevo che dovevo uscire da lì.

    Se non fossi uscito, avrei fatto qualcosa, non sapevo cosa. Forse avrei seguito la giraffa sul retro, o l'avrei preso a pugni, o mi sarei strappato i vestiti e avrei cominciato a ballare sui tavoli. Abbandonai la bottiglia vuota su un tavolo, e mi diressi alla porta, quasi di corsa.

    Una volta fuori, mi fermai sotto un lampione, buttando giù l'aria calda e umida a grandi boccate. Un'ondata di traffico passò su Kuhio Avenue, e un tizio alla guida di una Miata col tettuccio aperto fece una brusca curva a sinistra, tagliando la strada a una Ford Explorer. La Ford strombazzò col clacson. Il cuore mi batteva all'impazzata e mi tremavano le mani. La porta del club si aprì, e la giraffa uscì all'aperto. Incrociai il suo sguardo, feci no con la testa, e svoltai l'angolo. Trovai un posto al buio, e crollai appoggiato ad un muro,guardando la porta sul retro del club.

    La giraffa non mi seguì, fortunatamente. Erano quasi le tre, e sarei stato nuovamente di turno alle otto di mattina. Se fossi andato a casa ora, avrei potuto dormire un paio d'ore, e poi uscire con la tavola da surf alle prime luci dell'alba. Solo io, la mia tavola, e l'oceano, e mi sarei sentito meglio. Sapevo che mi sarei sentito meglio.

    Ero quasi pronto ad avviarmi verso casa, quando sentii il rumore di qualcuno che trascinava qualcosa nel vicolo. Pensai che fosse un gestore che trascinava fuori un bidone della spazzatura, ma quando girai l'angolo vidi un uomo piegato fino a terra. Quando raggiunse il riparo di un carrubo di fianco alla strada, si girò e corse nuovamente su per il vicolo. Sentii la portiera di un auto che veniva aperta e subito sbattuta, e poi una Jeep Cherokee nera sbucò dal vicolo dietro al club, con un leggero testacoda per la brusca sterzata.

    Immaginai che probabilmente il guidatore stava fuggendo da qualcuno che aveva incontrato al club. Sapevo come ci si sentiva.

    Poi vidi il corpo.

    Alzai lo sguardo, unendo i puntini tra il corpo, quel rumore di trascinamento che avevo sentito, e quell'autista che se ne andava così di corsa, ma ormai era troppo tardi; l'auto aveva già svoltato sulla Kuhio Avenue ed era sparita. Mi rimproverai per non aver reagito con prontezza, e mi chinai sul malcapitato. Anche al buio, riuscivo a vedere la pozza di sangue che si stava già formando vicino alla sua testa. Gli tastai il collo cercando il battito, ma non ne aveva. Merda, dissi ad alta voce.

    Non mi ero portato il cellulare, quindi dovetti correre fino all'angolo, in cerca di un telefono pubblico. Non ce n'era. Percorsi due isolati prima di riuscire  a trovare un telefono funzionante. Feci  il 911,  e coprii il microfono  della cornetta con la maglietta. Devo segnalare un omicidio, dissi, farfugliando ma cercando di tirar fuori le parole. Dietro al Rod and Reel club, su Kuhio Avenue.

    L'operatore chiese, Mi può dire il suo nome, signore?

    Volevo tornare dal tizio nel vicolo. Non volevo lasciarlo da solo. E sapevo che, in quanto pubblico ufficiale giunto per primo sulla scena, era mio dovere indagare, e mettere l'area in sicurezza. La maggior parte dei crimini viene risolta nelle prime ventiquattro ore, ed avevo la rara opportunità di avviare le indagini fin da subito.

    Ma non volevo spiegare cosa ci stessi facendo lì, molto dopo aver salutato i miei compagni. Passavo il tempo a cercare verità nascoste nella vita delle altre persone, ma non ero pronto a guardare la mia così da vicino.

    Dopotutto, nonostante quel che mi era successo in passato, ora uscivo con una donna. Ci stavo ancora provando. Quindi nonostante tutto ciò che sapevo che avrei dovuto fare, riattaccai.

    Una leggera brezza scuoteva la spazzatura ai margini della strada. Mi tolsi la maglietta e la usai per asciugarmi il sudore dalla fronte. Mi misi a correre verso casa, sperando che la brezza si avrebbe spazzato via tutti i miei peccati.

    Capitolo due

    KUHIO AVENUE ERA QUASI deserta mentre correvo a casa, solo un tizio di colore pelle e ossa, dall'altro lato della strada, che andava nella mia stessa direzione, e un'anziana signora avvolta in strati di vestiti che caracollava su una via laterale. L'aria, calda e umida, era carica dell'odore di olio per auto e di fiori di pomelia schiacciati. La leggera brezza cessò, mentre oltrepassavo di corsa vetrine di negozi bui e hall di alberghi, deserte.

    Quando arrivai a Lili'uokalani Avenue, davanti alle scale esterne che conducevano al mio appartamento, gli eventi della sera sembrarono raggiungermi tutti insieme. Stavo tirando avanti ad adrenalina dal momento in cui ci eravamo messi in azione per la retata, e ora non ne avevo più. Il sudore mi colava dalla fronte, e il cuore mi batteva forte, sia per la corsa che per la paura e il panico che provavo. Sapevo che abbandonare il corpo non era stata la cosa giusta da fare, e allo stesso tempo sapevo che non sarei potuto restare. Sbattei contro la ringhiera decorativa, piccole palme racchiuse in una gabbia di ferro battuto, e la usai per trascinarmi di sopra. Aprii la porta con la mano che tremava, e barcollai dentro.

    Mi tolsi i vestiti, ed entrai nella doccia. Un attimo prima di far scorrere l'acqua, mi sfiorai la faccia con la mano, e mi accorsi che era bagnata. Mentre l'acqua bollente cominciava a martellarmi, mi resi conto che non era sudore; stavo piangendo.

    Non riuscii a dormire. Mi sentivo in colpa come se quel tizio l'avessi ucciso io stesso. Che razza di poliziotto ero? Aver sentito quell'uomo trascinare il corpo in strada, e non essere restato lì per riferire quel che avevo visto all'ufficiale responsabile, mi rendeva complice dell'omicidio. Non ero migliore di quei testimoni scadenti che interrogavo abitualmente. No, non avevo visto il numero di targa dell'auto. Non avrei potuto fornire nulla più che una descrizione generica dell'uomo che avevo visto trascinare il corpo. E' successo tutto così in fretta, ispettore. Non avrei potuto fare nulla.

    Andai avanti e indietro nervosamente nel mio monolocale fino a poco prima dell'alba, aspettando la chiamata del centralino, e cercando di convincermi a chiamare io. Io e Akoni non siamo gli unici detective della omicidi assegnati al distretto 6, Waikiki, ma in un esperimento di polizia di quartiere che il distretto stava conducendo, noi due eravamo stati assegnati come base di pattugliamento alla sottostazione di Waikiki su Kalakua Avenue. Altri detective, compresi anche detective di altre unità, erano basati al quartier generale. Immaginai che forse il centralino stava passando la chiamata a qualche detective del centro, così alla fine mi dissi Al diavolo questa storia, e indossai il costume da bagno. Presi la tavola e mi incamminai su Lili'uokalani Avenue, che porta direttamente al Kuhio Beach Park, dove faccio surf abitualmente.

    Tutte le volte che metto piede nell'acqua salata, mi sento rinnovato, rinato, rivitalizzato. Con la tavola sotto di me, in equilibrio su un'onda, circondato dalla spuma e dall'azzurro del cielo, mi sento finalmente completo. E' un momento unico di trascendenza, un'occasione per alzare la testa e tirarmi fuori dalla feccia, e dall'amarezza, e dalla vergogna che incontro per strada. E' l'unico modo in cui riesco ad andare avanti a fare il poliziotto.

    Quando scesi in acqua, il sole non era ancora spuntato da dietro le Ko'olau Mountains, e la risacca era fredda, ma c'era un alone di luce sulle creste rocciose che sovrastavano la città che prometteva che il giorno stava per arrivare. Le onde erano piccole, e non fu difficile uscire al largo. Mi sdraiai sulla tavola, lasciando cadere una mano in acqua, cercando di entrare in sintonia con le onde.

    Ci metto sempre un po' di tempo, a prendere il ritmo delle onde. Quella mattina ci volle anche più del solito. Non riuscivo a svuotarmi la mente dall'immagine di quell'uomo, a terra nel vicolo, né dalla vergogna che provavo per averlo lasciato lì. Ma alla fine, mi rilassai, almeno un po', e vidi che si stava formando una bella onda. Pagaiai in fretta con le mani per prenderla, poi mi alzai in piedi sulla tavola proprio nel momento in cui il primo raggio di luce sbucò da dietro il Ko'olau, come una pugnalata negli occhi. Il naso della tavola andò a cercare le perle, cioè si tuffò sotto l'onda, e io fui sbalzato dalla tavola, e caddi in acqua. L'onda mi passò sopra, trascinando la tavola verso riva, e il laccio che mi teneva legato alla tavola mi trascinò con sè.

    Il tuffo e la nuotata verso riva mi rivitalizzarono. Le condizioni erano buone, e riuscii a cavalcare un paio di onde poderose. Prima che me ne rendessi conto, si era fatto giorno ed era ora di tornare a casa. Come mi aspettavo, quando arrivai a casa trovai un messaggio di richiamare in centrale. Chiamai prima ancora di rientrare in doccia. Omicidio segnalato alle due e cinquantotto del mattino nel vicolo dietro il Rod and Reel Club su Kuhio Avenue, mi disse il centralinista. Il detective Hapa'ele si sta recando là.

    Quello era Akoni. Saltai in doccia ed uscii di corsa, e venti minuti dopo ero al fianco di Akoni nel vicolo, una stretta striscia d'asfalto rattoppato molte volte che andava dal Kuhio Avenue al Kalakua Avenue. Con la luce del giorno aveva un aspetto anche più desolato che di notte.

    Sul lato verso Diamond Head il vicolo era fiancheggiato dal muro posteriore di un ristorante economico, senza alcun segno particolare, mentre sul lato ewa c'era la porta posteriore del Rod and Reel Club. Verso l'angolo con Kuhio Avenue, un paio degli alberi alti del patio del Rod and Reel uscivano a fare un po' di ombra sul vicolo, ma il resto non aveva riparo alcuno contro il sole brutale. Qua e là c'erano dei piccoli cassonetti per l'immondizia, ad intervalli regolari, vicino ad altrettante porte posteriori, e il vento sbatteva in giro dei buoni sconto per un qualche ristorante turistico. Le pareti che si affacciavano sul vicolo erano dipinte di colori diversi, e alcune sembravano non essere state dipinte da anni. Era un retrobottega di Waikiki che i turisti di solito non vedevano.

    Te lo sei perso, Akoni disse tristemente. Alla fine ho dovuto lasciare che i ragazzi dell'obitorio lo portassero via, perché nessuno sapeva dove diamine fossi.

    Sai dov'ero, dissi. Accennai con la testa verso l'oceano. Il sole ora si era liberato dalle creste delle montagne, e splendeva brillante sui turisti, sugli operai vestiti d'arancione che lavoravano sulla strada, sui giapponesi in giacca

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1