Scopri milioni di eBook, audiolibri e tanto altro ancora con una prova gratuita

Solo $11.99/mese al termine del periodo di prova. Cancella quando vuoi.

Tore ‘e Crescienzo: il primo camorrista
Tore ‘e Crescienzo: il primo camorrista
Tore ‘e Crescienzo: il primo camorrista
E-book138 pagine1 ora

Tore ‘e Crescienzo: il primo camorrista

Valutazione: 0 su 5 stelle

()

Leggi anteprima

Info su questo ebook

La caduta del Regno delle Due Sicilie e gli inizi del neostato unitario, che già allora scendeva a patti con la criminalità organizzata, fanno da sfondo al percorso criminale e umano di Tore ‘e Crescienzo, il primo camorrista dell'età moderna.
Un romanzo storico documentato e avvincente, corredato da stampe d'epoca, che getta nuova luce su eventi di straordinaria rilevanza e quanto mai attuali nello scacchiere sociale ed economico odierno.
LinguaItaliano
Data di uscita22 gen 2019
ISBN9788833462721
Tore ‘e Crescienzo: il primo camorrista

Leggi altro di Franco Schiano

Autori correlati

Correlato a Tore ‘e Crescienzo

Ebook correlati

Thriller criminale per voi

Visualizza altri

Articoli correlati

Categorie correlate

Recensioni su Tore ‘e Crescienzo

Valutazione: 0 su 5 stelle
0 valutazioni

0 valutazioni0 recensioni

Cosa ne pensi?

Tocca per valutare

La recensione deve contenere almeno 10 parole

    Anteprima del libro

    Tore ‘e Crescienzo - Franco Schiano

    Tore ‘e Crescienzo, il primo camorrista

    di Franco Schiano

    Progetto grafico e impaginazione: Sara Calmosi

    Direttore di redazione: Jason R. Forbus

    Le stampe di Gaeta, Ponza, Ventotene e Santo Stefano sono opera di Pasquale Mattej

    ISBN 978-88-33462-72-1

    Pubblicato da Ali Ribelli Edizioni, 2019©

    Narrativa – Maree

    www.aliribelli.com – redazione@aliribelli.com

    È severamente vietato riprodurre, in parte o nella sua interezza, il testo riportato in questo libro senza l’espressa autorizzazione dell’Editore.

    Tore ‘e Crescienzo

    Il primo camorrista

    Franco Schiano

    Edizioni

    Indice

    Premessa

    La partenza

    La centrale

    Sulle onde dei ricordi

    La paranzella di Gaeta

    Santo Stefano e Ventotene

    La corda elettrica

    Ponza

    Armand e Sofia

    Confronto

    Giuditta

    Il bastimento livornese

    Taverna Tarantino

    La missione

    Preparativi

    Truglio e tradimento

    Epilogo

    A Filomena e Zi’ Schiano,

    mia madre e mio padre.

    Premessa

    Salvatore De Crescenzo, capo dei capi di quella che allora si chiamava La Bella Società Riformata, è stato sicuramente il primo grande camorrista dell’era moderna. Eletto come testa dell’organizzazione nel 1849, per diversi anni è stato un protagonista rilevante della storia di Napoli e d’Italia. Oltre a essere il capo della malavita organizzata dell’epoca, Tore ‘e Crescienzo ebbe un ruolo fondamentale durante il passaggio dei poteri dai Borbone ai Savoia. Nel 1860 Liborio Romano, ministro della Polizia di Francesco II prima e del nuovo governo unitario poi, lo nominò commissario di polizia col compito di mantenere l’ordine pubblico; funzione che svolse egregiamente, insieme ai suoi camorristi diventati all’improvviso poliziotti, soprattutto a vantaggio degli affari della camorra.

    La pacchia dei camorristi poliziotti si concluse agli inizi del 1861, quando Silvio Spaventa, nuovo ministro della Polizia, pose fine a questa anomalia gettando in cella molti di loro. Nel luglio del 1862 anche il capo Tore ‘e Crescienzo rimase impigliato nella rete della legge: usando Nicola Jossa, un guappo non affiliato alla camorra, il questore Aveta riuscì a far arrestare De Crescenzo, che fu rinchiuso nel carcere di Castelcapuano.

    È da qui che inizia per Tore una nuova storia, una storia che influenzerà anche quella dell’Italia intera.

    Capitolo primo

    La partenza

    Era ancora buio quando lo vennero a prendere. Il capoturno reggeva la lanterna e cercava d’illuminare la serratura per permettere alla guardia d’infilare la grossa chiave e aprire la cella.

    «Mannaggia a morte! ma sto buco ‘o truove o no?»

    «Ma che vuò truvà, ca c’amme fatte vecchie e ‘o buco no’ sapimme chiù truvà! ...mannaggia ‘e giacubini e i libberali!»

    «Ma qua giacubine chiste è ‘o capintesta Tore ‘e Crescienzo.»

    «Vuie che dicite?! e quanno l’hanno chiuso, io n’aggio saputo niente.»

    «L’ordine è arrivato ieri sera. L’avimma avuta levà d’o camerone per mezzo d’o fatto che succedette… Aniello Ferrigno… ‘o stutaine.»

    «E che c’entra Tore ‘e Crecienzo? Pe’ chelle che sacc’io, Aniello Ferrigno, è stato stutato a seguito di regolare sentenza del Tribunale della Gran mamma e non mm’arrisulta che sia stato presieduto da Tore e Crescienzo. Non sarebbe stato opportuno, Tore era parte in causa. Ferrigno aveva offeso la figlia di Tore.»

    «Sì vabbuò, comme fuje e comme nun fuje, l’ordine arrivaie e s’adda ‘nmmbacà pe’ Ponza.»

    Alla fine, la pesante porta si aprì e la luce sporca della lanterna invase la cella. Dentro, seduto sul tavolaccio, c’era Salvatore De Crescenzo, detto Tore ‘e Crescienzo: ‘o maste, il capo supremo della Bella Società Riformata. Il capintesta della camorra napoletana!

    «Vado sùlo a chèsta cazze ‘e Ponza?» domandò stizzito Salvatore.

    «Avimme pensate ‘e ve fa accumpagnà da Dumminico ‘Mezzarecchia’, chille tene ‘na grande devozione pe’ voi e poi a Ponza già c’è stato, conosce l’ambiente. E pure vuie me pare che lo benvolete. Sta già pronto vicino a carretta. Avimme pure caricato ‘na casciulella co’ i vestiti vostri. ‘O sapimme che ci tenete all’eleganza, ma erane troppe, nun ce trasevene dinte ‘o sacco» disse quasi amorevolmente don Ciccio Stecchino, il caporale delle guardie del carcere di Castelcapuano.

    Don Salvatore annuì e si accinse a prendere le sue cose spicciole.

    «Iamme, facimme ambresse che se fa tardi» lo esortò don Ciccio, fingendosi autoritario mentre lo aiutava a riempire il sacco di tela grezza.

    Quando scesero verso il cortile del carcere sotto alla luce ondeggiante della lanterna, si levò un rumore sordo, come un’onda cadenzata, sempre più forte. Poi smise di colpo.

    Erano arrivati davanti alla carretta. Mezzarecchia, che pure era un caposocietà, appena lo vide gli andò incontro. Nonostante avesse i ferri ai polsi, prese il sacco con gli effetti personali di don Salvatore, ma non prima di aver tentato di baciargli le mani, che questi, in forza di un rituale consolidato, fece finta di ritrarre.

    Al fianco della carretta v’erano quattro soldati su cavalli che a Tore sembrarono altissimi. Erano lancieri di Novara: la sua scorta fino al molo dell’Immacolatella.

    Don Salvatore, a cui nel frattempo avevano messo i ferri, salì sulla carretta. Mezzarecchia lo seguì e si accomodò di fronte a lui. Il cocchiere prese in mano le redini e con un lungo «Aaaah!» si avviò verso l’uscita. Proprio in quel momento un lungo fischio, un sibilo modulato con tonalità e intensità variabile, si levò dal buio, rotto solo dalle poche lanterne sotto gli androni: il sordeglino!

    Era il saluto della Bella Società Riformata ospite di Castelcapuano al Capo dei Capi.

    A Napoli è anche un antichissimo richiamo d’amore.

    Salvatore levò in alto le mani serrate dai ferri, in segno di risposta, ma nessuno poteva vederlo.

    ***

    Man mano che si avvicinavano al mare l’aria diventava sempre più pulita. I miasmi dei vicoli cedevano il passo ai suoi profumi.

    Anche i cavalli sembravano voler godere di quell’odore di pulito: le loro froge aspiravano quell’aria fresca, frizzantina e odorosa con una certa forza, che dava l’impressione netta che le bestie ne godessero.

    Le campane suonavano il mattutino, mentre le popolane andavano in gruppi verso la chiesa di San Giovanni a Mare per il settenario della Madonna del Carmine.

    Quando la carretta sbucò sulla strada della Marina, le prime luci del giorno inondavano radenti le alberature dei bastimenti nel porto, che spuntavano oltre il muro della dogana. Qua e là neri e densi pennacchi di fumo si alzavano lenti verso il cielo. Era una di quelle mattine di luglio in cui non tirava un alito di vento. Dai varchi si vedevano tratti di mare immobile e liscio come l’olio.

    Arrivarono sul molo dell’Immacolatella che mancava ancora qualche minuto alle sei. C’era già la carretta del carcere di Santa Maria Apparente, Tore ne riconobbe il cocchiere. L’aveva utilizzato in qualche occasione per inviare palummelle ai compagni detenuti in quel carcere.

    Chissà se ha accompagnato qualche condannato all’ergastolo di Santo Stefano o un relegato a Ponza, si domandò. Poi fu distratto dalla voce del cocchiere della sua carretta.

    «Don Salvato’, i fierre ve li leveranno i Carabinieri a bordo, dopo la partenza del vapore.»

    Casse di legno di ogni forma e dimensione, sacchi, botti e damigiane erano allineate lungo i bordi del molo. Il vapore a ruote Palinuro della Compagnia di Navigazione Ischia – Procida, adibito al collegamento settimanale con le isole Ponziane, vibrava e ansimava: la caldaia era già sotto pressione. La colonna di fumo nero si levava dal fumaiolo in mezzo ai due alberi, lenta e densa.

    Una processione di facchini, scalzi e a torso nudo, si snodava tra il molo e la nave per caricarvi la merce in attesa d’imbarco lungo i bordi della banchina. Tutti, come una divisa, portavano in testa un sacco di tela grezza, piegato a metà a mo’ di cappuccio e ricadente sulla schiena. Serviva a proteggere collo e spalle da eventuali abrasioni ed ematomi provocati dal peso degli oggetti trasportati.

    A bordo, secondo un arcano criterio, un uomo in divisa smistava le mercanzie che i facchini, incappucciati e sudati, imbarcavano a ritmo costante.

    I cocchieri delle due carrette chiacchieravano tra loro

    Ti è piaciuta l'anteprima?
    Pagina 1 di 1