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I Regni di Dante: Forma e dimensione dei regni ultraterreni nella Divina Commedia
I Regni di Dante: Forma e dimensione dei regni ultraterreni nella Divina Commedia
I Regni di Dante: Forma e dimensione dei regni ultraterreni nella Divina Commedia
E-book402 pagine5 ore

I Regni di Dante: Forma e dimensione dei regni ultraterreni nella Divina Commedia

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Info su questo ebook

Un’avvincente esplorazione tra i segreti della Divina Commedia.
Qual è il modo migliore perché un giovane sulla soglia dell’età adulta si appassioni alla lettura della Divina Commedia?
L’analisi di un testo così difficile non sembra costituire certo la sua attrattiva maggiore. Ma è davvero così?
È la domanda che Giorgio, anziano professore in pensione, e sua moglie Mariella si sono posti quando hanno invitato il giovane Filippo a discutere proprio di questa grande Opera, tra i cui pregi c’è senza dubbio anche quello di costituire un punto d’incontro per generazioni in apparenza distanti fra loro. Il ragazzo dal canto suo, sebbene in un primo momento scettico sulla reale utilità dell’incontro e restio a prestarsi a questa sorta di esperimento, si lascerà poi coinvolgere, appassionandosi. Scoprirà di dover rivedere gran parte delle sue conoscenze in merito all’architettura dei Regni ultramondani che credeva ormai assodate, come le dimensioni della Voragine infernale, la posizione del Monte del Purgatorio o la sua reale forma. Ne scaturisce un singolare dialogo, durante il quale i partecipanti non mancheranno di mettere a nudo anche gli aspetti salienti della propria personalità. Fanno da sfondo gli endecasillabi danteschi con i loro segreti, i loro significati nascosti che il Poeta, con il suo parlar coverto, invita a ricercare.
Un saggio ricco anche di illustrazioni volte a rendere più comprensibile il testo a chi ha meno confidenza con l’Opera originale.
LinguaItaliano
Data di uscita14 gen 2021
ISBN9791220250856
I Regni di Dante: Forma e dimensione dei regni ultraterreni nella Divina Commedia

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    Anteprima del libro

    I Regni di Dante - Raffaele Rinaldi

    Bibliografia

    Prefazione

    La Divina Commedia, Monumento della Letteratura italiana, è un’opera magnifica e sublime, in cui vengono narrate vicende e storie con una maestria tale che riecheggeranno nei secoli, personaggi che l’Autore ha scolpito in maniera così magistrale da averli resi immortali. Il fascino delle storie descritte nel Poema è dovuto di certo alla potenza narrativa del Poeta, ma anche e soprattutto al fatto che sono state ambientate in un palcoscenico grandioso, in un’ambientazione che costituisce parte integrante dell’intera composizione, un’impalcatura architettonica senza la quale la maestosità dell’Opera verrebbe meno.

    I luoghi della Divina Commedia costituiscono dunque un aspetto fondamentale della narrazione: la presente trattazione si occuperà proprio di questi luoghi, analizzando la loro ubicazione sia temporale che spaziale, la loro estensione e la loro reale forma. Tale studio è stato affrontato sicuri del fatto che le meraviglie riscontrate susciteranno nel lettore, attento e desideroso di scoprire qualcosa in più che possa arricchire la sua visione del mondo descritto da Dante, un interesse vivo e appassionato.

    Viene da principio fissata la circostanza in cui ha inizio il viaggio dantesco, collocandolo in un preciso momento storico che risulterà carico di significati religiosi e allegorici, attraverso l’analisi di tutti i riferimenti temporali che il Poeta fornisce. Questi riferimenti, che costituiscono indicazioni di tempo di natura differente tra loro, vanno a delineare un quadro unitario, un'unica visione d’insieme dell’impianto cronologico, quale impalcatura in cui gli eventi descritti si incastonano con sorprendente precisione.

    Si procede a determinare l’esatta ubicazione del Purgatorio in relazione al resto delle terre emerse, rispetto, cioè, a ciò che l’uomo del tempo considerava il Mondo abitato e unico luogo concessogli da Dio quale sua dimora: l’Ecumene. Aspetti che sembrano prettamente geografici ma che in realtà conducono a disvelare importanti significati allegorici e carichi di un profondo misticismo.

    Segue la descrizione della forma e delle dimensioni del monte del Purgatorio, parametri che rappresentano la chiave di volta per ricavare come diretta conseguenza quelli relativi alla voragine infernale. Se lo stesso Galilei si rammaricava … per la difficoltà del suggetto, che non patisce esser con la penna facilmente esplicato. nel suo trattato Due lezioni all’Accademia Fiorentina circa la figura, sito e grandezza dell’inferno di Dante, se uno studioso come il grande fisico pisano poneva dubbi e perplessità riguardo a una trattazione esaustiva e corretta di questo argomento, allora forse rappresenta un aspetto tutt’altro che marginale e va affrontato con la dovuta attenzione senza lasciarsi ingannare da ciò che può essere semplice solo in apparenza. Attraverso i Cieli, Dante giungerà ai confini dell’Universo allora conosciuto; le Sfere dei pianeti che costituiscono l’Universo visibile, vengono descritte con accurata precisione, quale perfetto ed eterno meccanismo.

    Da ultimo, verrà presentata la reale forma di tutto il Creato, costituito dall’insieme di Paradiso Celeste ed Empireo, descrivendo come fosse davvero il Mondo di Dante. Non si pensi che la struttura dell’intero Universo concepito da un genio del calibro dell’Alighieri possa assumere un aspetto che non sia grandioso nella sua interezza e dove le simmetrie tra le forme si susseguono e si concatenano per delineare geometrie sorprendenti e suggestive.

    Dai numerosissimi indizi presenti nelle terzine, disseminati dal Poeta con una sobrietà esasperante, è stato possibile evidenziare quello che con ogni probabilità è il percorso che egli stesso ha seguito attraverso i cerchi infernali, le cornici del Purgatorio e le Sfere celesti, itinerario quest’ultimo che si potrebbe definire a tutti gli effetti una vera e propria rotta.

    Consapevoli che questo concetto, come in realtà molti altri, possa risultare forse un poco stravagante, due anziani professori in pensione espongono in maniera colloquiale a Filippo, un giovane alle soglie dell’età adulta, le conclusioni del loro studio. Nello stile narrativo del dialogo risiede dunque il tentativo di rendere l’analisi delle terzine più semplice e accessibile, in modo da trasmettere concetti che sulle prime potrebbero risultare a dir poco singolari.

    Al giovane viene presentato l’argomento in sé ma egli si renderà ben presto conto che potrà maturare anche e soprattutto una crescita personale, facendosi aiutare nello svolgere anche un lavoro introspettivo e nel riflettere sulle proprie reazioni ed emozioni. Nel tentativo di comprendere le architetture, le forme e le dimensioni di Inferno, Purgatorio e Paradiso, il giovane si troverà ad apprendere qualcosa su se stesso, a crescere e a svilupparsi da un punto di vista caratteriale ed emotivo, attraverso percorsi prima neanche immaginati.

    I

    L’inizio del viaggio

    A dire il vero non aveva ben capito per quale ragione i suoi genitori avessero insistito tanto. E a questo punto non sembrava importargli poi molto. Anche se il suo entusiasmo non era di certo alle stelle, aveva accettato quella singolare richiesta e tanto bastava.

    Avrebbe dovuto trascorrere qualche ora del suo preziosissimo tempo con un perfetto sconosciuto, fargli compagnia per un pomeriggio o due, scambiare con lui qualche parola e niente più. Tutto sommato non era poi la fine del mondo. Forse i genitori conoscevano quell’uomo, poteva essere un’amicizia di vecchia data, e avevano pensato che potesse essergli in qualche modo utile. Chi poteva dirlo? Non li capiva sempre; le scelte che facevano, e che lo riguardavano, erano il più delle volte senza una ragione apparente.

    Certo, non si può dire che si limitasse a subire le direttive: al pari di ogni buon adolescente che si rispetti, cercava di opporsi come meglio poteva a ciò che i suoi gli imponevano. In questo specifico caso, non avendo trovato validi motivi, si era lasciato coinvolgere, forse anche spinto da una certa curiosità, un sentimento che poteva definire latente e che non riusciva a focalizzare appieno. Quasi d’istinto percepiva che qualcosa di buono e di positivo poteva scaturire da quell’incontro al buio.

    Dritto davanti a quel vecchio portone, il ragazzo fissava il campanello rimuginando fra sé questi pensieri. Si sarebbe potuto tirare indietro all’ultimo momento, inventare una qualsiasi scusa, non sarebbe stata di certo né la prima né l’ultima.

    Una vocina continuava a sussurrargli di non farlo, ma di seguire le indicazioni dei suoi.

    Senza ulteriore indugio si decise a suonare. La persona che venne ad aprirgli sulle prime non fece al giovane un’impressione particolare: era un uomo sulla settantina, forse più, stempiato, di corporatura media, solo un po’ curvo. Il peso degli anni, il troppo lavoro, il troppo studio? Un paio di occhiali sottili portati quasi con noncuranza sulla punta del naso incorniciavano un volto rugoso ma gioviale. I lineamenti erano tondeggianti, li si sarebbe visti sul viso di un nonno affabile pronto a consolare un nipotino appena sgridato da genitori troppo zelanti.

    Sotto folte sopracciglia grigie brillavano due occhi dalla pupilla ancora viva che avrebbero potuto scrutare dentro l’animo di chiunque.

    Appena vide il ragazzo sulla soglia, gli rivolse un sorriso cordiale, quasi lo avesse riconosciuto dopo tanto tempo, come se lo stesse aspettando da sempre. L’espressione che si dipinse sul viso dell’anziano fu così eloquente da indurre il giovane a fare la prima mossa, ma il suo atteggiamento fu più che altro impacciato.

    Aveva cercato di apparire adulto ma finì per sembrare ancora più infantile.

    «Salve, io sono Filippo» esordì il giovane.

    L’anziano gli rivolse un caloroso sorriso di benvenuto: «I tuoi genitori mi hanno detto che saresti passato. Ti stavo aspettando.» Porgendogli la mano si presentò a sua volta. «Molto piacere, io sono Giorgio. Prego; accomodati» e gli fece cenno di entrare.

    Più che un’abitazione, e di un anziano per giunta, sembrava una libreria. Ciò che colpì il ragazzo fu l’enorme quantità di libri che vide appena ebbe varcato la soglia. Ce n’erano su tutti gli scaffali dei mobili ai lati del piccolo ingresso, quasi fossero stati messi lì ad accogliere gli appassionati di lettura e a respingere tutti gli altri. Era come se quei volumi costituissero le pareti stesse del corridoio.

    Giorgio, facendo finta di non accorgersi dello stupore di Filippo, fece strada verso un salottino arredato con cura ed eleganza in cui, c’era da aspettarselo, non mancavano libri, sugli scaffali e alle pareti, mentre al centro erano disposte due poltrone. Se non fossero state in quella posizione da sempre, il ragazzo avrebbe giurato che fossero state disposte così in previsione di quell’incontro.

    Di poco discoste l’una dall’altra, erano separate da un tavolinetto da the su cui erano appoggiati alcuni volumi.

    L’anziano si sedette invitando il suo ospite a fare altrettanto, e quando si furono trovati entrambi l’uno di fronte all’altro egli, che era un ottimo conoscitore dell’animo umano in tutte le sue sfaccettature, posò sul ragazzo uno sguardo indagatore ma carico di quella curiosità sincera e mai fastidiosa che può nutrire un ricercatore di fronte a un fenomeno nuovo e a lungo atteso.

    La sua espressione era amichevole e questo non fece sentire Filippo in imbarazzo ma anzi lo indusse ad aprirsi e a rivolgergli la parola.

    «Vedo che le piace leggere…» disse percorrendo con lo sguardo le pareti di quella stanza.

    «Sì, non posso negarlo…» rispose l’anziano signore con un sorriso compiaciuto.

    «E a te piace?» chiese di rimando.

    «Anche a me, sì.»

    «Mi fa davvero piacere. Che genere di libri leggi?» domandò Giorgio, senza distogliere lo sguardo dal viso del suo interlocutore.

    «Leggo un po’ di tutto, a dire il vero. Più che altro romanzi d’avventura, di viaggio, ecco.»

    La risposta ebbe l’effetto di illuminare se possibile ancor di più gli occhi dell’uomo: «Interessante! Ce ne sono alcuni che ti sono piaciuti più di altri?»

    Filippo non seppe dire se quella battuta fosse stata pronunciata per farlo sentire un po’ più a suo agio o se dettata da una viva curiosità per quel particolare genere di romanzi. L’aver subito trovato un punto di intesa e di conversazione così presto non gli dispiacque invogliandolo ad approfondire.

    «I romanzi di Verne, ad esempio, ma anche titoli più recenti come Nelle terre estreme, sa, quel tipo che intraprende un viaggio verso il Grande Nord lasciandosi la civiltà alle spalle… Un grande, davvero!»

    L’espressione sul volto dell’uomo tradiva una certa riluttanza a considerare personaggi di questo genere dei grandi e non cercò di farne mistero. Che il giovane se ne fosse accorto oppure no, sembrava non importargli. Dal canto suo pensava che fossero altre le persone alle quali rivolgere un tale appellativo.

    «Personalmente preferisco viaggi più introspettivi, che cerchino di scandagliare l’animo umano, di scoprire cosa si nasconde nelle sue profondità. Mi affascinano gli autori che pongono al centro dei loro scritti quel mare di emozioni che si agita in ciascuno di noi.»

    Quell’uomo singolare aveva gettato un sasso nello stagno: sul suo viso gli poteva leggere un leggero stupore. Attese che quel pensiero, fatto ad alta voce quasi fra sé e sé, sortisse l’effetto desiderato.

    «Detta così sembra interessante, anche più di quanto abbia immaginato» replicò Filippo «forse, se mi fa qualche esempio, capirò meglio a chi si riferisce.»

    «Conoscerai sicuramente la poesia e in particolare la poesia di Dante Alighieri» esordì secco l’anziano.

    «E chi non la conosce!? Certo!»

    Il ragazzo non si sarebbe mai aspettato di dover affrontare un discorso su un argomento così poco accessibile, ma quell’uomo sembrava più che mai interessato a proseguire. Dopo tutto aveva comunque studiato quella materia in classe e, nonostante non si potesse definire un appassionato, aveva sempre riportato risultati più che soddisfacenti alle interrogazioni o nelle verifiche. Sì, sarebbe stato senza dubbio in grado di sostenere la conversazione.

    Mentre lo sguardo di Giorgio sembrò cercare un punto lontano sul quale fissarsi, nei suoi occhi brillò una luce più intensa, a preludio di ciò che stava per dire, quasi che le parole scaturissero da quella scintilla. Quel pensiero sembrava avesse atteso da chissà quanto tempo l’occasione giusta per poter essere espresso.

    «Comporre versi immortali in grado di oltrepassare indenni i secoli senza perdere nulla della loro forza e del loro vigore iniziali è sublime; se a questo si aggiunge la facoltà di contemplare orizzonti temporali vastissimi, diventa genio incomparabile.»

    Il ragazzo continuò a fissarlo, rendendosi conto che non sarebbe stato un viaggio facile come aveva preventivato. Ma si stupì nell’accorgersi che questo non lo spaventava affatto. Capendo che non aveva terminato il suo pensiero, attese che quell’uomo continuasse.

    Ed egli, dopo un breve intervallo che sembrò concedere più a se stesso che ad altri, riprese. «Nessuno può negare alla poesia di Dante la capacità di tendere a quel senso di eternità che, se non si può raggiungere, di certo si intuisce, e che noi lettori siamo indotti a cercare.»

    «Se dice così, a me sembra che il viaggio non sia introspettivo quanto piuttosto fuori di noi.»

    «La Divina Commedia» disse tornando a fissare lo sguardo sul giovane «induce proprio alla ricerca del Sommo Bene quale fine ultimo verso cui deve tendere l’uomo e che racchiude in sé l’essenza dell’immortalità. Crediamo di doverlo ricercare al di fuori di noi, seguendo il Pellegrino attraverso il suo viaggio nei regni ultramondani, per scoprire di poterlo trovare dentro noi stessi.»

    «Eppure Dante compie il suo viaggio immaginifico in luoghi lontani, lontanissimi direi. Dov’è questa introspezione?» si sentì di obiettare Filippo.

    «A ben guardare» disse il padrone di casa «l’intero itinerario si riduce proprio a questo: a un’introspezione e a un’analisi delle nostre emozioni, del senso che diamo alla nostra esistenza e all’importanza che riteniamo possa avere il tempo che ci viene concesso.»

    Quando si è giovani non capita spesso di essere riportati a una dimensione in cui occorre compiere valutazioni di questo genere. Conteggiare il tempo a disposizione di ciascuno è affare di coloro che hanno già vissuto gran parte del proprio.

    «Se il tempo della narrazione diventa specchio del nostro tempo, se questo filo conduttore, lungo il quale le vicende descritte si snodano, diviene guida e ci conduce verso la contemplazione del Sommo Bene, allora il nostro peregrinare sulle orme del grande Poeta deve prendere le mosse proprio dall’indagare la dimensione temporale dell’Opera.»

    L’analisi della Divina Commedia non era mai stata posta in questi termini al giovane che si sentì invogliato a seguire il suo nuovo amico. Iniziava a nutrire un certo fascino nei suoi confronti, non poteva negarlo. Si augurò che continuasse nei suoi ragionamenti.

    «Fondamentale risulta dunque approfondire questa nozione la quale, se si presta la dovuta attenzione, consente, non solo di avventurarsi con passo sicuro lungo il cammino tracciato dall’Alighieri senza il rischio di smarrirsi, ma permette anche di dare una connotazione precisa e concreta allo svolgersi delle vicende narrate negli endecasillabi danteschi.»

    «Perché dovremmo prenderci la briga di dare tanta importanza a vicende che sappiamo essere per lo più inventate?» chiese il giovane con viva partecipazione.

    «Lo studio del rapporto che Dante ha con il tempo è necessario per arrivare a comprendere appieno il significato dei suoi messaggi. Se si prescinde dalle coordinate temporali che il Poeta assegna alle vicende narrate per dar loro concretezza storica, e di rimando credibilità agli occhi del lettore, si rischia di perdere di vista il senso profondo che tali esempi possono suggerire.»

    «Mi faccia un esempio, allora» lo incalzò.

    L’anziano, vedendo che quel ragazzo si era dimostrato più interessato di quanto egli stesso si sarebbe aspettato, si alzò e andò a prendere da uno scaffale un grosso volume finemente rilegato.

    Era una vecchia edizione della Divina Commedia, ma tenuta con estrema cura. L’appoggiò sulle ginocchia e l’aprì.

    «Ne basti uno su tutti» rispose l’anziano «a riprova di quanto proposto:

    Nel mezzo del cammin di nostra vita

    Inf I, v. 1

    «Come vedi l’inizio del poema è indicazione di tempo, prima che di qualsiasi altra. La voce narrante non fa riferimento al dove, al perché o al come. Questi aspetti si scopriranno in seguito insieme ad altri, ma a qual è il momento in cui si svolge l’azione. Si vuole intendere qui che il viaggio nei regni ultramondani ha luogo in un preciso momento storico.»

    Certo per citare il primo e più famoso verso non ci sarebbe stato bisogno di prendere l’intera opera, andando per giunta a disturbarla dal suo posto tra gli altri libri, ma Giorgio sapeva che il viaggio intrapreso sarebbe stato ancora lungo e avrebbe di certo avuto la necessità di citare un’infinità di altri versi. Era meglio prepararsi a tutto.

    Le reminiscenze scolastiche di Filippo, ancora così fresche, lo indussero a intervenire per dare un contributo alle parole dell’altro, ma soprattutto per lasciar intendere che aveva afferrato alla perfezione il senso del ragionamento.

    «L’aggettivo nostra sembra infatti richiamare il Salmo 89, 10: I giorni dei nostri anni arrivano a settant’anni. Era diffusa la credenza, derivata dalla lettura del passo biblico, che la durata della vita di un uomo dovesse essere di 70 anni» disse con un’espressione fiera sul volto.

    Sorpreso da quella prontezza di spirito, l’anziano rivolse al ragazzo un sorriso di una gentilezza difficile da descrivere, ma che esprimeva l’estremo piacere nel sentirsi rispondere con tale precisione. Attese che Filippo aggiungesse altro, ma quando si accorse che era tutto, continuò.

    «Risulterebbe che l’Alighieri abbia compiuto di conseguenza il suo viaggio all’età di 35 anni. Nella sua Vita di Dante il Petrocchi scrive: Se siamo sicuri dell’anno e del periodo, la costellazione dei Gemelli […], non del giorno, possiamo invece esser certi della data del battesimo: 26 marzo 1266; il giorno del Sabato Santo… secondo un’antica consuetudine di recare al fonte battesimale tutti i bambini nati nell’ultimo anno.»

    «Se così fosse,» si affrettò a concludere il giovane «è verosimile ammettere che il Poeta sia nato appunto l’anno precedente, il 1265.»

    Ormai aveva capito quale fosse il filo conduttore del ragionamento e non aveva più difficoltà a seguire quell’uomo che all’inizio gli era sembrato un po’ singolare, ma che adesso trovava affascinante.

    «L’anno dello smarrimento nella Selva oscura potrebbe quindi essere il 1300,» proseguì Giorgio «lo stesso durante il quale si svolse il Giubileo di papa Bonifacio VIII. Dante non sembra lasciarsi sfuggire l’occasione di collocare l’inizio del suo cammino di purificazione in un periodo così carico di coincidenze astronomiche, biografiche e religiose.»

    Un guizzo negli occhi del ragazzo fece intendere che quest’ultima affermazione non lo aveva convinto fino in fondo.

    «A dire il vero sarebbe opportuno tenere conto del fatto che egli non vedesse di buon occhio la figura di Bonifacio VIII. In tal modo non si comprenderebbe il motivo di legare il suo nome e la Divina Commedia a un evento promosso da un personaggio tanto odiato.»

    Se l’anziano avesse voluto provocare il giovane in modo da vedere fino a che punto si lasciasse ingannare e quanto invece si dimostrasse attento o credesse davvero alla storia del Giubileo di papa Bonifacio VIII non sapremmo dirlo; vero è che anche in questo caso apparve piacevolmente sorpreso dalla risposta di quel ragazzo vispo e intelligente.

    Si persuase dunque che Filippo lo avrebbe seguito con passo sicuro.

    «Vedo che sei un interlocutore attento. Sarà meglio partire dal principio: stabilire il momento preciso in cui abbiano inizio le vicende narrate nel poema dovrà essere nostra cura, tanto quanto lo è stato per il Poeta fornire precise indicazioni a riguardo. Non sono sconosciuti, e non li sveliamo di certo in questo momento,» disse con un’espressione sorniona «i virtuosismi in ambito astronomico, su cui Dante sembra talvolta indugiare, non senza un mal celato piacere, impiegati per indicare in maniera oltremodo attenta e puntuale avvenimenti prima e coordinate geografiche poi.»

    «Coordinate geografiche?» chiese stupito Filippo. «Non credevo che si potesse addirittura introdurre un simile concetto.»

    «Ciò che preme mettere in risalto» si affrettò a precisare l’anziano «è come tali riferimenti temporali siano del tutto funzionali al fine di creare uno spazio scenico in cui sia stata messa in atto la Divina Commedia. Il dove viene così ad assumere il vero significato solo se accompagnato dal quando e questo emergerà in tutta la sua evidenza tanto più quanto meglio verrà approfondita la correlazione ultima tra le due coordinate. Se la specifica nel tempo può, in qualche misura, avere vita propria, altrettanto non si potrà dire del luogo, più che dello spazio.»

    «Ma la questione che lei pone quale nodo cruciale è stata già risolta. Abbiamo detto che l’anno di inizio del viaggio è proprio il 1300. Non sembrano esserci dubbi. Cos’altro manca?»

    «Certo, l’anno sembra essere proprio il 1300 e la maggior parte dei commentatori concorda su questo. Salvo rare eccezioni, pochissimi dubbi vengono nutriti a riguardo,» ribatté Giorgio, accompagnando le sue parole con un sorriso di accondiscendenza verso colui che sembra non accorgersi dell’enorme verità sotto i suoi occhi «meno certa è la determinazione della data.»

    «Oh, la data!» l’espressione del ragazzo era quella di uno studente colto in fallo durante un’interrogazione e che cerca di rimediare lasciando intendere che in realtà sapeva fin dall’inizio ciò di cui si stava parlando ma che gli era solo sfuggito di mente.

    L’uomo, che un tempo era stato insegnante e conosceva bene quelle reazioni, preferì tralasciare e concentrarsi sulla discussione. Dopo tutto non era nel bel mezzo di un esame e non voleva che quella conversazione apparisse tale. Preferiva mantenere il dialogo su un livello più confidenziale senza mettere il ragazzo troppo a disagio. Nel tentativo di voler addolcire ancor di più la conversazione proseguì. «Prima di addentrarci nella questione relativa al giorno che, come avrai modo di renderti conto, è ben più controversa, proviamo a dare ulteriore conferma al fatto che l’anno fosse proprio il 1300.»

    Il viso di Filippo sembrò distendersi a quell’armistizio e, memore di quanto appreso a scuola, riprese coraggio e vigore nel suo intervento.

    «Se non ricordo male, ci viene offerta nell’incontro con Cavalcante de’ Cavalcanti nel cerchio degli eresiarchi. Nel 1300 Dante ricopriva la carica di priore e si trovò, suo malgrado, a dover firmare la condanna all’esilio dell’amico Guido Cavalcanti. Quest’ultimo, facente parte della nobiltà antica della città, pur non potendo accedere alle cariche pubbliche, prese comunque parte alle vicende politiche di Firenze, spesso anche con modi che oggi definiremmo sopra le righe. A seguito dello scoppio di disordini in città, Guido venne definitivamente esiliato a Sarzana, esilio che venne poco tempo dopo revocato per via del suo stato di salute già alquanto compromesso. Egli ebbe modo quindi di fare ritorno in Firenze dove però morì alla fine dell’estate del 1300.»

    L’intero discorso venne fatto quasi tutto d’un fiato.

    «Cosa se ne conclude?» domandò l’insegnante come per invogliarlo a giungere alla conclusione attesa, seppure già conoscesse la risposta.

    «Se nell’episodio dell’incontro con Cavalcante de’ Cavalcanti, Dante assicura all’anima dannata che suo figlio Guido è ancora vivo, questo fornisce un’importante conferma che l’anno del viaggio sia di fatto il 1300, prima dell’autunno.»

    Filippo era soddisfatto di sé per quell’intervento così puntuale e preciso che gli aveva permesso di chiudere il ragionamento e, forse, fare una bella figura con il professore.

    Una strana luce, che vide balenare nello sguardo del professore, suggerì però al ragazzo che ci potesse essere dell’altro. E infatti, dopo che ebbe fissato sul giovane uno sguardo carico di attenzione, Giorgio sfogliò la Divina Commedia aprendo su un punto e, tenendo il segno con un dito, consegnò il volume al ragazzo perché leggesse i versi che gli indicava.

    Senza indugio il giovane lesse quanto gli era stato suggerito:

    « E io a lui: "Forese, da quel dì

    nel qual mutasti mondo a miglior vita,

    cinqu’anni non son vòlti infino a qui."»

    Purg XXIII, vv. 76 - 78

    Sulle prime Filippo non capì fino in fondo la ragione di quel nuovo appunto. Si faceva, sì, riferimento al tempo intercorso tra la morte di un altro suo amico, Forese Donati, e il suo incontro con il Poeta, ma non ne coglieva il nesso con quello che stavano argomentando.

    Restituì il volume al professore e attese che iniziasse a spiegare il senso di quei versi.

    Giorgio, essendosi accorto che il ragazzo non intuiva da sé ciò che aveva provato a suggerirgli, continuò per conto proprio:

    «Quanto sto per illustrarti non è strettamente connesso con il precedente indizio ma ne costituisce uno nuovo: entrambi puntano nella stessa direzione, ma sono indipendenti fra loro.»

    Giorgio sentì la necessità di quella precisazione per evitare che il ragazzo si confondesse inutilmente:

    «Secondo l’Obituario di Santa Reparata la morte dell’amico Forese Donati è avvenuta il 28 Luglio del 1296; se, supponiamo per un momento, l’incontro con Dante sia avvenuto il 9 Aprile del 1300 sono trascorsi 3 anni, 8 mesi e 12 giorni. Ne convieni?»

    «Senza dubbio, ma perché allora Dante parla di 5 anni, anziché 4?» domandò Filippo con un certo scetticismo. Possibile che il grande Poeta si fosse contraddetto o che davvero gli indizi non conducessero tutti nella stessa direzione?! Come invece il professore assicurava.

    «Secondo questo calcolo, gli anni trascorsi sono meno di 4» continuò, sempre più perplesso.

    «Devi sapere» iniziò a spiegare il professore «che non sempre Dante considera l’anno quale intervallo di 365 giorni, ma lo immagina suddiviso in archi, distinti gli uni dagli altri da ritorni del Sole in Capricorno.»

    «Come se fossero le stagioni?» chiese il ragazzo.

    «Proprio così! Se questo concetto si applica alla vita umana, si parla di età, due in salita e due in discesa. Se al giorno, siamo in presenza di ore canoniche: Terza, Sesta, Nona e Vespro. Come hai giustamente osservato tu, in riferimento all’anno, abbiamo le stagioni, che possono essere anch’esse percorse in discesa, e in questo caso si parla di vòlgere, o in salita e il termine impiegato è montare [1].»

    «Se questo è il meccanismo, in che modo è stato ricavato il computo degli anni a cui Dante allude, rivolgendosi al suo amico Forese?» chiese Filippo con aria dubbiosa, ma questa volta avendo a disposizione più elementi che potevano permettergli di intuire una soluzione accettabile.

    «L’anno 1296 è solo vòlto,» riprese Giorgio «cioè percorso in discesa, perché si va dal 28 Luglio al 31 Dicembre. Gli anni 1297, 1298 e 1299 sono sia montati che vòlti, perché completi. Il 1300 è solo montato, dato che si va dal 1 Gennaio al 9 Aprile, dunque solo in salita.»

    «Di conseguenza» continuò Filippo che aveva compreso e che accompagnò le sue parole con un’espressione di viva soddisfazione nella voce «gli anni vòlti sono solo quattro!»

    «E ciò conferma ancora una volta che l’anno del viaggio sia proprio il 1300» concluse il professore «essendo questo il solo anno ancora non vòlto

    Giorgio, avendo ottenuto ancora una volta ciò che voleva, ritenne di poter continuare la disamina.

    «Al fine di fissare il giorno di inizio del viaggio la maggior parte dei commentatori si affida alla terzina al verso 37 del primo canto dell’Inferno, in cui si fa riferimento alla congiunzione del Sole in Ariete. Il paragone è fatto con il momento in cui Dio creò il Mondo.»

    «Sì, mi ricordo» lo interruppe il ragazzo. «Se il Sole è in congiunzione con l’Ariete, il che avviene in prossimità dell’Equinozio di primavera, così come era avvenuto all’atto della Creazione del Mondo, un 25 Marzo ideale, l’inizio del viaggio nei regni ultramondani deve aver avuto luogo nello stesso giorno.»

    Le sue conoscenze relative a questo passaggio sembravano limitarsi a questo ma a Giorgio tanto bastava e dunque si affrettò a concludere.

    «Considerando quindi che nel 1300 quel giorno cade di venerdì, è gioco forza ammettere che rappresenti la data esatta. Le parole di Malacoda [2], riferimento quanto mai puntuale per la cronologia del viaggio, sembrano rappresentare il suggello all’intero ragionamento.»

    Filippo non avrebbe potuto citare alla lettera le parole di Malacoda ma di certo si ricordava che alludessero a quanto tempo era trascorso dalla Morte del Cristo fino al momento della scena descritta. Tacque lasciando al professore il gusto di continuare, e a se stesso il piacere di ascoltare.

    «Secondo alcune dottrine che circolavano nel XIII secolo, la Morte del Cristo era avvenuta nell’anno 33 dell’Era Volgare in corrispondenza dell’Equinozio di primavera, dal momento che la Nascita era avvenuta al Solstizio d’inverno. Questo porta ad ammettere che la data del 25 Marzo sia giusta.»

    «Credo che, ponendo così le cose, la questione sia presto risolta. Sembra che a questo punto non sia

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