Michele A
Di Mauro Saveri
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Anteprima del libro
Michele A - Mauro Saveri
Trieste.
Invocazioni
Io sono il tempo, il grande distruttore dei mondi, e sono venuto ad annientare tutti gli uomini.
(Bhagavad-Gita XI.32)
Imperatore, la tua spada non ti aiuterà / lo scettro e la corona qui sono inutili / ti ho preso per mano / perché devi venire alla mia danza.
(Danza Macabra, Heidelberger Blockbuch)
San Michele, difendici nel combattimento, affinché non periamo nel giorno del tremendo giudizio.
(Tradizionale invocazione a San Michele Arcangelo)
Corsivo
Nessun dolore, nessuna pena o pentimento... sono convinto di aver fatto cose sensate, cose che rifarei di nuovo senza esitare. Non mi importa se conoscevo poco le vittime o che non le avessi nemmeno mai incontrate: era necessario... ed io, che potevo, ho dato loro ciò che meritavano: la morte.
(caso Michele A. - note di terapia)
1. Ho deciso di raccontare...
Mi chiamo Angela L., vivo a Roma, sono psichiatra e psicoterapeuta, e credo di avere qualcosa di importante da raccontare al mondo riguardo agli avvenimenti di qualche anno fa che ci hanno visto tutti testimoni e che vengono oggi comunemente indicati come il dopo.
Credo sia giusto specificare, fin da queste prime righe, che da molti anni faccio parte di un gruppo di ricerca nel campo dei disturbi psichiatrici e che ho contribuito alla pubblicazione di un gran numero di articoli scientifici sulla forma di terapia che pratico con i miei pazienti e sugli importanti risultati ottenuti attraverso di essa nella cura di questi disturbi.
Senza ricorrere ad un linguaggio tecnico, dirò, in questa sede, che le mie sessioni si concentrano quasi unicamente sulle fantasie del paziente, che vengono discusse nei dettagli durante la terapia come se fossero assolutamente reali. Nel corso della seduta non viene esercitata alcuna pressione da parte del terapeuta per scindere gli elementi reali da quelli immaginari. Solitamente è la successiva discussione dei dettagli del racconto stesso ad indurre il paziente a ricollocare la propria fantasia in una chiave più integrata alla realtà che l'ha generata.
Ecco, lavorando con questo metodo mi sono trovata ad ascoltare le fantasie di un paziente; ed è proprio ascoltando questo paziente e discutendo poi con lui delle sue particolari fantasie, che sono venuta a conoscenza di fatti che potrebbero aiutare a dare una nuova interpretazione alla nostra storia recente. Capisco che possano sembrare parole eccessive, che possono lasciare perplesso chi le legge. Eppure non temo di essere smentita sull'importanza di ciò che dico, il punto semmai è un altro. È che per potere accettare di pensarlo, di dirlo, di scriverlo, e da parte vostra di leggerlo, ci vuole un’apertura, una disponibilità mentale che forse nessuno, in questo momento, ha voglia di concedersi. Persino dopo essere stati testimoni diretti di quanto è accaduto.
Da studiosa, da medico, so bene quanto sia soddisfacente affidare le proprie scoperte a un testo specialistico pubblicato in una rivista importante. Ma queste cose, le cose che ora voglio dire, non sono adatte a un destino del genere. Credo sia necessario liberarmene così, in maniera semplice, affidandole ad un racconto basato su note, incontri e persone reali, depurato, però, di quei riferimenti che renderebbero possibile ricostruirne la collocazione, le date, le identità. Dopo tutto quello che è successo, non riesco a sottrarmi alla necessità di parlarne, ma credo che, in questo nostro complesso momento storico, questa sia la forma migliore per condividere fatti, concetti e cognizioni: consegnandoli integri a tutti, e insieme proteggendoli dalla centrifuga di pregiudizi, schieramenti e dibattiti che necessariamente accompagnerebbero una cronaca dettagliata di eventi che per la maggior parte sono stati direttamente vissuti da ognuno di noi.
E' così che ho deciso di raccontare al mondo la storia di Michele A.
*
2. Michele A. e le sue fantasie
Una cosa che mi chiedo spesso è cosa accadrebbe se, per un caso innaturale, una o più persone potessero realizzare senza sforzo le proprie fantasie. Una persona con un potere del genere, sarebbe comunque condizionata da una logica, o magari da un’etica? E se addirittura fosse possibile realizzare una fantasia mantenendo nell’anonimato il fantasista? Questo enorme potere finirebbe col distruggere l’umanità, oppure potrebbe servirle ad evolversi, trovandovi infine un vantaggio?
Già da piccolo mi capitava di fantasticare, e immaginavo di instaurare con gli adulti una specie di muto dialogo, o piuttosto di avere accesso ad una sorta di area mentale condivisa con loro. Poi mi era parso necessario definire delle chiare regole su come dovesse essere gestita questa interazione, e nel tempo le avevo elaborate: niente tabù, si poteva parlare di tutto, non era necessario essere educati; ma in compenso era categoricamente vietato trasferire nella vita reale qualsiasi tipo di effetto o conseguenza di questi colloqui mentali. In pratica nella mia immaginazione avevo aperto un canale di comunicazione riservato tra me e il mondo degli adulti, attraverso cui potevano essere compensati torti o incomprensioni, a patto che non vi fosse alcuna conseguenza nella vita reale, e che i due mondi fossero tenuti rigorosamente paralleli.
E non è stata soltanto una fantasticheria di bambino. Negli anni del liceo il canale immaginario era ancora aperto. Nella noia di certe lezioni, mi piaceva spiegare mentalmente al professore di turno quanto i suoi argomenti mi sembrassero insulsi e vuoti, oppure, se li trovavo interessanti, esporgli le mie tesi in materia, confutando le sue.
Così, crescendo, mi lasciavo andare oltre, fantasia su fantasia, immaginazione su immaginazione, e mi trovavo a chiedermi: chissà quanti siamo a comunicare così, forse solo pochi? O è una cosa che fanno tutti? Forse in questo momento altri compagni di classe stanno interagendo così tra loro o con il professore? Ma allora perché nessuno sta scambiando pensieri con me?
Spesso mi sembrava di temere che il professore potesse interrompere d’improvviso la lezione per cacciarmi fuori dalla classe, tra gli sguardi increduli dei compagni, ovviamente ignari dei pensieri che io e lui ci eravamo scambiati. E da questo derivava una domanda ricorrente, centrale fra tante fantasie indolenti: cosa sarebbe successo se qualcuno avesse violato le regole facendo irrompere nella realtà gli effetti di quelle comunicazioni mentali?
All’inizio cercai di credere che ad assicurare il puntuale rispetto delle regole fosse, quasi per sua stessa natura, la stessa energia che conferiva a qualcuno quelle capacità telepatiche. Ma era una tesi alquanto debole, perciò quel tarlo sempre di più rodeva il mio pensiero: cosa sarebbe successo se qualcuno avesse deciso di infrangere le regole del gioco? Il modo più semplice di verificarlo, cioè provare io stesso a violarle, per moltissimo tempo non mi passò neanche per la testa. E sono sicuro che non era per timore delle conseguenze, ma perché sentivo, semplicemente, che non avrei potuto farlo.
Quando poi, all’epoca dell’università, la fantasia di comunicare col pensiero divenne meno ricorrente, se ne affacciarono altre. Poter vedere la realtà dall’alto, ma solo nel caso che io fossi presente; poter accendere una scintilla di attrazione sessuale tra due persone, purché non fossi io una delle due; poter leggere nel pensiero di chi mi stesse vicino, ma a patto di non trarne conseguenze reali, come nella vecchia regola della mia infanzia… insomma, molti superpoteri, moltissimi, ma sempre limitati da regole mirate a circoscriverne pesantemente l’impatto, deviandolo dal binario della mia vita a quello della mia mente.
Prigioniero di tutte queste regole, mi sentivo frustrato. In fin dei conti erano mie fantasie, cosa mi impediva di spaziare oltre? Perché mi ero posto io stesso dei fantastici limiti, nei quali sentirmi poi così costretto? Arrivai anche ad impormi di trasgredire, ma la mia immaginazione in questi casi mi portava sempre a scontrarmi con qualcosa che in definitiva me lo impediva, o, peggio, ne neutralizzava gli effetti.
Avevo volato, si, sorvolando un luogo diverso da quello in cui ero, e avevo spiato cosa vi accadeva, ma poi mi ritrovavo precipitato al suolo, portato in ospedale, e trattenuto abbastanza da togliere ogni senso e utilità a quel mio ardito tentativo. Avevo indotto la collega più carina a fare caso a me ed apprezzarmi, ma solo per scoprire che non l’avrei mai più vista, perché il giorno dopo si sarebbe trasferita per sempre con la sua famiglia in un continente lontano. E così via, nella mia mente non sembrava esserci spazio per forzare i limiti, e non riuscivo a immaginare una trasgressione senza immaginarne l’inutilità. Nella mia testa qualcosa di immutabile garantiva che io non riuscissi ad avere che fantasie innocue!
*
3. I miei appunti
Conobbi Michele A. circa quattro anni fa, quando mi contattò per domandarmi se potevamo discutere un possibile percorso terapeutico per via di certi episodi frequenti di ansia di cui soffriva da qualche tempo. Alla mia domanda su chi lo avesse indirizzato da me, o, più in generale, su come avesse avuto il mio nome, mi rispose, all'inizio un po' evasivamente, che aveva fatto delle ricerche su internet. Successivamente, nel corso della terapia, mi resi conto invece che il paziente aveva compiuto uno studio approfondito delle più importanti pubblicazioni scientifiche specializzate e che dimostrava una conoscenza superiore a quella di molti miei colleghi riguardo ai miei studi e, più in generale, alle nuove tendenze della psicoterapia contemporanea.
Già dalla prima seduta, osservai che il paziente aveva fantasie davvero molto vivide.
Colpiva, come più volte registravo nei miei appunti, la sua estrema disinvoltura nel discuterne i dettagli, in contrasto con la confusione temporale delle sue ricostruzioni. I tempi verbali, che sceglieva spesso in modo inadeguato