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La Prova della Stregoneria: La Corsa Fatata
La Prova della Stregoneria: La Corsa Fatata
La Prova della Stregoneria: La Corsa Fatata
E-book252 pagine3 ore

La Prova della Stregoneria: La Corsa Fatata

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Info su questo ebook

Benvenuti alla Corsa Fatata: un’epica avventura attraverso un regno tanto affascinante quanto letale…

Fama. Fortuna. La realizzazione del tuo desiderio più stravagante. Questi sono i premi promessi alla squadra che vincerà la Corsa Fatata, il primo e unico reality show televisivo ad avventurarsi nel pericoloso regno delle fate. Ma non è per questo che Jacqueline Cunningham vuole partecipare. Lei è in cerca di segni della presenza di sua sorella, svanita senza traccia nel mondo delle fate due anni prima. Jacq pensava che entrare nella gara sarebbe stata la parte difficile. Ma non aveva fatto i conti con gli altri concorrenti, che non si fermerebbero davanti a nulla pur di arrivare primi. O con quell’idiota fastidiosamente affascinante del suo compagno, che sembra avere dei segreti propri.
Gettata in un mondo in cui ogni cosa vuole ucciderla, quella che inizia come una caccia alla verità si trasforma in una disperata gara per la sopravvivenza. Ora che Jacq è in corsa, le servirà tutto il suo ingegno per arrivare viva al traguardo.

La Prova della Stregoneria è il primo libro della serie La Corsa Fatata, una gara avvincente ed emozionante in un reame diverso da qualunque cosa abbiate mai visto prima. Scorrete in su e cliccate una volta per cominciare l’avventura!

LinguaItaliano
Data di uscita4 mar 2021
ISBN9781071590867
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    Anteprima del libro

    La Prova della Stregoneria - J.A. Armitage and Claire Luana

    La prova della stregoneria

    Libro uno di La Corsa Fatata

    di J.A. Armitage e Claire Luana

    Capitolo Uno

    Notai due cose in rapida successione. Uno: le sue orecchie si assottigliavano fino a una delicata punta. E due: la sua camicia bianca era stata intrisa in uno tsunami di caffè. La prima significava che era una fata. La seconda che aveva avuto la sfortuna di scontrarsi con me.

    Le mani mi tremavano davanti, libere dal vassoio e dai quattro caffè lunghi americani che avevo appena comprato con l’intenzione di riportarli al quartier generale dello studio. Il cuore mi batteva come un martello pneumatico nelle orecchie, l’adrenalina in circolo.

    La vivace donna dietro il bancone ci fissava, aumentando il mio imbarazzo.

    La guardai socchiudendo gli occhi, sperando che avrebbe capito che al momento non mi serviva davvero un pubblico. Eravamo a Hollywood, per amor del cielo: grandi star dello schermo frequentavano quel bar un giorno sì e uno no. Ovviamente, se fosse stato solo un grande attore quello a cui avevo buttato addosso il caffè, il mio cuore non si sarebbe messo a battere come una banda in una parata, e niente di tutto ciò sarebbe stato un problema. No, l’uomo davanti a me non era un attore. Era una fata. Lì. A Los Angeles.

    Feci un profondo respiro e cercai di tenermi dentro la colazione. Sul pavimento, i quattro bicchieri ora vuoti col mio nome scritto male su tutti, Jack invece di Jacq, mi canzonavano per come stavano nuotando in un mare di liquido nero e marrone chiaro.

    Il maschio di fata stava sibilando in dentro e in fuori, allontanandosi con le mani la camicia bagnata dal corpo, rivoletti di caffè fumante che gli scorrevano dai jeans scuri sopra le scarpe a coda di rondine. «Un oracolo per cugino e non l’ho visto arrivare!» Abbaiò una risata, scrollandosi di dosso la sorpresa. «Se non ero sveglio prima, lo sono adesso. Solo che mi aspettavo di assumere la mia dose di caffeina bevendola».

    «Mi dispiace», balbettai, i pensieri che galoppavano quasi troppo in fretta per star loro dietro. In un batter di ciglia, lo osservai tutto. I riccioli color miele dorato gli ricadevano sopra la fronte con una scarmigliata eleganza che perfino un principe Disney avrebbe invidiato. Pelle abbronzata, fulva e luccicante. Zigomi appuntiti, mascella squadrata e denti dritti come i paletti di una staccionata bianca.

    Avevo visto foto di fate ogni giorno negli ultimi dieci anni. Da quando l’esistenza delle creature fatate e del regno delle fate era stata rivelata a tutta l’umanità, avevano fatto notizia. Notizie su internet, storie online e video virali. Erano ovunque. E in nessun posto. Perché le fate non potevano stare nel mondo dei mortali, non senza un visto della CICF, la Coalizione Internazionale per la Cooperazione con le Fate. E i mortali non potevano andare a Faerwild.

    Sapevo della loro bellezza eterea così come si sa che un incendio è caldo. Ma quella conoscenza non si può paragonare allo stare accanto all’inferno e sentirne il calore.

    Essere faccia a faccia con uno di loro nella vita reale era terrificante. Entusiasmante. No, decisamente terrificante, mi corressi.

    «È stato davvero uno sfortunato incidente», disse la fata. Sembrava giovane, forse solo un paio d’anni più di me. Venti? Ventuno? Ma sapevo che l’aspetto poteva ingannare quando si trattava di coloro che appartenevano alla specie fatata. Avrebbe potuto avere un secolo. Avrebbe potuto avere un migliaio di anni. Ma per quanti ne avesse, era a suo agio con sé stesso in un modo che a pochi mortali riusciva. Perfino zuppo di caffè, era rilassato, amichevole. Non sembrava pericoloso. Ed era questa cosa quella che mi spaventava più di tutto.

    «È stata», riuscii a dire. «È stata colpa mia. Non stavo guardando dove andavo». Tecnicamente non era vero. Era stato come un incidente da film al rallentatore. Dopo che l’avevo visto, che mi ero resa conto di cosa fosse... ero stata incapace di prevenire il disastro. Riuscivo a vederlo lì, ma la mia mente si era rifiutata di crederci. Perciò avevo continuato a camminare.

    «Sono più preoccupato dall’estensione della tua dipendenza dal caffè. Un umano può davvero bere così tanta caffeina e sopravvivere?»

    Aggrottai la fronte, restando in silenzio per un attimo prima di rendermi conto che mi stava prendendo in giro. Le creature omicide sapevano scherzare?

    Anni di risentimento e dolore ribollirono sotto la superficie, così vicini da farmi prudere la pelle. Eppure sembrava così normale. Se non fosse stato per quelle sue orecchie e quella strana aura di sicurezza che così pochi riuscivano ad avere... non avrei neanche saputo che era una fata, tanto per cominciare.

    «Non erano per me. Lavoro allo studio», riuscii a dire accennando con la testa alla direzione del quartier generale, dove al momento il mio irascibile capo si stava senza dubbio chiedendo perché ci stessi mettendo così tanto a consegnargli la prossima dose di caffeina. Non era il genere di persona a cui piaceva aspettare, e io ero l’ultima scimmietta in fondo alla scala di Hollywood, ero estremamente sacrificabile. Cosa che mi veniva ricordata su base quotidiana.

    «Forte. Cosa fai?» mi chiese lui, infilandosi le mani in tasca; sembrava si fosse dimenticato del liquido aromatico che ancora gli gocciolava di dosso.

    «Sono una gopher».

    Inclinò la testa. «Non assomigli a nessun gopher che io abbia mai visto. Sarei davvero colpito di vedere un’umana trasformarsi in una piccola creatura selvatica. Neppure la maggior parte delle fate che conosco ci riuscirebbero».

    Mi passai le dita nella coda bionda, un gesto nervoso retaggio dell’infanzia. «È un’altra battuta?»

    La fata ridacchiò. «Se devi chiedermelo, significa che non era molto buona».

    «Non l’animale. Sta per fattorino. Del tipo vai a prendere cose. Faccio lavoretti vari. Caffè, commissioni, qualunque punizione il mio capo riesca a immaginarsi per me. È temporaneo». Tutti nel campo sapevano cosa fosse un gopher. Il fatto che avesse dovuto chiedermelo evidenziava ancora di più che fosse un estraneo.

    «Voglio fare la stunt-woman», dissi di getto. Non appena le parole furono uscite dalla mia bocca, avrei voluto ingoiarle daccapo. Ma perché glielo stavo dicendo? Non mi vergognavo certo del mio lavoro. Un mucchio di star avevano iniziato la loro carriera a Hollywood più o meno allo stesso modo.

    «Sarai una stunt-woman?» Allargò gli occhi verdi, che si arricciarono agli angoli. Sembrava davvero impressionato. Immagino non ci fosse molta richiesta di stunt-men a Faerwild. «Che genere di acrobazie fai?»

    Soppesai la domanda, chiedendomi se fosse davvero interessato o se nascondesse qualche sinistra intenzione. Era molto difficile a dirsi. Decisi che non aveva davvero importanza dirglielo o meno. Non era certo un segreto di stato.

    «Qualunque cosa chiedano. Posso guidare. Cavalcare. Combattere. Faccio tutto quanto», riuscii a dire, anche se ancora non potevo credere che la sua curiosità fosse genuina. Per una fata, ero importante quanto un animaletto selvatico. Quanto un insetto. Era così che le fate vedevano noi mortali. Come qualcosa con cui giocare. E da schiacciare quando si erano stancate di noi.

    «Sembra che tu sia attratta dal pericolo». Un sorriso malizioso gli passò sul bel viso, e un campanello d’allarme mi suonò nella mente. Era ciò che mi ero aspettata. Era a quello che dovevo stare attenta. Era quello che era successo a Cass.

    «Dovrei andare», dissi. «Devo fare un altro ordine e tornare a lavorare. Mi dispiace davvero per i suoi vestiti». Non ero così dispiaciuta. I suoi abiti sembravano costosi, fatti su misura per adattarsi al suo fisico muscoloso. Probabilmente aveva uno schiavo leprecauno o qualcosa di simile che avrebbe potuto fargliene altri.

    «Non preoccuparti», rispose. «In effetti posso rimediare subito».

    Le sue mani furono fuori dalle tasche prima che potessi protestare, a muoversi in maniera innaturale. Mi si bloccò il cuore in petto quando le sue labbra si mossero, la voce vellutata che mormorava strane sillabe senza senso. Stava usando la magia.

    Ogni fibra in me mi diceva di correre, di scappare via da lui e non guardarmi indietro. Ma ero inchiodata sul posto, affascinata e inorridita a fasi alterne. Non vedevo magia da due anni... da quando Cassandra e la sua congrega giocavano nell’attico con candele e rune. Da quando lei aveva iniziato a uscire di nascosto per vedersi con un ragazzo, che si dà il caso avesse occhi luminosi e orecchie appuntite. Da quando era scomparsa nel campo dietro il nostro ranch con lui e non era mai più tornata.

    Al pensiero della mia sorella maggiore, il cuore mi si strinse in petto come in una morsa. Perfino mentre i bicchieri del caffè e il vassoio stavano fluttuando nell’aria, il liquido scuro che si raccoglieva e volava di nuovo nei contenitori come CGI nella vita reale, pensavo a lei. La tenni nella mia mente, per ricordare. Perché non importava quanto apparissero belle, o quanto sembrassero incantevoli, io le odiavo. Tutte loro.

    La ragazza dietro il bancone ora stava fissando apertamente, cosa che in qualche modo mi irritò ancora di più. Era un dettaglio su cui concentrarsi. Un sicuro dettaglio umano.

    La fata bionda sembrava ridicolmente fiera di sé quando prese il vassoio con i bicchieri pieni e me lo restituì. «Non c’è di che», disse con una strizzata d’occhio.

    Gli passai oltre, perfino la parola grazie incastrata in gola.

    Mi affrettai a tornare attraverso il parcheggio, passando accanto ai golf cart parcheggiati e a un capannello di comparse vestite da vichinghi. Fu solo quando ebbi oltrepassato le porte a vetri del quartier generale che mi resi conto di non aver neanche pensato a chiedere alla fata che cosa ci facesse lì.

    Capitolo Due

    La mia mente vorticava ancora quando superai la sicurezza e mi diressi alla sala conferenze. Il mio capo, John Ashton, non era un pezzo grosso di Hollywood, ma era sulla buona strada. Governava il suo piccolo angolo dello studio con il pugno di ferro, e tutti sapevano che si stava solo prendendo tempo prima del colpo grosso... prima di trovare quello giusto. Quello giusto era un mitico programma televisivo che sarebbe diventato all’istante un successo in tutto il mondo, lanciando John verso la fama e la ricchezza nel farlo.

    Non che tutti i suoi programmi fossero stati dei fiaschi... alcuni, tipo Australia (un reality show ambientato in Australia) e Pirati Psichici (su, beh, dei pirati psichici), proseguivano da diverse stagioni. Ma nessuno di essi aveva catapultato John nella serie A in cui pensava di meritare un posto.

    Mi aspettavo la solita combinazione di condiscendenza e imprecazioni quando entrai nella sala conferenze, dato che a portare il caffè avevo impiegato più tempo del dovuto, grazie al mio scontro con la fata. Avevo una bugia pronta sulle labbra... ma John mi spiazzò del tutto ringraziandomi e chiedendomi di poggiare il caffè su un tavolo nell’angolo. Il suo bel viso era teso per un’eccitazione a stento velata.

    Feci come mi aveva chiesto, assicurandomi di svuotarmi le tasche dalle bustine rosa del dolcificante che gli piaceva, più qualche bustina di zucchero casomai i suoi ospiti si fossero rivelati le uniche persone a Hollywood a non essere a dieta. C’erano altre tre persone nella stanza a vetri, due begli uomini in abiti di Armani e una donna dall’aria raffinata con un paio di Louboutin dai tacchi di altezza ridicola. Non era difficile immaginare che quei tre fossero i pezzi grossi di cui John parlava sempre. Ero proprio sul punto di andarmene quando sentii la parola fatati.

    Drizzai le orecchie. Non poteva essere una coincidenza. Avevo visto una fata a distanza ravvicinata per la prima volta nella mia vita e di colpo il mio capo e i suoi amici stavano parlando di loro?

    «Quanti ne manderemo?» chiese uno degli uomini, la voce roca.

    John rispose: «Non ho ancora pensato ai dettagli. Il re non è stato molto specifico, ma penso che lo faremo a squadre. Un ragazzo e una ragazza magari. Un umano, una fata».

    Deglutii il groppo che mi si era formato in gola, riuscivo a stento a respirare. Se stava parlando di un re, poteva significare una cosa soltanto. Stavano parlando del Re delle Fate. Volevano mandare delle persone oltre la Siepe. Nel Regno delle Fate. Questo evocava una sola immagine nella mia mente, ed era la stessa a cui stavo pensando fin dal mio scontro alla caffetteria. Mia sorella, Cass. Era come se lei e il Regno delle Fate nella sua interezza fossero collegati nella mia mente. Era impossibile pensare a una senza che l’altro si intromettesse.

    Forse... era al limite dell’ossessione. Un’ossessione che a lungo avevo tenuto solo per me, che aveva quasi preso il controllo della mia vita prima che decidessi di andare avanti e allontanarmi da essa. Tanto letteralmente quanto figurativamente. Un anno prima, nell’istante in cui avevo preso il diploma, avevo lasciato il mio tranquillo paese natale e i miei genitori per cercare fortuna a Hollywood. Non conoscevo nessuno e non avevo nulla a mio nome a parte la mia vecchia Toyota Corolla, il desiderio di allontanarmi dal mio passato e la sete di farcela come stunt-woman. Purtroppo, il passato mi aveva raggiunta proprio quella mattina, e io gli avevo gettato il caffè addosso. Non che pensassi che la bella fata fosse quella che aveva preso Cass, ma ci andava abbastanza vicina.

    Avevo dovuto almeno provare a rinunciare alla mia ossessione di ritrovare Cass. Perché le mie possibilità di riuscita erano inesistenti: se non ci riusciva il CICF, che speranza avevo io? Agli umani non era consentito del tutto entrare nel Regno delle Fate. Non fino a tempi molto recenti, almeno, e avevo sentito dire che, perfino avendo una valida ragione, servivano mesi per completare gli incartamenti e la burocrazia necessari per ottenere un decreto del re.

    Ci avevo provato; ovvio che l’avessi fatto. Non appena avevano aperto i portali agli umani qualche mese prima, mi ero presentata a un cerchio fatato implorando che mi lasciassero entrare. Gli sgherri della CICF a guardia del Portale mi avevano riso in faccia. Come gopher di uno studio televisivo, una misera umana, non avevo speranze. Non ero riuscita a dar loro una ragione credibile. Dire che pensavo che una fata avesse rapito mia sorella difficilmente mi avrebbe fatta passare.

    «Mi piace l’idea, John», disse ancora l’uomo dalla voce roca. «Questa cosa potrebbe essere enorme. Ma ho bisogno che tu chiarisca le specifiche».

    «Potrebbe essere? Sarebbe il programma TV dell’anno... del secolo! Quasi nessun umano si è mai avventurato oltre la Siepe prima, e di sicuro a nessuna troupe televisiva è mai stato permesso di farlo. Riuscite a immaginare quante persone guarderebbero la trasmissione? Anche se non amassero l’idea di una gara, si sintonizzerebbero già solo per vedere come sono le cose da quella parte».

    «Io voglio saperlo», cinguettò la donna.

    «D’accordo», assentì l’uomo dalla voce roca. «Daremo l’OK per il programma. Mi piace la premessa. Mi piace l’aspetto del pericolo. Ma voglio che ti ci metta su subito. Come hai detto, funzionerà perché nessun altro c’è stato prima. Se quegli idioti ladri di idee della NBC ci arrivano prima di noi, tutta questa storia potrebbe essere inutile».

    Rimasi in silenzio, sperando che nessuno di loro si fosse reso conto di non aver ancora avuto il suo caffè. Avevo paura di voltarmi. Al momento ero praticamente invisibile per loro, ma se avessi attratto l’attenzione su di me, avrei potuto essere buttata fuori prima di aver sentito il resto.

    «Ci sono», rispose John. Riuscivo a sentire l’eccitazione nella sua voce. Era un bel cambiamento rispetto alla collera frettolosa con cui parlava di solito.

    «Non deludermi», replicò l’uomo dalla voce roca. Sentii il cigolio della sua sedia mentre si alzava, seguito da quelli delle altre. «Voglio tutti i dettagli definiti e sulla mia scrivania prima del mio succo verde del mattino di lunedì».

    «Lunedì?» rispose John, la voce che saliva di un tono. «È tra tre giorni!»

    «C’è qualche problema? Se sì, posso farlo fare a qualcun altro».

    John si affrettò a rispondere. «No, nessun problema. Il principe ereditario è in città per discuterne. Sono certo che potremo definire tutti i dettagli».

    «Bene», abbaiò l’uomo dalla voce roca.

    Mi voltai e vidi i tre dirigenti andarsene. John incrociò il mio sguardo e si appoggiò allo schienale della sedia esalando un soffio di fiato.

    «Portami il caffè, ti spiace? Oh, e prendimi anche una di quelle ciambelle».

    Inarcai un sopracciglio. Nonostante la massa grassa minima e il fisico quasi perfetto, John era sempre sotto un regime dietetico paleo-Atkins-keto-qualechefosselatendenzadelmomento. Non avevo mai visto una ciambella oltrepassare le sue labbra in tutto l’anno in cui avevo lavorato lì. Ero arrivata alla conclusione che quell’uomo vivesse di caffè e aria.

    Presi la ciambella più grossa e il caffè e li misi sul tavolo davanti a lui.

    Aveva un sorriso soddisfatto sul volto, e anche quello mi scosse. Ero abituata a ringhi e smorfie. Quella versione di John mi era quasi aliena quanto lo era stata la splendida fata.

    La curiosità mi ardeva dentro, ed ero sul punto di chiedergli del programma quando fu lui a parlare per primo. «È quello giusto. Il grande successo di cui ti parlavo! Oggi festeggiamo». Morse la ciambella con foga, ricoprendosi le labbra di zucchero. Mi restituì il caffè e indicò le bustine di dolcificante che avevo posato sul tavolo.

    Capendo il messaggio, ne strappai una e ne svuotai il contenuto nel liquido, girandolo fino a quando i granelli bianchi non si furono dissolti.

    «Che programma è?» chiesi con aria innocente, come se non avessi passato gli ultimi cinque minuti a origliare la sua conversazione. «Qualcosa a che fare con le creature fatate? State mandando della gente nel Regno delle Fate?»

    John annuì, chiudendo estatico gli occhi mentre masticava la ciambella. Deglutì e prese il caffè. «Il piano è quello. Il Re delle Fate vuole far andare lì delle persone per mostrare a noi umani com’è davvero. Qualcosa sul migliorare le relazioni tra umani e fate o altre idiozie del genere. Non mi interessa perché, mi importa solo di essere io quello che produrrà questo maledetto affare».

    Fece un sorrisino soddisfatto e bevve un sorso di caffè. Mi fece un piccolo cenno del capo per farmi sapere che avevo fatto un buon lavoro. Molto meglio della volta in cui me l’aveva tirato addosso perché era stato troppo freddo.

    «Sarà una corsa. Ma meglio di una corsa. Avremo squadre umano/fata, perciò ci sarà molto dramma. Dovranno schivare ostacoli su un percorso difficile, evitare spaventose bestie fatate, risolvere enigmi. E ora che la magia è nota e legale, ci

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