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Pensieri cibernetici: Human++, #2
Pensieri cibernetici: Human++, #2
Pensieri cibernetici: Human++, #2
E-book305 pagine4 ore

Pensieri cibernetici: Human++, #2

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Info su questo ebook

Dall'autore bestseller del New York Times e di USA Today Dima Zales arriva l'emozionante seguito di Macchine cerebrali

 

Ho salvato la situazione, ho preso la ragazza e stiamo per cambiare il mondo. Tutto è possibile con la tecnologia che può trasformare il cervello di un umano e renderlo superiore. L'unico problema? Gli incubi mi impediscono di dormire e non riesco a liberarmi della sensazione di essere osservato.

 

Tutti mi dicono che sono paranoico. Ma se si sbagliassero?

LinguaItaliano
Data di uscita25 mar 2024
ISBN9781631429132
Pensieri cibernetici: Human++, #2
Autore

Dima Zales

Dima Zales is a full-time science fiction and fantasy author residing in Palm Coast, Florida. Prior to becoming a writer, he worked in the software development industry in New York as both a programmer and an executive. From high-frequency trading software for big banks to mobile apps for popular magazines, Dima has done it all. In 2013, he left the software industry in order to concentrate on his writing career. Dima holds a Master's degree in Computer Science from NYU and a dual undergraduate degree in Computer Science / Psychology from Brooklyn College. He also has a number of hobbies and interests, the most unusual of which might be professional-level mentalism. He simulates mind-reading on stage and close-up, and has done shows for corporations, wealthy individuals, and friends. He is also into healthy eating and fitness, so he should live long enough to finish all the book projects he starts. In fact, he very much hopes to catch the technological advancements that might let him live forever (biologically or otherwise). Aside from that, he also enjoys learning about current and future technologies that might enhance our lives, including artificial intelligence, biofeedback, brain-to-computer interfaces, and brain-enhancing implants. In addition to his own works, Dima has collaborated on a number of romance novels with his wife, Anna Zaires. The Krinar Chronicles, an erotic science fiction series, has been a bestseller in its categories and has been recognized by the likes of Marie Claire and Woman's Day. If you like erotic romance with a unique plot, please feel free to check it out, especially since the first book in the series (Close Liaisons) is available for free everywhere. Anna Zaires is the love of his life and a huge inspiration in every aspect of his writing. Dima's fans are strongly encouraged to learn more about Anna and her work at http://www.annazaires.com.

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    Anteprima del libro

    Pensieri cibernetici - Dima Zales

    CAPITOLO UNO

    Attraverso Times Square, convinto senza motivo che qualcuno mi stia seguendo. Ormai è diventato un problema continuo: ovunque vada, penso che ci sia qualcosa o qualcuno in agguato ai limiti della mia consapevolezza.

    È come un’afta infiammata che non puoi fare a meno di toccare con la lingua. Al di là di tutto, non riesco a smettere di preoccuparmi di queste spie segrete. Il problema è che conosco la definizione di tale disturbo – schizofrenia paranoide – ed esserne consapevole mi spaventa più dei miei stalker invisibili.

    Alzo gli occhi sui cartelloni appariscenti, ma non è colpa delle modelle delle pubblicità. Mi guardo allora intorno e vedo migliaia di turisti felici che fissano il Cowboy Nudo e scattano selfie con i vari personaggi Disney e Marvel abusivi, ma decido che nemmeno loro sono i pedinatori misteriosi... per fortuna. Se fossi convinto di essere inseguito da Topolino o Spider-Man, mi farei ricoverare immediatamente in manicomio. Non penso nemmeno che a pedinarmi sia uno dei gruppi di newyorchesi annoiati, perché loro vogliono soltanto lasciarsi alle spalle la folla e tornare in ufficio.

    Poi rimango pietrificato sul posto perché, per la prima volta dall’insorgere della mia paranoia, credo di aver individuato uno degli stalker.

    È un uomo di cui non riesco a distinguere il volto. L’unico dettaglio chiaro di quel tizio è il suo completo perfetto, su misura e alla moda.

    Non appena scorgo un singolo uomo, ne vedo una dozzina, tutti in giacca e cravatta e vestiti di nero.

    Nell’istante in cui i Colletti si accorgono di essere stati individuati da me, buttano al vento la furtività e iniziano a farsi largo tra la folla, desiderosi e pronti ad agguantarmi.

    Impiegherei troppo tempo a fuggire in mezzo a tutta questa calca in strada, perciò mi affretto a raggiungere le corsie. La mia camminata si trasforma in una corsa verso Sixth Avenue. Tra gomitate e spintoni, raggiungo la zona asfaltata dove passano le automobili.

    Una limousine nera si arresta con uno stridio di pneumatici, bloccandomi il passaggio. Il finestrino si abbassa: nell’abitacolo ci sono altri Colletti.

    Arretro e do un’occhiata al traffico. Una grande quantità di auto, tutte guidate dai Colletti, mi sta piombando addosso. Osservo la parte opposta della strada e vedo un ingorgo impenetrabile.

    Giro allora su me stesso, ma mi ritrovo davanti a una barriera di Colletti che corrono. Adesso però noto che in questi uomini c’è qualcosa che non va, ed è tremendo.

    Mentre mi sforzo di comprendere la scena, l’onnipresente trambusto di Times Square si acquieta, creando la sensazione che tutte le persone e le auto intorno a me siano rimaste pietrificate sul posto. Forse sono scioccate quanto me a causa dei Colletti, e c’è un motivo: i Colletti sono senza volto.

    No, non è proprio così.

    Sono privi di occhi, naso e labbra, e al posto della faccia vedo una superficie liscia a specchio. Anche le loro mani sono riflettenti, come se la pelle fosse fatta di alluminio e ricoperta di vetro.

    Il dettaglio più sconvolgente è il mio riflesso nei loro specchi sferici. Sembro più pazzo di quel senzatetto con la sindrome di Tourette che incontro spesso durante il tragitto verso gli uffici della Techno. Ho i capelli lunghi e unti, come se non li lavassi da un anno intero. Mi mancano i denti, ho gli occhi iniettati di sangue con le pupille grandi come monete da cinque centesimi che saettano in direzioni casuali e il mio volto è scavato come se fossi uscito da un campo di concentramento.

    I Colletti mi si avvicinano. Non ho altra scelta, devo assumere una posizione da combattimento.

    Ma prima che io metta a segno qualsiasi colpo, forti braccia mi afferrano e mi scagliano verso l’One Times Square. Mentre l’impossibile parabola del mio volo mi avvicina sempre di più alla finestra del quarantesimo piano, mi vengono di nuovo dei dubbi sulla mia sanità mentale, perché adesso ogni occupante di Times Square è senza volto e i suoi lineamenti sono stati sostituiti da superfici lisce e riflettenti.

    Sfondo la finestra. La mia pelle viene tagliuzzata da migliaia di schegge di vetro.

    Altri Colletti mi aspettano nella stanza.

    Alzano le mani e le loro dita proiettano delle lame a specchio.

    Vengo avvicinato da una dozzina di Colletti.

    Do un pugno nello stomaco di quello più vicino. Vorrei tanto che Gogi fosse qui a vedere la perfezione dei miei movimenti, perché ne andrebbe fiero. Sfortunatamente, non ho il tempo di soffermarmi troppo su questo pensiero. Invece di piegarsi in due per il dolore, come un normale essere umano, il Colletto mi ferisce al volto con i suoi artigli lucenti.

    La sofferenza è acuta e mi rendo conto di una cosa che avrei dovuto capire molto prima: sto avendo un incubo. Di nuovo.

    Sei rimasto privo di sensi per quattro ore afferma Einstein da qualche parte nel mio cervello rintronato. In questo momento, sono le 04:37 del mattino.

    Sto per rispondere all’intelligenza artificiale con una battuta pungente, ma decido di non farlo. Gli avevo chiesto di tenere traccia della consapevolezza del mio cervello perché mi è venuta la mezza idea di gestire gli incubi ponendogli una domanda simile a: Einstein, sto dormendo adesso?. Il problema è che è difficile ricordarsi di lui all’interno di un incubo. E poi, se l’incubo fosse molto creativo, potrei potenzialmente sognare la risposta di Einstein.

    Apro gli occhi di scatto e mi ritrovo davanti quelli ambrati di Ada.

    Un altro incubo? sussurra, prendendomi il volto tra le mani. I suoi lineamenti delicati sono contorti dalla paura, la sua fronte corrugata.

    "Da mormoro, cercando di riprendermi dall’intontimento. Poi, rendendomi conto di avere appena parlato in russo, dico in inglese: È il secondo, stanotte. Forse ho stabilito una specie di record."

    Ti stavano pedinando di nuovo o tuo padre ha cercato di ucciderti? Si alza a sedere. La vista del suo busto baldanzoso mi distrae dall’incubo meglio di qualsiasi altra parola.

    Mi stavano pedinando. Mi costringo a concentrarmi di nuovo sul suo viso. So cosa sta per dire, ma la verità può essere un’abitudine fastidiosa, perciò aggiungo: Ultimamente, ho avuto spesso questa sensazione.

    Allora andrai finalmente da una professionista? Come aveva già fatto supplicandomi varie volte in precedenza, Ada ricorre alla tattica degli occhi da cucciola affinché per me sia molto difficile dirle di no.

    Gli strizzacervelli non sono serviti a niente quando mia mamma aveva bisogno di aiuto le ricordo. "E poi, se qualcuno mi stesse pedinando davvero?" Non è la prima volta che ne parliamo e non occorre l’intelligenza avanzata per sapere che sto per perdere questa battaglia.

    Secondo Gogi, nessuno ti sta seguendo. Ada tira i suoi capelli flosci, creando una misera imitazione del solito taglio ‘alla moicana’. E gli incubi su tuo padre sono...

    D’accordo rispondo. In un certo senso, è da diversi giorni ormai che mi preparo ad accettare di andare da uno strizzacervelli. Andrò da lui.

    Da lei mi corregge Ada. La dottoressa Golovasi.

    Certo, come potrebbe chiamarsi altrimenti? Sghignazzo perché il nome della psicologa assomiglia molto alla parola russa golova, che significa ‘testa’. Per tua fortuna, la dottoressa non è una proctologa.

    Ada ridacchia debolmente. Il suo russo è migliorato negli ultimi cinque mesi, quindi ha capito senza dubbio la battuta. L’appuntamento è fissato per oggi alle undici. Adesso rimettiamoci a dormire, così potrai riposare abbastanza.

    Il fatto che abbia già fissato l’appuntamento non mi sorprende: deve averlo appena fatto tramite l’interfaccia dell’AROS – Augmented Reality Operating System – oppure, cosa più probabile, se n’era già occupata in precedenza nella speranza (o con la certezza) di convincermi ad andare. Anzi, probabilmente ha fissato e rimandato ripetutamente l’appuntamento ogni giorno per mesi, erodendo man mano la mia riluttanza.

    Sbadigliamo entrambi e assumiamo la nostra posizione di routine, quella del cucchiaio. La sua sagoma minuta è perfetta tra le mie braccia.

    Con impeccabile tempismo, percepisco un corpicino caldo rannicchiarsi vicino a me, dietro la nuca. È il signor Spock. Sta digrignando i denti in tutta serenità, in un momento di bruxismo mostruoso che equivale al nirvana dei ratti. Apro la nuova versione dell’app EmoRat, che mi permette di decifrare le emozioni del mio amico peloso: un’assoluta beatitudine dettata dal momento che noi umani – a New York, almeno – possiamo solo invidiare. È felice di essere nel letto con noi e con i suoi amici ratti, stanotte, anche se gli altri si sono rannicchiati davanti a Ada.

    Buonanotte dico, e per poco non aggiungo: Ti amo, ma riesco a fermarmi.

    Prima di convivere, io e Ada ci eravamo già dichiarati a vicenda il nostro amore, la prima volta che avevamo provato questo sentimento. Purtroppo, ho anche scoperto che Ada è molto particolare quando si tratta della parola con la A. Preferisce vedere dimostrazioni d’affetto piuttosto che sentirla ripetere in continuazione. Per qualche motivo incomprensibile, la trova sdolcinata. Sospetto che dovrebbe essere lei ad andare da uno strizzacervelli per questo problema, ma se non vuole che le ripeta quella frase, starò al gioco, così, quando la pronuncerò in un’occasione propizia, per esempio il nostro ventesimo anniversario, sarà più incisiva... e penso che sia questa la motivazione di Ada.

    Più rilassato, mi concentro sul respiro regolare, e dopo aver respirato il profumo al cocco dei suoi capelli, mi addormento.

    Se arrivano altri incubi durante la notte, non me li ricordo affatto.

    CAPITOLO DUE

    La dottoressa Golovasi si libererà tra un attimo. La receptionist in carne crea una bolla con la gomma da masticare. Nel frattempo, le do questi da compilare.

    Prendo i moduli, ma prima di riempirli cerco il Wi-Fi per poter disattivare la rete cellulare, più lenta. Tutto il mio mondo si illumina. Dentro di me, sospiro di fronte all’ennesima conferma del fatto che la mia dipendenza dal Wi-Fi (e dalla connessione in generale) è ormai pari a quella che una persona affetta da grave miopia ha dagli occhiali, al punto tale che avrei cancellato l’appuntamento se questo studio ne fosse stato sprovvisto – uno scenario puramente ipotetico, dato che a contattarli è stata Ada, che soffre delle mie stesse stramberie. Inoltre, lo studio si trova a Manhattan, quindi il Wi-Fi è praticamente garantito.

    Mentalmente, ordino al signor Spock di rimanere nella mia tasca, nel caso in cui non fosse consentito l’accesso agli animali, poi mi sbrigo con le scartoffie e le riconsegno. Quando torno a sedermi, prendo due cubi di Rubik e passo il tempo a risolverli entrambi rapidamente. Dopo averli risolti e rimescolati varie volte, ritento a occhi bendati dopo aver memorizzato i colori di entrambi i cubi. Questo secondo modo di risolvere i cubi di Rubik è più interessante, ma mi tiene occupato solo per alcuni minuti e la receptionist mi lancia strane occhiate. Annoiato dal mondo fisico, tolgo la benda, chiudo gli occhi e lancio l’app Telepatia.

    Quest’app, l’orgoglio di Ada, è simile ad un servizio di messaggistica istantanea pompato di steroidi e anfetamine. Tramite i Cerebrociti, attiva le aree cerebrali che danno ai destinatari del messaggio la strana sensazione di percepire un suono distinguibile nella propria testa all’arrivo dei pensieri del mittente. Il mittente può anche infondere nel pensiero una serie di emozioni preconfigurate, un po’ come le emoticon ma molto più particolari, perché è possibile percepirle. Inoltre, io, Mitya, Ada e Muhomor abbiamo sviluppato una lingua ottimizzata statisticamente per esprimerci più velocemente ed efficacemente attraverso le comunicazioni elettroniche, inclusa l’app Telepatia, e questa nuova lingua si chiama Zik, abbreviazione di yazik, che in russo significa appunto lingua. Lo Zik è conciso il più possibile, perciò, come in russo, non prevede articoli come ‘un’, ‘uno’ e ‘il’. L’alfabeto Zik, se così si può definire, consiste semplicemente in numeri in base 2, altrimenti detto sistema binario. Abbiamo preso le parole più comuni in russo e in inglese e le abbiamo rappresentate tramite numeri binari in base al loro uso. Le parole meno comuni sono associate a numeri più grandi e quindi a stringhe più lunghe nel sistema binario, mentre le parole più comuni sono associate a numeri più piccoli e quindi a rappresentazioni più brevi. Per esempio, la parola ‘avere’, che dal punto di vista statistico è la nona più usata, è associata al codice binario del nove: 1001. Una parola come ‘ossificare’ (trasformare in osso), pur non essendo troppo lunga, nello Zik diventa il codice binario di trentamila (111010100110000). Il numero sarebbe più alto se Mitya non avesse la propensione per i giochi di parole imbarazzanti che aumentano le probabilità d’uso di quella parola. Solo per paragone, quando l’originale ‘avere’ in inglese è rappresentato in codice ASCII (uno dei modi in cui si può codificare l’alfabeto nei computer), si ottiene addirittura 01101000 01100001 01110110 01100101. Potrebbe non sembrare granché a un non addetto ai lavori, ma i codici binari più piccoli accelerano notevolmente la comunicazione tra le persone con un potenziamento cerebrale.

    In ogni caso, ora che abbiamo lo Zik, parlare con gli altri tramite la voce è ormai diventato un lavoraccio obsoleto. Provo costantemente la tentazione di interrompere il discorso al rallentatore dei miei investitori perché di solito so già cosa diranno dopo un terzo di ogni frase.

    Ciao, tesoro mi saluta telepaticamente Ada in Zik. Le sue parole sono accompagnate da un’emozione tenera e calorosa, che nell’app Telepatia corrisponde all’emoji del viso sorridente (con l’aggiunta dell’emoji del cuoricino).

    Anche le emoji sono dei numeri in Zik. Sembrerà una cosa fredda, finché non si ricorda che le emoji standard delle faccine sorridenti che le persone si inviano tra loro non sono altro che i caratteri ‘:’ e ‘)’ o il numero 00111010 00101001 nel sistema binario. In effetti, in Zik, possiamo aggiungere intensità alle emoji, il che permette un’ampia gamma di sottigliezze nelle emozioni sottintese che usiamo.

    Ciao, piccola rispondo, infondendo nel messaggio l’equivalente in Zik di una faccina ammiccante sicura di sé. Sono nello studio della strizzacervelli, nel caso in cui pensassi che potessi darle buca all’ultimo minuto.

    L’avatar di Ada compare a mezz’aria davanti a me. Ha scelto di assomigliare a un diavoletto birichino, quindi dev’essere ancora lunedì.

    Ti dispiace condividere? chiede, indicando il proprio corpo con una mano.

    Mi sta chiedendo di lanciare l’app relativamente nuova denominata Share. Quando è in esecuzione, quest’app consente a Ada di vedere con i miei occhi e ascoltare con le mie orecchie, un po’ come la versione da roditori che ha sviluppato per il signor Spock e i suoi compari.

    La attivo e il diavoletto si guarda intorno nella stanza.

    Non sei ancora nel suo studio. La voce di Ada riecheggia in tutta la sala d’attesa. Ovviamente, non sta veramente parlando qui dentro: sono solo i Cerebrociti che stimolano il sistema uditivo del mio cervello. Nello specifico, è un messaggio in Zik che la nostra nuova versione avanzata dell’app Teleconferenza converte in esperienza vocale. È così che ‘parliamo’ adesso, anche quando siamo vicini l’uno all’altra e non in pubblico. In pubblico, parliamo ad alta voce affinché la gente non pensi che siamo due persone mute che non usano nemmeno il linguaggio dei segni.

    L’appuntamento è alle undici. Quell’orologio dice che sono le 10:58. Con la testa, indico l’orologio digitale sulla parete. Nella conversazione di Ada, il mio avatar ha l’aspetto di Misha, l’orso russo che aveva fatto da mascotte alle Olimpiadi Estive del 1980 a Mosca, nonché mio omonimo. Credo che la dottoressa sia puntuale.

    Fantastico, abbiamo due minuti di tempo libero. Sono sufficienti per una chiacchierata dice ad alta voce Ada, ma deve avere usato anche l’app Telepatia, poiché percepisco un’emozione che probabilmente equivale al compiacimento. Non sono ancora abile come lei nell’interpretazione delle emozioni in sottofondo.

    Con l’incremento cerebrale attuale, due minuti sono un abbondante lasso di tempo per sostenere una vera conversazione, anche se superficiale. Negli ultimi cinque mesi, Mitya ha privato molte delle sue aziende di server di fascia alta per impiegare queste risorse nel progetto del potenziamento cerebrale, il che ha fornito a tutti noi le capacità cognitive che stiamo ancora imparando a utilizzare. Abbiamo accettato i server di Mitya perché guadagnare con l’intelligenza potenziata è diventato così facile per noi da compensare facilmente le aziende colpite, ma anche senza questo aspetto, le aziende ci guadagneranno perché abbiamo usato l’intelligenza potenziata per progettare server sostitutivi che saranno di gran lunga superiori a quelli presi in prestito. Anzi, molti di questi superserver sono attualmente in preparazione presso importanti produttori. Tra i nuovi hardware oggi disponibili, i migliori sono probabilmente i server Cerebro, costruiti con i chip per computer neurosinaptici di IBM, personalizzati e altamente sperimentali. D’altro canto, se si chiedesse a Muhomor, forse direbbe che l’hardware migliore a nostra disposizione è il Qecho, un computer quantistico da 100 qubit non ancora utilizzato per i potenziamenti cerebrali di per sé, ma che ci aiuta a risolvere diversi problemi difficili e importanti, inclusa la crittografia e la decrittazione dei messaggi protetti, una branca dell’informatica che provoca a Muhomor l’equivalente di un’erezione per gli uomini comuni.

    Sì, possiamo chiacchierare rispondo a Ada. Mi stavo comunque annoiando.

    Eh? Il suo avatar ha un’espressione ancora più birichina. Non stai usando il multitasking?

    "Certo che sì. In questo momento sono in pair programming con Mitya."

    Uno dei vantaggi più interessanti del potenziamento cerebrale è la capacità di dividere la propria attenzione in un modo che non sarebbe possibile senza questo incremento ed è ciò che mi permette di osservare virtualmente la programmazione di Mitya e di fornirgli un feedback a proposito dell’app che sta sviluppando mentre me ne sto seduto qui a parlare con Ada. L’app di Mitya permetterà ad una persona dotata di Cerebrociti di spostare con la mente l’ultimo modello del robot aspirapolvere Roomba. Grazie al pair programming e al potenziamento cerebrale, sono migliorato nella programmazione, anche se mi sono concentrato perlopiù sull’aiuto a progetti open source online piuttosto che allo sviluppo di software basati sui Cerebrociti.

    Fammi sapere se vuoi che prenda il tuo posto. Ada invia il messaggio telepaticamente, ma muove le labbra come se stesse parlando. Quando parlerai con la dottoressa, dovrai dedicarle tutta la tua attenzione.

    Potrei prenderti in parola rispondo. Ne approfitterei per ripassare un po’ la psicologia.

    L’altro giorno, quando ho iniziato a sospettare che Ada avrebbe avuto la meglio a proposito di ‘andare da uno strizzacervelli’, ho letto una serie di volumi di psicologia, ma è un campo molto vasto e mi sarei potuto preparare meglio di così.

    Non fare il saputello, però. L’espressione di Ada è troppo seria per un diavoletto. Google dice che è la migliore di tutta New York.

    Va bene, ma sono comunque scettico replico mentalmente. Fino a che punto posso aprirmi? In base a quello che so sul rapporto medico-paziente, qualsiasi cosa all’infuori della premeditazione di un omicidio rimane segreta, ma sai quant’è complicato con...

    Dille il necessario per permetterle di fare il suo lavoro. L’avatar di Ada mi si avvicina in volo.

    Ma così potrei includere anche il Club dei Cerebrociti la avverto.

    Il Club dei Cerebrociti è la definizione del nostro gruppo, composto da me, Mitya, Ada e Muhomor. Come in Fight Club, la prima regola del Club dei Cerebrociti è di non parlare del club stesso: una regola facile da seguire, dato che comunichiamo tramite l’app Telepatia.

    Se ne hai bisogno, penso che valga la pena di parlarle dei Cerebrociti risponde Ada telepaticamente. In ogni caso, se non salta fuori l’argomento, non parlarne.

    Per sicurezza, ho chiesto al Kadvosky di redigere un accordo di riservatezza. Prendo il documento dalla tasca posteriore e studio il gergo giuridico che fatico a decifrare nonostante l’incremento cerebrale.

    Lo studio legale Kadvosky è il più famoso e, non a caso, il più costoso del mondo. Il signor Kadvosky è il meglio del meglio, e dato che Mitya ha messo una buona parola per me, posso contattare lo studio legale ogni volta che ho bisogno di una consulenza. Quando mi sono rivolto a loro per l’accordo di riservatezza, ho scoperto più di quel che mi serviva a proposito delle mie tutele standard agli occhi della legge, oltre alla protezione supplementare fornita da questo documento.

    Forse è un’esagerazione. La dottoressa potrebbe non essere disposta a lavorare con te. L’avatar del diavoletto incrocia le braccia con occhi socchiusi. Non vuole che io saboti l’appuntamento. Promettimi che farai del tuo meglio affinché vada tutto liscio.

    La receptionist fa esplodere la gomma da masticare. La dottoressa Golovasi è libera.

    Salvato dal gong borbotta Ada.

    Mi alzo e mi dirigo verso la porta dello studio in preda a un’ansia spropositata. Mi sembra di andare dal dentista e non da una strizzacervelli. Mi chiedo se sia il caso di lanciare BraveChill, l’app antiansia alla quale abbiamo lavorato io e Ada. Funziona con le reti neurali che collegano la corteccia cerebrale alla midollare del surrene, la parte interna della ghiandola surrenale situata sopra ciascun rene, un organo responsabile della rapida risposta del corpo alle situazioni di stress. Poi rimprovero me stesso: usare BraveChill in queste circostanze sarebbe come lanciare missili balistici a mo’ di fuochi d’artificio. Curarsi tramite le app può causare dipendenza quanto i medicinali ed è l’ultima cosa di cui ho bisogno.

    Scelgo invece il metodo naturale e faccio un bel respiro, poi espiro ed entro nella stanza dove è in agguato la dottoressa Golovasi.

    CAPITOLO TRE

    Quando mi sento così nervoso, interrompo automaticamente il multitasking per concentrarmi solo sull’ambiente, perché è risaputo che potrei inciampare in ogni oggetto che mi circonda. Una volta, per poco non ho inciampato nel migliore amico dell’uomo: un ratto.

    Quando mi concentro così tanto, ottengo un’istantanea completa e innaturale della stanza in cui mi trovo e vedo dettagli che normalmente impiegherei una decina di minuti a individuare dopo un’attenta ispezione. Cerco di indovinare l’età e la marca di ogni pezzo d’arredamento e calcolo tra quanto tempo bisognerà cambiare il filtro dell’aria centrale, capisco quando la stanza è stata spolverata l’ultima volta, e dato che la polvere

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